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Autore: bemyronald    01/06/2015    4 recensioni
«Senza che Hermione parve averlo premeditato, d'impulso, si mise in ginocchio e buttò le braccia al collo di Ron. Lo strinse forte, così forte da fargli mancare il fiato. Eppure era così dolce, la stretta di Hermione, quasi come se volesse cullarlo. Come se volesse, con tutta se stessa, far sì che si sentisse al sicuro. Ed era proprio così che si sentiva in quell'esatto momento. Possibile che fosse lui ad aver bisogno di sentirsi protetto?
L'aveva vista, Hermione, un attimo prima, e l'aveva trovata così indifesa.
E lui non aveva fatto nulla, non l'aveva nemmeno abbracciata.
Non l'aveva protetta.
Non credeva di aver mai provato nulla di peggiore nella propria vita.
Questo forte senso di impotenza, di inutilità, di debolezza mentale e fisica.
Così incapace.
Un singhiozzo. Un singhiozzo eruppe dalla gola di Hermione.
E fu in quel momento che anche Ron cedette, strinse gli occhi e cominciò a piangere, in silenzio»
dal terzo capitolo "Nobody said it was easy". COMPLETA 4/4
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Tell me your secrets and ask me your questions,
Oh, lets go back to the start.
Running in circles, coming in tales,
heads are a science apart.


 

─CHAPTER TWO─

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Tell me your secrets and ask me your questions
 

Quel maledetto stomaco continuava a brontolare, quando aveva cominciato la sua fastidiosa attività, Ron neppure se lo ricordava... ci aveva quasi fatto l'abitudine. Ron era disteso sulla piazza inferiore del letto, con le lunghe gambe penzoloni, la catenina al collo e il medaglione stretto tra le dita, che continuava ad osservare con un'espressione imbronciata dipinta sul volto. Avrebbe tanto voluto spaccarlo in due, una volta per tutte. Lanciò uno sguardo in tralice a Hermione, che era in piedi vicino al tavolo della cucina, gli dava le spalle e aveva il capo chino su qualcosa che, da quella posizione, Ron non riuscì ad identificare. Di sicuro libri, pensò, e per qualche strana ragione, si sentì seccato. Riportò nuovamente l'attenzione all'Horcrux per qualche istante, prima di lasciarlo andare sul petto, per poi frugarsi le tasche alla ricerca del Deluminatore. Era da un po' che non gli dedicava un'accurata analisi, in realtà aveva deciso di lasciarlo perdere... insomma, si rivelava sempre e solo lo stesso strumento creato da Silente, che catturava e rilasciava le luci... niente di più. E, con tutto quello che stavano affrontando, era praticamente uno strumento inutile. Ciononostante, spesso si era ritrovato a pensare che doveva esserci per forza un motivo che aveva spinto Silente a lasciarglielo nel testamento, e lui voleva scoprirlo. Eppure c'era quella disperata sensazione che si faceva sempre più forte: Silente li aveva lasciati soli, con quell'inutile arnese, un vecchio boccino e uno stupido libro per bambini. La verità era che Ron si scopriva ogni giorno sempre più frustrato e furibondo. Sì, era furente con Silente, furente per tutto quello che stava accadendo, furente con Harry per la sua incapacità di guidare quella folle spedizione. Era adirato con se stesso. Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, cosa lo rendesse estremamente irascibile, irrequieto, continuamente deluso, cosa lo portasse ad essere silenzioso, a sentirsi così solo ed arrabbiato. Si strofinò con vigore gli occhi assonnati, come a voler scacciare via quel malessere, qualsiasi esso fosse. Si mise a sedere, osservò con aria assente la medicatura che Hermione aveva applicato qualche ora prima al suo braccio, erano passate settimane dall'incidente, ma non era ancora del tutto guarito. Poi scosse il capo come richiamato improvvisamente alla realtà, fissò il Deluminatore, lo impugnò e lo fece scattare. Nella tenda calò il buio, e Ron poté avvertire il sussulto di Hermione, ma non ci badò. Premette di nuovo il tasto e la fiamma tornò al proprio posto. Si alzò dal bordo del letto, continuando a rigirarsi lo strumento tra le mani. Non sapeva nemmeno perché lo faceva, continuare a farlo scattare era diventata una vera ossessione, un'ossessione che metteva a dura prova i nervi di Hermione. Ma a lui non importava nulla di cosa pensasse Hermione né tantomeno se gli desse fastidio, lui voleva solo che qualcosa - magari proprio il suo Deluminatore -, o qualcuno desse una svolta definitiva a quella disperata ricerca. Voleva trovare un senso a tutto quello che gli stava accadendo, voleva che l'aver abbandonato la sua famiglia cominciasse finalmente ad avere un senso. Quasi senza accorgersene, fece scattare per la seconda volta il tasto e la luce venne nuovamente risucchiata.
