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Autore: Dira_    17/08/2015    10 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LV


 
 


My blood is singing with your voice, I want to pour it out
(Howl, Florence & The Machine)
 
 
 
9 Agosto 2028
Scozia, Hogsmeade.


 
James arrivò ad Hogsmeade quando ormai era troppo tardi.
Tardi. Tardi era una parola grossa, terribile, perché il Gufo speditogli da Neville parlava di una cosa che la sua testa non riusciva a processare.
Ben è stata rapita.
Quando la Metropolvere lo sputò nel camino di casa uscì senza preoccuparsi di inondare il salotto di cenere, cosa che normalmente gli sarebbe valsa una reprimenda da parte del compagno.
Ted era seduto sul divano, circondato da Neville, un paio di Tiratori Scelti che conosceva di vista e Flynn.
Non l’ha ammazzata?
Non era un mistero che la funzionaria non fosse più nelle sue grazie dopo aver cantato con Moscardo; questo lo preoccupò.
“Teddy…” Lo chiamò togliendosi il mantello dell’uniforme. “Cosa…?”
“Lo stiamo ancora interrogando agente Potter.” Lo fermò uno dei Tiratori, un certo Balfe, che ricordava gli stesse sull’anima dall’ultima festa di Natale del Dipartimento.
“Interrogando a proposito di cosa?” Lo apostrofò bellicoso, ignorando l’occhiata ammonitrice di Neville.
È che il suo professorino non parlava; si limitava a guardare un punto della libreria con ogni singolo muscolo del corpo contratto.
Ancora una domanda del cazzo e sbotta!
“Lasciate perdere, ci penso io adesso.” Scostò il Tiratore con una manata imperiosa e si frappose tra lui e il compagno. “Il caso passa nelle mani dell’Ufficio Auror.”
“Gli Auror si occupano di maghi oscuri agente Potter, e questo è un chiaro caso di rapimento di minore.” Sì, gli stava proprio sul gozzo. Doveva c’entrare qualche battuta stronza fatta a Malfuretto e una mezza rissa, se tutti i whiskey incendiari che aveva ingurgitato gli facevano ricordar bene.
Magari Ben è stata rapita da un mago oscuro allora.” Ribatté con la sua migliore faccia da schiaffi. Non si passava l’adolescenza a fare il bullo per poi scordarne le basi.
Balfe e collega si scambiarono un’occhiata irritata, ma non mossero obiezioni; non sembravano particolarmente ansiosi di gettarsi sul caso.
Una scomparsa di minore non è il genere di cosa che ti fa guadagnare una promozione. Cioè, se tutto va come deve …
In caso contrario, può andare un sacco male.
Si scrollò di dosso quel pensiero bastardo, perché Ben stava bene. “Ci penso io.” Ribadì e a giudicare dalle facce sollevate dei due, che si accomiatarono con un cenno della testa, forse non avrebbe dovuto neanche insistere così tanto.
Me l’avrebbero sbolognato comunque.
“Ma puoi farlo sul serio?” Si informò Flynn dopo che gli agenti, usciti di casa, si furono Smaterializzati con uno schiocco sonoro.
“Non proprio.” Le sorrise di rimando prima di rivolgere la sua completa attenzione al compagno. Questo in compenso evitava accuratamente di guardare nella sua direzione.
Pensa che sia colpa mia?
Dopotutto era stato lui a persuaderlo a portare la bambina alla festa del patrono. Aveva perorato la causa finché non era capitolato.
Suo malgrado, dietro la sua uniforme e tutta la sua sicurezza, sentì lo stomaco stringersi in una morsa.
“Ehi.” Si fece coraggio sedendosi accanto a lui. “Cos’è successo?”
“… è tutta colpa mia.” Parlava. Non tutto era perduto!
“Ma no, cosa…”
“Dovevo dar retta al mio istinto, lasciarla a casa. È bastato un secondo … un secondo e l’ho persa di vista.” Respirava piano, respiri controllati e James, che l’aveva visto perdere la calma più di chiunque altro al mondo – era un certificato di quanto lo amasse, in un certo senso – era consapevole che quello fosse il preludio di una vera e propria crisi di panico.
