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Autore: giulji    27/07/2015    2 recensioni
*Storia corretta e rivisitata nei primi capitoli, in modo tale che adesso, anche a coloro che non hanno letto la saga di Hunger Games, risulti una lettura comprensibile*
Questa fanfiction, ambientata in un survivial game, avrà come protagonisti la maggior parte dei personaggi presi dalla saga dello zio Rick, ricollocati sotto forma di tributi/sacrifici.
Il tutto averrà attraverso più punti di vista (POV).
Chi sarà il vincitore finale ? Chi morirà durante i giochi ?
In che circostanze ? Quali saranno le alleanze ?
Dal testo :
"... Nonostante la sua enorme voglia di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo, affogando in un sonno privo di memorie, che lo avrebbe momentaneamente esonerato dalle tenebre che gli offuscavano perennemente il cuore, Nico non era invece riuscito ad addormentarsi nemmeno per un ora di seguito e le occhiaia violacee che gli contornavano lo sguardo già corrucciato ne costituivano una prova.
Sapeva che quella mattinata, non rappresentava infatti, l'inizio di un giorno comune, bensì quella maledetta giornata portava con se la consapevolezza che di li a poche ore ci sarebbe stata la fatidica mietitura per il distretto 13 dello stato di Panem..."
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hazel Levesque, Leo Valdez, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CLARISSE

Clarisse anche quella mattinata si era svegliata presto e meccanicamente, con l'intento di prepararsi psicologicamente e fisicamente all'inizio concreto di tutta quell'assurda situazione.

Lei, quell'anno, si era offerta come volontaria per partecipare a quegli stupidissimi giochi, ma non l'aveva realmente fatto per puro piacere personale, bensì si poteva sostenere che, fin dall'inizio, lei non avesse avuto alcuna scelta.

Suo padre e sua madre, fin da quand'era piccolissima la addestravano per quell'evento, e non erano i soli che come obbiettivo per il futuro avevano deciso di elevarla a prossimo vincitore, in realtà tutto il distretto 2 aveva sempre fatto affidamento su di lei.

Clarisse all'inizio non capiva, d'altronde era solo una bambina ingenua, anche se un po' irruenta, e per questo si lasciava contagiare dal loro entusiasmo, senza provare nessun dubbio o timore.

Poi però, crescendo, cominciò a comprendere sempre meglio ciò che realmente doveva affrontare una volta che sarebbe diventata “grande” e rendendosi conto di questo, capiva anche che effettivamente non ne era assolutamente pronta.

In pubblico doveva mostrarsi sempre aggressiva e pericolosa, non poteva far trasparire incertezza o dubbi, sennò la sua immagine sarebbe crollata in pezzi, ma infondo anche lei era umana come tutti quanti, e non era realmente così che si sentiva.

L'idea di partecipare in quei giochi, infatti, in realtà la terrorizzava.

Sentiva di portare sulle spalle un peso troppo grosso da reggere, ma allo stesso tempo era consapevole di non poter deludere tutti quanti, lei non si sarebbe mai mostrata come una codarda od una perdente.

Contemporaneamente provava un infinito odio verso quelle persone che non voleva scontentare, e verso suo padre stesso, d'altronde era con la sua vita che volevano giocare, ed era sulla sua persona che si divertivano a scommettere.

Comunque il giorno della mietitura era stata troppo impulsiva, e senza nemmeno capacitarsene si era ritrovata con la mano prontamente sollevata verso l'alto, fintamente determinata a sostituire la ragazzina che era stata effettivamente selezionata.

In quel momento ricordava di essersi sentita come sospesa in aria, tutti la fissavano aspettandosi qualcosa da lei e lo sguardo eccitato e fiero del padre era impossibile da rifiutare.

Sapeva che se non si fosse offerta il suo genitore l'avrebbe odiata, perché lei ignorando di partecipare a quel massacro l'avrebbe fatto vergognare a morte, avrebbe reso la famiglia dei “La Rue” lo zimbello del distretto e avrebbe fatto crollare il mondo di molti.

