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Autore: effe_95    04/08/2015    6 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
21. Do ut des, Non ci cascherò e Phon.

Dicembre
 
<< Su, consegnate, il tempo è scaduto! >>
La voce della professoressa d’inglese, Camilla Sanna, riecheggiò come una condanna a morte. Un brusio di disapprovazione si diffuse per tutta la classe, mentre le penne vagavano ancora frettolosamente sui fogli alla ricerca degli errori o delle ultime risposte da poter appuntare. << Insomma! Ho detto di consegnare! >> Strillò ancora una volta la professoressa aggirandosi per i banchi come un avvoltoio, Gabriele si vide strappare malamente il foglio dal banco e imprecò gettando la penna nella cartella con foga.
<< Brutta strega! >> Aleksej lo sentì brontolare e alzò gli occhi al cielo, mentre preparava a sua volta la cartella. << Una volta tanto che avevo risposto a quasi tutte le domande! >> Continuò a brontolare Gabriele lanciando occhiate di fuoco alla professoressa, che stava sbraitando e sputacchiando contro Zosimo perché aveva firmato il compito con una faccina.
<< Hai risposto in inglese, vero? >> Gli domandò Aleksej distrattamente, mentre sistemava meticolosamente il suo banco accanto a quello del cugino, Gabriele gli lanciò un’occhiataccia e lo spintonò leggermente sulla spalla.
<< No, in giapponese! >> Commentò acido, Aleksej alzò ancora una volta gli occhi al cielo, riponendo la sedia << Andiamo a casa dai, ho fame! >>.
Gabriele era davvero di pessimo umore, perché lo aspettava con le braccia incrociate e un sopracciglio sollevato.
<< Oggi non vengo, vado a mangiare con Miki da qualche parte >> Gabriele sollevò maggiormente il sopracciglio quando sentì quelle parole, Aleksej deglutì vistosamente, perché sentiva in ogni fibra del suo corpo che Gabriele l’avrebbe rimproverato, e infatti …
<< Avresti anche potuto dirmelo prima, sai?! >>
<< Non gridare! >> Strepitò Aleksej raggiungendo la porta, Miki se ne stava appoggiata al muro e lo aspettava, era distratta e giocherellava con la zip della borsa, così non si accorse dell’occhiataccia che le lanciò Gabriele. << Ah, Ivan ti sta aspettando giù. Portalo a casa >>
Gabriele avrebbe cacciato il fumo dalle orecchie se avesse potuto, guardò Aleksej e Miki allontanarsi e incrociò le braccia al petto imbronciato.
<< E io faccio il fattorino! >> Commentò acido issandosi la cartella sulla spalla, infilò le mani nelle tasche del jeans e scese le scale di pessimo umore, proprio quando mise piede al piano terra, il cellulare prese a vibrare freneticamente nella giacca annunciando l’arrivo di un messaggio. Gabriele lo sfilò dalla tasca sbuffando sonoramente, mentre un chiasso forsennato riecheggiava nella sala invasa dagli altri studenti che lasciavano l’edificio.
Ehi, Gab, non so se Alješa ti ha detto che venivo via con te, ma non ce n'è più bisogno. La professoressa di matematica si è sentita male e siano usciti un’ora prima, sono già a casa.”
Il messaggio era di suo cugino Ivan, il secondo fratello di Aleksej, Gabriele replicò con un esaustivo “ok”, e riposto il cellulare prese a camminare in direzione del parcheggio.
Quel giorno gli sarebbe toccato tornare da solo, perché anche sua sorella Alessandra non era andata a scuola a causa di una febbre improvvisa. Gettò malamente la cartella semivuota sul sedile posteriore e infilò le chiavi per accendere la macchina, stava per metterla in moto quando la portiera accanto a lui si spalancò improvvisamente e l’abitacolo fu invaso dal familiare profumo di cocco.
<< Sei solo oggi? Perfetto, così puoi riaccompagnarmi a casa >>
La voce roca e allegra di Katerina riempì il silenzio come una bomba a mano gettata all’improvviso in un campo deserto, Gabriele la guardò allucinato, come se fosse una visione raccapricciante, e il pessimo umore in cui si trovava non migliorava affatto le cose.
<< Buongiorno anche a te! >> Replicò sarcastico, mettendo finalmente in accensione la macchina. << Che ci fai qui? Tuo fratello Jurij? >>. Domandò mentre faceva retromarcia con poca grazia, rischiando più volte di graffiare l’auto parcheggiata accanto alla sua.
