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Autore: giulji    20/07/2015    1 recensioni
*Storia corretta e rivisitata nei primi capitoli, in modo tale che adesso, anche a coloro che non hanno letto la saga di Hunger Games, risulti una lettura comprensibile*
Questa fanfiction, ambientata in un survivial game, avrà come protagonisti la maggior parte dei personaggi presi dalla saga dello zio Rick, ricollocati sotto forma di tributi/sacrifici.
Il tutto averrà attraverso più punti di vista (POV).
Chi sarà il vincitore finale ? Chi morirà durante i giochi ?
In che circostanze ? Quali saranno le alleanze ?
Dal testo :
"... Nonostante la sua enorme voglia di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo, affogando in un sonno privo di memorie, che lo avrebbe momentaneamente esonerato dalle tenebre che gli offuscavano perennemente il cuore, Nico non era invece riuscito ad addormentarsi nemmeno per un ora di seguito e le occhiaia violacee che gli contornavano lo sguardo già corrucciato ne costituivano una prova.
Sapeva che quella mattinata, non rappresentava infatti, l'inizio di un giorno comune, bensì quella maledetta giornata portava con se la consapevolezza che di li a poche ore ci sarebbe stata la fatidica mietitura per il distretto 13 dello stato di Panem..."
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hazel Levesque, Leo Valdez, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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THALIA

In quel momento Thalia Grace era nuovamente furiosa, sentiva l'adrenalina pulsargli nervosamente nelle vene, minacciandola di salire fino a farla scoppiare per l'ira.

L'unica cosa di cui era certa, era che se solo ne avesse avuto la minima occasione avrebbe spaccato a mani nude la testa a quel serpente del presidente Snow.

Era seduta “comodamente” sul treno incaricato di trasportare i tributi verso quello stupido centro d'addestramento per sacrifici umani, intenta a fissare fuori dai resistenti finestrini il panorama grigio dei paesaggi che continuavano a susseguirsi rapidamente, cercando di mantenersi calma e di non sbraitare per quella sua ridicola situazione, d'altronde a lei l'urlare aveva sempre avuto molto più effetto del piangere come forma di sfogo, e d in quel momento ne sentiva certamente la necessità.

In più, l'esser affiancata da quel pallone gonfiato del presentatore del suo distretto, inferiore solo alla montata MeryLu del tredici per spocchia ed antipatia, oltre che essere in presenza del suo inutile e silenzioso mentore e da quel poveraccio che era stato eletto nella mietitura del 5 insieme a lei,tutto ciò non l'aiutava certamente a a far restare i nervi saldi.

Quando aveva sentito il suo nome pronunciato dal convinto e fasullo George Stephen, era rimasta inorridita, ma anche stralunata, semplicemente credeva che da un momento all'altro qualcuno prendesse la parola e le gridasse al megafono che la stavano prendendo in giro in diretta mondiale e che era in verità salva, ma una cosa del genere sarebbe stata impossibile.

Allora si era diretta incredula verso il palco, con la bocca ancora aperta, ma mano a mano che il suo percorso verso il palcoscenico avanzava, la sua razionalità cominciava a fare i conti, ed il suo corpo cominciava dunque a rendersi effettivamente conto che la situazione orrida in cui era finita, era reale.

E fu così che la collera dentro di lei prese il sopravvento sulla logica delle sue azioni.

Ma Thalia Grace non era complicata, era una semplice e dinamica ragazzina del distretto cinque, ossia il distretto dell'elettricità, che aveva compiuto da poco sedici anni.

Nonostante la sua giovane età, le sue esperienze passate, sopratutto relative al modo di vivere nell'infanzia, erano riuscita a plagiarne il carattere ed a fortificarne la persona.

Personalmente non aveva mai fatto caso al suo aspetto esteriore, anche se in molti nel distretto le facevano notare la sua particolare bellezza, totalmente assestante, che non prendeva nulla dalla fisicità della madre o del padre.

