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Autore: effe_95    04/07/2015    8 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 

16. Tirare la corda, Innamorata e Senza pietà.

Novembre
 
Gabriele stava sudando.
La cosa non sarebbe risultata strana se fosse stato il venti luglio, con un sole torrido a spaccare le pietre, ma era il quattro Novembre e si gelava dal freddo.
Gabriele era conscio del fatto che non avrebbe dovuto sudare, ma gli occhi gentili del professore di latino e greco, Costantino Riva, lo scrutavano troppo.
<< Ehm … si … i versi dell’Orestea da tradurre … >> Mormorò per la terza volta, lanciando uno sguardo veloce al testo immacolato sul quale non aveva scritto nulla, Aleksej tossicchiò leggermente al suo fianco, cercando furtivamente di fargli vedere il suo quaderno con tutta la traduzione, ma il biondo aveva una calligrafia così minuta e precisa che era difficile leggerla. Gabriele aveva sempre detestato quelle traduzioni a memoria di classico.
<< Non ne hai la più pallida idea … nemmeno questa volta, vero? >> Il professore sospirò pesantemente, appoggiandosi con la schiena sulla cattedra, Gabriele abbassò gli occhi e scosse la testa. Il giovane professore afferrò velocemente il registro e gli diede una rapida occhiata. << Allora … Lisandro? Vuoi tradurmeli tu? >>
Lisandro rischiò pericolosamente di cadere dalla sedia quando il professore fece il suo nome, si sentiva veramente male a dover infrangere le aspettative di Costantino Riva, che lo guardava con occhi carichi di speranza.
Lisandro non era mai stato un asso né in greco, né in latino.
<< Ehm, professore io … >> Non appena Lisandro cominciò a parlare, stropicciando tra le mani il bordo del suo maglione azzurro, il professore chiuse bruscamente il registro e si voltò esasperato verso Cristiano Serra, intento a giocare tranquillamente con il suo cellulare.
<< Cristiano, tu? Dimmi che almeno tu li hai imparati quei versi! >>
Il ragazzo sbadigliò senza mettersi la mano davanti la bocca e continuò a giocare.
<< E a che mi serve prof. ? >> Costantino Riva era pronto per avere una crisi di nervi in quel preciso istante, ma respirò profondamente, ripose il registro sulla cattedra e guardò i suoi allievi intensamente negli occhi.
<< Ragazzi, lo capite vero che quest’anno avete un esame da preparare? E lo sapete che nel programma d’esame bisogna portare dei versi tradotti da una tragedia, vero? Ascoltatemi, lo sapete che se posso evitare di crearvi problemi sono più contento, ma quest’anno non ho scelta e poi … >> Le parole del professore vennero bruscamente interrotte dal suono della campanella, Costantino sospirò pesantemente, mentre i suoi allievi si apprestavano tutti a preparare la cartella e lasciare l’aula. << D’accordo, ci vediamo domani. Mi raccomando, studiate Lucano, per favore >> Aleksej percepì una sorta di esasperazione nella voce di uno dei suoi professori preferiti, lanciò un’occhiataccia al cugino, che non lo stava degnando affatto di attenzione, e sospirò pesantemente.
<< Oggi vieni a studiarlo da me Lucano, uhm? >> Domandò, mentre infilava la cartella a tracolla e sistemava la sedia sotto il banco, Gabriele sollevò distrattamente lo sguardo e prese le chiavi della macchina, facendole tintinnare nel vuoto.
<< E perché? Tanto domani non mi interroga se l’ha fatto oggi >> Aleksej sollevò gli occhi al cielo nel sentire quelle parole.
<< Gabriele, latino e greco sono due materie diverse, quindi può benissimo interrogarti di nuovo. Poi, sei già stato bocciato l’anno scorso, evitiamolo anche quest’anno. >> Gabriele brontolò qualcosa contrariato e si avviò verso la porta, seguito a sua volta da Aleksej, un po’ immusonito per l’atteggiamento strafottente del cugino più grande. Era distratto quando passò davanti al banco di Miki e la urtò, il colpo fu talmente violento che la ragazza perse l’equilibrio andando a sbattere contro il banco e spostandolo di qualche centimetro, Aleksej ebbe la prontezza di afferrarla per un braccio ed evitare che rovinasse completamente a terra. Miki rimase per un momento scioccata, aggrappandosi con tutta la forza di cui era disponibile al braccio di Aleksej e strizzando i denti per il dolore che le aveva lambito il fianco. I due si guardarono per un momento negli occhi, mentre oltre la porta Gabriele assisteva alla scena scioccato, Miki si ricompose velocemente, raddrizzò il busto e scostò bruscamente il braccio di Aleksej.
<< Non toccarmi! >> Sbottò, mentre si passava una mano sul fianco e raddrizzava il banco.
<< Cosa? >> Domandò Aleksej frastornato, con ancora una mano sollevata nel vuoto e le sopracciglia contratte, credeva di aver sentito male.
<< Ho detto che non devi toccarmi >> Replicò invece Miki, mentre preparava la cartella senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. << Non dovrebbe esserti difficile, siccome non vuoi nemmeno rivolgermi la parola, no?  >> Aleksej ricevette quelle parole come un pugno nello stomaco, non riuscì a replicare nulla e la vide lasciare la classe velocemente, salutando Gabriele con un cenno veloce.
<< Ma … l’hai sentita? >> Commentò, volgendo lo sguardo allucinato al cugino, che aveva ancora gli occhi puntati sul corridoio dove era sparita pochi secondi prima Miki.
<< Mi sa che hai tirato un po’ troppo la corda Alješa >>
<< Maledizione! >> Il ragazzo si portò una mano sulla fronte e strinse forte il ciuffo.
Si sentiva davvero uno stupido.
 
