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Autore: Vella    05/05/2015    3 recensioni
Tra la paura e l'essere posseduti, esiste l'amore.
Undici clown, undici partecipanti, dieci edizioni. La Siberia quest'anno ospiterà la decima edizione del Red Nose. L'evento che incarna il sadismo dell'essere umano e di cosa esso sia capace pur di autodistruggersi.
Grethel Hale ha diciannove anni, o forse qualcosa in meno, da un passato non troppo chiaro, dalle abitudini incoerenti e dal sorriso svampito, entra a far parte dell'evento, ritrovandosi davanti Clown 3. Un clown dagli occhi verdi, profondamente verdi che scuoierà la sua preda e le darà forza, coraggio, amore. Potrebbe salvarla o ucciderla.
Incontrerà Clown 9, incontrerà Juro, incontrerà Margherita.
Incontrerà la sofferenza, il sangue, la morte.
E sarà come il corvo che osservava da piccola nei cimiteri, si fermerà solo un attimo sulle lapide dei suoi orrori, ma poi spiccherà il volo verso il cielo, verso quell'amore che sarà la sua rovina, la sua macabra speranza e le donerà vita un attimo prima di impazzire.
Genere: Commedia, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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1° Capitolo- Cessa il tempo, cessa la vita.


C'era tranquillità.
La notte lasciava vita ad un'alba mozzafiato e le nuvole si univano in mille splendidi giochi. La testa di Grethel ciondolava sullo schienale della poltrona e guardando nell'oblò i suoi occhi venivano abbagliati da una miriade di sfumature che il sole sprigionava. Tutto ciò le faceva brillare l'animo e si sentiva più sicura, a tratti protetta; si teneva in estremo equilibrio su una scia di occasioni lasciate a marcire, e sperava che alla fine non essere mai caduta, le sarebbe valsa la pena.
Al suo fianco, una signora dai capelli ramati con svariate ciocche grige, beveva un cocktail rosa che emanava un forte odore di vodka. A lei invece era stata servita una spremuta di arancia senza neanche averla chiesta, ed in confronto al perfetto e minuzioso viso curato dell'altra, il suo era impiastricciato di trucco sciolto e segnato dalla notte insonne e da quelle precedenti.
Erano state settimane di fuoco, settimane in cui tutto si era perso e ritrovato. Dove i vicini la guardavano con occhi nuovi, dove la pattuglia di polizia passava più spesso nel suo quartiere, dove Suzanne la guardava di meno e parlava di più.
Per giorni che l'erano sembrati eterni, si era sentita veramente abbattuta e sull'orlo di sfasciare tutto, di lasciare tutto; ma aveva lottato una vita per arrivare a tanto e finalmente le mancava un passo per raggiungere la vetta.
Quei pensieri l'avevano infestata per l'intero viaggio, ormai non aveva senso rimuginarci ulteriormente, l'alba era sorta, i passeggeri si stavano destando da quel lungo sonno durato parecchie ore ed adesso l'aereo sarebbe atterrato dolcemente, e come un quadro, la tela sarebbe stata sfregiata con un coltello. L'hostess si avvicinò di soppiatto, era biondiccia, forse tinta, le sue sopracciglia lasciavano intendere che il colore naturale fosse stato un tempo di un profondo nero.
«Signorina allacci la cintura, anche lei signora, stiamo per atterrare». Un sorriso le illuminò il volto abbronzato e Grethel annuì, anche se avrebbe voluto farle qualche domanda su cosa, come, dove si sarebbe diretta poi. Avrebbe voluto aggrapparsi a quella figura tanto amorevole che per un breve tratto l'aveva accudita, senza farle mancare nulla.
Suzanne Hale l'aveva guardata a lungo il giorno prima, Grethel sentì il rimbombare del motore e l'inclinazione dell'aereo mezz'ora più tardi, Suzanne Hale l'aveva abbracciata come se fosse l'ultima volta che l'avrebbe rivista. Era ancora terribilmente arrabbiata con lei ma cosa avrebbe dovuto farci? Aveva tentato con tutta se stessa di ragionare, di farle capire che non poteva continuare ad ignorare il suo futuro prossimo, che ormai l'errore l'aveva fatto e non voleva tirarsi indietro, ma la speranza di una madre di non perdere il proprio frutto, è più forte di qualsiasi cosa. Le orecchie iniziarono a fischiare e Grethel sbuffò; i suoi occhi si fermarono di nuovo sulla signora e notò che stava leggendo tranquillamente una rivista, senza scomporsi e senza provare il benché minimo impiccio per l'atterraggio. Che razza di alieno si ritrovava davanti?