Le caratteristiche che più risaltavano erano la sua corta chioma nera sempre spettinata e quegli attenti occhi felini di un blu acceso che mandavano scintille dovunque lei posasse lo sguardo, particolarità che sembravano adattarsi perfettamente ad il suo carattere ribelle.

L'unica cosa di cui lei era sempre stata certa, nella confusione dei suoi sentimenti potenti, era quell'odio sfrenato ed innegabile che provava nei confronti della cupa Capitol City e per tutte le decisioni che venivano emesse da quel luogo maledetto.

Quello spregevole massacro annuale ne era la scelta più sbagliata e la prova più concreta della loro meschinità, e forse era proprio per colpa di quest'ultimo che il suo sogno più recondito nonché ardente desiderio, era una rivolta delle masse, forte e ben riuscita, che avrebbe fatto crollare inesorabilmente quel sistema.

Si rendeva conto di quanto le sue idee fossero pericolose e sbagliate, ma lei non era come le altre bambine, non avrebbe mai e poi mai potuto avere come sogno una speranza di una vita migliore, di un amore che riuscisse ad abbattere le circostanze, o semplicemente di un esistenza genuina e senza difficoltà, lei voleva la giustizia e la punizione, e non avrebbe potuto far niente per cambiare le aspirazioni della sua persona.

Non sopportava la povertà n cui viveva, la fame che attanagliava la sua famiglia, ed adesso, che oltre tutto, le era arrivato quel terribile e mortale gancio sinistro dall'inutile governo di Panem, aveva intenzione di farla pagare cara a Capitol City, e non le sarebbe importato di quanto i suoi gesti sarebbero stati rischiosi, magari avrebbe pure rimesso la vita, ma per lei il fine giustificava i mezzi, eccome se lo faceva.

Era dunque salita sul palco senza opporre la minima resistenza, meditando nella parte recondita di se stessa di mettere in atto un diabolico piano, tra l'altro, anche volendo non si sarebbe potuta opporre momentaneamente alla mietitura, e non aveva certo intenzione di venir trascinata sul palco da qualche venduto Pacificatore, il suo orgoglio non lo avrebbe mai consentito.

Comunque dopo aver raggiunto il presentatore, gli si avvicinò a testa alta e gli sputò in un occhio, con fare iracondo, poi girò i tacchi e provò a dirigersi nella cabina per le visite, senza nemmeno aspettare che George terminasse il suo discorso, ignorando i brontolii di sconcerto del pubblico e la faccia disgustata di alcuni dei presenti.

Inizialmente le guardie l'avevano bloccata prontamente, ma senza fargli del male, interdetti sul da farsi, poi però era intervenuto George, che fingendosi buono e generoso, nonostante il “terribile affronto” appena patito, aveva dato loro il permesso di lasciarla entrare nella cabina degli incontri, ovviamente sorvegliata ed accompagnata.

Di certo non era abituato ad un comportamento così ostile, per lo meno, non da parte da un tributo proveniente dal 5, anche se quello non era certo un distretto tra i “favoriti”, non erano nemmeno il 10, con le sue strambe ed inutile idee di rivolta e di sovversioni popolari.

Eppure, nonostante la figuraccia appena fatta, aveva dovuto mantenere i denti stretti in un sorriso, limitandosi a “mostrarsi superiore e non abbassarsi al livello di quella ragazzina” davanti alle telecamere.

Comunque Thalia si aspettava l'imbarazzante sorpresa generale per quel piccolo ed “innocuo”gesto, dal momento che le persone del suo distretto erano ottime operaie in fabbriche elettriche, quasi tutte brave, e seppure si trovavano delle eccezioni, come lei, era davvero raro da trovare qualcuno che non fosse rispettoso delle regole, o che per lo meno non fingesse di esserlo, il loro marchio di stampo era costituito da aggettivi come “diligenti, coerenti e super riflessivi”.