Quindi, non le restò da far altro che compiere quel frettoloso gesto, urlando a gran voce che si offriva come volontaria, riassegnandosi a quel suo destino forzato.

L'arena era la sua certezza da sempre, quello che le avevano spacciato come pane quotidiano fin dalla giovinezza, aveva sempre saputo che prima o poi le sarebbe toccato partecipare, e con il tempo era riuscita addirittura ad accettarlo.

Se non fosse salita su quel palco sarebbe rimasta senza un futuro, perché evidentemente, il suo destino era da sempre stato programmato negli Hunger Games.

Ed era vero che era una sorte una molto grottesca e sanguinaria, ma ormai, era troppo tardi per tornare indietro.

Tutti la vedevano come un pilastro incrollabile e non sapevano che dietro la corazza si nascondeva una ragazza spesso malinconica e bisognosa di speranza.

L'unico ad aver scoperto questo suo lato umano era Chris Rodriguez, uno dei ragazzi del suo distretto, forse il suo unico vero amico.

Era stata immensamente felice di udire, dopo la breve ed orgogliosa visita d'incitamento da parte del padre, quello che lui aveva da dirle.

Chris era stato estremamente affettuoso, l'aveva abbracciata e le aveva raccomandato di essere forte, ma glielo aveva detto in maniera apprensiva e preoccupata, in modo totalmente differente da quello pretenzioso del padre.

Clarisse aveva notato che stranamente anche quel povero imbranato di Frank Zhang era riuscito a vedere oltre la sua immensa aura di terrore ed a considerarla, quanto meno un comune essere vivente.

Tutte le volte che ripensava all'incursione effettuata in camera sua la notte precedente rabbrividiva, era decisamente un gesto troppo smielato da parte sua, incoraggiare lo sventurato compagno di squadra dall'insonnia perenne.

Tra l'altro, per colpa sua anche Clarisse non era riuscita a dormire bene durante le nottate trascorse nel veicolo, e non le era parso per niente un viaggio da cinque stelle.

Già per lei non era per niente facile non scoppiare in una crisi isterica, considerando la situazione, in più si metteva in mezzo pure lFrank con le sue grida ed i suoi piagnistei depressi.

Comunque decise che atti del genere non sarebbero stati più contemplati da quel momento in poi, dato che lei doveva mostrarsi estremamente cinica ed impenetrabile, se così non avesse fatto si sarebbe solo ritrovata a soffrire il doppio nell'uccidere i suoi rivali.

La ragazza, oramai, era scesa da quel veicolo da un pezzo, accompagnata dall“allegra” combriccola composta dai suoi mentori, dal presentatore e da Frank.

In quell'istante era intenta a camminare, con il cuore che le batteva a mille per l'eccitazione, tra le strade misteriose della capitale.

Le vie che stavano percorrendo, non erano molto abitate, ma quei pochi individui che incrociavano si fermavano a fissarli emozionati, e spesso gli scattavano qualche foto con il flash dai loro vari attrezzi elettronici.

La lunga strada che stavano percorrendo era composta da un marciapiede verdognolo, quasi fluorescente, affiancato da un insolito asfalto che pareva cosparso di glitter.

Le lunghe vie erano piene di negozi dalle insegne luminose e dai manifesti luccicanti, che disponevano in vetrina le più grandi variazioni di commercio, dagli articoli di moda ai negozi di strumenti musicali.

Clarisse fissava il tutto fingendosi annoiata, mentre in realtà, per via dell'enorme pressione che riuscivano a trasmettere quelle strade estremamente particolari e psichedeliche, avrebbe voluto solamente darsela a gambe levate.

L'unica cosa che riusciva ad esorcizzarla da quel suo stato di paura, era la presenza di qualcuno messo decisamente peggio di lei.

