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Autore: Vella    21/05/2015    3 recensioni
Tra la paura e l'essere posseduti, esiste l'amore.
Undici clown, undici partecipanti, dieci edizioni. La Siberia quest'anno ospiterà la decima edizione del Red Nose. L'evento che incarna il sadismo dell'essere umano e di cosa esso sia capace pur di autodistruggersi.
Grethel Hale ha diciannove anni, o forse qualcosa in meno, da un passato non troppo chiaro, dalle abitudini incoerenti e dal sorriso svampito, entra a far parte dell'evento, ritrovandosi davanti Clown 3. Un clown dagli occhi verdi, profondamente verdi che scuoierà la sua preda e le darà forza, coraggio, amore. Potrebbe salvarla o ucciderla.
Incontrerà Clown 9, incontrerà Juro, incontrerà Margherita.
Incontrerà la sofferenza, il sangue, la morte.
E sarà come il corvo che osservava da piccola nei cimiteri, si fermerà solo un attimo sulle lapide dei suoi orrori, ma poi spiccherà il volo verso il cielo, verso quell'amore che sarà la sua rovina, la sua macabra speranza e le donerà vita un attimo prima di impazzire.
Genere: Commedia, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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2° Capitolo- I tutori.


Ahia.
Oh che dolore, che inebriante sapore di sangue tra le labbra secche e che persistente sensazione di pulito, di bucato fresco, di disinfettante al ciliegio e sollievo alla pancia, proprio lì dove una mano la stava toccando e le riscaldava i muscoli, poi le ossa. Il respiro non era regolare, tremava ogni volta che la ferita aperta veniva toccata da quell'alta e pomposa figura, piegata su di lei che guardava attentamente l'ago sterilizzato e il filo per la cucitura. Il cuore accelerava il battito quando la sua punta si infilzava nella pelle fresca e gli occhi di Grethel si spalancavano in un grido di risveglio.
Il viso era pulito, aveva ripreso i sensi e con loro anche la ragione. Le gote punzecchiate di rosso e i grandi occhi assorbivano adesso la luce e mettevano a fuoco il luogo austero in cui si trovava. C'era troppo bianco per i suoi gusti e di solito il bianco è associato agli ospedali. Ricordava fin troppo bene le luci a neon che perforavano le sue delicate pupille quando ancora era una fanciulletta indifesa. Adesso era giusto chiedersi se fosse ancora quella fanciulletta oppure qualcos'altro, qualcosa disposto a superare e andare ben oltre a quello che le si prospettava davanti.
Sussultò non appena dei polpastrelli -non suoi- si conficcarono nella ferita aperta e la sua mente si risvegliò da un brutto sogno per entrare in un grande ed immenso incubo. Davanti a lei, c'era un uomo cadaverico.
Ancora quel bianco... quel bianco perfetto del tutto intatto su una faccia definita da angoli pronunciati e zigomi alti. Le sue iridi erano di un profondo azzurro, più del mare, più dell'oceano. Aspirò rumorosamente e sentì una profonda fitta al ventre; una smorfia di dolore insensato le dipinse il volto intorpidito dagli svenimenti. Mugugnò e mosse la mano verso l'alto, in un movimento così spontaneo da non rendersene neanche conto, e fu fermata da un'altra mano, senza calore che si mischiò alla vitalità di Grethel e si soffermò sui polpastrelli ghiacciati.
La ragazza fu stupita, vide di nuovo quella bocca così cremisi e un naso all'insù, innocuo e pertinente. La consapevolezza di ritrovarsi di nuovo davanti ad un altro clown la incuriosiva oltre ogni dire e avrebbe voluto allungare ancor di più la mano per giungere alla gola e toccare quella pelle, e venire a conoscenza di quale strana sostanza fosse fatta.
Chi erano? Dov'era finita? Ricordava vagamente di essere stata in una stanza, forse incatenata e al buio, una voce gracchiante che aveva parlato per tanti minuti, minuti che adesso non rammentava più e soprattutto... non capiva più cosa una persona volesse dire con la parola “minuti”. Deglutì ma si accorse di avere una gola secca e bruciante, che non si sentiva più le labbra e che non aveva più tante forze. Lasciò cadere la mano e l'uomo socchiuse gli occhi, lì Grethel vide la lunghezza delle ciglia e la perfezione dell'occhio allungato. Afferrò al volo le sue dita e le strinse nella mano incipriata, stringendola e tenendone la morbidezza.