Katerina si strinse più forte il piccolo codino finale della treccia e tolse il cappello di lana che aveva portato fino a un attimo prima, nel momento di silenzio che si venne a creare, le catene attaccate alle ruote stridettero prepotentemente.
<< E’ anche lui a casa con la febbre a quaranta, credo che Jurij e Alessandra si siano mischiati di brutto >> Raccontò lei sfilandosi i guanti e riponendoli nella borsa, mentre Gabriele faceva partire i tergicristalli per spazzare via lo strato di neve e accendeva contemporaneamente l’aria calda affinché scaldasse l’abitacolo gelato.
<< E perché io e te non ci siamo mischiati? Mi sarei risparmiato uno schifo di compito d’inglese! >> Brontolò lui svoltando a destra di una strada trafficata, Katerina gli lanciò uno sguardo esasperato e poi si protese in avanti per accendere la radio.
<< Che fai?! Mi da fastidio, spegni quell’affare! >> Gabriele era davvero di pessimo umore, scostò malamente la mano di Katerina e chiuse l’apparecchio, che aveva appena cominciato a trasmettere una canzone dei Muse.
<< Oggi sei peggio del solito, sai? >> Lo rimbeccò Katerina, incrociando le braccia al petto e calciando con malagrazia la tracolla della cartella, che le era scivolata sugli stivali quando Gabriele aveva frenato senza preavviso.
<< Che significa “peggio del solito”? >> Gabriele le lanciò uno sguardo truce mentre se ne stavano bloccati in un piccolo ingorgo, che non aveva fatto altro che innervosirlo ancora di più. Katerina allungò una mano nel tentativo di aggiustargli un ciuffo di capelli ribelli che gli era scivolato sulla fronte, ma lui la scaccio malamente ancora una volta.
<< Che sei davvero insopportabile! >> Mormorò lei sospirando pesantemente << Ma io ti amo lo stesso >> Katerina concluse la frase proprio quando Gabriele stava per strepitarle contro, così si zittì con la bocca spalancata e un dito sollevato.
Qualcuno dietro di lui bussò più volte con il clacson, Gabriele riportò lo sguardo sulla strada e notò che il traffico si era mosso di parecchi metri.
<< A volte mi chiedo davvero come tu faccia ad amarmi >>  
Commentò il ragazzo dopo qualche minuto di silenzio, diede un’occhiata veloce all’incrocio e svoltò a sinistra, esattamente sotto il palazzo dove abitava Katerina.
Gabriele spense velocemente la macchina, lasciando acceso solo il riscaldamento affinché li tenesse al caldo ancora per un po’, Katerina guardò distrattamente il portone del condominio attraverso il vetro condensato e macchiato di neve, allungò la mano verso la cartella per raccoglierla e in quel momento il braccialetto tintinnò.
Gabriele seguì il movimento del suo braccio e lo notò, provando un prepotente fastidio alla bocca dello stomaco, Katerina aveva già infilato il cappello e i guanti quando lui si allungò verso il cruscotto e lo spalancò frettolosamente.
<< Aspetta un attimo Katja, prima di scendere >> Katerina rimase leggermente sorpresa dall’utilizzo del diminutivo, solitamente in famiglia tutti la chiamavano in quel modo, ma Gabriele non lo faceva mai, probabilmente per tenere le distanze. << Ecco … lo so che il tuo compleanno è a Febbraio, mancano ancora due mesi ma … tieni! >>.
Incespicò un po’ con le parole mentre le porgeva un piccolo pacchetto rettangolare, Katerina lo prese con le sopracciglia aggrottate e un’aria perplessa stampata sul volto struccato.
Gabriele non la stava guardando, si era appoggiato con le braccia sullo sterzo e scrutava la strada con fare distratto, gli occhi verdi persi sul marciapiede.
Katerina scartò velocemente il pacchetto, liberandolo dal laccetto raffinato che richiudeva la scatola, sollevò cautamente il coperchio e i suoi occhi grigi si imbatterono in un braccialetto d’argento, sul quale era finemente ricamata una scritta in oro: “Do ut des “.
<< “Do affinché tu mi dia …” >> Mormorò Katerina sfilando il braccialetto per studiarlo da vicino, Gabriele percepì una vibrazione particolare nella voce roca della ragazza.