Italia era felice che quella giornata fosse finita.
Non era stata molto pesante, ma dopo la lezione di greco l’aria si era fatta tesa e opprimente.
Sospirò pesantemente e si diresse con passo cadenzato verso il cancello dell’istituto, stringendo tra le braccia il libro filosofia e con i pensieri completamente persi nell’interrogazione che avrebbe dovuto sostenere il giorno successivo.
Non sentì affatto l’avvicinarsi del motorino, e quando Ivan le mise delicatamente una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione, sobbalzò senza ritegno e fece un passo indietro.
<< Ivan! >> Esclamò con il cuore in gola, stringendosi più forte il libro al petto.
<< S- scusami >> Balbettò il ragazzo grattandosi nervosamente la nuca, aveva le guance leggermente arrossate e gli occhi limpidi puntati altrove.
Italia lo trovò tremendamente bello in quel momento, dal casco spuntavano alcune ciocche ribelli dei capelli neri e le maniche del maglione erano arrotolate fino ai gomiti, mettendo in risalto tutti quei numerosi tatuaggi che da un po’ di tempo a quella parte Italia aveva cominciato ad esaminare più attentamente.
<< Non fa nulla … hai – hai bisogno di qualcosa? >> Domandò lei, distogliendo lo sguardo e cercando di ritrovare il contegno, sfortunatamente per lei però, le mani le prudevano dal desiderio di sfiorarlo e non sapeva nemmeno spiegarsi il perché.
No, Italia in realtà conosceva benissimo il motivo di quel desiderio, aveva cominciato a capire tutto da quell’uscita alla galleria d’arte, eppure le era così difficile da ammettere ad alta voce. Spesso si pentiva di essersi avvicinata così tanto ad Ivan, quando gli rivolgeva la parola solo per cortesia era tutto più semplice, contemporaneamente però, ritornare indietro le comunicava una mancanza di vuoto.
Perché si rendeva conto che tornare indietro significava perdere tutto quello che avevano creato. Stava provando così tanti sentimenti che si sentiva confusa, frustrata, troppo piena di un’aspettativa che probabilmente non avrebbe mai visto ricambiare.
<< Volevo sapere se ti andava di pranzare con me … oggi. >> Italia rimase interdetta quando sentì quelle parole, guardò Ivan con gli occhi leggermente spalancati, ma lui non stava ricambiando, troppo impegnato a giocherellare distrattamente con le chiavi della moto.
<< Stavo pensando che magari … potevo finalmente ricambiare il tuo invito >> Ivan sentiva la salivazione sotto zero e continuava a chiedersi come avesse fatto a pronunciare quelle parole. Italia lo guardava con le sopracciglia aggrottate.
<< Si … va bene. Vogliamo invitare anche Giasone, Catena e … >>
<< No! >> Ivan replicò con troppa velocità, alzando un po’ la voce, Italia lo fissò con le sopracciglia contratte, e le mani ormai pallidissime a furia di stringere troppo forte il libro.
<< Vorrei che oggi andassimo solo io e te. >>
Ivan e Italia si guardarono finalmente negli occhi dopo che lui ebbe pronunciato quelle parole, nessuno dei due notò che il rossore era scomparso dalle guance di entrambi e che i loro sguardi si erano fatti più intensi, meno imbarazzati. Italia annuì impercettibilmente e afferrò velocemente il casco che Ivan le porse placidamente.
Probabilmente gliel’avrebbe detto un giorno, che si era innamorata di lui.
 