Lei purtroppo non era così, avevano pescato l'unica pecora nera del gregge quei capitolini, e sarebbe stato solo peggio per loro.

Sicuramente Thalia non se ne intendeva tanto di elettronica, e questo era un punto a suo sfavore, quanto lo era il fatto di non esser portata per il lavoro industriale, per non parlare assolutamente del fuori luogo che aggettivi come statica o precisa assumevano nei suoi confronti.

Forse era perché aveva vissuto fin da piccola in mezzo alla povertà assoluta, senza un minimo di appiglio o sostegno da parte di nessuno, già da allora aveva dovuto fare di se stessa una figura da cui trarre spirito.

Suo padre era un vecchio sregolato che lavorava per la maggior parte del tempo, dimenticandosi spesso e volentieri di avere dei figli e delle responsabilità maggiori a cui andare dietro, mentre sua madre era un alcolista depressa che non riusciva a badare nemmeno a se stessa, figurarsi se Thalia avrebbe anche solo potuto vedere un minimo di speranza in lei.

Si era abituata fin dall'infanzia all'indipendenza, contare solo su se stessi era il suo motto, anche se forse un familiare, nonché l'unico, che faceva eccezione esisteva, ed era suo fratellino Jason.

Ripensò a lui ed a quanto le avesse detto quel giorno nella cabina degli incontri, assicurandole che credeva in lei e che sapeva che ce l'avrebbe fatta, era stato proprio attinente alla sua solita persona, mostrandosi così convinto anche in situazioni simili.

Non aveva nemmeno pianto, suo fratello era un tipo composto, non piangeva mai e certo non l'avrebbe fatto davanti a Thalia in quel momento, sarebbe servito solo a deprimere l'atmosfera che già si mostrava pessima.

Nonostante fosse suo fratello minore di un annetto, forse era molto più maturo di lei.

Anche lui, senza dubbio, aveva dovuto crescere in fretta in quegli anni bui per la sua famiglia, ed era così diventato un vero uomo diligente, prematuramente, andando a creare una figura opposta a suo padre.

Lei era molto fiera di lui, dei suoi cambiamenti e della sua persona attuale, ed anche se non l'avrebbe mai detto esplicitamente, gli voleva davvero bene, ed aveva una gran paura di perderlo.

Ambedue, però, erano consapevoli che il pianto, era una mera e facile forma di sfogo, infondo era sempre significato solo autocommiserazione e l'autocommiserazione non aveva mai aiutato a niente, oltre il star maggiormente male, e certo non avrebbe avvantaggiato nessuno a vincere gli Hunger Games, perciò, e per altri motivi personali, era rallegrata dal fatto che Jason non avesse pianto, ma si fosse trattenuto per lei e con lei.

Thalia era motivata più che mai a ribellarsi, anche se al momento non sapeva come e non aveva nessuna strategia in serbo, l'unica cosa su cui poteva scommettere, era che non aveva intenzione di fungere da burattino per i giochetti del pubblico di Capitol City.

In quel preciso momento, oltre che perdersi tra i corridoi della sua mente, in monologhi interiori, stava cenando distrattamente nella vivace saletta da pasto del treno di trasporto per i tributi in cui era stata costretta ad imbarcarsi dopo la mietitura.

Seduta affianco a lei, in quel tavolino cremato dalle dimensioni esagerate, si trovava Cheryl, il suo inespressivo mentore, che stava parlando con scarso entusiasmo della sua esperienza negli anni di mestiere che seguirono i giochi e della varie situazioni importanti a cui era andata incontro nei giochi stessi.

Intenta ad offrire quelli che sarebbero dovuti essere “consigli di sopravvivenza”.

Cheryl era una vecchia signora dai capelli grigi e dalle grosse e spesse lenti degli occhiali, aveva un fisico magro e rinsecchito, sempre coperto da pesanti indumenti di lana lavorata, anche in estate, pareva una vecchia ed aggraziata nonnina.

