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Autore: misslittlesun95    31/05/2015    2 recensioni
Claudia Petrolini ha trentun anni ed è già madre, moglie, medico, deputata ed ex ministro.
Questo perché dieci anni prima ha trovato la forza e il coraggio di iscriversi al partito Comunista e abbandonare tutta la sua vita, passata in un quartiere degradato e malfamato di Roma, per inseguire i suoi sogni.
Adesso però il suo passato è tornato, a tre settimane dalle elezioni, con le sembianze di un uomo buttatosi dall'alto di un palazzo in costruzione
quell'uomo è Oscar, amico di Claudia per un periodo che parve eterno fino al giorno della sua scelta.
Catapultata d'improvviso nel mondo reale si scopre fragile e, soprattutto, fisicamente debilitata, malata, non più il forte personaggio pubblico da tutti conosciuto ma una semplice donna.
Abbandona la politica e tenta di salvarsi e guarire, di riprendersi pezzi di vita che temeva di aver perso.
Cercando la forza di essere se stessa nelle parole che le disse Oscar durante il loro ultimo incontro: "Ricordati di guardare il tramonto. [...] Te guardalo, sempre, così magari ti ricorderai di me e di questi anni che ti apparterranno fino alla fine della tua vita."
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XIII

Il venerdì di quella convulsa settimana elettorale Claudia aveva fatto la dichiarazione di rinuncia al seggio con relativa spiegazione, appena accennata, dei gravi motivi di salute che l'avevano portata a quella decisione.
Lo aveva fatto tramite poche righe scritte a margine di un'intervista ad un importante quotidiano nazionale, nella speranza che la notizia passasse quasi inosservata, ma com'era prevedibile le cose andarono diversamente e, in breve, tutta l'Italia aveva saputo di ciò che le stava accadendo.
Numerosi erano stati i messaggi di solidarietà da parte di esponenti di forze politiche anche lontana dalla sua e lo stesso calore umano era arrivato dagli elettori.

Solo alcuni cittadini pieni di risentimenti verso il governo precedente e troppo sfrontati nell'uso dei social network avevano approfittato della situazione per insultare e augurare del male alla donna.
Erano stati casi isolati e lei non ci aveva dato peso, ringraziando invece, tramite un portavoce, colore che le avevano espresso vicinanza.
Qualche collega a lei più vicino le aveva anche scritto privatamente, tramite mail o telefonino, per sapere qualcosa in più, ma Claudia, seppur grata di quell'interessamento, aveva lasciato intendere che preferiva vivere la malattia nel privato della famiglia, volendosi staccare del tutto dalla politica e da chi ne faceva parte, anche quando queste erano persone a cui era legata.
Da quando si era scoperta ammalata voleva intorno solo i suoi cari e qualche amico, ad esempio Isabella.
Oppure Roberto e Andrea, il padre e figlio gestori del ristorante in cui era andata spesso quando si trovava ad Ostia.

I due le avevano telefonato la sera stessa della sua dichiarazione, e, anche se dubbiosa perché il suo male era lo stesso che aveva portato via la loro moglie e madre, gli aveva detto con precisione quello che le stava capitando.
Per i due era stato ovviamente un doppio colpo, ma subito le avevano detto che poteva contare assolutamente su di loro, in un certo senso anche vista l'esperienza che purtroppo avevano già avuto con la malattia.
- E fatti coraggio, Claudia.- Gli aveva detto Andrea mentre la salutava a fine chiamata. - Mamma era molto più grande di te e aveva altri problemi di salute, senza contare che la medicina, in questi anni, ha fatto numerosi passi in avanti, ma credo che questo tu lo sappia meglio di me.-
Aveva provato anche lui a rassicurarla, benché sapesse che lei, forte di carattere come si era sempre mostrata, non aveva di certo bisogno di quelle parole.
Ma la dolcezza con cui Claudia lo aveva ringraziato era riuscita a farlo sentire almeno un poco utile in quella situazione assurda che rendeva tutti spettatori impotenti del dramma di una donna e della sua famiglia.
Chiudendo la telefonata, seduta sul divano del salone, era stata presa da uno strano sconforto, e Davide non aveva potuto fare a meno di notarlo.
- Stai bene, amore?- Le aveva chiesto allarmato.