«Ron» la voce di Hermione, esasperata, risuonò nel buio. «Smettila»
Trascorsero due secondi prima che la luce fioca della candela tornasse al proprio posto. Ron cominciò a camminare smaniosamente avanti e indietro, con lo sguardo fisso sull'arnese, fino a quando non si lasciò cadere sulla panca, di fronte a Hermione. Chissà cosa stava accadendo a casa sua. Chissà come stavano mamma e papà, chissà come se la passava Ginny a scuola, doveva essere un inferno anche lì. E i suoi fratelli? Erano tutti irrimediabilmente coinvolti, per quanto ne sapesse, quella stessa mattina uno di loro poteva essere stato vittima di un incidente grave o forse... forse stava morendo proprio in quel preciso istante. Se solo lui avesse potuto fare realmente qualcosa per loro, anziché fuggire. Sarebbe morto, non li avrebbe mai più rivisti e non avrebbe mai nemmeno avuto la possibilità di chiedere scusa o di accettarsi che stessero bene. Sentì l'agitazione crescere, cominciò a sudar freddo, si passò una mano tra i capelli, ingoiò il vuoto prima di trarre un profondo respiro. Dopo essersi calmato, con una certa insistenza, cominciò a tamburellare con le dita sul piccolo tavolo di legno e, ancora una volta, distrattamente, il pollice scivolò sul pulsante, e il buio avvolse la tenda. 
«Ron, potresti smetterla?» grugnì Hermione a denti stretti. Ron fece ritornare nuovamente la fiammella al suo posto, sbuffando infastidito.
«Sai, dovrei proprio scoprire a cosa diavolo serve 'sto coso! Altrimenti perché Silente me l'avrebbe lasciato?» sbottò, lasciandolo poi cadere sul ripiano del tavolo. 
«Non c'è nulla da scoprire» rispose Hermione, mantenendo una strana calma. «L'abbiamo controllato innumerevoli volte, sappiamo quello che fa, quindi basta»
«Ma tu cosa ne sai» ribatté lui, incrociando le braccia al petto. «Stai sempre a leggere quello stupido libro»
«Ron, non è uno stupido libro! Come puoi essere così...» 
«Oh, no» la interruppe Ron, portandosi le mani tra i capelli. «Ancora con queste mappe, Hermione? Non ci posso credere»
Stavolta Hermione lo guardò, combattuta tra l'esasperato e l'irritato, ma si limitò a sbuffare riportando poi la sua attenzione ad un punto sulla mappa che spuntò con la piuma. 
«Non capisco perché insisti» proseguì Ron, guardando ora Hermione, ora il punto della mappa che la ragazza stava tracciando. «Tanto è tutto inutile, perché non lo capisci?» 
Hermione gli lanciò un'occhiata di traverso. 
«Pensi che sia inutile?» gli chiese, seccata. 
«Certo che lo penso» rispose prontamente Ron, senza smettere di guardarla. «Credo che tu stia solo perdendo tempo, tempo prezioso che potremmo occupare in...» 
«Allora dimmi, maestro delle azioni utili» scattò Hermione, lasciando cadere la piuma e fissandolo con sguardo di sfida. «Cosa credi che dovremmo fare, eh? Stare tutto il giorno a lamentarci per la mancanza di cibo?» 
«Be'» cominciò Ron, mantenendo lo sguardo fermo in quello di Hermione, «almeno io ho ragione! Non c'è mai niente da mangiare, si muore di fame! E non mi metto mica a fare i disegnini per perdere tempo»
«Io non perdo tempo a fare i disegnini, Ronald» ribatté Hermione, a voce bassa e pericolosamente rossa in viso. «Sto cercando di capire dov'è che siamo finiti! E scusa tanto, potremmo avere un punto chiaro della situazione, queste mappe potrebbero aiutarci a capire dove siamo e...» 