<< Sai, quando l’ho visto ho pensato immediatamente a te >> Cominciò a raccontare Gabriele, rivolgendole nuovamente lo sguardo << Tu sei quel “do”, mentre io sono il “ des”.
Perché tu mi dai sempre tutto … mentre io sono un ingrato, e spesso dimentico di farlo. >> Gabriele distolse nuovamente lo sguardo quando Katerina si affrettò ad asciugarsi gli occhi, a lei non piaceva piangere di fronte agli altri, lui lo sapeva. << E poi … >> Continuò, afferrandole il polso per liberarlo dall’altro regalo indesiderato << Preferisco che tu metta questo, perché te l’ho regalato io … e non mi importa se lo vedono gli altri. >>.
Gabriele smise di parlare e contemporaneamente di allacciarle il suo regalo al polso, sostituendo quel braccialetto vecchio di cuoio del quale era stato geloso fino ad un momento prima. << Ecco, questo ti sta molto meglio >> Ribatté infine regalandole un caldo sorriso con le fossette agli angoli delle labbra, Katerina rimirò più volte il braccialetto, le guance arrossate e gli occhi ancora lucidi per il pianto silenzioso e veloce.
<< Ti sarà costato una fortuna! >> Replicò con voce tremante, sfiorandolo con le dita. Gabriele nascose nuovamente la faccia tra le braccia sullo sterzo, lasciando visibili solamente gli occhi, la voce gli uscì soffocata quando rispose.
<< Dovrò fare la fame per un po’ >> Katerina rise lievemente, con gli occhi ancora lucidi e la punta del naso arrossata.
<< E’ per questo che ti amo >> Sorrise della sorpresa nello sguardo di Gabriele, mentre rispondeva finalmente alla domanda che lui le aveva posto pochi minuti prima.
Gabriele sospirò e le prese delicatamente una mano, incrociando le loro dita.
<< Cercherò di diventare io quel “do” … vuoi? >>
<< Si, con tutto il cuore >>
 
<< … O mio amore, mia sposa! La morte, che ha già succhiato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezza. >> Beatrice sentiva il cuore scoppiarle freneticamente nel petto mentre aveva gli occhi chiusi e se ne stava stesa metà sul pavimento del palco, metà tra le braccia di Enea. << Ancora non sei vinta, e l’insegna di bellezza, sulle labbra e sul viso, è ancora rossa, e la pallida bandiera della morte su te non è distesa >> Nel pronunciare quelle parole, Enea le accarezzò le labbra con il dorso delle dita, come gli aveva suggerito di fare il professore Alessandro Romano, il loro insegnate di teatro, e la schiena di Beatrice fu percorsa da un lungo brivido. << Tu sei là, Tebaldo … >> La voce di Enea cambiò improvvisamente, facendosi più disperata, mentre puntava il braccio lì dove se ne stava steso Ivan, nei panni del cugino di Giulietta. << … nel sudario insanguinato, ma con la mano che t’uccise spezzerò la vita al tuo nemico, e sarà grande onore per te. Perdonami >> Le mani di Enea tornarono a poggiarsi nuovamente sul viso di Beatrice, che sussultò impercettibilmente. <<O amata Giulietta, perché sei così bella? >> Enea mise un carico tale di emozioni in quella frase, detta con un sarcasmo velato di tristezza, che Beatrice si commosse << Ti ama forse la morte senza corpo? L’odioso, squallido mostro ti tiene qui nell’ombra come amante? Questo io temo, e resterò con te, per sempre, chiuso nella profonda notte. >> Enea si lasciò sfuggire un singhiozzo strozzato, come se stesse trattenendo il pianto, manifestato solo tramite la sua voce, Beatrice avrebbe tanto voluto aprire gli occhi per poterlo guardare. << Qui voglio restare, qui, coi vermi, i tuoi fedeli; avrò qui risposo eterno, e scuoterò dalla carne, stanca del mondo, ogni potenza di stelle maligne. >> Beatrice fu catturata da una stretta ferrea allo stomaco quando Enea si lasciò scappare una risata disperata, accarezzandole ancora una volta la guancia. Nella voce del ragazzo c’era rassegnazione, una forte rassegnazione. << Occhi, guardatela un’ultima volta, braccia, stringetela nell’ultimo abbraccio … >> Beatrice si sentì sollevare da terra, rimase immobile, con il corpo inerte, proprio come le aveva detto il