Il contatto ebbe vita breve ed il clown abbassò la testa sulla pancia della giovane, ritornando a quello che stava facendo. Inforcò degli occhiali ed iniziò ad arrotolare della garza bianca.
Quante probabilità ci sono che una persona chieda ad un altra -in situazioni come quella alquanto disdicevoli e decisamente non idonei alla quotidianità- un bicchiere d'acqua? Poche. Ci sono poche probabilità.
«Ac-...c-qua?» La parola rimase sospesa in aria mentre la giovane sentiva le dita del clown premere sul taglio con un batuffolo di ovatta.
Immediatamente, o quasi subito, l'uomo lasciò cadere la pinzetta e di nuovo si tolse gli occhiali, l'imperturbabile sguardo iniziava ad infastidire la giovane e i suoi modi di fare. Si sterilizzò le mani con dell'acqua rosa -forse si trattava di semplice spirito- e riempì un bicchiere di plastica da una brocca in vetro.
Alzò la testa di Grethel senza troppi complimenti e lasciò cadere l'acqua nella sua bocca, quasi soffocandola; buttò il bicchiere in un contenitore nero e ritornò alla ferita aperta.
C'erano cose, tante cose nella mente di Grethel. C'erano pensieri e tentazioni, incombenze da risolvere e un'immensa voglia di raggiungere il punto cruciale della situazione.
Si trovava davanti un secondo clown. I suoi occhi voraci si fermarono su svariati punti dell'uomo e cercò di assorbire ogni suo singolo dettaglio: aveva le mani veloci e pulite, mani per nulla callose che si muovevano sicuramente sulla ferita da loro stessi procurata. Non era alto, non più di quello incontrato nella raduna e sembrava essere più agile di quanto volesse apparire. Era di costituzione mingherlina, ottimo per situazioni tecniche.
Ma chi era? Cosa stava facendo? Perché l'avevano ferita e perché adesso la curavano? Cos'era quel posto in cui si trovava? La stanza bianca assomigliava tanto ad un'infermeria; guardandosi attorno capì che si trattava molto più di un punto ristoro, era un vero e proprio centro avanzato. Un piccolo ospedale di emergenza: ai lati della stanza c'erano macchinari che mai Grethel aveva visto, la pulizia era impregnata nel costante odore di disinfettante al ciliegio, o comunque lei aveva l'impressione che si trattasse di ciliegio.
«Perché...» la voce le uscì rauca e non ricordava più quando aveva parlato l'ultima volta...
«Perché state facendo tutto questo?» Dove trovò l'ardire per quella domanda è un mistero, ma già pronunciandola si sentì liberata da un grande macigno. Gli occhi dell'altro si alzarono lentamente dalla pancia scoperta e si soffermarono su quelli di Grethel.
Credeva che stesse sul punto di parlare ma da quelle labbra color cremisi non uscì alcun suono se non l'intenzione. Grethel percepì unicamente quella trasmissione di sguardi che non aveva molto da dirle e che non riusciva a decifrare; e la stanchezza prese il sopravvento ancora una volta e poggiò quindi goffamente la testa sul cuscino lasciandosi andare ad un sospiro di primordiale rassegnazione.
Sentì uno strappo netto e puntò istantaneamente gli occhi sul suo infermiere: vide la garza strappata e la sua fronte corrucciata in concentrazione. Perché non parlava?
«Mi lascerà una bella cicatrice, eh?» Si buttò come un pesce nel settore sarcasmo macabro e si ritrovò impiccata ad un amo.
Parla ti prego, parla! Se non parli tu... chi parlerà mai?
Erano questi i suoi pensieri, i suoi confusi pensieri. Bum-Bum-Bum. Il cuore batteva forte.
«O forse non rimarrà traccia...» le parole morirono in gola e socchiuse gli occhi.
Quando sei sul punto di cadere, sul punto di non capire più niente, dove ti ritrovi davanti un burrone e l'unica opzione è quella di buttarsi a capofitto, allora da lontano una luce si accende e si smette di avanzare in quella direzione.
Accadde anche lì, proprio quando Grethel era sul punto di lasciarsi andare al sonno o forse al magico effetto dei sonniferi, le porte dell'inferno si spalancarono.