<< Oscar, c’è qualcosa che non va? >>
Quando Catena trovò il coraggio di fargli finalmente quella domanda, erano già passati dieci minuti da quando Oscar aveva cominciato a comportarsi in modo strano.
Solitamente, quando si intrattenevano alcuni minuti in più fuori dalla scuola, lui era un gran chiacchierone e non faceva altro che ridere e baciarla.
Quel giorno invece era distratto, un po’ nervoso, perfino una ragazza distratta come lei avrebbe capito che qualcosa non andava.
Catena aveva cercato con tutta se stessa di non pensare alle parole di Sonia, ma da quel sabato non facevano altro che frullarle nella testa, che Oscar le stesse nascondendo qualcosa, ormai l’aveva capito anche lei.
<< Eh? No, no, sono solo preoccupato per il compito di fisica >>
Catena aveva anche imparato che quando Oscar mentiva, si mordeva il labbro inferiore con un canino e spostava lo sguardo da un’altra parte.
<< Ma è la settimana prossima, e poi io posso aiutarti … se vuoi >>
Le tremava un po’ la voce ma sperò che Oscar non se ne accorgesse, il ragazzo le sorrise leggermente e le prese una mano, intrecciando un po’ le loro dita, grandi e piccole.
<< Non ce n’è bisogno, me la caverò alla fine, come sempre. Vuoi fare qualcosa stasera? >>
Catena lo guardò negli occhi e sorrise a sua volta, per quanto le fu possibile.
Vorrei che tu mi dicessi cosa c’è che non va.
<< Stasera passo, viene a cena mia nonna >> Oscar annuì leggermente, si chinò per baciarla a timbro sulle labbra e poi si allontanò, perché il suo autobus era arrivato.
Catena lo seguì con lo sguardo fino a quando il mezzo non fu sparito dalla sua vista.
<< Ehi Catena, non è ancora passato il tuo? >>
La ragazza ci mise un po’ per mettere a fuoco la figura di Giasone, era ancora persa nei suoi pensieri e lui la fissava un po’ accigliato.
<< Oh, ciao Giasone, scusami. Vieni siedi accanto a me. >> Catena si scusò frettolosamente, facendogli immediatamente un po’ di spazio sulla panchina occupata solo da loro due.
Giasone si mise seduto con un po’ di imbarazzo, stringendosi la cartella addosso perché non fosse troppo ingombrante.
<< Oscar è già andato via? >>
<< Già … >>
Il commento di Catena risultò leggermente amareggiato alle orecchie di Giasone, che le rivolse uno sguardo un po’ preoccupato.
<< Avete litigato? >> Catena sobbalzò leggermente a quella domanda, non pensava di avere un’aria così afflitta da far pensare a Giasone una cosa simile, strinse un po’ i pugni attorno alla cartella e scosse la testa, forzando un sorriso gentile.
<< No >> Giasone trovò il sorriso di Catena un po’ troppo triste.
<< E’ perché ti ha raccontato cosa gli è successo vero? E’ per questo che sei triste? >>
Catena strinse forte i pugni quando sentì quelle parole, cercò di mantenere l’espressione meno sorpresa che le fosse possibile e trattenne il respiro. Oscar non le aveva raccontato proprio nulla, e Giasone era la seconda persona che insinuava qualcosa.
