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Autore: effe_95    30/05/2015    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
11.Nervosismo, Sarebbe stato un peccato e Che ragazza strana


Ottobre
 
Ivan era nervosissimo.
Arrivare mezz’ora prima sotto casa di Italia non era stata proprio un’idea geniale.
Stava letteralmente torturando i tatuaggi sulle sue braccia sfregandole freneticamente, la maglietta a mezze maniche non era più adatta per quel periodo dell’anno, ma Ivan sentiva un caldo che aveva una natura ben diversa da quella atmosferica.
I capelli neri e ribelli cadevano disordinatamente sul viso senza un criterio preciso, e lui non faceva altro che spostarseli dal volto freneticamente.
Era sicuro che i suoi jeans e la sua maglietta sportiva non fossero adatti per una mostra di quadri, che le scarpe da ginnastica rosso fuoco spiccassero troppo, che i tatuaggi avrebbero attirato l’attenzione della gente su di lui, che i capelli così in disordine non erano decorosi, che i braccialetti al polso tintinnavano troppo contro l’orologio e che avrebbe dovuto almeno aggiustarsi i lacci slacciati per non inciampare.
Era talmente concentrato sui suoi pensieri, che non si accorse di Italia.
La ragazza era scesa di casa alle dieci precise, con le chiavi che ancora le tintinnavano tra le mani mentre le riponeva nella borsa, aveva sollevato lo sguardo e il cuore aveva fatto un balzo nel petto. Ivan era assorto nei suoi pensieri, le sopracciglia contratte e si sfregava le braccia nervosamente, era bellissimo con quegli occhi verdi puntati nel nulla, le braccia muscolose lasciate libere da una maglietta a mezze maniche, e quelle scarpe un po’ slacciate e troppo grandi. Italia si sentiva piccola accanto ad Ivan, eppure allo stesso tempo non poteva farne a meno, si sentiva maledettamente bene.
<< Ehi … Ivan? >> Lo chiamò con un filo di voce, appoggiandogli una mano sul braccio, Ivan sobbalzò facendo un passo indietro, e la guardò come se fosse un miraggio.
Italia era bellissima, anche lei indossava un semplice jeans e una maglietta sportiva, gli stivali ai piedi e i capelli ramati sciolti sulle spalle. Ivan si rese conto che in quel modo non si sarebbe più sentito a disagio e il nervosismo sparì di colpo.
<< Italia … ciao >> Le sorrise quasi spontaneamente, mettendo in risalto le fossette agli angoli della faccia e la fila dritta di denti bianchi. Italia rimase incantata a fissarlo, talmente a lungo che Ivan cominciò a sentirsi a disagio. Il ragazzo sperava vivamente di non avere il mento sporco di dentifricio, oppure un nuovo brufolo spuntato a tradimento.  
<< Ehm … sono venuto con la moto. Ci andiamo con quella? >> Domandò Ivan tossicchiando leggermente all’inizio della frase, Italia batté le palpebre più volte e lanciò un’occhiata veloce al mezzo parcheggiato poco più in la.
<< Mi sembra un’ottima idea, all’inizio avevo pensato alla metropolitana ma … così è molto meglio >> Ivan distolse lo sguardo e si diresse imbarazzato verso la moto, quando aveva confessato a Giasone che sarebbe andato a vedere quella mostra con Italia, l’amico aveva strillato talmente tanto per telefono, che Ivan aveva seriamente pensato di aver perso l’udito.
In quel momento si era sentito euforico, ma l’euforia era sparita molto presto sostituita dal panico più totale.
Le mani gli tremavano terribilmente quando sfilò le chiavi dalla tasca dei jeans, sperò vivamente che lei non se ne fosse accorta, ma la ragazza sembrava persa nei proprio pensieri. Italia stringeva forte la tracolla della borsa tra le mani, si era appena resa conto che salire sulla moto con Ivan avrebbe significato stringergli le braccia attorno al petto, sentire la sua schiena sulla faccia e il suo profumo. Era spaventata da una tale eventualità, ma allo stesso tempo le sue braccia stavano fremendo dal desiderio di farlo.
Italia non sapeva cosa le stesse succedendo, non aveva mai provato nulla del genere.
Sobbalzò quando Ivan le porse il casco, lui l’aveva già indossato e alcune ciocche di capelli neri gli si attaccavano al viso creando dei ricci involontari, gli occhi verdi la osservavano esitanti, nell’aspettativa che lei facesse lo stesso.
Italia sospirò pesantemente e indossò frettolosamente il casco, poi guardò il ragazzo posizionato sulla moto già in partenza, ad aspettare che lei salisse.
Ivan profumava di menta fresca, quando Italia gli cinse la vita sulla moto, fu completamente investita da una boccata d’aria fresca, sentì il corpo del ragazzo irrigidirsi sotto il suo tocco e poi rilassarsi impercettibilmente.
Italia sentiva il cuore di lui battere sul palmo della mano.
Quella sensazione la sconvolse, e lo sguardo le scivolò inevitabilmente sulla spalla del ragazzo, dove il tatuaggio se ne stava nascosto sotto la maglietta.