Ma oltre alle apparenze, era in verità una persona molto astuta e decisa, che sapeva quel che faceva, senza però, arrischiarsi mai ed osare più del dovuto, insomma, la rappresentazione dello stereotipo vivente del cittadino perfetto del distretto 5.

Quell'anno, ricopriva lo stesso ruolo di mentore anche per Andrea Carbisi, ovvero il ragazzo che era stato scelto insieme a lei per rappresentare il distretto.

Avevano entrambi lo stesso addestratore, per il semplice motivo che non c'erano altre donne o uomini, ancora viventi, che un tempo erano usciti come vincitori dei giochi, di cui la provenienza fosse appartenuta a quell'innocuo e sciatto distretto.

Riflettendoci su, era da parecchio che il 5 non vinceva, ed i suoi ragazzi, negli anni che seguivano, venivano uccisi, uno dopo l'altro sull'arena, infatti, il solo fatto che l'anziana Cheryl fosse ancora viva e capace di fornire aiuto a qualcuno era un miracolo.

Thalia comunque non stava ascoltando i suoi, potenzialmente utili, discorsi, ma si stava limitando ad ingurgitare in maniera famelica tutto il cibo trovasse a disposizione su quella grande tavola.

Le portate erano veramente ottime, cucinate addirittura da dei cuochi esperti, e serviti da graziose cameriere, probabilmente senza voce.

Non si fermavano ad alcuni vassoi, ma continuavano con il primo, il secondo, gli antipasti, il dolce, i contorni, e tante altre portate di cui Thalia, prima di quel giorno, non aveva mai sentito parlare.

In questo momento stava addentando una grossa e gustosa coscia di pollo, che aveva messo nel piatto quasi automaticamente, non curandosi del fatto che appena due minuti prima in quella stessa stoviglia avesse poggiato della frutta.

Nel mentre, per cercare di non pensare troppo, e di non finire con l'accoltellare il presentatore lì presente armata di un mero coltello da carne, guardava in maniera concentrata le varie mietiture dei distretti precedenti al suo, che venivano trasmesse sotto forma di replica nel largo e sottile televisore d'ultima generazione, ovviamente presente in quel lussuoso veicolo.

Sinceramente, la ragazza doveva ammettere, che non le era mai capitato di mangiare una coscia di pollo, dell'anguria, o dei frutti di mare, magari un altro tipo di carne sì, dal momento che le piaceva andare a cacciare nei boschi, di tanto in tanto, ma in genere si trattava di scoiattoli o di animaletti piccoli e poco costosi, di certo non aveva mai assaggiato qualcosa di così ricercato e piacevole come era invece accaduto in quel giorno.

Anche se gli animali, che comunque era sempre andata a cacciare nelle foreste, fin da quand'era veramente molto piccola, le sembravano molto più soddisfacenti e pieni, forse perché in un certo qual modo aveva dovuto “guadagnarseli” attraverso il sudore.

Aveva cominciato questo mestiere perché proprio non le piaceva l'atmosfera urbana, con tutte quelle fabbriche, quegli enormi palazzi, quell'aria sporca, ed in più la sua adrenalina le aveva sempre fatto provare un grande fascino per tutto ciò che pareva proibito e potenzialmente rischioso, e niente lo era mai stato nel cinque, come oltrepassare i confini di nascosto.

Dal momento in cui aveva scoperto la foresta, era sua abitudine recarvisi puntualmente ogni settimana, per dare il via libera al suo istinto più inconscio, e divertendosi a cacciare qualche bestiolina, guadagnandosi qualche pasto extra da portare a casa per aiutare principalmente se stessa od il fratello.

Un giorno scoprì di non essere la sola a provare questo tipo di sensazioni, e fu proprio oltre il confine che incontrò il fuorilegge che da quel momento in poi sarebbe diventata anche la sua prima figura da cui trarre ammirazione e stima.

Ignorava il fatto che quella condizione surreale fosse vietata, anzi rendeva il tutto più divertente.