professore, Enea la strinse ancora di più tra le sue braccia, regalandole il calore che proveniva dal suo corpo. << … o labbra, voi, porta del respiro, con un bacio puro suggellate un patto senza tempo con la morte che porta via ogni cosa. Vieni, amara guida, vieni, scorta ripugnante. E tu, pilota disperato, avventa veloce su gli scogli la tua triste barca stanca del mare. Eccomi, o amore! >> Beatrice percepì dei movimenti frenetici al suo fianco, segno che Enea stava prendendo la fialetta di veleno per berla, la stretta che sentiva allo stomaco si rafforzò maggiormente, era ansia, ansia per l’imminente morte di Romeo. << O fedele mercante, i tuoi veleni sono rapidi … >> La voce di Enea si fece più tenue, derisoria, Beatrice immaginò un sorriso beffardo delinearsi sulle sue labbra, poi lo sentì accasciarsi leggermente su di lei, con calma << … io muoio con un bacio … >>
Beatrice trattenne il respiro quando sentì le labbra di Enea sfiorargli la parte sinistra della bocca, e poi appoggiare la testa sul suo petto. Le lacrime le premevano gli occhi, sapeva che di lì a poco sarebbero entrati Oscar e Fiorenza nei panni di Frate Lorenzo e Baldassarre, che avrebbero recitato le loro battute e poi sarebbe arrivato il suo turno, la sua parte che in realtà avrebbe dovuto cantare, ma il professore interruppe tutto quello prima che cominciasse.
<< E … stop! >> Enea si tirò velocemente su e Beatrice spalancò immediatamente gli occhi, mettendosi seduta, aveva la cornea ancora arrossata e notò Oscar e Fiorenza bloccati sulla soglia delle quinte, sorpresi dall’interruzione come lo era lei. << E’ stato fantastico Enea, grandioso! >> Replicò entusiasta Alessandro Romano, guardando gli altri dietro le quinte, Beatrice notò che Catena si stava asciugando frettolosamente le guance bagnate di lacrime.
<< Non completiamo la scena? >> Domandò Ivan alzandosi a sua volta da terra, il professore lanciò uno sguardo veloce all’orologio da polso e lo mostrò ai suoi allievi, anche se era praticamente impossibile capirne l’ora dal palco.
<< Sono già le 18:00, e abbiamo sforato anche oggi di mezz’ora. Continueremo martedì prossimo >>.
Il professore lasciò frettolosamente il teatro, che andò svuotandosi lentamente, Beatrice era ancora agitata e turbata quando Enea le si avvicinò, già pronto con il giubbotto pesante e la cartella a tracolla, cartella che Beatrice stava risistemando per infilare il copione senza stropicciarlo troppo o rompere qualche post-it.
<< Sei stato bravo oggi >> Replicò prima che lui potesse aprir bocca, lottando freneticamente con l’immenso libro di letteratura italiana che non voleva saperne di uscire fuori. Enea allungò una mano e l’aiutò nell’impresa.
<< E tu ti sei emozionata, me ne sono accorto >> Commentò lui con fare divertito, Beatrice si sentì immediatamente piccata da quelle parole, perché dicevano la verità, gli strappò malamente e con poca grazia il libro dalle mani e lo fulminò con lo sguardo.
<< Non è assolutamente vero! >> Ribatté contrariata, conficcando con malagrazia il quaderno di fisica tra quello di greco e il copione, Enea rise al suo fianco.
<< Di la verità, è perché ti ho toccato le labbra quando mi sono chinato >> Beatrice diventò bordò nel sentire quelle parole pronunciate con malizia, ma sperò che i capelli le coprissero abbastanza la faccia perché lui non se ne accorgesse.
<< Che presuntuoso >> Digrignò tra i denti, mentre chiudeva con foga la cerniera della cartella e prendeva la giacca per infilarla, una buona scusa per voltargli le spalle.
<< La prossima volta te lo do sulle labbra come si deve, va bene? >> Continuò a provocarla lui, sempre ridacchiando, Beatrice infilò con fretta i guanti e poi si voltò indignata.
<< Non ci provare nemmeno! >> Il suo tono di voce fu eccessivamente elevato, Enea sollevò le braccia come per difendersi, ma sul suo viso era ancora dipinto il sorriso sarcastico e ironico che Beatrice aveva conosciuto dalla prima volta che ci aveva parlato.