«Hermione!» intervenne bruscamente Ron, scattando in piedi. «Che cosa importa dove siamo? Serve a qualcosa? Siamo nel bel mezzo del nulla, ecco dove siamo! Non ti basta questo? Non sappiamo nemmeno perché siamo qui, non sappiamo cosa stiamo facendo! Non sappiamo nulla! Sono giorni che ci sballottiamo a destra e manca, roba da impazzire, e a che scopo? Qual è lo scopo, eh? Segnare dei benedetti punti su un pezzo di carta non ci aiuterà di certo. È una cosa stupida! Non torneremo più indietro. Non ci torneremo più, quindi smettila, per la miseria, smettila!» Ron batté un pugno sul tavolo, sentiva il viso in fiamme, la rabbia crescente. Hermione, difronte a lui, appariva visibilmente turbata, ma Ron era completamente concentrato su se stesso, sentiva che sarebbe esploso, che avrebbe perso il controllo da un momento all'altro.
«E a te cosa importa se traccio punti sulle mappe?» disse Hermione, un leggero tremolio tradì la decisione della sua voce. «Che cosa ti importa, eh? Io... io voglio sapere dove siamo, e se...» 
«Non torneremo a casa» la interruppe nuovamente Ron, con un sorriso di scherno. «Come fai a non rassegnarti? È sempre peggio. Ogni dannato giorno. Per cui smettila di perdere tempo con quelle» indicò le mappe aperte sul tavolo con un gesto brusco.
«Io non smetto proprio nulla» rispose Hermione, con gli occhi velati di lacrime. «Se ti dà fastidio allora vattene da un'altra parte!» 
«Be', sì» sbraitò Ron, avviandosi verso l'uscita, «certo che me ne vado, tanto meglio che vederti disegnare stupide mappe». 
Ron si lasciò cadere sul terreno freddo, appoggiò la schiena al tronco di un albero. Si sentiva talmente arrabbiato e tremendamente stanco. Il freddo della notte gli penetrava fin dentro le ossa, si strinse nel cappotto e sollevò la sciarpa oltre il naso. Mantenne per un po' lo sguardo fisso davanti a sé, sforzandosi di non pensare a nulla. Ma gli risultò piuttosto difficile svuotare la mente. Continuava a pensare a Hermione e alle sue stupide mappe. Che cosa credeva di fare, Hermione? Proprio non capiva, come faceva a pensare, a sperare, in un ritorno a casa?
Casa. Rabbrividì e, senza accorgersene, si ritrovò a stringere i pugni così forte da affondare le unghie nel palmo della sua mano. Era assurda, tutta quella situazione. Assurda e pericolosa. Cominciava ad essere stufo di quell'Horcrux, di come lo faceva sentire ogni volta, era stufo degli spostamenti, della fame, del freddo... e di Harry. Loro si erano fidati, l'avevano seguito, senza alcuna esitazione.
"Noi ci saremo, Harry. Verremo con te, ovunque tu vada" (*) gli aveva detto Ron. E in quel momento l'aveva pensato sul serio, con tutto se stesso. Voleva seguirlo, come aveva sempre fatto. Ma adesso? Adesso che sembravano esser perduti, adesso che tutto sembrava non solo estremamente pericoloso ma anche inutile... lo voleva davvero? Lui, per seguire Harry, aveva lasciato la propria famiglia, l'aveva fatto, era sparito... l'aveva fatto solo per il suo migliore amico. Un amico di cui adesso cominciava a dubitare, un amico di cui, forse, non avrebbe dovuto fidarsi. Ma era pur sempre il suo miglior amico. Ed era solo
Ron si portò la mano alla fronte e la sfregò con forza. Ovvio che Harry è solo, ovvio che ha bisogno del nostro aiuto. Ovvio che io voglio aiutarlo. Pensò, con la fronte aggrottata e un'espressione concentrata. Era giusto che lui e Hermione fossero lì, con lui. Ma molte, troppe cose non andavano per il verso giusto, da giorni, da settimane. E poi c'era quell'Horcrux, quel dannato Horcrux che sembrava essere indistruttibile... e pronto a distruggerli. Lo odiava, quell'Horcrux. Lo odiava con tutto se stesso, perché lo spaventava a morte. Aveva paura.