<< Ivan … non hai freddo con tutto questo vento? >> Le domandò lei per distrarsi da quel tumulto che le agitava il petto, il vento le sferzava il viso mentre sfrecciavano attraverso la città per raggiungere il luogo della mostra.
<< No, tu nei hai? >> Chiese lui di rimando, Italia non poteva vederlo in viso, ma sembrava molto più tranquillo e rilassato, come se si fosse abituato al suo tocco.
<< Un po’ … dopotutto oggi è il 7 Ottobre, no? >>
<< Siamo quasi arrivati, promesso. A proposito … hai avuto notizie di Catena? >>
Italia sospirò pesantemente, aveva provato a chiamare Catena trenta volte la sera prima, ma l’amica aveva rifiutato tutte le sue chiamate. Le aveva mandato più di dieci messaggi, ma nemmeno quelli avevano avuto risposta.
<< No, ha rifiutato le mie chiamate e non ha risposto ai messaggi >> Replicò un po’ afflitta, e mentre lo fece si accorse che erano arrivati. Quando scese dalla moto sentì immediatamente una mancanza nelle braccia, lo trovò fastidioso, si tolsero entrambi i caschi ravvivandosi i capelli e una volta riposti si avviarono velocemente al palazzo.
<< Credi … credi che dovremmo andare da lei? >> Chiese Ivan mentre avanzavano lentamente nella lunga fila per raggiungere l’entrata, grazie ai biglietti di Italia si erano risparmiati una doppia fila alla biglietteria.
<< No, non spetta a noi andare da lei >> Italia pronunciò quella frase incrociando le braccia al petto, con lo sguardo fisso davanti a se e la mente altrove, Ivan la osservò di sottecchi, minuta in quella maglietta un po’ larga, con i capelli scombinati a causa del casco e gli occhiali a nascondere parzialmente gli intensi occhi neri.
Non era stato difficile capire che si stesse riferendo ad Oscar, sembrava leggermente infastidita ed Ivan non avrebbe potuto darle torto, dopotutto l’amico non aveva mosso un dito la sera precedente, era rimasto impalato sullo sgabello con lo sguardo imbarazzato.
Anche se Ivan sapeva il perché, non l’avrebbe detto in quel momento.
Riuscirono ad entrare nel palazzetto dopo mezz’ora di una fila estenuante.
I padiglioni erano divisi per paese, Italia e Ivan capitarono prima in quello francese, dove trovarono tutte le riproduzioni di quadri famosissimi. Finirono poi nel padiglione tedesco, in quello italiano, in quello spagnolo, olandese e poi in quello russo.
A Ivan facevano male le gambe, e gli scoppiava la testa dopo tutte le spiegazioni di Italia, che sapeva tutto di storia dell’arte, ma lei sembrava così entusiasta che non se la sentiva proprio di protestare, così prestava attenzione a tutto quello che lei diceva e non si lamentava dei piedi doloranti.
Italia decise di dargli una tregua verso le due del pomeriggio.
Ivan aveva lo stomaco che brontolava sfacciatamente, era accaldato nonostante fosse Ottobre e la gente non faceva altro che guardarlo con aria disgustata a causa del suo abbigliamento poco consono all’occasione.
<< Andiamo a mangiare qualcosa? >> Propose Italia appoggiandogli inconsciamente una mano sul braccio, Ivan guardò quelle dita sottili poggiate sulla sua pelle colorata e un caldo improvviso lo investì in pieno. Aveva notato che da quando l’aveva stretto sulla moto, Italia lo toccava senza più esitazione ne irrigidirsi, come se si fosse sciolta.
Al contrario, lui non osava.
<< Sarebbe un’ottima idea >> Replicò Ivan quando avevano già raggiunto l’aria ristoro del palazzetto. Italia gli rivolse un sorriso un po’ mortificato, mentre si incamminavano verso la pizzeria più vicina.
<< Scusami, probabilmente non ho fatto altro che blaterare per tutto il tempo. Ti sarai annoiato a morte >> Ivan la guardò sorpreso, mentre si mettevano comodamente seduti e lasciavano un po’ riposare i piedi.
<< No … in realtà ho ascoltato tutto quello che dicevi. >>
Si guardarono negli occhi per una frazione di troppo, dove Italia sgranò gli occhi e Ivan arrossì fino alla radice dei capelli. Fortunatamente quel momento imbarazzante venne interrotto dall’arrivo del cameriere.
<< Beh … in tal caso ti ringrazio per avermi accompagnata oggi >> Italia aveva lo sguardo basso mentre pronunciava quelle parole, Ivan invece stava giochicchiando freneticamente con il tovagliolo riducendolo in briciole.
<< Sarebbe stato un peccato sprecare quei biglietti >>
<< Già, sprecare i biglietti … >> Italia trasalì quando si rese conto di ciò che aveva detto, esprimendo a parole quello che era stato un pensiero, Ivan la fissò con gli occhi spalancati e le guance in fiamme. Rendendosi conto di quanto era stato insensibile. << Perdonami, ho detto una stupidaggine! >> Si affrettò a replicare Italia.
<< No! La verità è che … mi ha fatto piacere sul serio >>
Mentre Ivan pronunciava quelle parole, entrambi spostarono lo sguardo altrove arrossendo.
 