<< Va bene, va bene. Ci vediamo domani a scuola … ah, e poi domani sera vengo da te. Devi provare la canzone >> Enea non le lasciò nemmeno il tempo di rispondere che sollevò una mano per salutarla e se ne andò, piantandola da sola mentre si preparava.
Beatrice brontolò per tutto il tempo restante che impiegò per prepararsi, fino a quando non le si avvicinarono Italia e Catena, già pronte e con le borse a tracolla.
<< Cosa voleva Enea da te? >> Le domandò Italia, con lo sguardo ancora puntato sulla porta dove poco prima era sparito il ragazzo.
<< Rompermi le scatole come sempre! >> Replicò secca e stizzita Beatrice.
Italia e Catena si lanciarono uno sguardo veloce senza che lei se ne accorgesse, era troppo impegnata a brontolare per farci caso.
Quando anche Beatrice ebbe finito di prepararsi, le ragazze si affrettarono a lasciare a loro volta il teatro, fuori era già buio e l’aria gelida non faceva altro che peggiorare le cose, il respiro usciva condensato e tutte e tre si strinsero forte nei cappotti, cercando di non scivolare sul sottile strato di neve che accarezzava il cortile.
<< Vai a prendere la metropolitana? >> Domandò Italia a Beatrice quando ebbero raggiunto il cancello, avevano preso l’abitudine di fare un tratto di strada insieme, fino alla fermata della metro dove solitamente si separavano.
<< Oggi no, papà passa a prendermi >> Rispose distrattamente Beatrice, lanciando uno sguardo concentrato sul semaforo rosso, quasi come se volesse far scattare immediatamente il verde per attraversare.
<< Beh, sei stata alquanto fortunata, oggi fa veramente freddo per tornare a piedi >> Catena non faceva altro che strofinarsi freneticamente le mani, nonostante fossero ben protette in un paio di guanti di lana.
<< Posso darvi un passaggio? >> Si propose Beatrice, mentre tutte e tre attraversavano la strada perché il semaforo era tornato finalmente verde.
<< Oh, stasera Catena resta a dormire da me. E sai che non abito troppo lontano, non ce n’è bisogno grazie >> Si affrettò a commentare Italia non appena ebbero raggiunto il marciapiede opposto, quel giovedì sera la città era particolarmente viva, le macchine sfrecciavano per strada tra clacson e stridore di ruote, il marciapiede era illuminato dalle luci fosforescenti e variegate dei negozi ancora aperti, e innumerevoli voci diverse riempivano l’aria. << Sicure? Non mi costa nulla, tanto i compiti per domani me li sono anticipati mercoledì >> Rispose distrattamente Beatrice, mentre si scansava nel tentativo di non sbattere conto un gruppo di bambini che si erano fermati all’improvviso proprio di fronte a lei. << Siamo sicure, piuttosto … cosa succede tra te ed Enea? >> Beatrice rischiò seriamente di scivolare quando Italia le pose la domanda, mise in fallo un piede su un mucchietto di ghiaccio e perse l’equilibrio, se non ci fosse stato l’albero a cui aggrapparsi sarebbe capitombolata rovinosamente a terra. << Assolutamente nulla! >> Sbottò tirandosi velocemente su, Italia e Catena la guardarono sorprese per quella reazione così violenta.
<< Sei sicura? >> Le chiese Italia con sospetto, Beatrice spostò gli occhi con fare colpevole, erano quasi arrivate alla metropolitana e non vedeva l’ora di raggiungerla.
<< Si, e anche se fosse, non ci cascherò ancora una volta >> Beatrice sospirò pesantemente e poi sollevò una mano, richiamando qualcuno in lontananza << Oh, c’è mio padre. Allora ci vediamo domani ragazze, buona serata >> Italia e Catena non ebbero modo di replicare, perché non appena ebbe finito di parlare, Beatrice attraversò di corsa la strada e raggiunse l’auto del padre.
<< Che cosa avrà voluto dire? >> Chiese Catena, una volta che lei e Italia ebbero ripreso a camminare vero casa di quest’ultima.
<< Non ne ho la più pallida idea. >>
 
 
Muriel era stanca.
L’allenamento era durato più del solito ed erano già le sette di sera, doveva ancora fare i compiti per il giorno dopo e tutti i muscoli delle gambe le bruciavano senza pietà.