Infatti, Frank Zhang, che si trovava appena qualche metro dietro di lei, aveva le gambe che tremavano visibilmente, facendo “giacomo giacomo”, e sembrava terrorizzato a morte da ogni cosa lo circondasse, a partire dai vistosi manichini che si trovavano all'infuori delle abitazioni.

Ad osservare i suoi comportamenti cauti e terrorizzati, pareva quasi essere un tributo appena giunto nell'arena quando, invece, la realtà era che stava solo sorpassando un “temibile” negozio di gelati, che emetteva dei suoni “molesti” al passaggio davanti alla telecamera termica, di qualunque individuo.

I mentori invece camminavano silenziosamente, vicini tra loro, ma a due marciapiedi di distanza dai ragazzi, sicuramente per fingere di non conoscere quel disastro, molto imbarazzante, di Frank, mentre invece l'isterica presentatrice cercava in tutti i modi di tenerlo saldo al suolo, reggendolo per un braccio.

Magari se anche Clarisse fosse stata così incapace di nascondere le proprie emozioni od auto controllarsi,come lo era lui, probabilmente il padre e gli altri fomentatori del due, avrebbero abbandonato l'idea di farla partecipare volutamente alla mietitura da oramai molto tempo.

La ragazza si guardava distrattamente attorno, soffermandosi sul cielo, che per via dei fumi colorati, provenienti da qualche boutique sperduta, sembrava assumere i toni più svariati.

Effettivamente non era la prima volta che la ragazza andava a Capitol City.

Le era capitato di dirigersi in quel luogo altre tre volte, per via del mestiere del padre, che come importante mentore ed ex vincitore veniva spesso intervistato da più reti televisive d'intrattenimento della capitale, ed una volta era riuscito ad avere l”onore” di esser chiamato per partecipare anche ad un programma diretto dal celeberrimo conduttore televisivo: Caesar Flickerman.

Comunque quel posto, per quante volte ci andasse, riusciva sempre ad intimorirla come la prima, e forse la causa era la nobiltà e l'imponenza delle sue strutture.

Quasi senza rendersene conto, Clarisse, seguita dal gruppetto di accompagnatori, era già giunta all'interno del parco di Synon, ossia l'ampia area verdeggiante che si ritrovava al di fuori del grande palazzo dove si sarebbe trasmessa la sfilata d'apertura.

Quest'ultimo si ergeva nella sua enorme stazza, paragonabile alla metà del piccolo distretto dodici, ed era una struttura altamente moderna, estremamente trasparente e ricoperta da pareti a specchio, che le facevano proiettare un arcobaleno di luci e sfumature.

All'interno di quel luogo, oltre le stanze del retroscena ed i piani meramente tecnici e strumentali, si trovava il fulcro di quella specie di monumento, ossia una larghissima area circolare, dove ci sarebbe stata la parata dei carri, munita di grandi scalinate per l'intransigente pubblico.

La sfilata d'apertura, era la seconda “cerimonia” ( ovviamente dopo la mietitura), che i capitolini allestivano per i tributi.

In quest'ultima, si aveva in compito di mostrare attraverso una dettagliata presentazione, tutti i vari tributi provenienti dai distretti, in una parata studiata a tavolino, e ripresa anch'essa dalle telecamera in diretta mondiale.

Il compito era di mostrare a tutto il pubblico di Panem chi erano e quali caratteristiche esprimevano i ragazzi, cosicché uomini esponenti, principalmente di Capitol City, in seguito avrebbero investito e scommesso il loro denaro su coloro gli sarebbero parsi più interessanti, creando un giro di soldi che sarebbe stato speso anche per aiutarli durante i giochi, tramite i famosi sponsor.

Appena Clarisse mise piede nella prima stanza dell'edificio in cui si sarebbe svolto l'evento, venne letteralmente trascinata per le braccia e le spalle, in mezzo agli eleganti quanto confusionari corridoi a specchio, da tre bassi e buffi individui che portavano degli abiti fluorescenti ed erano vestiti alla stregua di dei pagliacci.