Per lui ogni attimo era un possibile momento in cui la malattia poteva avere il sopravvento sulla vita della sua amata, e non si sarebbe perdonato altre disattenzioni nei suoi confronti, non dopo tutte quelle settimane preziose perse a credere ai suoi falsi “sto bene, stai tranquillo”.
- Sì, sto solo pensando ad Andrea. Sua mamma è morta a causa della mia stessa malattia e...- Fece una pausa. Quel “mia malattia” rendeva tutto più reale, più di quanto non lo facessero i risultati delle analisi o i sintomi stessi.
Fu il marito a riprendere le fila del discorso. - Sì, purtroppo lo so. Ma non sarà il tuo caso; sei giovane, a parte questo in salute. Tu per prima hai parlato di prognosi favorevole, e non credo che mi mentiresti su una cosa del genere.-
La donna rise. - Dire che tolto il cancro godo di buona salute è una bella metafora di come siamo tutti convinti che la malattia sarà solo una parentesi, e me lo auguro davvero. Pure Andrea ha fatto i tuoi stessi commenti sul fatto che io sia giovane e tutto il resto, è solo che, non lo so, è come se già so che mi sentirei in colpa nei suoi confronti se mi salvassi, e lo stesso sentimento credo lo proverei nei confronti di tutti quelli che non ce l'hanno fatta. Lo so, è un pensiero assurdo, ma non riesco a togliermelo dalla testa.-
Davide si sedette al suo fianco e la strinse a sé.
- Non dico di saperlo con certezza, perché non è il mio mestiere e non ci sono mai passato, anche se Dio solo sa quanto vorrei stare male al posto tuo, ma forse è normale una sensazione simile. Però non devi pensarla così, tu non hai colpe se guarisci, e sono sicuro che Andrea la pensi allo stesso modo. È sicuramente vero che lui avrebbe preferito che sua madre guarisse, quando si è ammalata, ma credo anche che il suo desiderio ora sia vedere te in salute.-
Claudia si accoccolò tra le braccia del marito. - Come farei se non avessi te al mio fianco?- Gli sussurrò.
L'uomo le accarezzò dolcemente i capelli, e nel farlo gli venne tristezza pensando che ben presto lei li avrebbe perduti.
Sarebbero caduti come foglie d'autunno lasciando il suo capo nudo, scoperto, vulnerabile proprio com'era il suo fragile corpo in quel periodo.
Era sabato sera, il ricovero era previsto per la mattina seguente e le terapie, in linea di massima, le avrebbe iniziate al più tardi il martedì.
Non c'era più tempo da perdere, e a dimostrarlo vi erano la debolezza con cui si muoveva, parlava e sorrideva, debolezza che spaventava ogni minuto di più le persone che aveva attorno.
Il signor Oreste, quel pomeriggio, aveva portato il nipotino ai giardinetti per lasciare i due coniugi da soli prima della ospedalizzazione di Claudia.
Sarebbe stato lui ad accompagnarla poi in ospedale, lasciando il piccolo Guido col padre, nella speranza che egli potesse stargli accanto se ve ne fosse stato bisogno.
Il nonno e il bambino erano tornati a casa sul tardi, verso l'ora di cena, portando con loro delle pizze e un piccolo dolce nella speranza di distrarre almeno un poco la famiglia in quella sera così triste.
Ancora una volta Guido fu fatto dormire coi genitori, sempre attaccato a sua madre.
Quando lei si era risvegliata la domenica era rimasta a lungo a guardare riposare il figlio e il marito, come se volesse fissarsi con forza quell'immagine nella mente, in modo tale da aver quell'ultimo loro ricordo qualsiasi cosa fosse accaduta.
Poi si preparò, e lo fece col bambino che le trotterellava intorno senza stancarsi né allontanarsi mai.
Andò avanti così dal momento in cui si erano svegliati fino all'ultimo abbraccio che lei gli diede sulla porta di casa mentre il nonno già attendeva sul pianerottolo con la valigia in mano.
- Quando torni, mamma?- Le chiese con gli occhi lucidi il bambino.
- Appena sto meglio, amore mio, appena sto meglio.-
- Ma perché non puoi prendere le medicine a casa?-
- Perché sono delle medicine particolari che mi devono dare in ospedale, altrimenti rimarrei davvero a casa insieme a te.-
I dolori alla schiena, esattamente come tutti gli altri sintomi, non si erano affievoliti in quei giorni, se possibile avevano addirittura fatto il contrario, e la donna dovette lasciare che fosse Davide a prendere in braccio il figlio per metterlo alla sua altezza.