Grethel non amava decisamente l'aereo, non lo prendeva con piacere, la scombussolava, la infastidiva un sacco e non sopportava la sensazione di vuoto nello stomaco o la paura del decollo.
La rivista della signora era un gossip che si leggeva nei momenti di noia, Grethel strinse le dita sui braccioli e vi affondò le unghie: che scherzo era mai quello? Al centro delle due pagine, in bella vista c'era il titolo dell'evento e in basso sui bordi rimanevano le figure di tante persone che in vita sua non aveva mai visto. Di sfuggita, lesse qualche nome finché gli occhi non trovarono quello che stavano cercando. Lei. Lei con un quieto viso, paffutella e più sicura di quanto non lo fosse.
Si portò le mani fredde sulle guance accaldate e tolse lo sguardo un po' scossa.
Nei minuti che seguirono, non pensò più all'atterraggio aereo, ma a quella donna che non voltò pagina fino a quando non ritornò l'hostess invitandole a scendere.
C'era qualcosa di terribilmente strano. -
«Qualunque cosa Grethel, qualunque cosa e corro a prenderti».
Aveva detto Suzanne Hale strattonandola per le spalle, la ragazza aveva annuito per la quarantesima volta ed adesso si ritrovava su un autobus di linea malandato, quasi sul punto di cadere a pezzi. Come ci era finita? Delle ore precedenti ricordava poco e niente, tutto era proseguito normalmente, l'aeroporto l'aveva salutata senza troppe cerimonie e la Russia gelida l'aveva accolta.
Sentiva freddo, il suo giubbotto impermeabile era infagottato di sciarpe e un paio di cappelli di lana sulle orecchie. Non era pronta a quel clima; aveva creduto di trovare il sole ma sentiva solo il vento sferzarle attorno e tagliarle la faccia.
Era atterrata a Krasnojarsk, in Siberia, e secondo il Volantino Esplicativo, sarebbe dovuta giungere su una collina a sud della città, ch'era circa a quattrocento metri sul livello del fiume Enisej.
Grethel quel fiume l'aveva subito visto ed era un paesaggio non indifferente. Da lontano, il suo scorrere, l'era parso così limpido.
Il pullman si svuotò ben presto, non osava aprir bocca, era riuscita a capire dove la portasse grazie al cartellino in inglese, altrimenti probabilmente si sarebbe trovata ancora fuori l'aeroporto in cerca di un'anima pia.
Mentre viaggiavano aveva notato molte cose che all'apparenza potevano sembrare normali, ma arrivato ad un certo punto, non erano poi così normali.
La città era tappezzata di icone, di manifesti e volantini, tutte sul Red Nose. E fin lì Grethel s'era sentita prendere un po' in giro: se questo evento è davvero così importante, allora perché non spedire una bella macchina blindata? Perché non essere certi che i partecipanti giungessero sani e salvi? Una prova di bravura? Ma che bravura e bravura, quello era già un primo sintomo sbagliato dell'intera situazione, dell'intera malattia.
Grethel notò il vacuo negli occhi dei passanti, una frenesia poco realistica, una stantia verità che aleggiava su di lei con impertinenza. La strada si restringeva sempre più, il paesaggio diventata ingombrante e le anime che popolavano la città si impoverivano. Le parve di vedere un cimitero da lontano, sembrava fosse una croce quella posizionata su quella collina che lentamente veniva percorsa dal pullman di linea.
Ben presto si rivelò un'illusione, non c'erano cimiteri dove nascondersi per Grethel. C'era una via spianata e un bagliore ad illuminarla. Non era forse pronta? Le gambe tremavano e con loro anche gli zigomi, pronti ad esplodere in un pianto.
L'arrivo fu istantaneo, il pullman vuoto, l'autista poco lucido e la radura deserta. Non c'erano lampioni ed il bagliore di poco prima si spense in un attimo, lasciando il buio.
Si sentì oppressa.