Lo estrasse da sotto il maglione, afferrò la catenina e lentamente se lo sfilò. Ogniqualvolta lo allontanava da sé, aveva la netta impressione di liberarsi da un invisibile peso enorme. Il medaglione era freddo, nonostante fosse stato al caldo fino a quel momento e, nel silenzio penetrante della notte, Ron poté sentire dei sibili indistinti, da far venire la pelle d'oca. D'improvviso, come scottato, lo lasciò cadere a terra. Non era la prima volta che percepiva qualcosa, il contatto col medaglione gli causava quasi sempre strani brividi, terrore, forse sensazioni che non avrebbe saputo rendere a parole. Spesso pensava a quanto stessero rischiando portando con sé una piccola parte dell'anima di Voldemort. Ron aveva capito da sé che, nonostante fosse sigillato, sembrasse impenetrabile, era perfettamente in grado di agire. Non era essenziale che si dissigillasse, quella... cosa... sapeva esattamente cosa fare. Era viva, e lui lo sapeva perché la sentiva. Gli vennero in mente le parole di suo padre: "Non ti fidare mai di niente che pensi da solo se non riesci a capire dove ha il cervello" (**), e in un qualche strano modo, a loro sconosciuto e che forse non avrebbero mai compreso, il medaglione riusciva a scavare nel profondo dell'animo, era capace di fargli pensare o sognare le cose più orribili. Sua sorella, molti anni prima, era stata sotto il completo controllo di Tom Riddle, che aveva agito sotto forma di ricordo tramite il suo Diario. Quel pensiero gli causò una forte scossa di orrore: se avesse preso il pieno controllo anche su di lui e se lui, inconsapevolmente, avesse fatto del male a Harry e a Hermione?
Inorridito, fissò l'oggetto che giaceva apparentemente privo di vita tra le foglie, poi, con riluttanza, afferrò la catenina tra l'indice e il pollice, e cominciò a farlo ondeggiare davanti a sé. Forse doveva dire la verità ai suoi amici, doveva spiegargli i suoi timori. Poi i suoi pensieri, improvvisamente, cambiarono direzione. Non stava seguendo i movimenti dell'Horcrux, non pensava più alla sua potenza, a quanto lo spaventasse, davanti agli occhi gli si presentò l'espressione ferita di Hermione, e quasi sentì rimbombare nella testa la sua stessa risata di scherno e il tono rude usato contro la ragazza. Scosse con decisione il capo come per scacciare via quell'immagine. Ma cosa diavolo gli era preso? Mancava poco che gliele stracciasse quelle mappe.
Si sentì pervadere da un forte senso di vergogna e sconforto, si passò con forza una mano tra i capelli. Horcrux o no, lui era un completo disastro, lo era sempre stato. Probabilmente Hermione avrebbe avuto bisogno di qualche parola di conforto, in quel momento, non di qualcuno che le urlasse contro perché sperava in qualcosa di impossibile. E lui non l'aveva fatto. Era un incapace. 
E ora era lì, con la consapevolezza di averle fatto del male, con quel peso che gravava sullo stomaco, lasciando che il senso di colpa lo divorasse. Il Medaglione cadde sul terreno, Ron lo guardò per qualche secondo, poi mosse una gamba nella sua direzione, allontanandolo ulteriormente da sé. Magari avesse potuto allontanarlo definitivamente, magari avesse potuto distruggerlo per sempre. Non seppe dire quanto tempo passò a pensare col volto nascosto tra le mani, mentre gli occhi protestavano per la stanchezza, ma quando sentì dei passi leggeri, qualcosa si risvegliò in lui.
Forse un senso di leggero sollievo... Hermione era tornata da lui, era tornata nonostante, ancora una volta, non lo meritasse. Avvertì il profumo di un'aroma familiare, lentamente sollevò il capo, e senza guardarla direttamente, vide che stringeva due tazze fumanti di tè. Gliene porse una, poi si accomodò accanto a lui, in completo silenzio. Entrambi presero a sorseggiare la calda bevanda, senza guardarsi, senza parlarsi. Ron sentì il calore diffondersi fino alla punta dei piedi, e fu davvero grato del fatto che Hermione avesse pensato a lui. Avrebbe voluto dirglielo, ma era bloccato, lì, sul terreno freddo, nel suo logoro cappotto, confuso, il medaglione a pochi centimetri di distanza, e ancora quel forte senso di vergogna a fargli compagnia. Si chiese a cosa stesse pensando Hermione, mentre lui si tormentava. Si chiese se fosse amareggiata, delusa, stanca, arrabbiata, o peggio, triste. Si chiese cosa avrebbe mai potuto fare lui per lei. Si chiese se avesse mai potuto essere abbastanza, per lei. Ron continuava ostinato a fissare la sua tazza, la verità era che aveva timore di incrociare lo sguardo di Hermione. Sentì la ragazza sospirare, mentre si sporgeva in avanti per afferrare la catenina dell'Horcrux, sotto il suo sguardo atterrito. Hermione teneva il Medaglione sul palmo della sua mano, lo stava osservando con un'espressione corrucciata. In quel momento, Ron pensò che non aveva la minima idea di che effetto avesse su di lei. Di solito, durante i suoi turni, Hermione diventava taciturna, si isolava per immergersi totalmente nella lettura, non che fosse una novità, ma Ron aveva notato che tendeva ad essere più agitata del normale ed imbronciata. Però non avevano mai parlato apertamente degli effetti dell'Horcrux, e in quell'istante, una leggera fitta gli attraversò il petto quando si rese conto che probabilmente anche Hermione pensava cose terribili quando lo indossava. Non ci aveva mai pensato davvero in quelle settimane, troppo occupato a tenere il broncio o ad essere arrabbiato con il mondo. Egoista. 