- Lo so che sei triste, tesoro, lo sono tanto anche io. Ma sei un bravo bambino, e sono certa che te la saprai cavare anche senza di me.-
Gli diede un bacio sulla guancia e l'uomo lo fece scendere, salutando poi la moglie con un lungo e doloroso abbraccio.
Per arrivare alla macchina, un poco distante dal portone del suo stabile, Claudia ebbe più volte bisogno dell'aiuto del padre per superare pezzi di marciapiede sconnessi, e quando furono nell'auto, mentre lui metteva in moto, si lasciò andare ad un'amara constatazione. - Fino a qualche giorno fa camminavo ancora abbastanza bene, addirittura guidavo. Non so perché, ma da venerdì ad oggi è come se la situazione fosse precipitata.-
il signor Oreste cercò di concentrarsi sulla strada che aveva davanti per non pensare al dramma che poteva celarsi dietro le parole della figlia, ma, visto che stare in silenzio non era il modo giusto per affrontare quel viaggio, tentò almeno un poco di farla sorridere. - Non essere negativa, è meglio adesso che una settimana fa, non trovi?-
- Hai ragione papà, come al solito.-
- Credo di non averti mai sentito dire una cosa simile da quando sei al mondo, lo sai?-
- Si vede che sto proprio male, allora.- Rise la donna, e lui si convinse che forse solo quello era il modo per affrontare una malattia tanto grave; riderci sopra, mostrare che la voglia di vivere era più forte di tutto il resto.
Arrivarono all'ospedale verso le undici, puntuali per l'ora in cui Francesco aveva chiesto all'amica di presentarsi per l'accettazione.
Era insolito che un ricovero programmato avvenisse di domenica, ma il medico aveva scelto quel giorno proprio affinché ci fosse meno confusione.
Inoltre, per un puro caso, la suddivisione dei turni nei vari reparti faceva sì che fossero presenti anche un paio di colleghi a cui l'oncologo voleva chiedere un consulto, in particolare un ortopedico di cui si fidava molto e a cui voleva mostrare le radiografie della colonna vertebrale di Claudia, preoccupato dai rischi che ella poteva correre.
Fu una giornata lunga e faticosa sia per la figlia che per il padre.
Nel limite del possibile, dopotutto era un giorno festivo, lei fu sottoposta a nuove analisi, e per il signor Oreste attendere fuori dagli ambulatori fu pesante, soprattutto quando dovette rispondere alle diverse telefonate del genere che domandava informazioni sulle condizioni della moglie.
Soltanto verso le sei di sera, ora in cui nell'ospedale veniva servita la cena, la donna fu portata in quella che sarebbe diventata la sua stanza.
Era una camera con due letti, ma quello di Claudia era l'unico occupato.
Subito le venne da sperare che quella situazione si protraesse il più a lungo possibile. Non tanto per una questione di privacy, essere in ospedale nelle sue condizioni e chiedere riservatezza le pareva quasi paradossale, ma soprattutto perché il letto accanto al suo occupato significava un altro malato di tumore, un'altra famiglia toccata, provata e forse anche distrutta da quel dramma.
Suo padre raggiunse il reparto diversi minuti dopo e rimase nuovamente impietrito davanti all'ingresso, capendo che con buone probabilità avrebbe avuto quel sussulto tutti i giorni fino alla guarigione di sua figlia.
Nella stanze lei stava cenando a letto, come se già si fosse abituata a quella che sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi, ma quello che colpì più di tutto il signor Oreste fu vederle entrare nel naso due tubicini di plastica che, lo sapeva pur non essendo medico, servivano a farla respirare meglio.
- Claudia...- Riuscì solo a dire avvicinando una sedia al letto e mettendosi al suo fianco.
- Tranquillo, papà, l'ossigeno mi fa bene, aiuta i miei polmoni a lavorare malgrado siano ridotti male a causa delle metastasi.- Spiegò lei cercando la mano del padre sopra le lenzuola.
- Lo so, ma...- L'uomo non si sentiva in grado di dire frasi di senso compiuto, in quel momento, era troppo preso dal dolore.
Finito di mangiare Claudia si sistemò per bene nel letto, e l'uomo l'aiutò a mettersi comoda.
- Saranno almeno vent'anni che non mi rimbocchi le coperte, sai papà?- Rise lei mentre il signor Oreste finiva di sistemare con ordine il risvolto del lenzuolo.