L'uomo bofonchiò qualcosa che non capì; il russo non faceva per Grethel. In verità c'erano molte cose che non facevano per lei.
Le porte si spalancarono e l'uomo dal viso appesantito per via delle rughe e sottopeso con la mano la incitò a scendere.
Grethel si ritrovò spaesata appena quelle stesse porte si chiusero dietro di lei e l'autobus girò nella stradina per ritornare indietro; la valigia era diventata pesantissima con il prosciugarsi delle ore.
Una tabella, un'indicazione, cosa diamine poteva farci in mezzo al nulla? Dire ch'era agitata, non era una gran cosa.
Sentì un forte dolore al petto che le ricordava incessantemente quanto fosse in una situazione di precaria solitudine e che doveva pisciare a causa dell'ansia.
Girò in tondo per svariati minuti fino a quando le lacrime non giunsero agli occhi e non si trattenne dal piangere velocemente quel segno di debolezza.
D'improvviso, una lucciola le passò sulla testa e quella piccola vita portò un pizzico di brio ed ardore nel suo animo floscio; le lucciole erano state per un lungo periodo della sua vita, una buona occasione di riprendersi quando si ritrovava appigliata all'albero maestro del cimitero londinese.
Si stava girando senza pensarci, pronta ad afferrare le maniglie della valigia, quando un muro le si parò davanti.
Un muro sodo, più alto di lei, prorompente, audace. Erano questi i primi aggettivi che le affioravano nella mente e si facevano largo con estrema timidezza; ma un muro poteva essere audace?
Era umano. Grethel alzò il viso e si scontrò in un denso verde, più del fiume Enisej. Si portò la mano davanti alla bocca per reprimere un grido di sorpresa e misto allo spavento.
Ad un tratto la raduna fu immersa in una luce crescente, assomigliava così tanto all'alba. I suoi occhi furono abbagliati da tante lucciole, sempre più grandi, sempre più spaventosamente vicine. Iniziò di nuovo a lacrimare, questa volta per il dolore e fu una reazione talmente istintiva che le procurò imbarazzo; e capì ben presto che le lucciole erano in verità delle lanterne.
In quello stesso stupore, Grethel indietreggiò di un paio di passi e non le parve vero di star osservando quello stesso verde di anni addietro. Quel verde che l'aveva pugnalata senza pietà e l'aveva potuta distruggere.
Il viso era bianco, un bianco latte, non c'erano crepature e la perfezione era scolpita in quei lineamenti di fuoco, come le labbra di un rosso vivo, vermiglio e assalitore.
I capelli erano di un verde scuro e forse questa era la cosa meno bizzarra dell'intera situazione; erano ricci e lunghi, fino alle spalle e quel colorante gli donava una sensazione di macabro ch'è difficile descrivere.
Le lingue di fuoco danzavano intorno a loro e in quel freddo gelido, i loro respiri si condensavano a poca distanza l'uno dall'altro.
Grethel sapeva di ritrovarsi davanti un clown. Era impossibile e a dir poco inimmaginabile non riuscire a riconoscerlo; bastava soffermarsi un po' di più su quel bianco latte e quegli occhi ancor più verdi, e ancor più vuoti dei suoi.
Se c'erano parole da proferire, la giovane non sapeva quali e non voleva neanche provare a pronunciarle.
L'altro avanzò e lei non si mosse.
La sua mano laccata di cipria si posò sul collo della concorrente e Grethel sapeva di essere pronta. Era giunta nel luogo esatto e non sapeva neanche bene come, poteva essere fiera di se stessa, se non anche soddisfatta. Avrebbe intrapreso un cammino che la trasportava direttamente al dirupo. Il dirupo delle verità celate.
Il suo corpo era in estasi, le torce si avvicinavano e si allontanavano, sembrava quasi di udire dei tamburi di sottofondo, una sinfonia calda e africana nel freddo forte della Siberia; le labbra cremisi erano lì, troppo vicine da non vederle e troppo lontane da toccarle. Le mani del clown si muovevano ritmicamente sulla pelle febbricitante e si aspettava di tutto, era pronta a tutto, ma non a ciò che accadde realmente.
«Scappa». Fu poco più di un sussurro ma fin troppo chiaro.
Grethel rimase interdetta, le mani dell'uomo si fermarono sul suo corpo accaldato ma la fiaccolata continuò. Brividi la percossero.