L'infermiere si ridestò dalla sua acuminata operazione e si mise sugli attenti. Grethel riaprì gli occhi e il cuore palpitò vedendo le porte scorrevoli della stanza aperte e una nuova figura farsi largo nella sua rubrica di nuove persone da conoscere.
«Come va la situazione?»
Cosa era? Un clown? Ancora? E perché il suo viso era nero come la pece? Era cipria nera? Perfetta. Gli occhi di un profondo ebano, un uomo aitante e robusto. Un hulk in circolazione.
«La ferita si risanerà entro una settimana, il taglio non è troppo profondo; il soggetto può definirsi fortunato».
Parlava quindi il suo infermiere; non spostò neanche un secondo il viso su quello di Grethel e continuava a digitare su un tablet.
Il nuovo entrato aveva una tuta plastificata addosso e questo ridestò la sua curiosità che perse di vista la ferita in via di guarigione e si focalizzò sul passo pesante e le gambe flessuose. La gola era di nuovo diventata secca ma questa volta non aveva il benché minimo coraggio di chiedere un altro bicchiere d'acqua. Si sentiva circondata come una preda e i suoi predatori la stavano soffocando senza attaccarla. O forse l'avevano già attaccata? Da dietro, come avvoltoi. Grethel cercò di sedersi su quel comodo lettino ma i gomiti le dolevano e l'infermiere, con una fermezza assurda, fece forza sulla sua pancia e la rimise giù, senza troppe cerimonie.
«Sta' ferma», l'uomo in nero si era spostato nella stanza adiacente ed aveva seguito ogni piccolo movimento della paziente attraverso delle placche in vetro. Grethel pensò giustamente che dall'altra parte ci dovessero essere vari computer e aggeggi tecnologici non alla sua portata. L'altro clown continuava a non parlare, agiva con i gesti e strattonava la garza attorno la vita.
Quindi, adesso analizzava, le stavano facendo un test? Che bisogno c'era di star ferma, di non parlare, di essere osservata a vista? Niente domande, Grethel. Niente domande. La tua testa tra un po' scoppierà o emanerà fumo nero.
«Va' pure, four». La voce intensificata del nero si espanse per l'intero abitacolo in russo e la giovane non capì se non il numero in inglese; vide i lineamenti dell'altro irrigidirsi e lasciò cadere le pinzette strette tra le dita, in una bacinella di acciaio. Grethel si apprestò a seguirne i movimenti finché non lo perse dopo che attraversò le porte.
Era a disagio, un disagio che cresceva dall'animo e le imporporava la faccia. Ahia, non riusciva a sopportare tutta quella pressione fisica psichica.
Un tempo la signora Hale l'aveva stretta per le spalle e guardandola negli occhi aveva detto: «Grethel ce la farai! Io so che ce la farai; tu sei forte, più forte delle super eroine che tanto adori. Sei nata per combattere tutto questo». Non l'aveva più scordato quel giorno -come scordarlo altrimenti!-, ma quelle parole... oh, quelle parole... erano state un toccasana, una perla da Dio. E lei sopravviveva facilmente ripensandole ancora.
La porta dell'altra stanza si aprì e subito i suoi occhi guizzarono sul clown in nero che aveva tra le mani dei fascicoli bianchi ben ripiegati, ordinatamente sistemati e impilati.
«Non voglio star zitta», disse la rossa energicamente, aveva le sopracciglia corrucciate e le labbra strette in un capriccio spontaneo. Fece di nuovo forza sui gomiti ed alzò il busto dal lettino.
«E non voglio star neanche ferma». Continuò ora che aveva l'attenzione dell'uomo e ch'era disarmato.
«Allora non farlo, Grethel». La sua calda voce le perforò il coraggio che si sgonfiò immediatamente come un palloncino. Sarà stato il suo nome pronunciato, la tranquillità che emanava...
«Ma non dovresti fare così; dovresti invece riposarti finché puoi».
«Chi sei?» Netta, un fulmine a ciel sereno, una ripresa di equilibrio.
«Innanzitutto le buone maniere, Grethel. Sto cercando di suggerirti una valida mossa e credo che tu debba-...»
«Non trovo nessun beneficio nei tuoi suggerimenti, credo di sapere meglio di chiunque altro cosa mi faccia bene e adesso ho bisogno di capire chi tu sia».
L'uomo in nero ingoiò l'impertinenza che si ritrovava davanti e posò i fascicoli sulla scrivania in fondo la stanza, dove si trovavano anche utili materiali per una vera e propria operazione ospedaliera.