- Ogni tanto la vita ci porta a riscoprire abitudini che pensavamo perdute per sempre.- Commentò lui baciandole la fronte.
Quello di rimboccarle le coperte era stato un gesto improvviso e spontaneo rinato davvero per caso dopo tanto tempo, forse perché in quel letto la figlia gli appariva piccola, di nuovo bambina.
Dietro di lui fece rumore l'anta in metallo dell'armadietto dove Claudia aveva riposto i suoi effetti personali, e questo gli fece tornare in mente una domanda che aveva da quella mattina.
- Ma cosa ti sei portata dietro? Stamane la tua valigia pesava parecchio, figlia mia.-
- Nulla di particolare, ma ho dovuto fare scorta di pigiami. Domattina mi sveglierò fradicia del mio sudore, e così sarà tutte le mattine ancora a lungo. Inutile dire che non posso passare le giornate con addosso il pigiama bagnato, e dunque la valigia è piena praticamente solo di quelli. -
L'uomo annuì e rimase per qualche secondo in silenzio prima di chiederle se avesse sentito il marito e il figlio in quella lunga giornata.
- Sì, prima di cena. Davide voleva passare in ospedale domattina, ma ho preferito dirgli di non cambiare la routine di Guido e quindi di vivere la giornata in modo normale per poi passare in serata.-
- Quindi domani sera porto Guido da me o passo a guardarlo a casa vostra, giusto?-
Claudia sospirò.
Aveva capito benissimo il senso di quella domanda, e fece il possibile per rispondere senza ferire il padre. - Oppure può andare da Gianluca, se tu non te la senti di allontanarti da qui. Sempre ammesso che ti facciano restare. Ma cerca di capire fin da ora che non puoi vivere sempre in ospedale al mio fianco, papà. Non è solo un fatto di regolamenti, io lo dico soprattutto per te. Hai bisogno di stare tranquillo se vuoi aiutarmi, e la tranquillità la vivi anche tornando a casa, almeno tu che puoi.-
- Già...-
Sapeva che le cose sarebbero andate in quel mondo, ma da quando la figlia gli aveva detto di essere ammalata lui a malapena riusciva a chiudere gli occhi la notte per la paura di svegliarsi la mattina dopo e scoprire che lei non c'era più.
Un attimo dopo sentirono bussare alla porta già aperta della camera.
- Si può?- Domandò Francesco sorridendo.
- Vieni, entra. Sei ancora qui? Credevo fossi già andato a casa.- Rispose Claudia.
L'uomo si avvicinò al letto dell'amica e, ottenuto il tacito consenso del signor Oreste, si sedette sulle coperte accanto a lei.
- Non andavo via senza salutarti e sapere come stavi. Non è un fatto di favoritismi, sei una mia carissima amica e credo che interessarmi alle tue condizioni sia il minimo.- Poi volse lo sguardo verso il vassoio della cena vuoto. - Il cibo degli ospedali lascia molto a desiderare, lo so, ma sono contenta che tu sia riuscita a mangiare tutto almeno stasera. Sei sottopeso di diversi chili e recuperare qualcosa, visto anche il difficile percorso di cure che dovrai affrontare, non può farti che bene.-
- Ne sono consapevole.- Sorrise lei. - E ti prometto che farò il possibile per mangiare tutto almeno quando sarò in condizioni di farlo.- Rispose facendo riferimento agli effetti della terapia.
Poi indicò, con un gesto del capo, suo padre.
- Io non sono una bambina e questo non è un reparto pediatrico, dunque...- Lasciò cadere la frase come sempre faceva quando il discorso le pesava.
- Per stasera può restare, ma da domani temo che dovrai stare da sola almeno la notte, Claudia. Non è per me, figurati, ma ci sono infermire che credo siano state addestrate da ex-SS.- Spiegò il medico.
Fu allora che il signor Oreste parlò.
- E se peggiorasse? Se ci fossero giornate in cui sta tanto male e ci fosse il rischio che di notte peggiori ancora...?- Parlò in preda all'ansia, riflettendo solo dopo sul fatto che quelle parole potessero ferire le figlia.
Lei, difatti, lo guardò stranita e poi commentò con un pizzico di ironia.