Le labbra adesso indugiavano sul collo, e poi sul mento, di fianco l'orecchio.
«Scappa prima che sia troppo tardi, Grethel. Scappa prima che il tempo si fermi, scappa prima che tutto abbia inizio. Divincolati. Allontanati. Scappa».
Grethel non scappò, come avrebbe potuto? Se l'avesse fatto tutto ciò adesso non esisterebbe.
«No...» corrucciò la fronte, indietreggiò di pochi millimetri, ritornò a quegli occhi verdi e profondi, «io non scappo». Fu appena detto, a malapena udito, eppure condannò molte vite senza potere alcuno.
Le lingue di fuoco aumentarono e l'atmosfera divenne bollente e quella radura immersa in parte dal fango e dalla neve, si strinse attorno alla figura dell'esile ragazzina. Il clown verde, dai straordinari occhi e la rabbia che vi brillava, strinse quel viso con entrambe le mani, attimi di panico susseguirono alla sensazione costante che volesse spezzarle il collo.
E così, con il gelo e il caldo, svenne.


Cosa ricordare di ciò che dopo successe? Buio, buio che si insinua sin dentro il tuo essere e si impadronisce di te.
Quando riprese i sensi non c'era nessuno che le dicesse di trovarsi al sicuro, di non preoccuparsi. Non c'era la madre, il padre, un fratello, il cane o un piccione. C'era lei ed il buio, ma si sa che il buio non è sinonimo di sicurezza ma di vuoto, un vuoto incessante che con il passare del tempo, si ingigantisce paurosamente, come un buco.
I capelli le caddero sul viso e lo inumidirono, le mani erano poggiate su una lastra fredda, liscia, un po' appiccicaticcia. Dove si trovava? Era una di quelle domande che sorge spontanea e confonde la mente, la distrae e la devia.
Si mosse, ma di poco, e ben presto sentì qualcosa sulla pancia, qualcosa di altrettanto freddo che le premeva sul basso vita. Ansimò e il peso divenne più costante e assiduo. Diamine, se avesse urlato cosa ne avrebbe giovato? Poteva tentare, di solito si dice che tentar non nuoce ma quella cosa sul suo addome non sembrava essere della stessa opinione.
Mosse le braccia, la percezione aumentò e capì di trovarsi sdraiata sulla stessa lastra, sempre rigida e fredda, liscia e... cos'altro? Non sapeva dirlo. Era a corto di parole e di fantasia.
Incatenata risultò essere il termine più giusto. Era proprio incatenata e non si poteva muovere più di tanto; nel frattempo il peso sulla pancia continuava a spingere.
«Cosa succede?» Biascicò perché aveva paura di alzare la voce. I ricordi poi ritornavano a tratti, le mani salde di qualcuno, il verde impegnativo di qualcun altro, la fisionomia di un viso che non le apparteneva...
«Cosa succede?» Ripeté con maggior enfasi.
E così un rumore sordo e viscerale si espanse per l'intera stanza. Un brivido le percorse il corpo e la luce si accese un po' come nei film horror. Luce bianca a neon.
Così una voce metallica si diffuse nell'ambiente, gracchiante ma sicura. Grethel non sapeva dire se appartenesse ad un uomo o ad una donna, l'unica cosa chiara del momento era la certezza di trovarsi in un laboratorio abbandonato. Un odore strano e la luce emessa, rendevano tutto ancor più buio e macabro di quanto non lo fosse già. Aveva anche appurato la sua incatenatura ad una lastra in ferro.
«Il Red Nose,» la voce gracchiò, «è un evento dalle origini antiche. Chi partecipa è consapevole delle sue scelte e di cosa ne consegue la possibile accettazione». Metallica e a tratti stracciante. «Liberi di vivere, la Siberia è il decimo luogo in cui l'edizione avrà inizio. Liberi di vivere, il tempo si è fermato da esattamente venticinque minuti e quaranta secondi. Dimenticate adesso questi minuti e questi secondi. Liberi di vivere, vi trovate a sud di Krasnojarsk. Paura? Non ne abbiate, in qualunque posizione vi troviate adesso». Grethel respirò pesantemente e deglutì con forza, aveva la bocca impastata e la gola secca. Non capiva cosa stesse accadendo e a cosa sarebbero servite quelle indicazioni. Il tempo, il tempo... il tempo s'era fermato davvero? Ad ogni respiro, Grethel era sicura che non fosse il precedente, ad ogni respiro c'era un nuovo movimento, un passo in più verso il susseguirsi della vita, e l'avvicinarsi della morte.