Ennò. No. Ho bisogno che sia lucido!
“Non è stata colpa tua.” Gli mise una mano sul braccio, stringendo la presa finché l’altro non si voltò a guardarlo, registrando la sua presenza per davvero stavolta. “Ti ricordi quando io, Albie e Lils eravamo piccoli? Mamma e papà ci perdevano in continuazione. Una volta Al è riuscito persino ad andare al San Mungo da solo, di notte!”
“… non è la stessa cosa. Benedetta non si è persa. È stata rapita.”
James lanciò un’occhiata a Neville e Flynn. Nelle espressioni dei due lesse del dubbio.
Non sanno se credergli o meno.
Io gli credo.
“Vulneraria?” Domandò.
“Chi altri!” Sbottò alzandosi in piedi. “Me l’ha giurata. Ha detto che sarebbe tornato … e l’ha fatto!”
“Sì, mi ricordo.” Convenne. “Però minacciare di fare qualcosa non è farlo sul serio … no, non sto dicendo che non ti credo.” Mise le mani avanti notando la sua espressione. “Ma quando ho fatto quella pantomima prima … dicevo la verità. È mio il caso adesso, e quindi devo seguire le prove.”
Cazzo, come sono diventato giudizioso.
Vedi, Teddy? Anche gli irriducibili crescono.
Peccato che il compagno in quel momento non pareva felice della sua prova di maturità. “Non ho bisogno di prove. Chi altro aveva motivo di portarla via?”
“Nessuno, ma prima di parlare di un rapimento dobbiamo ricordarci che Ben … è Ben.” Sospirò. “Non è esattamente un campioncino di ubbidienza.”
Il compagno si morse un labbro ma non gli si scagliò contro, dandogli della maledetta testa di bacchetta – un insulto evergreen nei suoi interrogatori. Già qualcosa. “James, me lo sento.” Mormorò. “Non so spiegarti perché … ma so che non se n’è andata di sua spontanea volontà. Che qualcuno l’ha obbligata a seguirlo o…” E si bloccò, l’espressione devastata.
L’aveva vista sulla faccia di troppi genitori per non riconoscerla.
Lo prese per le spalle. “La troveremo. Chiamo papà, faccio diramare un comunicato all’intero DALM, Tiratori e Auror congiunti.” La sparò grossa, ma era sicuro che suo padre avrebbe perlomeno preteso una squadra di ciascuna unità investigativa sul campo.
Minimo.
“Io organizzo una squadra di ricerca che batta la Foresta Proibita.” Si inserì Neville. “Con un po’ di fortuna non si sono allontanati … Vulneraria è un mago?”
“Non ne ho idea, ma sono sicuro che non abbia una bacchetta … o l’avrebbe usata per mettermi fuori gioco quando è venuto la prima volta.” Rispose Ted, meno contratto, più lucido. Più se stesso.
Ci stiamo dando da fare. È quello che ha bisogno di vedere.
James per la prima volta in quei minuti si permise di respirare.
Flynn si schiarì la voce. “Sentite, so che volete sputarmi in un occhio o roba del genere.” Lanciò un’occhiata cauta in direzione di Ted. “Per quanto vale, Vulneraria ha pisciato fuori dal vaso. Se volete, vi porto direttamente all’accampamento.”
James esitò; per quanto lo sguardo del compagno si fosse acceso e lui stesso fosse un fan dell’azione cotta-e-mangiata …
È un azzardo.
Entrare in un accampamento di Mannari, L’accampamento di Mannari della Gran Bretagna, non era una mossa furba; si sarebbero trovati circondati da persone che, se non erano maghi, avevano perlomeno la forza di una decina di Babbani incazzati.
E la cosa peggiore è che dovremo dire loro che il Grande Capo ha rapito una bambina.
“Aspettiamo le squadre.” Suggerì. Se la sua non fosse stata decimata dal maledetto Demiurgo avrebbe potuto far arrivare Malfuretto e gli altri in meno di cinque minuti.
Fottuto Demiurgo …