La prima reazione per cui pensò di optare Clarisse, fu quella di spedirli a terra con due nette gomitate, ma all'ultimo momento ci ripensò, dato che era decisamente più prudente evitare di commettere atti bruschi, dal momento che quei soggetti sembravano capitolini, ed era meglio non picchiare nessun capitolino prima dell'inizio dei giochi se si voleva avere qualche possibilità di vittoria.

Così, riluttante, li lasciò prodigarsi nel loro trasporto forzato, d'altronde lei si sarebbe sicuramente persa in mezzo a quei miliardi di percorsi di vetro.

Scoprì mentre veniva sballottata, per le varie direzioni, che quelle sagome viventi, altro non erano che il suo staff di collaboratori estetici, che si stavano sbrigando a portarla nel centro di bellezza dell'edificio, che aveva il compito di “renderla decente” per la presentazione.

Clarisse roteò gli occhi al cielo, dato che presa dalla foga del momento si era quasi dimenticata che avrebbero dovuto sistemarla in una specie di attrezzatissimo salone di bellezza, per quello che secondo lei, era il più inutile degli eventi prestabiliti dai giochi.

Una tale inerzia rilegata all'apparenza esteriore non poteva preoccuparla in nessun modo.

Pensò sarcastica a quanto “effettivamente” le prime impressioni erano importanti per il pubblico capitolino, quella stessa platea formata dalle medesime persone che magari l'avrebbero amabilmente guardata mentre partecipava ai giochi, ed era intenta ad uccidere a mani nude, qualche ragazzo della sua età, a quel punto chissà se il rosso degli schizzi di sangue che ricoprivano la sua faccia, si sarebbe abbinato bene con la tutina annuale che le avrebbero assegnato gli stilisti.

Il salone di bellezza in cui la portarono era enorme e l'odore di profumo che aleggiava nell'aria era a dir poco soffocante, tanto che la ragazza in seguito non cessò di starnutire per un solo istante.

Per la presenza dei vari attrezzi bianchi, muniti di lampade e cabine, Clarisse credette che avessero sbagliato stanza, e l'avessero condotta erroneamente da un dentista.

Ovviamente, la sua supposizione non trovava riscontri, e se ne accorse lei stessa, nel momento che scorse l'enorme vasca ad idromassaggio situata al centro esatto di quel luogo.

Si avviò all'interno della stanza incuriosita, ma non ebbe il tempo di fare due passi che il suo rapido staff la buttò di peso su una lunga e comoda poltroncina chiara, munita di due ruote per il trasporto.

Subito cominciarono a trascinarla tra le varie angolazioni della stanza, spingendola in quella specie di comoda carrozzina, e raccogliendo di tanto in tanto qualche strano flacone di crema, sali e profumi, che in seguito le spalmarono rapidamente sul corpo, senza darle nemmeno il tempo di reagire o respirare.

Il disagio della ragazza era palpabile, si sentiva a dir poco oppressa, non era per niente abituata a questo genere di cose.

Questo suo sentimento aumentò quando quelle tre donnette colorate la spogliarono con uno scatto, senza provare alcuna sorta di imbarazzo o vergogna, e la spedirono a spintoni nella tiepida e insaponata vasca idromassaggio, strofinandole a turno la schiena ed il corpo, in maniera accurata, e imbrattando con una marea di prodotti differenti, i suoi lunghi e nodosi capelli scuri.

Probabilmente se ci fosse stato anche solo un ragazzo in quello staff, non si sarebbe fatta nessuno scrupolo nell'ucciderlo all'istante, ma dal momento che per sua fortuna non erano presenti uomini, decise di lasciar correre, anche se riluttante, il comportamento a dir poco invadente di quelle tizie.