Prese posto su uno sgabello al fianco del lettino, incastrò le gambe di Grethel tra le sue con prontezza e le bloccò i polsi con le mani inguantate di nero. Gli occhi della pece si mischiarono al chiaro della partecipante e vi si soffermarono per un lungo tempo, così gli attimi divennero infiniti.
Grethel cercò di divincolarsi, strattonandosi e recando da sola delle fitte doloranti al taglio fresco.
«Tu chi sei?» Le alitò in faccia, un po' tra l'incazzatura e un po' tra il divertimento malsano di cui solo lui poteva godere.
«Io... non...- ahia...» Aveva stretto la presa sui polsi; Grethel aveva la macabra impressione che non ne sarebbe uscita illesa dalla caparbietà che disponeva.
«Rispondimi tu, Grethel. Chi sei? Una mocciosetta colta in flagrante alle iscrizioni mondiali? Un'adolescente in via d'estinzione che aspettava quell'attimo di brio nella vita? Cosa è per te il Red Nose? Ma soprattutto ragazzina: cosa sei tu per il Red Nose? Forse tutto, forse niente... con queste domande m'irriti la pelle delicata». E bum, lasciò la presa e la giovane si ritrasse da quel tocco micidiale, così come lo erano state le parole. Un sorriso gli si stampò in faccia e i lineamenti si distesero così come si erano induriti.
Cosa aveva detto di tanto male? “Chi sei?”? Era sicura che se avesse avuto la possibilità di conoscere una delle due nonne, in quel momento le avrebbe suggerito premurosamente che non era mica ad una festa di ballo, lì mica era andata per divertirsi! E quindi su... un po' più d'attenzione, Grethel cara.
«Visto che preferisci non riposare, desideri qualcosa da mangiare? Ho per te dello yogurt bianco, niente di più buono. Ma sssht, non farne parola con nessuno. Non dovresti mangiare così instabile». Allontanato, l'uomo si era avvicinato ad un mobile bianco rivelatosi un frigorifero, e aveva in mano una scatola di yogurt marcati in lingua... lingua... no, non c'era nessuna etichetta.
«Preferisco stare a stomaco vuoto». Bofonchiò Grethel nel suo orgoglio per metà ferito.
Il clown si grattò il mento liscio e sospirò con teatralità.
«Come preferisci». Alla fine disse; lo scatolo fu buttato energicamente sul mobile e a grandi falcate raggiunse l'area delle operazioni ospedaliere.
In un fulmineo istante, la ragazza se lo ritrovò vicino, spalancò gli occhi e buttò il busto in avanti, cercando di proteggersi quel poco che riuscivano le sue forze. Maledisse l'attimo in cui aveva rifiutato lo yogurt ed aveva preteso troppo da quell'uomo in nero, ma di più maledisse quel momento in cui il pollice di lui si fermò sulla vena del braccio ed un ago vi si infilzò dentro. Represse un urlo di rabbia e di gran rancore. Cercò di staccarsi il tubicino e di fermare il sangue rosso piccione che fluiva delicatamente all'interno, ma fu tutto inutile, così come fu inutile fermare le mani forti del clown che la bloccavano e la spingevano sempre di più ad una totale immobilizzazione.
«Non mi sembra il caso di lamentarsi, in fondo sono stato gentile. Non credi che io sia stato gentile? Oh, mi sembri alquanto furibonda. Ti conviene calmarti altrimenti potresti morire dissanguata». Grethel strinse i denti tanto da farsi male e l'uomo, notando la rassegnazione di lei, rallentò la presa sugli avambracci e si sedette al fianco, sul lettino bianco.
«Formalmente mi chiamano clown nove. Intimamente sono soprannominato l'Ombra», le sue dita si poggiarono sull'orlo della felpa di Grethel e picchiettarono gentilmente sul taglio.
«Se non domandi, ti verrà dato. Se domandi, non ti verrà dato. Questo è un bel motto... credo di volerlo adottare ma... nel dubbio, oh... no, stai ferma, non muoverti». Sbadigliò, Grethel notò due rughette agli angoli della bocca e del rossetto marrone sbavato ai bordi del viso truccato.