Giasone detestava prendere i mezzi di trasporto.
Sapeva perfettamente quanto quello fosse un controsenso, proprio per lui che li prendeva tutti i giorni e per più volte, ma era comunque più forte di lui.
Non sopportava tutta quella gente che gli si accalcava addosso e l’odore fastidioso di sudore e altre sostanze non propriamente riconoscibili, così sospirò pesantemente mentre vide avanzare il pullman verso la sua fermata.
Avrebbe voluto chiamare Ivan e sapere come stesse andando l’appuntamento con Italia,  sperava ardentemente che non rovinasse tutto come suo solito,  ma qualcosa gli diceva che non era il momento adatto per fare quella telefonata.
La sua priorità in quel momento era raggiungere Oscar, che lo aspettava al centro per prendere un caffè insieme. Giasone non era entusiasta di affrontare quella conversazione, l’episodio della sera precedente all’Olimpo era stato imbarazzante e non sapeva davvero come comportarsi con l’amico, ma Oscar aveva una voce così funebre quando l’aveva telefonato poche ore prime, che non se l’era sentita di rifiutare.
Giasone non era bravo con certe cose, non sapeva trattare bene le ragazze, aveva avuto solo una fidanzata l’anno precedente, e non era durata nemmeno un mese.
Si erano lasciati perché lui le aveva detto che aveva i fianchi troppo grandi dopo averci fatto l’amore. Giasone non capiva perché le donne se la prendessero così tanto quando un uomo diceva loro la verità, comunque quella perdita non l’aveva mai rimpianta.
Non era nient’altro che una ragazza vuota e frivola.
Tuttavia, quella singola esperienza non poteva fargli trovare le parole giuste da riferire ad Oscar, o i consigli corretti da suggerirgli.
Giasone non poteva realmente capire cosa stesse capitando all’amico, e nonostante Oscar avesse confidato sia a lui che ad Ivan il suo segreto, Giasone non sapeva come comportarsi.
Salì sul pullman con un’espressione tutt’altro che cordiale, per sua fortuna però, quella mattina era mezzo vuoto e c’erano parecchi posti liberi.
Giasone si mise seduto all’ultimo posto accanto al finestrino, quei pensieri non facevano altro che tormentarlo, così aprì la cartella e si mise a leggere.
Solitamente avrebbe preferito osservare il paesaggio, ma in quel modo i pensieri l’avrebbero seppellito vivo, così preferì rifugiarsi in quelli di qualcun altro.
Alla terza fermata del pullman, qualcuno si mise seduto accanto a lui, Giasone non sollevò lo sguardo dal libro, ma un dolce profumo di albicocca gli investì le narici e una spalla piccola e minuta premette sulla sua.
<< I miei più grandi dolori sono stati i dolori di Heathcliff, e tutti li ho conosciuti e provati fin dal principio, è lui la mia ragione di vita. Se tutto il resto perisse, tranne lui, continuerei a esistere, e se tutto il resto rimanesse, e lui fosse annientato, l’universo mi sarebbe estraneo. Non ne farei più parte >> Giasone sobbalzò quando sentì quelle parole e la voce cristallina che le avevano pronunciate, guardò con occhi sbarrati la parte che stava leggendo in quel momento e si rese conto che la persona seduta al suo fianco l’aveva riportata esattamente così com’era.  << Cime Tempestose, il mio libro preferito >>
Accanto a lui c’era seduta una ragazza, Giasone la scrutò con le sopracciglia aggrottate e il libro ancora sollevato davanti al viso. Era giovane, aveva il viso affilato, gli occhi taglienti di un color verde sfumante nel dorato, il naso dritto e lucido, mentre i capelli erano tagliati corti sotto l’orecchio e sollevati con del gel, neri come il carbone e scombinati.
Non era bellissima, Giasone l’avrebbe definita assolutamente normale se avesse posseduto un briciolo di lucidità in quel momento. Lo fissava come se volesse sfidarlo a risponderle male, a prenderla in giro, sembrava proprio provocarlo con quel sorrisetto cortese, un sorriso che le lasciava le fossette sulle guance ed era radioso come un sole.