“Non abbiamo tempo.” Gli sembrava che i ruoli si fossero invertiti; Teddy Ragione&Sentimento era diventato James la testa calda.
E viceversa.
“Sì che ce l’abbiamo.” Insistette. “Se andiamo io e te cosa pensi potremmo fare? Saremo in due contro un’intera tribù di Mannari!”
“Abbiamo le bacchette, no?”
… cosa?
“Che cazzo stai dicendo?” Gli uscì di cuore. “Non possiamo andare lì a bacchette spianate e pretendere che ci consegnino Benedetta! Non sappiamo neppure se Vulneraria l’ha portata lì o … o se l’ha presa sul serio!”
“Non ti sto chiedendo il permesso, James.”
Cosa?!
“Dovresti invece, perché sono un ufficiale di polizia e quando ho preso il distintivo ho giurato di far rispettare la Legge Magica a tutti … te compreso!” Ignorò l’occhiata incredula dell’altro, perché sul serio, cos’aveva da stupirsi?
Sei tu che ti comporti da idiota!
“Ti stai comportando come un idiota.” Disse infatti. “Ben è stata rapita, ma puntare la bacchetta contro un branco di Mannari non la riporterà a casa! Ci metterà in un casino di guai invece!”
“James, so cosa…”
“No che non lo sai! Sei un professore!” Se avesse dovuto pestare in zucca del buonsenso al suo uomo l’avrebbe fatto.
Diavolo. È assurdo. Sentitemi parlare! Io che uso la parola buonsenso!
Ma doveva se l’altro pareva averlo smarrito del tutto. “Non hai la minima idea di quel che stai facendo da quando Vulneraria ha scoperto della pulce. Sei andato nel panico, e ci sei ancora!”
“Sto benissimo.” Replicò con una faccia che segnalava tutto il contrario.
James guardò Flynn, per segnalarle di levarsi dai piedi, e quando quella obbedì lo prese senza mezzi termini per la nuca, serrando le dita sui capelli. Ted, che aveva sempre risposto meglio alle sollecitazioni fisiche che ai lunghi discorsi, soffocò un gemito. “James, mi stai…”
“Non hai sbagliato niente.” Lo guardò dritto negli occhi, adesso di un blu tempestoso e instabile. “Vulneraria probabilmente osservava i vostri spostamenti da giorni. È un cacciatore, no?” Vedendo che lo seguiva proseguì. “Non c’era modo per evitare che la prendesse. Ben è sempre in giro, disobbedisce. E se avessi continuato a tenerla rinchiusa sarebbe scappata. Ho ragione?”
Ted si morse le labbra, distogliendo lo sguardo. “Ciò non toglie che fosse sotto la mia responsabilità…”
“E la mia.” Gli fece notare. “Chi è stato a romperti le palle finché non hai acconsentito a portarla fuori? Io. E Merlino solo sa quanto mi prenderei a Fatture in faccia per questo.” Avrebbe voluto accarezzarlo, ma non ne ebbe il coraggio.
Perché non sei l’unico con l’ansia da prestazione, Lupin.
“Se cerchi un colpevole guarda me.” Fece un sorriso storto perché gli riuscivano bene. “Sono io quello che combina casini, no?”
“Jamie…” Ted crollò. Non c’erano molte persone al mondo ad avere il privilegio di vederlo togliere i catenacci alle emozioni che teneva ben disciplinate con tazze di the e lunghi libri barbosi.
Lui era uno di quelli. Quindi lo abbracciò, stretto, serrando le dita sulle spalle scosse dai singhiozzi.
“La nostra bambina…” Fu tutto quello che gli sentì dire. E gli bastò.
La nostra.
La nostra, cazzo.
Non gli serviva più un anello per dimostrare a sé stesso che era capace di far parte di quella famiglia, di prendersene cura.
Glielo darò comunque, ma vabbeh.
Lo baciò sulle labbra, ed erano oltre i baci coreografici. I loro erano imperfetti e fuori luogo, data la situazione e per questo veri. “La ritroveremo e la stritolerai finché non ti darà un calcio per farti smettere, okay? Te lo prometto.”
Ted si asciugò le lacrime con il palmo della mano, una piccola smorfia a segnalare che no, non stava piangendo, era colpa della polvere. “Chiama Harry.” Mormorò. “Aspetto.”
 