Continuò a subire quel trattamento per un altro po' di tempo, costretta a stringere i pugni e distogliere lo sguardo per la vergogna, finché la squadra di preparatori, constatando che con il lavaggio avevano egregiamente terminato, la fecero uscire dall'acqua, tirandola per le braccia, ed avvolgendola subito dopo con un grande asciugamano rosa che odorava eccessivamente di gelsomini.

La signora che fra le tre, pareva la più vecchia, per quanto il trucco potesse lasciare intuire la sua età avanzata, la fece riaccomodare sulla poltroncina, avvicinandosi a sua volta, pericolosamente munita di un fornellino e di diversi attrezzi sconosciuti agli occhi confusi di Clarisse.

Il processo per fare la prima ceretta fu a dir poco esasperante per lei, ma lo staff non sembrava curarsene e proseguiva imperterrito a tirare via i peli delle gambe, delle braccia, delle cosce e della maggior parte del suo corpo, che era già costellato di lividi scuri, cicatrici e di tagli freschi.

Molte crosticine si riaprirono per via della cera, tornando fastidiosamente a sanguinare, ma in quell'istante alla ragazza non sembrava importare, in cuor suo sperava solamente di terminare quella tortura il più in fretta possibile.

Appena finirono la ragazza tirò una grande boccata di sollievo, giurando a se stessa che mai più si sarebbe sottoposta ad un esperienza simile.

Comunque non ebbe il tempo di rilassarsi in maniera completa, dato che i collaboratori, subito dopo, cominciarono a lavorare con i suoi capelli: accorciandoli, facendole dei colpi di sole ramati, sottoponendola alla piastra per la piega, ed facendole altre cose di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

Nemmeno le sue povere unghie mangiucchiate ebbero un po' di tregua, unghie che secondo i loro commenti disperati erano a dir poco maltenute e terrificanti.

Fu così che prima ancora di metabolizzare le circostanze Clarisse si ritrovò con dei lisci e setosi capelli corti fino alle spalle, al posto della sua incolta e nodosa chioma abituale, e dei lunghi artigli rifatti con il gel e smaltati di nero, ma il tutto non la faceva sentire “bella”, ma“strana”, in una maniera vomitevole.

Per di più fece il suo ingresso in sala anche il suo snobistico stilista moro, che le rifilò arrogantemente uno stranissimo vestito nero dalle sfumature rosse, abbellito da delle borchie appuntite sparse sulle estremità, che terminava con una vaporosa gonna corvina.

Clarisse all'inizio si rifiutò categoricamente di indossarlo pubblicamente, blaterando qualcosa relativa alla sua reputazione, ma poi fu praticamente obbligata a cedere sotto le minacce e l'insistente persistenza dello staff .

Infine, come se quello che le avessero fatto non fosse abbastanza, ci fu un interminabile fase di trucco, dove in tre erano concentrati a lavorare sopra la sua faccia, utilizzando strani prodotti sulle sue labbra, sulle sue ciglia, sulle sue povere sopracciglia sfoltite e per sino sulle sue guance.

Per fortuna anche quella tortura facciale terminò, ed allora le offrirono delle esuberanti scarpe rosse dal tacco 12 da mettere come ciliegina sulla torta, ma furono costretti a sostituirle con dei bassi stivaletti borchiati, dopo aver visto quella poveretta cadere per ben quattro volte di fila mentre cercava di fare qualche passo con le scarpe precedenti.

Ci abbinarono dei braccialetti e delle collane in pelle scura con le medesime borchie e dopo finalmente la lasciarono andare, sbattendola fuori dalla porta in malo modo.

Quando Clarisse vide il suo riflesso proiettato in uno dei tanti specchi situati nel palazzo, urlò di sorpresa, non riconoscendosi.

Era certa che quella tizia che vedeva dinnanzi a lei non assomigliasse minimamente alla potente Clarisse la Rue.

Si sentiva veramente ridicola conciata in quel modo, non potevano farle credere di essere più presentabile di prima, si sentiva sinceramente offesa da quell'insinuazione.