Istintivamente spostò lo sguardo dall'Horcrux che Hermione stava ancora osservando, e cominciò a fissarla. Cosa e a chi pensava quando lo indossava? Cosa gli aveva mostrato quando, giorni fa, si era addormentata con quell'affare al collo e dopo, spaventata, gli aveva tassativamente vietato di non commettere quel suo stesso errore? Avrebbe voluto chiederglielo, ma temeva che Hermione gli porgesse le stesse domande, e lui non aveva la minima intenzione di dirle cosa e chi esattamente gli mostrava l'Horcrux. Non poteva parlarle delle cose che pensava quando lo portava con sé, o peggio, delle cose che sognava quando, senza riuscire a resistere alla stanchezza, si lasciava cadere in quei sonni agitati con l'Horcrux al collo, nonostante i continui avvertimenti di Hermione. Non gliel'avrebbe mai detto.
Hermione si voltò verso di lui e i loro sguardi si incrociarono per un breve attimo, ma Ron pensò bene di distogliere lo sguardo. 
«Mi... mi dispiace per prima» farfugliò, fissandosi le scarpe. Sperò che Hermione non lo guardasse, ma cominciò a sentire il suo sguardo addosso, e l'imbarazzo crebbe. Lei fece per parlare, ma poi fece semplicemente un sospiro e tornò a guardare davanti a sé. Ron le gettò un'occhiata: con una mano si stava reggendo stancamente la testa. Trascorsero parecchi minuti durante il quale rimasero in silenzio, vagando con lo sguardo, facendo attenzione a non incontrarsi mai. Ad un certo punto, Hermione tirò su col naso, girò la testa di scatto verso Ron e con voce sommessa disse: «So che è difficile crederlo, vista la situazione, che magari può sembrarti stupido, ma...» si bloccò, e Ron, come richiamato da qualcosa, si voltò finalmente verso di lei, che lo fissava con un'espressione stremata. Si guardarono ancora per qualche istante, poi Hermione chiuse per un secondo gli occhi, e solo quando li riaprì riprese.
«Ma insomma, io... io voglio tornare a casa, Ron, e...» 
«E tu credi che io non lo voglia?» fece Ron, scaldandosi. 
«No, non ho detto questo, e non credo sia così» rispose Hermione, sulla difensiva. «Stavo solo...» 
«Lasciamo perdere, va bene?» tagliò corto Ron. «Ti chiedo solo scusa per come mi sono comportato» chiuse gli occhi e appoggiò la testa al tronco. Hermione lo fissò per qualche istante, perplessa, aprì la bocca per ribattere, ma poi ci ripensò e scosse il capo. Dopo molti minuti, fu Ron a rompere il silenzio. 
«Perché ci ha fatto questo?» disse a voce bassa. «Silente»
Non si aspettava una risposta da Hermione, non la voleva nemmeno una risposta, stava più che altro dando voce ai suoi pensieri, non sapeva perché, ma ne sentiva il bisogno. «Ci ha lasciati soli» .
Il silenzio che ne seguì, cadde su di loro, pesante come mai prima d'ora. La temperatura della notte cominciava a farsi sentire, avrebbero potuto tornare alla tenda, al caldo, ma nessuno dei due sembrava aver l'intenzione di abbandonare l'altro. 
«Non ci ha lasciati soli» sussurrò dopo qualche minuto Hermione. 
«Come fai a dire questo?» Ron adesso la stava guardando, lo sguardo accigliato. «Ma ci vedi, Hermione? Harry non sa niente. Che cosa facciamo? Dove siamo diretti esattamente? E questi maledetti Horcrux, come li distruggiamo?» lanciò uno sguardo misto di odio e terrore al Medaglione di Serpeverde che giaceva ancora sul terreno. 