Sapeva che il suo distretto non doveva occuparsi degli animali e di conseguenza lei non poteva essere in alcun modo una cacciatrice, ma se ne infischiava, d'altronde non c'era cosa che odiava di più dell'esser comandata.

Da piccola era diventata la migliore amica di questo giovane ribelle, proprio come lei, che la pensava e la vedeva esattamente come lei, tanto che i suoi sentimenti a suo riguardo ad un certo punto cominciarono a diventare un po' confusi.

Spesso lui la accompagnava a cacciare, ma anche se si trovavano spesso nella foresta, quella disciplina non si abbinava minimamente al suo carattere, perciò la maggior parte delle volte finiva che lui si limitava a fissarla da lontano, accontentandosi di assistere in primo piano a quello spettacolo e starle vicino.

Il nome di quest'individuo era Luke Castellan e lei pensava di adorarlo in una maniera infinita. Era uno dei pochi, se non l'unico, che la capiva sempre, che continuava a stare al suo fianco nonostante il suo carattere pragmatico, e che approvava le sue idee con decisione.

Ed ovviamente, era stato ucciso, come tutte le persone a cui lei era stata affezionata durante il corso della sua vita, da quegli ignobili vermi di Capitol City.

La sua fine era stata così prematura e crudele, solo perché l'avevano beccato a cacciare nei boschi , oltre il confine, proprio in un giorno in cui Thalia si trovava a casa con la madre malata ed aveva dovuto rifiutare il suo invito giornaliero.

La ragazza, però, sapeva quanto a lui non fosse mai piaciuto praticare quell'attività, e l'unico motivo che avrebbe potuto spingerlo ad agire da cacciatore, era il volersi portare avanti per fare una bella figura con lei.

Quindi Luke tecnicamente era morto al posto suo, sarebbe dovuto toccare a lei, ma invece così non era stato, perché la realtà era molto più crudele dei sentimenti.

Era stato fustigato a morte dai Pacificatori, in un angolino sperduto della città, coperto di lividi fino al cedimento, probabilmente intento ad urlare invano il nome della sua amica, nell'inutile speranza di un salvataggio, o magari di un ultimo addio.

Lei ovviamente non l'aveva scoperto subito, ma dopo un po' di giorni, e fu in quel momento che iniziò la sua rabbia ed il suo tormento, fu in quel momento che mille aghi si conficcarono nel suo cuore elettrico, facendolo pulsare dal dolore ad ogni scarica, sicuramente non era ancora riuscita ad accettarlo completamente.

Però era stufa di quella tortura interiore, e convinta che l'unica soluzione era da sempre risieduta nella rivolta, la sua pace sarebbe sopraggiunta solo una volta che avesse messo fine a tutto quello schifo, vendicandosi della fine ingiuriosa di Luke.

Sul televisore stavano continuando a trasmettere noncuranti quelle scene di tristezza, che momentaneamente mostravano la mietitura avvenuta nel tredici.

Venivano mandate delle nitide immagini, rigorosamente ad alta definizione, di due poveri ed apparentemente indifesi ragazzini che erano scoppiati a piangere abbracciati su un palcoscenico, ma era tutto normale come se stessero trasmettendo dei filmati di cucina.

A quel punto uccidere quei due estranei, Nico e Hazel, senza alcuna pietà, sarebbe stato dovuto e lecito secondo la legge di Capitol City.

Spense la televisione trattenendo i conati di vomito, senza capire se la principale causa fosse l'idea della morte nei giochi, od il suo stomaco che tentava inutilmente di assimilare tutto quel cibo in una volta sola.

Quel rapido gesto fu seguito malamente dallo sguardo di disappunto dei presenti, ma lei si limitò a rivolgergli una smorfia arrogante, ed a proseguire per il nervosismo, da vera masochista, ad ingozzarsi con il cibo.