L'unica cosa positiva era che quei colori scuri presenti nel trucco e nel vestiario riuscivano a non darle un aspetto troppo stupido, perciò decise di ingoiare momentaneamente tutti gli insulti che le passavano per la mente e di dirigersi senza fare commenti troppo acidi verso la sala dove avrebbe incontrato i mentori e Frank.

Seguendo le indicazioni dei vari cartelli riuscì a trovare rapidamente l'anonima saletta in cui si era fermata la sua “combriccola”, anche se le ci volle un po' per riuscire a riconoscerli, dato che anche loro erano stati ricoperti da un pesante strato di trucco.

Alla vista di quel ragazzetto, che in teoria doveva essere Frank, Clarisse per poco non scoppiò sonoramente a ridere, cambiò idea ed espressione solo quando si ricordò di esser nella stessa situazione disperata.

Per il ragazzo era stato ideato un aggressivo look dai colori tetri e scuri. Portava una camicia nera sbracciata e volutamente strappata alle estremità. Nella parte inferiore invece gli avevano rifilato degli attillati pantaloni di pelle marrone, che lo facevano sembrare la parodia “tosta” di se stesso.

Clarisse notò anche che gli avevano accorciato i capelli ai lati e gli avevano contornato fievolmente gli occhi mandorla con della matita nera e del mascara, prevalentemente nella parte inferiore della palpebra, come poteva prenderlo sul serio?

Frank alla vista di Clarisse spalancò la bocca, visibilmente confuso ed incredulo per quel cambiamento.

“Clarisse, ma sei davvero davvero tu? Sei bellissima!” esclamò saltellandole felicemente incontro, ancor prima di essersi reso conto di ciò che aveva appena affermato.

All'occhiata a dir poco fulminante che gli lanciò la ragazza, Frank arrossì di botto e cercò di balbettare qualcosa, ma ad interromperli, per fortuna del ragazzo, li raggiunsero i loro mentori che si affrettarono a scortarli nella stanza dove si trovava il carro su cui avrebbero sfilato.

La stanza, altro non era che un retro quinte situato in penombra, circondato nella parte posteriore da delle grandi tende bluastre, che di li a poco si sarebbero spalancate per mostrare la loro entrata di scena alla platea.

L'unica cosa presente, oltre a qualche strumento tecnico come delle casse o piccoli oggetti tecnologici, era il fatidico “grande carro”.

Agli occhi di ambedue i tributi risultava veramente ben elaborato.

Aveva dipinte delle fiamme e delle scintille nelle parti laterali, ed era composto per lo più da sfumature arancioni e rosse, trainato da due possenti cavalli neri che si legavano al veicolo attraverso alcune corde ben allacciate.

I mentori non lasciarono commenti in proposito, si limitarono a raccomandare ad entrambi di mantenere un espressione dura e fiera per tutto il tempo in cui sarebbero rimasti sul piazzale, ed i due si sforzarono di annuire seriamente.

Osservarono dal piccolo televisore in bianco e nero, che era posto ad un lato della stanza, l'inizio della cerimonia, presentato come al solito da Caesar, celebre conduttore nonché ennesimo capitolino molto colorato ed esibizionista.

I primi a partire sarebbero stati quelli del distretto 1 , ovviamente, ma loro, subito dopo il termine del discordo d'apertura, cominciarono a salire sui carri, preparandosi mentalmente e mantenendosi pronti per un uscita teatrale.

La televisione, intanto, continuava a mostrare le sequenze dell'evento, ed in particolare, riprendeva l'arrivo sul campo dei due tributi del primo distretto, ossia il luogo da dove gli oggetti di lusso di Capitol City venivano prodotti, un distretto di “favoriti”come il loro.

Il carro era concentrato molto su delle tonalità differenti di verde scuro e di rosa, trainato da ben quattro pony maculati.