«Non lo so...» sospirò Hermione desolata. Trascorse qualche minuto prima che riprendesse a parlare, senza guardare Ron. «Abbiamo indizi su dove Vol...» 
«Hermione, per favore!» ruggì subito Ron. 
«E va bene!» ribatté Hermione, stizzita. «Dicevo, abbiamo indizi su dove Tu-Sai-Chi avrebbe potuto lasciare i suoi Horcrux. Silente sapeva quello che faceva, Ron. Io... io credo che non ci avrebbe mai lasciati completamente soli...» 
«Sarà... eppure l'ha fatto, lo siamo. Siamo soli» 
Hermione scosse il capo, ancora con lo sguardo fisso a terra.
«Non ti sembra, come dire... strano... forse addirittura sbagliato... dubitare di Silente?» gli chiese poi, aggrottando la fronte.
«Mah, un po' strambo lo è sempre stato... quindi, non saprei... E poi anche Harry ha detto che è stato stesso Silente a dire che... be', che anche lui può sbagliare... insomma, può aver sbagliato qualcosa...»
«Dubiti di Silente, Ron?» domandò Hermione. «E di Harry?» aggiunse, stavolta fissandolo negli occhi. Ron ricambiò lo sguardo, serio, senza batter ciglio. 
«Hermione, Harry è completamente incapace di guidare questa spedizione» cominciò Ron. «Stiamo rischiando la vita per lui, ma sembra che lui ci stia solo prendendo in giro. Che cosa crede di fare, eh?» fece in tono sprezzante, stavolta senza guardare Hermione. «Vuole fare l'eroe come suo solito? Io sono stanco! E poi tanto a lui cosa gli importa? Non deve pensare a nessuno, non ha nessuno da proteggere, lui...»
«Ron!» il tono sconcertato e addolorato di Hermione, lo costrinse a voltarsi nella sua direzione.
«Che c'è?» scattò lui. «Tu vuoi difenderlo, non è vero?»
«Ron, smettila» sbottò Hermione, con gli occhi leggermente umidi, ma con un'espressione dura. «Tu... tu non pensi realmente queste cose. Come puoi pensare che Harry ci stia prendendo in giro? Come puoi pensare che non gli importi niente?»
Improvvisamente, Ron si sentì a disagio, all'istante puntò lo sguardo a terra, sull'Horcrux. Qualcosa si era insidiato nella sua mente e aveva rafforzato quei pensieri maligni. 
«Io lo so che non lo pensi davvero» continuò Hermione, cercando con insistenza il suo sguardo, che lui evitò.
«Anch'io nei momenti di sconforto penso di essere delusa da Harry» gli confessò Hermione, lui si sorprese di quell'affermazione, ma continuò a tenere gli occhi fissi a terra. «Ma non importa, non importa perché lui è il nostro migliore amico, e noi non dobbiamo lasciarlo solo. So che hai paura, anch'io ho paura, anche Harry ha paura... ma dobbiamo resistere, dobbiamo restare uniti, Ron... tu lo sai questo, non è vero?» Hermione continuava a fissare il profilo di Ron, ansiosa. 
«Ti prego, guardami» 
Il flebile sussurro di Hermione gli spezzò il cuore. Si vergognava dei suoi pensieri, delle sue debolezze, delle sue parole, di se stesso. E quando guardò i suoi occhi terrorizzati, sentì una stretta alla gola, un magone, si limitò a fare un debole cenno col capo, senza smettere di guardarla. Hermione fece un breve movimento come per avvicinarsi a lui, forse per abbracciarlo, pensò Ron, che si rese conto di desiderarlo davvero, ma poi sembrò ripensarci, così tornò a guardare davanti a sé, senza dir niente.
Ron si sentì improvvisamente affranto, come se tutta la forza avesse abbandonato la sua mente, il suo corpo. Guardò il medaglione ancora sul terreno, tra loro due, a momenti avrebbe dovuto recuperarlo, portarlo con sé, conviverci ancora per qualche ora, e il solo pensiero gli fece mancare il fiato. 
