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Autore: slanif    01/08/2015    6 recensioni
GenzoKarl
Casa.
Per Genzo “casa” era sempre stato un concetto molto labile.
Per anni, per Genzo la parola “casa” aveva significato solo e soltanto solitudine.
Ma adesso quella parola, “casa”, aveva tutto un altro significato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io Ci Sarò'
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Questa fan fiction è una side-story della mia fan fiction a capitoli “Io Ci Sarò”. Si può leggere tranquillamente anche senza aver letto quella, ma vi faccio chiari riferimenti ad alcuni capitoli dell’altra (gli ultimi), perciò se un passaggio o due non vi sono chiarissimi, è normale. Anche se comunque sono seriamente convinta che si possa leggere tranquillamente anche da sola.
Buona lettura!
 
 
 
 
*
 
 
 
 
Casa
di slanif
 
 
 
 
Casa.
 
Per Genzo “casa” era sempre stato un concetto molto labile.
 
Aveva una casa, in Giappone, una gigantesca villa con giardino in cui non mancava assolutamente niente. Avevo un suo campo privato per giocare, tutti gli attrezzi che gli servivano, un mister personale, una camera da letto e una di svago, schiere di cameriere sempre pronti a soddisfare ogni sua necessità o capriccio. Una casa dove i suoi genitori non c’erano mai e dove quando c’erano erano troppo impegnati in cocktail e serate di beneficienza per accorgersi di lui.
 
Aveva una casa, a Brema, una piccola villa a due piani dove viveva da solo. All’inizio aveva vissuto con Mister Mikami, ma col tempo era stato in grado di cavarsela da solo in tutto ed era stato molto meglio. Nessuno tra i piedi, aveva la possibilità di fare tutto quello che voleva. Anche se aveva sbagliato a fare la lavatrice più di una volta tingendo tutto di rosa, o di blu, o di verde, o Dio solo sa di che altro colore, rendendo il suo abbigliamento intimo piuttosto imbarazzante, mai e poi mai avrebbe rivoluto indietro le cameriere pronte a toccare i suoi boxer sporchi e a lavarglieli e stirarglieli. Preferiva averli rosa fragola o giallo limone, piuttosto.
 
Aveva una casa in campo, ovunque fosse, che comprendeva tre tubi di metallo saldati tra di loro e verniciati di bianco, una rete del medesimo colore e un tappeto d’erba verde e precisa, tagliata bassissima. Quest’ultima, per tanti anni, era stata la casa che più aveva sentito sua, che più aveva amato. Una casa che non metteva niente e nessuno prima di lui, che lo abbracciava e circondava così come le sue braccia stringevano il pallone da calcio al petto ogni qualvolta qualcuno tentava di violare la sua casa senza essere invitato.
 
“Casa” per lui, per tanti e tanti anni, aveva significato semplicemente quattro mura dove tornare a mangiare e dormire. Quattro mura che, anche se piene di gente, erano più vuote che mai. In Germania aveva notato meno la solitudine devastante che si prova ad essere soli anche in mezzo alla gente, ma in Giappone quella sensazione era opprimente. Per anni e anni era stato chiuso nella sua gigantesca villa di Nankatsu a osservare gente vestita tutta uguale che si muoveva a destra e sinistra, saliva e scendeva scale, preparava da mangiare e puliva incessantemente. Gente che si susseguiva negli anni, che cambiava e si trasferiva, lasciando il proprio posto a qualcun altro.
 
Per anni, per Genzo la parola “casa” aveva significato solo e soltanto solitudine.
 
Ma adesso quella parola, “casa”, aveva tutto un altro significato.
 
“Casa” adesso erano sempre quattro mura, ma racchiudevano un perimetro piccolo, di appena tre stanze. Confrontata alla villa in Giappone e alla sua villetta a Brema quel luogo avrebbe dovuto apparirgli soffocante, ma la realtà è che mai prima d’ora si era sentito libero come nella sua casa di Monaco.
 
Nella loro casa di Monaco.
 
In quel piccolo appartamento con cucina a vista sul soggiorno, bagno e camera che condivideva con Karl; che da quel momento in poi avrebbe condiviso con l’amore della sua vita, con quel ghiacciolo umano che con tanta fatica aveva tenuto con sé. Con quell’egocentrico bastardo che lo faceva imbestialire come mai nessun altro ci riusciva, nemmeno Hyuga; che lo stimolava mentalmente e fisicamente; che gli regalava sempre sfide nuove; che gli riempiva il cuore di un amore che mai avrebbe immaginato di poter provare; che lo amava come mai credeva di poter essere amato.
 
Perché se c’era una cosa che Genzo adesso capiva, vivendo in quella casa, era che non importa quanto grande è lo spazio, quanta gente hai intorno, quanta servitù hai a disposizione: “casa” è dove si trova il tuo cuore. Dove desideri tornare la sera, dopo una giornata fuori; o dopo un viaggio.
 
“Casa” erano due braccia forti, un petto caldo, pelle lattea, capelli biondi e occhi azzurri come il cielo.
 
Casa”, semplicemente, era Karl.
 
 
 
 
FINE

   
 
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