La vera attrazione della biga però, era il tributo femminile.

Clarisse aveva già visto quella ragazza in televisione qualche giorno prima, durante una delle tante mietiture, e sembrava di ricordare che il suo nome fosse Piper Mclean.

In quel momento quel particolare individuo aveva dunque tutti gli occhi puntati addosso.

Portava un lungo e semplice vestito verde, su cui si trovava una grande fiocco rosa posto all'altezza della schiena.

Il suo trucco rosato era leggerissimo e naturale, ed i lunghi capelli mossi erano circondati da una corona di piume e di foglie.

Era estremamente semplice, ma bellissima. I suoi criptici occhi assumevano varie sfumature e la folla ne sembrava ipnotizzata, nessuno poteva biasimarla.

Insieme a lei, nella biga, il suo banale compagno, un normale tipetto dai capelli scuri e dal fisico slanciato, sembrava inesistente.

Piper salutava in maniera felice e sorridente la folla, mandando baci e facendo il simbolo della pace con le dita.

Clarisse pensò che mai nella vita avrebbe fatto una cosa del genere.

Finalmente, dopo aver compiuto l'intero giro del perimetro con la loro delicata biga, i due tributi del primo distretto rientrarono nel palazzo, divenendo fuori portata per le riprese, sbucando nell'estremità nascosta “del palcoscenico”.

All'interno della postazione di Clarisse e Frank, un altoparlante fece partire un conto alla rovescia che li avvertiva sul momento in cui sarebbero dovuti andare.

Entrambi si immobilizzarono in pose studiate, raffigurando un atteggiamento idoneo a quello che gli era stato consigliato dai mentori.

Fu un attimo e Clarisse ritrovò tutti gli sguardi di milioni di persone puntati addosso a lei.

Si sentiva estremamente piccola ed impotente, ma faceva di tutto per non darlo a vedere.

Mostrò un espressione aggressiva e combattiva, mentre sentiva le urla estasiate di alcuni dei suoi ammiratori che gridavano a gran voce il suo nome. Non salutò nessuno, ne tanto meno mandò baci, di tanto in tanto squadrò la folla con espressione di sfida e si mantenne prepotente.

Le luci delle impalcature, il bagliore del flash dei cellulari e delle telecamera, le impediva di riuscire a vedere bene cosa stesse succedendo attorno a lei.

Con la coda dell'occhio riuscì comunque a scorgere Frank, constatando rassicurata che anche lui stava evitando di fare una brutta figura, corrucciando lo sguardo in maniera abbastanza “minacciosa”, probabilmente aveva recepito il suo incoraggiamento e si stava impegnando al massimo.

In un attimo i cavalli neri terminarono il giro del piazzale, o meglio del colorato palcoscenico, e le cineprese smisero di seguire il loro tragitto.

Clarisse appena rientrò fu accolta dalla presentatrice e dai mentori che squillanti fecero ad entrambi i complimenti.

La ragazza era ancora estremamente rigida ed il suo cuore continuava a battere in maniera troppo rapida.

Scese dalla biga staticamente, ed appena poggiò nuovamente i piedi a terra si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo appena udibile.

Alzando lo sguardo vide in quel piccolo televisore, la sua sfilata che momentaneamente stavano trasmettendo a ripetizione su tutti i canali attivi. In linea di massima ne rimase soddisfatta.

La Clarisse che in quel momento veniva mostrata ripetutamente sugli schermi di tutte le regioni, era forte e decisa, pareva una vera e propria campionessa. E lei pensò che infine, non le rimaneva altro che smetterla di sembrarlo e basta.

Lei doveva vincere, molti avevano riposto totale fiducia in lei, ed era per questo e per molti altri motivi personali che doveva diventare seriamente la fiera e tenace vincitrice che appariva nel teleschermo, si promise che ci sarebbe riuscita, l'avrebbe fatto anche a costo di attuare un massacro.

 

   
 
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