«Come... come lo distruggiamo quello, Hermione?» le chiese Ron, con voce stanca. Non sapeva nemmeno perché le aveva rivolto quella domanda, in fondo sapeva già la risposta. Hermione si voltò di nuovo verso di lui, lo guardò sconfortata, in silenzio. Ron si accorse di non provare più rabbia, quel che provava era solo vera e propria paura. Si chiese se Hermione glielo leggesse negli occhi, se fosse così evidente, perché lui la sentiva crescere dentro di sé, attimo dopo attimo. All'improvviso, sentì la mano piccola e fredda di Hermione appoggiarsi sul dorso della sua. Chiuse per un istante gli occhi quando lei iniziò ad accarezzargliela con gesti lenti. Provò a dimenticarsi del mondo, di tutti quei casini, provò a concentrarsi sul suo tocco esitante. Ma niente, quello strano e vago malessere al centro del petto, quel nodo alla gola, persistevano. Sollevò le palpebre e la guardò, con apprensione.
«Cosa pensi quando lo indossi?» bisbigliò, quasi senza fiato. Hermione rimase zitta per un po', lo sguardo serio e triste fisso nel suo, le dita che lente sfioravano la sua mano.
«Penso... penso che non ce la faremo» rispose dopo un po', in tono sommesso. «Penso che sia tutto inutile, ogni sforzo, ogni sacrificio, tutto. Penso che Tu-Sai-Chi distruggerà tutto. Penso ai... ai miei genitori... e a quando li ho lasciati andar via... e che forse non rivedrò mai più» continuò con la voce leggermente incrinata. Poi d'impulso, strinse la mano di Ron, e si portò quella libera al viso per scacciare via una lacrima. «Penso a Harry... e penso a te e... e a volte io vi vedo... morti...» tirò su col naso, lasciò andare la mano di Ron per asciugarsi le lacrime che non era riuscita a trattenere. «E t-tu?» gli chiese, con voce tremante. «Tu che c-cosa vedi?»
Ron ingoiò il vuoto. Era terrorizzato, si sentì completamente svuotato, sfinito, sconfitto, perso. Rimase lì, inerme, a fissare le lacrime di Hermione che continuavano a scorrere. Si sentiva distrutto, si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Sapeva che non sarebbe riuscito a parlare, se avesse aperto bocca, probabilmente avrebbe vomitato. Così, lasciandosi guidare dall'istinto, allungò un braccio per afferrare delicatamente il polso di Hermione e l'attirò cautamente a sé. Lei si avvicinò, continuando a piangere silenziosamente. Quando Ron avvicinò il capo al suo petto, si sentì arrossire, ma non gli importò più di tanto. Si concentrò sul respiro irregolare di Hermione e sui suoi leggeri sussulti. La strinse un po' di più a sé, si chiese se anche lui sentisse il bisogno di piangere stretto a lei. In realtà non aveva forza neanche per quello. Guardò lì dove si nascondeva il braccio Spaccato in via di guarigione. A volte, quando si lasciava prendere completamente dalla disperazione, pensava che sarebbe dovuto morire, quel giorno. Dopotutto era per causa sua se avevano rallentato e rinviato i loro spostamenti, era per colpa sua se erano stati costretti a proseguire a piedi perché lui non ce la faceva a Smaterializzarsi. Era ferito, troppo debole, incapace, praticamente inutile. Alla sua famiglia non era di alcun aiuto, in fin dei conti li aveva lasciati, e per i suoi migliori amici era più che altro d'intralcio. Cosa ci facesse ancora lì, se lo chiedeva tutti i giorni. 
D'improvviso, Hermione aumentò convulsamente la stretta sul suo cappotto, mentre un singhiozzo strozzato le sfuggì dalla gola. Ron, sempre più spaventato, cominciò a carezzarle la schiena, con lenti gesti impacciati, nel tentativo di calmarla, e nel tentativo di calmare anche se stesso. Chiuse gli occhi. Che stupido. 
Lui non doveva morire, nessuno doveva morire. E quello era il suo posto. Lui doveva stare accanto a Harry e doveva proteggere Hermione. A tutti i costi.
Ma col passare dei giorni, trovava sempre più difficile mantenere un atteggiamento determinato, non ce la faceva più, era stanco, e non si preoccupava più nemmeno di sforzarsi. Desiderava tanto essere più forte e coraggioso, proprio come Harry. Desiderava essere più intelligente e deciso, desiderava essere all'altezza di Hermione. Ma lui era soltanto lui, e nient'altro.
Dopo un'ora o forse più, Hermione parve essersi calmata. Teneva ancora la testa poggiata al suo petto, Ron si sentì leggermente più sollevato dal momento che aveva smesso di piangere. Sorrise appena pensando a quanto fosse bello tenerla tra le sue braccia. 