Il tipo che era stato scelto con lei la fissava da quella mattinata, curioso ed indagatore, e lei ne era parecchio infastidita.

Lo conosceva di vista, ma non ci aveva mai parlato, sapeva solamente che era un ottimo operaio, allenato, resistente e abile, uno abbastanza forte, ma del tutto incompatibile con la sua persona.

Non era sicura che lui la conoscesse, anche se in pochi non sapevano chi era la “caccia guai” del distretto.

Anche da quando erano stati scelti, non le aveva praticamente rivolto la parola, e lei non lo biasimava affatto, d'altronde con la sceneggiata che aveva piazzato davanti ai televisori quella mattinata per andarsene immediatamente, se avesse simpatizzato con lei probabilmente, in seguito, avrebbe fatto evaporare tutti gli sponsor.

Eppure non capiva perché quel tipo ed i suoi tirati occhi castani non la lasciavano in pace per due secondi di fila, non era una che amava sentirsi osservata, e quelle circostanze non aiutavano il suo autocontrollo.

Personalmente ,comunque, pensò che non le importava niente degli sponsor o del pubblico, c'erano cose più importanti su cui crucciarsi.

In più, era certa, che dal momento che il mentore di quel distretto era uno soltanto, a lui sarebbe toccato scegliere un solo tributo da aiutare durante i giochi, ed era quasi sicura al cento percento di non esser la favorita annuale, perciò, tanto valeva comportarsi come le pareva.

Altro segno che il tributo non si fidasse di lei, era il fatto che quel pomeriggio, lui avesse chiesto espressamente di avere delle udienze private con Cheryl, al fine di non far sentire a Thalia i vari discorsi riguardanti le sue difficoltà, ed i suoi punti di forza.

Probabilmente si stava già preparando psicologicamente all'idea di ucciderla.

Anche lei forse ce l'avrebbe fatta ad ammazzarlo in condizioni estreme, se non fosse stato per il fatto che aveva nessuna intenzioni di ammazzare dei tributi, lei aveva intenzione di non fare proprio per niente la marionetta attinente allo spettacolo di quella messinscena, lei aveva come obbiettivo quello di scagliarsi a morte contro i loro veri nemici, contro il governo.

Presto George uscì dalla stanza, scortando per un braccio, un Andrea che probabilmente, aveva terminato di mangiare, così da consentire a Thalia e Cheryl l'udienza privata che non avevano ancora in una finta ma beata solitudine.

La donna, ancora rannicchiata nella sua grossa sedia in legno, interpellò più volte la ragazza, porgendole le solite domande standard che i mentori rivolgevano ad i loro ragazzi.

Lei la ignorò bellamente, senza eccezioni, mostrando un atteggiamento ostile e continuando a mangiare, praticamente a forza.

Alla fine però, fu costretta a cedere per l'esasperazione, sia per quanto riguardava i pasti, che le domande di Cheryl, che a quanto pareva, poteva essere veramente insistente, per molto tempo e senza stancarsi.

“Allora, so tirare con l'arco, mi so muovere nei boschi e so anche picchiare le persone se non sono troppo grosse, basta?” fu l'unica frase che uscì dalla sua bocca, palesemente tagliente e sarcastica..

Era ovvio che non bastava, niente sarebbe mai bastato, ma non poteva inventarsi qualità che non possedeva, perciò aveva deciso di troncare il discorso usando la sincerità.

Cheryl le raccomandò un paio di trucchi e di avvertimenti classici e scontati, ma a cui lei finse di essere interessata per liberarsi alla svelta, non esattamente un gioco da ragazzi.

Comunque ci riuscì, anche se dubitava del fatto che quella vecchietta avesse esattamente creduto che la stesse ascoltando, più che altro pensava si fosse rassegnata.

Si diresse fuori da quella allegra ed inappropriata stanza, imbattendosi in un altro di quegli enormi corridoi celestini, che erano talmente lunghi ed uguali, che riuscivano a farla disorientare senza trovare simili riscontri precedenti.

