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Autore: Alfred il sanguinario    02/06/2015    1 recensioni
Scotswood, periferia londinese, estate del 1968.
Quest'area povera e violenta si macchia dell'ennesimo crimine. Ma non è un crimine come tutti gli altri, non è il classico omicidio per droga, non è la prostituta morta che ormai ai poliziotti del luogo sa di routine.
La vittima è solo un bambino di quattro anni, Matthew, che non può avere nessuna colpa.
Allora perché ucciderlo?
Quando anche un secondo bambino viene profanato come il precedente, i poliziotti cominciano ad interessarsi al 'mostro dello Scotswood'.
Ma è Patrick a narrarlo, all'epoca dodicenne. Non è un investigatore, non è un prodigio, ma suo malgrado si ritrova coinvolto in questa triste storia.
Chi è l'assassino? Ma soprattutto, chi è il vero mostro in un posto dove i valori non esistono?
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era un pomeriggio estivo qualunque.
La brezza serale tardava ad arrivare, quel 16 Luglio, ma il momento più caldo della giornata era già passato.
All’epoca vivevo ancora nello Scotswood. Era un area molto povera, e per questo violenta, che attorniava la capitale inglese.
La popolazione era composta perlopiù da irlandesi immigrati disperatamente per cercare lavoro. E il flusso di migranti continuava, imperterrito.
Nello Scotswood era pieno di alcolizzati. Ma correva l’anno 1968 e non c’erano terapie di gruppo per rinunciare forzosamente a tale vizio. Non esistevano gli alcolisti anonimi.
Nello Scotswood era pieno anche di prostitute. Affollavano i cigli delle strade, sventolandosi nervosamente per attenuare la sensazione d’afa, e spesso restavano incinte. Ma da brave irlandesi cattoliche, non abortivano. Per cui non c’era da stupirsi se, a poco più di vent’anni, una donna aveva già cinque o più figli.
Nello Scotswood i bambini girovagano da soli per le strade. Ogni tanto capitava anche che bambini di sei o sette anni si trovassero a dormir per strada, cacciati di casa perché costituivano un costo che ben pochi potevano mantenere, o perché rimasti vittima di un vile scherzo da parte dei fratelli maggiori.
Lo Scotswood era un quartiere che ormai si può solo vedere nei paesi in via di sviluppo. Eppure era lì, a poco più di mezz’ora di macchina dal centro di Londra, dove i più fortunati organizzavano ricevimenti, facevano spese, dove i fotografi vendevano scatti del Big Ben illuminato dalle luci serali.
Nessuno voleva andare nello Scotswood. Nascerci era una condanna, viverci un obbligo e morirci era piuttosto semplice.
Mia cugina, per esempio, venne scambiata per una prostituta che aveva preteso un po’ troppi soldi da un noto spacciatore della zona. Un colpo dritto in fronte bastò a ucciderla. Aveva solo quindici anni.
Il 16 Luglio 1968 è una data che sono condannato a ricordare in eterno.
Mi sventolavo accaldato su un marciapiede qualunque. Accanto a me sedeva Martha, una ragazzetta piuttosto bassa, figlia di alcuni immigrati italiani che a stento riuscivano a parlare inglese. Grazie a non so quale magico prodotto era riuscita ad ottenere un effetto sui capelli che doveva essere una tinta.
“Oggi fa veramente troppo caldo.” si lamentò.
Mi limitai ad annuire.
“Conosco un rimedio.” mi disse lei, e, soffocando una risata, estrasse dalla tasca dei jeans rattoppati una bustina contenente una polvere di colore giallastro.
“Chi ti ha dato questa roba?” chiesi.
“Quello che sta davanti alla chiesa. Dice che è roba buona.”
Afferrai la bustina e osservai accuratamente la polvere. Non sapevo assolutamente cosa fosse davvero, né che effetti avesse su di me, sapevo solamente che tutti nel quartiere la usavano. E io mi adeguavo semplicemente. Molte persone asseriscono che la droga crea una sorta di dipendenza, che trasmette una sensazioni di immotivato piacere. A me restava indifferente.
Quindi, incuranti, dividemmo la razione a metà e annusai quella polvere.
“Mi sa che è una stronzata. Io ho ancora caldo.” le dissi.
Martha scoppiò in una fragorosa risata.
Poi, non contenta della sostanza appena assunta, estrasse una sigaretta, la accese e spirò tutto il fumo che poteva. Sembrava le trasmettesse davvero una sensazione di piacere.
Onestamente non so perché Martha fosse la mia fidanzata. Avevamo entrambi appena dodici anni, e le uniche cose che ci accomunavano erano l’abuso di sostanze dannose e l’avere delle madri depresse.
Mia madre in effetti, dopo il terzo figlio, aveva deciso che non avrebbe mai più fatto nulla nella sua vita. Così si era gettata sul letto, aveva fatto scorta di costosi psicofarmaci, e aveva trascorso così gli ultimi trent’anni della sua vita. Io ero stato il primo figlio. Mi aveva chiamato Patrick come il nonno, e in effetti c’era una certa somiglianza.
“Allora vogliamo comprare questa ciambella?” mi disse Martha, dopo cinque minuti impiegati a fissare il vuoto con gli occhi vacui di chi abusa di sostanze stupefacenti.
Annuii e mi alzai. Le avevo promesso che avremmo comprato una ciambella allo zucchero, con i soldi raccimulati vendendo un po’ della droga fornitaci da una compagna di classe.
Ci dirigemmo a passo svelto verso l’unico negozio di dolciumi dello Scotswood, il Michael’s, dove da un po’ di giorni avevano esposto delle deliziose ciambelle ripiene di crema pasticcera che tanto stuzzicavano lo stomaco di Martha.
Sulla strada notammo ad un tratto un ammasso di vestiti gettato su una panchina. Martha si avvicinò a passo felpato, facendomi segno di seguirla. Soffocava le risate, convinta di tendere un’imboscata al barbone iracondo solito inveire ad alta voce per le strade.
Con una mossa rapida strappò il cappotto che copriva la figura.
Ricordo un urlo di spavento che non udii mai più.
Sotto quel cappotto c’era un bambino. I suoi occhi erano sbarrati e fissi nel vuoto, la sua bocca spalancata.
Fu l’inizio di un incubo. 
  
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