<< Già … non lo trovo affatto male >> Si ritrovò a rispondere Giasone distogliendo lo sguardo, accigliato, non capiva perché stesse parlando con quella sconosciuta.
<< Uhm, sei sicuro che ti piaccia? Lo stai leggendo da una settimana intera ormai >>
Giasone sollevò lo sguardo su di lei e la guardò indignato, non sapeva se arrabbiarsi per il fatto che avesse dubitato delle sue parole, se spaventarsi o scappare.
<< Tu … come cavolo lo sai?! >> Sbottò irritato, facendosi automaticamente indietro sul sedile per scrutarla meglio in viso, lei rimase impassibile.
<< Perché prendiamo lo stesso pullman la mattina, ma non te ne sei mai accorto >> Giasone rimase con la bocca spalancata e il dito puntato minacciosamente contro la ragazza << So che la mattina ti chiama sempre il tuo migliore amico al cellulare, che non ti piace quando il mezzo è affollato e che ascolti musica pesante … ah, e poi hai un tatuaggio sul polso. Un piccolo quadrifoglio >> Continuò lei elencando tutte quelle cose sulle dita della mano.
Giasone era scioccato, non sapeva nemmeno più come avrebbe dovuto rispondere.
<< E … hai notato tutte queste cose osservandomi? >> Si ritrovò a chiedere con il libro ancora stretto tra le mani e la faccia sorpresa. Lei ridacchiò allegramente, facendo tintinnare i braccialetti che portava al polso.
<< Sei un tipo molto chiassoso. >> Giasone si ricompose, la guardò in cagnesco e nel farlo ripose anche il libro nella cartella, lanciando un’occhiata al panorama fuori per accertarsi di non aver perso la fermata. << Però c’è una cosa che non ho capito di te? >>
<< Cosa? >> Domandò lui brusco, agitandosi sul posto, desiderava ardentemente che arrivasse la sua fermata, in quel momento parlare con Oscar non gli sembrava più una pessima idea.
<< Il tuo nome >> Disse lei tranquilla << Io mi chiamo Muriel Esposito >> Gli porse la piccola mano, Giasone non sapeva se fosse davvero il caso di ricambiare o tanto meno di rispondere a quella domanda.
<< Giasone, mi chiamo Giasone Morelli >> Replicò alla fine, senza ricambiare la stretta.
Muriel sembrò non restarci male, perché sorrise divertita.
Giasone costatò con gioia che la prossima sarebbe stata la sua fermata, così cominciò ad alzarsi in piedi e a prepararsi, aggiustando la cartella sulle spalle e la felpa che si era un po’ stropicciata, Muriel continuava a fissarlo.
<< Quanti anni hai? >> Gli chiese, Giasone la guardò un po’ male.
<< Diciotto >> Replicò acido, mentre passava accanto a lei per raggiungere la porta.
<< Io ne ho quindici, sai? >> Commentò lei distrattamente, a Giasone scappò un sorriso, era davvero una bambina, dal viso l’aveva capito.
Il pullman si fermò proprio in quel momento e aprì le porte, Giasone fece per scendere senza rimpianti, con ancora un sorriso divertito sulle labbra.
<< Ehi, Giasone, adesso puoi salutarmi la mattina, nel vecchio catorcio >>
La voce di Muriel lo raggiunse quando ormai le porte si stavano chiudendo e lui era già sceso. Lei stava sorridendo e agitava la mano per salutarlo allegra.
Giasone si grattò la testa e scosse il capo.
Che ragazza strana.
 

 
 
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Effe_95

Buonasera :)
Fortunatamente sono riuscita a postare oggi, ma farò velocemente perchè devo tornare a ripetere i verbi irregolari al preterito in tedesco.
Allora, spero che questo capitolo non sia troppo deludente, so che forse vi aspettavate qualcosa in più tra Ivan e Italia, ma non volevo fare le cose troppo di fretta, e volevo soprattutto che le emozioni di entrambi venissero fuori al massimo. Tutte quelle sensazioni completamente nuove per Italia.
Conosciamo anche Muriel, ci tengo a dire che la citazione riportata è del libro Cime Tempestose di Emily Brönte.
Fatemi sapere cosa ne pensate, grazie mille come sempre.
Non so quando posterò il prossimo capitolo, la settimana prossima ho due esami, ma vi anticipo che ci sarà un bacio ;)
Tra chi? 
Grazie mille e alla prossima.

 
  
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