Si passò distrattamente un asciugamano sui capelli ancora bagnati e allacciò velocemente il reggiseno, le braccia imploravano pietà dopo tutti i tiri effettuati, ma Muriel andava piuttosto di fretta. Gettò malamente i vestiti sporchi nel borsone, infilò la maglietta al rovescio e si precipitò verso uno dei tanti phon appesi alla parete, decisa ad asciugarsi i capelli alla bell’e meglio. Aveva appena preso l’apparecchio quando sentì delle voci lungo il corridoio, si acciglio leggermente e rimase in silenzio, era l’ultima rimasta negli spogliatoi, non poteva essere nessuna delle sue compagne di squadra.
Si appiattì maggiormente contro il muro quando le voci si fecero più vicine.
<< Sei sicura di averlo dimenticato qui dentro? >>
Era la voce di una delle sue compagne di squadra, Luisa.
<< Si, l’avrò dimenticato nell’armadietto come al solito >>
Muriel riconobbe anche Maria, erano entrambe entrate negli spogliatoi, da lì non poteva vederle, ma le voci si erano fatte chiare e forti, erano accanto agli armadietti e Maria trafficava freneticamente con il suo cercando di aprirlo.
<< Comunque … finisci di raccontarmi quello che hai visto! >> Sbottò Luisa con voce trepidante, Muriel aggrottò le sopracciglia e si fece più attenta.
<< Beh, si baciavano con un certo ardore, sai! >> Commentò Maria maliziosa, frugando incessantemente all’interno dell’armadietto disordinato. << Ma dove s’è cacciato … >> Brontolò subito dopo, Muriel si sporse un po’ dall’angolino a muro dove si era nascosta e vide Luisa aggrapparsi al braccio dell’amica con occhi avidi di pettegolezzi.
<< Tu dici che hanno … >>
<< Ah, questo non l’ho visto, ma se così non fosse ci manca davvero poco. Sembravano due sanguisughe, dovevi vederli! >> Maria richiuse bruscamente l’armadietto, contrariata per non aver trovato quello che stava cercando, Luisa sospirò rammaricata.
<< Che peccato che io sia arrivata con qualche minuto di ritardo dall’accaduto! >>
<< Beh, io scommetto che i coach finiscono a letto prima di una settimana >>
La risatina maliziosa di Luisa giunse ovattata alle orecchie di Muriel, Giasone e Livia si erano baciati? Si portò automaticamente le mani sulla bocca e scivolò lungo la parete, sentiva il cuore sparito dal petto, non poteva aver capito bene, non poteva, si stavano sbagliando.
Non aveva mai visto in quelle due settimane di allenamento nessun segnale che potesse far credere una cosa simile, ma dopotutto Livia e Giasone lasciavano la palestra insieme tutte le sere … Muriel soffocò a stento un singhiozzo e nascose la faccia sulle ginocchia.
<< Oh, ma tu guarda, era nella tasca del giubbotto >>
Il commentò di Maria giunse lontano, dalla porta.
<< Uffa Mary, mi hai fatto tornare indietro per nulla, sei … >>
Le loro voci si spensero in lontananza, Muriel asciugò frettolosamente gli occhi e si tirò in piedi, con mano tremante afferrò il phon e lo accese al massimo della potenza, in modo tale che i suoi singhiozzi si confondessero con quel rumore assordante.


__________________
Effe_95

Buongiorno a tutti.
Allora, per prima cosa devo dirvi che ultimamente le cose per me non stanno andando un granchè, sto affrontano un mucchio di problemi e dalla settimana prossima dovrò riprendere anche a studiare per la sessione autunnale, quindi vi chiedo scusa già da adesso se i prossimi capitoli saranno postati con incostanza, spero possiate capirmi.
Passando a questo capitolo, spero vi sia piaciuto.
Per l'ultima parte, quella su Giasone e Muriel, capisco perfettamente che possa risultare scioccante, ma ovviamente bisogna ancora vedere se Luisa e Maria hanno davvero visto bene ... 
E non aggiungo altro ;)
La parte di Enea e Beatrice, riporta chiaramente le battute originali di Romeo e Giulietta, le ho prese da una versione della Mondadori.
Grazie mille a tutti come sempre, sapere del vostro sostegno mi da la forza di andare avanti con questo progetto nonostante i miei problemi personali, alla prossima.
 
  
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