«A cosa ti serve il mio sangue? Smettila, lasciami». In uno strappo l'ago fu tirato fuori e una boccetta riempita di rosso cadde nelle mani dell'Ombra. Grethel liberata dalle grinfie della strega cattiva, si alzò di scatto dal lettino ma appena mise piede sul pavimento, la testa iniziò a girare vorticosamente e non riuscì a mantenere un minimo di equilibrio; ruzzolò così per terra e sentì la pelle attorno al taglio lacerarsi in un dolore atroce.
Ahia.
«Merda...» imprecò come una stupida e clown nove le buttò addosso qualcosa di freddo.
«Adesso mangia lo yogurt».
Avrebbe voluto prenderlo a parole; avrebbe voluto dire un sacco di cose poco carine, avrebbe voluto ringhiargli contro, ma l'unica cosa che fece, fu quella di aprire realmente lo yogurt dopo che sentì la porta della pseudo-infermeria chiudersi dietro i suoi passi.
Oh, come si sentiva stupida e indifesa; era una poveretta dagli occhi acquosi e il corpo dolorante. Mangiò lo yogurt bevendolo dal recipiente e l'amaro la invase subito, portando con sé anche un senso di nausea. Dopotutto però, non mangiava da molte ore, quello yogurt quindi divenne un toccasana e anche una liberazione in mancanza di qualcuno che la sorvegliasse.
Sarebbe dovuta uscire ma non sapeva affatto cosa le aspettasse all'esterno; non poteva fare mosse stupide, non immediatamente almeno.
Altri passi si fecero più vicini e ben presto, clown nove rientrò nella stanza, adesso con un camice bianco, adesso con uno sguardo più divertito del precedente, adesso con una calma inquietante e adesso con un minicomputer.
«L'hai mangiato veramente!» Rideva.
Grethel strinse il recipiente vuoto dello yogurt e si schizzò sulla felpa. In preda ad una nuova rabbia che però già aveva provato recentemente, lo buttò sul suo assalitore.
«Solo per te». Digrignò i denti.
«Grazie tesoro».
Entrarono altre due persone, una era l'infermiere che non aveva osato dir parola alcuna in sua sola presenza, e l'altra invece pareva essere una donna dai colori vivaci. Grethel appena la vide, si spaventò. Sul viso era stata disegnata una bocca in rosso ben oltre le labbra vere, ed il bianco della cipria era talmente perlaceo da essere inquietante. I vestiti floreali e in parte strappati, davano una cadenza distorta della figura stessa e lì per lì, la rossa trovò normale ritrarsi al tocco di entrambi, divincolandosi ancora una volta, più riluttante di prima. Com'erano viscide le loro mani e come sentiva il bisogno di un bagno caldo. Inoltre non aveva la forza di tenersi su da sola e dovette lasciarsi andare alla forza dei due.
«Vi ringrazio miei cari, vi raggiungerò tra poco». La voce cristallina e sempre divertita dell'Ombra, fu odiosa, così come fu odioso il viaggio che ne seguì.
Grethel non seppe bene cosa accadde dopo, qualcuno la incappucciò e parole ovattate raggiunsero le sue orecchie. Sapeva solo che i suoi piedi si muovevano a malapena e che i suoi presunti strozzini (era stata rapita o si trovava davvero ad un evento mondiale?) avevano una gran forza corporea e d'animo.
Scese scale. Le salì. Le scese ancora. Camminò per interminabili corridoi, e i luoghi puzzavano di tanfo e muffa. Inciampò, cadde anche, percepì il sangue lungo il ventre scorrere.
Infine raggiunse una meta e le viscide mani di entrambi la strattonarono su una sedia, una presunta sedia. Fu contenta in quel momento, liberata dal peso del cammino e dall'agitazione.
Nessuno parlò, lei non parlò, gli altri non parlarono, la gola era secca, lo yogurt sballottava nel suo stomaco. Avrebbe vomitato.
Se ne andarono, ne era certa, nel buio del sacco che l'era stato messo, riusciva a percepire gli odori -i sapori del bile- e ogni singolo rumore.
Topi? No, quel rumoraccio dal basso della stanza non erano topi ma persisteva e le cose che persistevano, non erano nulla di buono.
I corvi nel cimitero persistevano ogni notte a spiarla da una lapide, l'erba di casa sua persisteva nell'essere schiacciata, la sua tenacia persisteva ma i topi... i topi potevano anche non persistere.
La sua mente confusa e i suoi arti doloranti la dicevano lunga, ad esempio, sul persistere.