- Me la tiri, papà?- Sorrise stanca. - Però ha ragione, Francesco.- Aggiunse cercando di nuovo lo sguardo del medico. - È innegabile che ci saranno momenti difficili, e se di notte stessi male io per prima vorrei qualcuno di caro vicino. Nel limite del possibile, è chiaro.-
- State tranquilli, vi capisco e farò il possibile perché lei possa stare con sua figlia ogni volta che vuole e ce n'è bisogno.-
Claudia ringraziò l'amico con lo sguardo e si rivolse nuovamente a suo padre. - Vedi? Ti conviene sperare di non stare con me la notte, perché significa che sto bene.- Spiegò.
Il medico li lasciò soli poco dopo, e Claudia, che ancora conosceva il suo lavoro, si accorse dell'occhio con cui la guardava, una sorta di visita fatta solo tramite lo sguardo.
Non disse nulla, in fondo quella era la situazione; Francesco era un oncologo e lei una malata di cancro, lui era il suo medico e quello era il suo mestiere.
Rimase sola con suo padre affianco, silenzioso come sempre lo avrebbe visto in quei giorni.
Continuò lei a tenergli e accarezzargli la mano, al contrario di quello che sarebbe dovuto essere, e l'uomo se ne accorse.
- Sembra che tu stia consolando me, bambina mia, eppure credo che dovrebbe essere il contrario, scusami.-
- Non sei il primo a dirmelo, ma non è così. È un momento difficile per tutti, ed è giusto che chiunque ne abbia bisogno venga consolato, rincuorato.-
Lui rimase ancora in silenzio, mentre la donna fece un leggero sorriso quando, guardando il cellulare, vide il messaggio della buonanotte di Davide e Guido, una foto del piccolo che le mandava un bacino.
Gliela avevano inviata a quell'ora perché il magistrato immaginava che la moglie si sarebbe addormentata presto e infatti, malgrado fossero appena passate le sette, la donna accusava già una fortissima stanchezza.
L'ossigeno che respirava tramite quei tubicini le dava un minimo di conforto, ma questo non faceva che aumentare la certezza di come la malattia la stesse massacrando.
Se si fosse lasciata visitare prima forse non sarebbe arrivata a quel punto, nessuno lo diceva più benché tutti lo pensassero ancora, ma a lei non importava, quei pensieri lasciavano il tempo che trovavano, la cosa fondamentale era iniziare le cure e lottare.
Lo faceva più per i suoi cari che per se stessa, non lo avrebbe mai detto a nessuno ma se fosse stata sola avrebbe riflettuto a lungo sul curarsi o meno, non sarebbe stata immediatamente decisa a subire le torture delle terapie se non avesse avuto nessuno per cui vivere.
Ma non era sola, e dunque doveva combattere contro il male nel modo in cui tutti si aspettavano da lei, perché nessuna sofferenza avrebbe giustificato l'abbandonare i suoi cari.
Suo padre, suo marito, suo figlio, tutti si aspettavano che lei guarisse, che non smentisse la forza d'animo che tutti erano soliti attribuirle.
Il pensiero corse al suo bambino.
- L'unica cosa di cui posso essere felice è che sia io a stare male e mio figlio, non saprei che fare se al posto mio ci fosse lui...- Sospirò, ma subito dopo si accorse della terribile gaffe.
Fece per dire qualcosa e venne anticipata dal signor Oreste. - Già... mi sarebbe piaciuto avere la tua stessa fortuna, quella di stare male al posto di uno dei mie figli...-
Claudia si sentì avvampare per la vergogna.
- Scusa papà, è che...-
- È che ora sei una donna, più madre che figlia, ed è normale che il tuo primo pensiero sia lui. Ma vorrei davvero essere al posto tuo.-
La donna lo guardò negli occhi con uno sguardo terribilmente dolce.
- Sono ancora una figlia, papà, e se tu stessi male io soffrire tanto, tantissimo. Non possiamo scegliere ciò che ci accade, ma possiamo scegliere come reagire. Tu cerca di essere in felice perché sei in salute, io lo sono perché chi amo sta bene e vedrai che a breve saremo feliciti tutti perché starò bene anche io.- Gli sorrise leggera.
L'uomo strinse forte la mano di quella figlia che aveva cresciuto da solo e non disse più nulla.
Solo quando fu certa che ella si fosse addormentata lasciò scivolare qualche lacrima sui suoi lineamenti provati dal tempo e dai dolori di una vita intera.
E sperò che davvero, il primo possibile, il suo pianto diventasse di gioia.

   
 
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