Cheryl però, la fermò sull'uscio della porta, tirandole un lembo della maglietta sgualcita.

Non disse una parola, si limitò a darle una consolidale pacca sulla spalla, e Thalia poté quasi giurare di vedere gli occhi rigidi del mentore, farsi lucidi sotto quelle spesse lenti da vista.

Probabilmente anche lei, dietro a quella maschera compatta, soffriva per quegli stupidi giochi. Thalia le strinse la mano, cercando di far trapelare un minimo della sua determinazione, per rassicurarla, finché Cheryl mollò la sua debole presa e la lasciò allontanarsi tra le varie stanze del treno.

Era in cerca della stanza, presumibilmente a cinque stelle, in cui aveva avrebbe dovuto dormire quella notte, ma dopo aver sbagliato più volte luogo, entrando in vari scompartimenti del mezzo, dalla sala motori, alla cucina, decise di chiedere aiuto alle due cameriere bionde che le avevano servito il pasto, che a loro volta annuirono, sempre sorridenti, e le mostrarono la via per la sua camera.

Quella notte, comunque, non riuscì a chiudere occhio per i motivi più svariati, ed il primo in lista era che il suo letto risultava esser troppo comodo, il secondo era che la sua pancia era decisamente troppo piena, ed il terzo che non poteva assolutamente credere che quel lusso circondasse proprio lei.

La sua stanza era enorme, sulle tonalità beige e panna, con un perimetro che rasentava il doppio di quello della stanza in cui aveva cenato, che già di per se era piuttosto grande.

Al centro si trovava un bianco letto ricoperto da lenzuoli di seta cuciti a mano, di una piazza e mezzo, ricoperto di tende rossicce, a baldacchino.

Attorno a lei si trovavano diversi mobili, due comodini muniti di lampade, al cui interno dei cassetti si trovavano fogli, bottiglie d'acqua e vino, e qualunque cosa di cui la ragazza avesse potuto sentir necessità.

Era pieno di quadri, la maggior parte ritratti di buffi individui maschili sconosciuti, immortalati in pose statiche, che riuscivano a darle una certa inquietudine.

Infine c'era un grosso divano color oro, ricoperto da cuscini di penne d'oca, ed una sfilza di enormi armadi a muro interamente di mogano.

Thalia non riusciva proprio a capire cosa avrebbe dovuto farsene di tutta quella roba.

Anche se era stata adeguatamente avvertita di quanto ricchi e frivoli potessero essere i capitolini, mai avrebbe creduto di poter vivere quegli agi esagerati lussi in prima persona, e certo non era una bella esperienza, ma piuttosto risultava rivoltante e la faceva sentire in colpa con il suo distretto.

Nel primo corridoio, prima che chiedesse aiuto alle senza-voce, aveva sfortunatamente incontrato George Stephen ed il suo tiratissimo sorriso rifatto, ed ancora il suo ricordo riusciva a farle stringere le nocche delle mani fino a sbiancarle, per il nervosismo che le aveva causato.

Le le aveva augurato una buona notte, con uno sguardo che in realtà trasmetteva solo scherno, e poi le aveva lanciato una sottile frecciatina sul fatto di essere più accondiscendente una volta giunti a destinazione, e lei si era limitata a squadrarlo ed a correre via, per non dargli la vinta di vederla arrabbiata per una sua affermazione.

Rifletté su quel fatto in seguito, e si rese conto che forse,avrebbe davvero dovuto essere più calma e ragionevole una volta giunta a Capitol City, in alternativa, rischiava che gli strateghi si segnassero il suo atteggiamento, divertendosi antecedentemente, nel ridurla in mille piccoli pezzettini sull'arena, ma lei questo sapeva di non poter permetterselo, per lo meno, non prima di aver rivendicato Luke, non prima di aver lasciato in qualche modo il segno.