In quell'angoscioso stato, ci stette per molto tempo. Un tempo che più non veniva calcolato, ma che ancora c'era nei loro animi e si faceva largo a forza per sibilare la sua vita.
Non c'era luce nella stanza, un tavolo in legno, un'unica sedia dove era seduta Grethel e poi il vuoto meschino.
La porta, unica e sola, alle sue spalle venne aperta e il cigolio ridestò Grethel dal torpore del dormiveglia dove cui s'era rintanata.
«Chi è?» Biascicò, stringendo i polpastrelli attorno le gambe della sedia.
Il sacco dalla testa fu tolto e si chiese perché diamine non l'aveva fatto lei stessa. Poi capì. Aveva paura.
E in vita sua, la paura era qualcosa di talmente astratto e intimo da meravigliarla.
Aveva paura di fare un'azione non dovuta, di osare nell'ovvio e finire per essere punita.
Clown nove si fece avanti, le sue dita camminavano sulla spalla di Grethel e gli occhi piombarono nei suoi, accarezzandola.
Le mancò il respiro e si ritrasse a quel tocco come giusto che fosse, l'uomo la bloccò e si accovacciò davanti, perennemente divertito, perennemente sicuro di sé.
La situazione buia e tetra in cui si era cacciata, la contrapponevano alla luce calda e pomposa di quando era arrivata e per un attimo in quei grossi occhi d'ebano, vide il verde di altri, più sottili e limpidi che le sussurravano parole, parole che fino ad allora nessuno aveva avuto il coraggio di dirle se non l'Ombra.
Un brivido le oltrepassò la schiena e deglutì, cercando di mandare giù il brutto saporaccio dello yogurt.
C'era altro in quel contatto; forse una forma di verità ed uguaglianza. Forse invece la trattavano in quel modo per sottometterla ad un certo andazzo.
Abbassò lo sguardo ma meccanicamente le dita dell'Ombra si posarono sotto il mento e l'alzarono, ritornando quindi a quel contatto fugace.
«Immagina un mondo senza cattiveria... senza ingiustizie... senza guerre... un mondo bianco, più bianco di me che si imporpora del tuo amore». Le parole del clown furono a malapena sussurrate e Grethel trovò fastidio nel concentrarsi per riuscire a sentirlo.
Sospirò e lui si sporse più avanti, così da poter assaporare la sua flagranza, così da poter sentire ancora con più realtà quel profumo di muschio e di terra bagnata dopo la pioggia. Cosa poteva mai essere? Grethel non lo sapeva.
«Adesso immagina un mondo cattivo, un mondo con tante, troppe guerre. Un mondo distrutto da noi stessi, dal nostro spasmodico egoismo e non sforzarti troppo, mia cara. Perché ci vivi».
Le mani dell'uomo si poggiarono sui bracci di lei e quando si vuol distrarre un bambino sul punto di fare una siringa, così lui la distrasse premendo il pollice sulla pelle; Grethel sentì un pizzicore, come un taglietto, una pressione, e subito dopo assaporò quel muschio sulle sue labbra. Ci mise poco a capire che il nero aveva schiacciato la bocca contro la sua e che aprendola leggermente aveva fatto in modo che sentisse chiaramente l'acre e amaro aroma che caratterizza ogni tipo di sangue. Compreso quello di Grethel.

Angolo Autrice: Beh dai ragazzi! Dovevo aggiornare il dodici maggio ed oggi è ventuno; questo significa che non potete affidarvi alle mie previsioni! ahahah
A parte i convenevoli scherzi, mi sembra sciocco dirvi che mi è seriamente dispiaciuto per questo ritardo e spero con tutta me stessa di non farvi aspettare oltre. Il terzo capitolo arriverà presto, tra qualche giorno, al massimo una settimana.
Volevo inoltre ringraziare -come sempre- tutti, chi mi segue, chi recensisce, chi entra a far parte del gruppo facebook... insomma, grazie davvero. Siete una bella combriccola e mi rendete felice (vi ricordo che la storia è anche disponibile su Wattpad).
In ultimo, mi domandavo, non è che mi "introspetto" troppo? Spero di non annoiarvi, che le descrizioni e tutto ciò che è attorno vi soddisfino, vi piacciano, vi... gratifichino ecco.
Fatemi sapere un vostro parere, eh! Ci conto! :3

   
 
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