Era davvero l’unica a non sapere nulla?
Catena non poteva crederci, no, se Italia e Romeo avessero saputo qualcosa gliel’avrebbero detto sicuramente, si detestava per i pensieri che stava avendo in quel momento, per quello che gli era venuto in mente, non era da lei fare certe cose, ma aveva bisogno di sapere.
<< Si >> Replicò senza aggiungere altro, strinse forte i pugni e si morse la lingua.
Era l’unica soluzione per sapere, perché Oscar non le avrebbe detto nulla, ne era certa.
<< E’ un ragazzo fantastico non credi? Alla fine si è rialzato e … ha trovato te >>
Giasone le rivolse un sorriso che Catena cercò di ricambiare come meglio le riuscì, anche se non aveva capito appieno il significato di quelle parole.
<< Lui … lui non ha voluto dirmi tutto, sai? >> Mentì Catena, distogliendo lo sguardo, Giasone sospirò pesantemente e prese a giocare distrattamente con il laccetto della zip.
<< Beh, è comprensibile. Parlarne con te gli deve essere costata una fatica immane. >>
Una fatica così grande che Catena era stata costretta ad utilizzare una tattica così vile per capirci qualcosa, provava così tanto disgusto verso se stessa che decise di lasciar perdere, avrebbe preferito lasciare le cose come stavano. Dopotutto lei ed Oscar stavano bene insieme, lei avrebbe fatto finta di nulla, poteva farlo.
Poteva farlo davvero.
 << Era la sua fidanzata alla fine >>
<< Chi?! >> A Catena la domanda scappò in automatico, senza controllo. Giasone si voltò a guardarla accigliato, smettendo di giocare con le mani.
<< Come “chi” Catena, di chi stiamo parlando? >>
Catena era entrata nel panico, si passò una mano sulla fronte e sorrise flebilmente.
<< D – della sua ragazza … certo >> Balbettò giocando freneticamente con le dita pallide e sudate, Giasone sembrò non accorgersene, più concentrato sul suo volto sconvolto.
<< Beh, la sua ragazza sei tu in realtà, lei era la sua fidanzata prima. >>
<< E dov’è lei adesso? Sai qualcosa di questo? >> Quando Catena fece quella domanda, Giasone si voltò a guardarla come se fosse una psicopatica.
<<  E’ morta Catena. Ma lo sai oppure no? >>
L’ultima parte della frase Catena non la sentì nemmeno, aveva come la sensazione che qualcuno le avesse gettato un grattacielo sulla testa.
Senza pietà.



_____________________
Effe_95 

Salve a tutti :)
Spero di non essere eccessivamente in ritardo, ma in questi giorni sto studiando come una forsennata.
Ecco, in questo capitolo si scopre finalmente una parte del "segreto" di Oscar, anche se adesso si potrebbe benissimo non definirlo più in questo modo.
Aleksej ha finalmente subito uno scossone e Italia ha accettato i suoi sentimenti.
Spero vi piaccia, spero non sia orribile, e grazie mille come sempre a tutti voi.
Alla prossima.

 
  
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