Poi un suono breve, a lui conosciuto, attirò la sua attenzione. Era il suo orologio, e le lancette illuminate puntavano entrambe sul numero dodici. Era mezzanotte, un nuovo giorno era scattato. Era il diciannove settembre. 
Ron si calò leggermente per raggiungere il suo orecchio. 
«Buon compleanno, Hermione» bisbigliò, poi le sfiorò i capelli con un tocco leggero. Non era sicuro che fosse ancora sveglia, e per un attimo desiderò che non lo fosse, perché non voleva che lei, guardandolo, si accorgesse che fosse arrossito. Ma quando dopo infiniti secondi di attesa, Hermione si staccò lentamente da lui per incontrare i suoi occhi, Ron si rese conto di non desiderare altro. Tutto quello che riuscirono a fare, fu guardarsi intensamente. Cosa voleva veramente dirle, nemmeno lo sapeva... sapeva solo che non avrebbe desiderato altro che starsene lì, a stringerla e a guardarla per il resto della notte, in silenzio. Per un lungo istante, puntò lo sguardo sulle labbra di lei. Avrebbe tanto voluto baciarla. 
Tremò sotto il tocco di Hermione che gli accarezzò dolcemente la guancia. 
«Grazie» gli sussurrò, accennando un piccolo sorriso sincero che gli fece tremare il cuore. Hermione riposò il capo sul suo petto e si lasciò stringere dolcemente da Ron. Entrambi si sentirono protetti e al sicuro quella notte.

 

 

(*) «Noi ci saremo, Harry» annunciò Ron. «Cosa?» «A casa dei tuoi zii. E poi verremo con te, ovunque tu vada»
 (Harry Potter e il Principe Mezzosangue, capitolo 30, pag. 5
87)

(**) «Ginny!» esclamò il signor Weasley esterrefatto. «Ma allora io non ti ho insegnato proprio niente? Che cosa ti ho sempre detto? Non ti fidare mai di niente che pensi da solo se non riesci a capire dove ha il cervello [...]»
(Harry Potter e la camera dei Segreti, capitolo 18, pag. 296)




 

Angolo dell'autrice

Ah, dovrei smetterla di fare promesse. "Tra due/tre giorni massimo" certamente, Jess. Ma voi non mi prendete mai sul serio, dico bene? u_u Dite che riuscirò a farmi perdonare anche stavolta? ^^'' Ragazzi, questo è il capitolo che più mi ha fatto penare. Mancanza di ispirazione per un luuungo periodo, l'avrò riscritto almeno cinque o sei volte, per la miseria, ma alla fine è venuta fuori 'sta roba qui. Non sarà niente di eccezionale, ma almeno esiste u_u. Quuuindi, i nostri eroi sono partiti agli inizi di settembre, ora siamo al diciannove di settembre - il compleanno della nostra Hermione, e scusate ma non li trovate tanto dolci? aw - e già si sono verificati i primi episodi sclerotici da parte di Ron. Nel prossimo capitolo ci proietteremo mooolto più avanti, sarà mooolto più dura, per entrambi. Quindi se volete sapere che cosa combineranno questi due, ci ritroveremo tra... ehm... un tot. di giorni qui, di nuovo (no, scherzi a parte, in questa stessa settimana verrà pubblicato il terzo capitolo, lo giuro). Vorrei proprio sapere come avete trovato questo secondo capitolo, se vi sembra abbastanza realistico, se Ron vi è piaciuto, se l'avete trovato insopportabile o vi ha fatto tenerezza, se pensate che possa essere andata più o meno così, o quello che volete... insomma, che effetto vi ha fatto, come vi è sembrato il tutto. ;)  Intanto, un grandissimo e sentito GRAZIE va in particolare a Hermione Jean Granger, donny93 e Frava (tre tra le mie straordinarie lettrici più fidate che continuano a farmi miseramente sciogliere ogni santa volta), per le bellissime parole che hanno speso per il primo capitolo. Grazie davvero, vi meritate una riposta all'altezza delle vostre splendide recensioni, giuro che l'avrete. Sapeste quanta commozione a leggervi. 
GRAZIE di cuore anche a chi ha scelto di seguire in silenzio i Romione in questa breve avventura. Vi sono MOLTO grata.
Devo sempre parlare troppo, vero? Be', allora, per chi vorrà, ci si sente tra qualche giorno! :'D
Peace, love and Romione
Jess

   
 
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