Cercò di sbollire la rabbia affacciandosi dall'enorme finestrino del treno in corsa, rendendosi conto di quanto il panorama fosse surreale.

Fissò a lungo la luna nuova che cominciava a brillare nella sera, così bella nel suo fascino notturno.

Lei aveva sempre adorato la luna più del sole, era uno dei suoi punti di riferimento, la guardava mentre era a caccia, e la trovava in un certo qual modo selvaggia, e ne traeva forza, ma le capitava anche di rimirarla nei suoi momenti più miti ma oscuri e ne intravedeva la serenità, aveva sempre pensato che la luna ci sarebbe sempre stata per lei, e che non l'avrebbe mai ingannata, ma in quel momento non ne era sicura, magari nell'arena avrebbero mostrato solo una macchia artificiale nel cielo, a sostituirla.

Decise di dirigersi nel bagno adiacente alla sa stanza, per fare una rapida doccia fredda, al fine di schiarirsi le idee e riflettere meglio.

Anche il bagno era grazioso, dotato dei saponi più profumati e dai bagnoschiuma più costosi, con una doccia grande il doppio di lei, trasmetteva relax il solo guardarla.

Non seppe esattamente quanto rimase sotto il getto dell'acqua ghiacciata, ma seppe che tra quelle pareti vetrate, si lasciò andare alla sua tristezza e scoppiò in un silenzioso pianto isterico.

Gli serviva sfogarsi in quel modo, per almeno una volta, sapeva che era sbagliato ed inutile versare in quel modo le sue lacrime, ma forse non ne avrebbe avuto più occasione, ed era sicura che se fosse stata messa alle strette, anche il crogiolarsi nel suo vittimismo le sarebbe mancato.

Successivamente si calmò, ripensando a tutte le esperienze migliori che aveva trascorso durante la sua esistenza, sentendo il cuore che batteva energicamente, nostalgico.

Stava solo tentando di placare quel fulmine d'odio che squarciava il suo animo, perché sapeva che non era il momento adatto per tuonare, ma che quando lo sarebbe stato, lei non avrebbe permesso a nessuno di salvarsi.

Ritornò in stanza, avvolta da un caldo accappatoio di una taglia più grande, giallastro, e si inchinò davanti ad un sottile cassetto appartenente ad uno dei tanti e simmetrici guardaroba.

Posti nei vari angoli del mobile, trovò un infinità di vestiti diversi, adatti ad ogni stile e per ogni situazione, come se ci avesse effettivamente abitato qualcuno in quella stanza.

Comunque, attirò la sua attenzione solo una comoda e lunga veste da notte, completamente bianca, composta da un leggero materiale vellutato.

Poggiò i suoi vestiti stappati e logori su il divano situato là vicino, ed indossò titubante quello strano indumento.

Fissò il suo rifletto nel finestrino, le venne in mente una sola parola per descriversi in quel momento: “strana”,.

Quella ragazzina con gli occhi arrossati dal pianto, circondata da una comodità invidiabile ed avvolta da una veste linda, semplicemente non era lei, ma era sicura che interiormente non avrebbe mai permesso a nessuno di cambiarla.

Sarebbe stata però, l'occasione per crescere, per evolversi, per farsi valere nella sua essenza e per dimostrare a tutti chi era la vera Thalia Grace e quanto potesse essere realmente da temere.

Non si prese molto sul serio con quella vestaglia candida, ma decise comunque di andare a dormire a quel modo, non importava come si appariva ma importava come si era, d'altronde.

E lei era pronta a scatenare l'inferno, doveva solo trovare il momento necessario, e sarebbe scoppiata tra le fiamme, come una bomba ad orologeria.

Prima di chiudere gli occhi però, in un momento di debolezza, rimirò un ultima volta quella mezzaluna, quasi di nascosto, e riuscì solamente a pensare a quanto quella forma curva riuscisse a ricordarle la buffa e rozza cicatrice che un tempo Luke portava sull'occhio sinistro.

   
 
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