«Numero 3, Grethel Hale, origini gallesi, la vedo distratta». Sentire il suo nome rumoreggiare nella stanza, la sorprese e la impaurì.
«Io... non...» ansimò e il peso sulla pancia si fece ancora più insistente, tanto da toglierle il fiato.
«Non risponda». Liquidò, «dunque, partecipanti, è giusto che voi sappiate il nome del luogo in cui vi trovate, gli inglesi lo chiamano castle, gli italiani castello, i russi Замок; la verità è che non saprete mai quanto è ampio questo luogo e cosa vi aspetta al di fuori della stanza in cui vi trovate. Non saprete mai troppo. La cosa potrebbe risultarvi frustante, ma leggendo attentamente un possibile e stupidissimo foglio illustrativo, meglio nome come Volantino Esplicativo, avrete notato di esservi iscritti ad un Evento paranormale. E per paranormale intendo paranormale».
Cosa stava dicendo? Cosa era tutto quel vociferare? Le faceva male la schiena, diamine. Perché doveva rimanere proprio in quella posizione? L'avrebbe scoperto da lì a poco.
« Ed ora, non distraetevi.
L'intoccabilità dei clown è sottintesa, nessuno oserà mai solo lontanamente fare del male ad uno di loro. Come già vi è stato detto, siete undici partecipanti e a ciascuno vi verrà assegnata una stanza, la stanza numerata. Essa corrisponderà al numero di reclutamento.
Prestate attenzione a ciò che non vi si dice, questo è il nostro consiglio.».
C'era un rumore incomprensibile che le rimbombava nelle orecchie, la tensione salì quando la cosa si sospinse ancor di più sulla pancia; riusciva a concentrarsi solo su quella.
«Cambierete. Questa è una certezza che nessuno vi toglierà fino alla fine del nostro percorso insieme. Cambierete in meglio e diventerete uomini e donne migliori. Sarete esemplari, sarete forti, potenti, indomiti. Il mondo esterno non sarà messo a conoscenza di cosa accade qui dentro; né ora né dopo la fine di tutto ciò. Sappiate solo che l'illusione è più forte della realtà e che aver scelto di essere persone migliori è da saggi e coraggiosi. Siamo fieri di voi; il mondo è fiero di voi».
Salvatela, salvatela. Era metallo forse, metallo freddo e penetrante. Una lama? Ancor più giù.
«in ultimo, sperando di non turbarvi troppo e non spezzare quel filo conduttore che vi unisce a noi, io vi dico in tutta la più sincera umiltà di cui dispongo che non vi è concesso ricordare».
Buio.
L'oblio fluttuante, l'oblio che si scatenava nella sua mente ed uno strappo improvviso ed angosciante che le rubò in un attimo, l'urlo del dolore.
La lama si era conficcata nella sua pelle da giovane ragazza, nella pancia probabilmente, ma di tutto questo non le era concesso ricordare.

Angolo Autrice: Badabum tssssss!
Eheh, sono diventata una brava donnetta, vero? Mantengo le promesse! u.u
Se siete giunti fin qui significa che avete avuto fegato e che questo capitolo vi è gradito abbastanza da leggere anche le note!
Dunque, non vi trattengo, colgo solo questo piccolo spazio per ringraziare con tutto il cuore le persone che sono ritornate a seguirmi, quelle che hanno intrapreso per la prima volta questo cammino e soprattutto le fantastiche ragazze che hanno recensito e mi hanno riempito l'animo di gioia.
Dimenticavo! Prima di lasciarvi la data del prossimo aggiornamento devo minacciarvi: ISCRIVETEVI AL GRUPPO FACEBOOK IN ALTO! è-é ORDUNQUE, NON VORRETE INFASTIDIRE I CLOWN VERO? V E R O?
No, non sono credibile, ma vi aspetto con piacere anche su facebook :).
La data del secondo capitolo oscilla tra questo weekend o direttamente martedì 12 maggio!

   
 
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