****
 
Londra, Victoria Embankment.
Casa di Michel Zabini.

 
“Che ne pensi?”
Michel distolse lo sguardo dalla contemplazione assorta del muro di fronte a sé: era un muro interessante, trattandosi di quello della stanza della musica, e vi era addossata un’enorme libreria che esibiva antichi testi di musica per cui i melomani di tutto il mondo avrebbero fatto a pugni per dare anche solo una sbirciata.
Emil li aveva sfogliati molte volte, quindi non ne era più impressionato. Tanto che gli stava accanto, seduto sul divano con l’immancabile sigaretta alle labbra.
Ah, gli aveva anche fatto una domanda.
E una domanda prevede una risposta.
Tu che ne pensi?” Chiese invece, che era Michel Zabini e non poteva non far fede al suo nome, mettendo le mani avanti e dandosi il tempo per riflettere.
Il compagno sbuffò infastidito. “È tua nonna, mica la mia! L’offerta l’ha fatta a te!”
“Veramente l’ha fatta ad entrambi.” Gli fece notare sprofondando un po’ nel divano, una posa poco elegante, più simile a quella che avrebbe adottato uno scomposto adolescente riluttante.
Cioè il mio Emil.
Il quale fece spallucce. “Me l’ha chiesto per fare la carina, di sicuro.”
“Mia nonna non fa la carina.” Scosse la testa. “Ti ha chiesto di lavorare con lei perché ha dei progetti per te. Non è abituata a far beneficienza.”
“Ma se è il suo lavoro!”
“Organizzare raccolte fondi è un business, e mia nonna ha sempre avuto una singolare bravura nel far aprire i cordoni della borsa ai maghi che contano.” Ironizzò, perché Amara non era nata ricca, ma in un villaggio poverissimo del Congo francese e si era mossa nei salotti buoni fino a farlo dimenticare a tutti, sé stessa compresa.
Come io non sono riuscito mai a fare con papà.
Oh, il mio sangue sporco…
Una mano entrò nella sua visuale e per poco non se la trovò in faccia. “Emil!” Protestò.
“Se non la pianti di guardare struggente l’infinito ti prendo a schiaffi.” Notificò irritato. “… Ne vuoi parlare? Di ‘sta faccenda? ” Domandò poi scoccandogli un’occhiata attenta.
Già. Stiamo insieme solo da una manciata di giorni e già ci si ripresenta una nuova sfida.
Riusciremo mai ad avere una relazione senza svolte di trama?
Dubitava, ma forse andava bene così. Gli prese la mano, un po’ per calmarlo un po’ perché ne sentiva il bisogno lui. “Ne voglio parlare, ma temo di dover ancora digerire il fatto che abbia deciso di tornare nella mia vita.”
Emil annuì con l’aria di chi aveva capito. Gli strinse la mano di rimando e poi gli prese l’altra. “Ascolta …” Iniziò con piglio burbero che, aveva imparato, nascondeva sincera preoccupazione. “… qualunque cosa tu decida, stavolta cerca di essere felice. È tutto qui, alla fine. Fare quello che ti fa felice.”
Michel sorrise: aveva sentito quel discorso sulle bocche di alcuni dei suoi più cari amici. Lo aveva sentito pronunciare da Scorpius, che sin da bambino aveva rivolto un gigantesco dito medio a tutto ciò che ci si aspettava da lui. Quel tipo di coraggio non sarebbe mai stato il suo.
Il coraggio di Violet, che invece aveva abbandonato tutto per amore, forse era più nelle sue corde.
“Tu mi rendi felice, mon ange.” Rispose baciandogli quelle mani d’oro. “Se prenderò una decisione dovrai farne parte.”
In molti, molti sensi …
Emil esitò, senza ritrarsi, ma gli lesse negli occhi il fantasma della conversazione che aveva portato alla loro rottura. “Non sto dicendo che sarai responsabile della decisione che prenderò.” Lo rassicurò. “Solo che terrà conto anche di noi due.” Ci rifletté divertito. “Suono incredibilmente melenso, temo.”
“Da pazzi.” Sbuffò rilassandosi. “Però okay, maghetto, è come sei. Lo posso sopportare.”
“Per fortuna.” Lo baciò. Quei baci distratti, che non preludevano a nulla, gli erano ancora nuovi. Erano un linguaggio che per anni, causa sua principalmente, gli era stato precluso. A giudicare da come li accoglieva Emil, sempre con un po’ di sorpresa, doveva essere lo stesso per lui.
Merlino, siamo due novizi …
Era come giocare d’azzardo. Nessuna sicurezza, nessuna certezza di vittoria. Sembrava una cosa che avrebbe amato Loki.
Non certo io.
Eppure …
“Allora che facciamo?” Domandò Emil stravaccandosi, lui senza pudore, sul divano. “Tua nonna vorrà una risposta.”
Michel annuì; Amara era andata a riposare in albergo, ma sarebbe tornata nei prossimi giorni, e da come aveva illustrato loro i piani per il futuro avrebbe pretesto una risposta in tempi brevi.
Cercò di analizzare la situazione con pragmatismo.  “Si tratterebbe di farle da assistente personale … Nulla che non abbia già fatto al Ministero, ad essere onesti.” Rifletté. “Ma vorrebbe dire viaggiare molto, non avere mai fissa dimora…”
“E la cosa ti schifa?”
Michel ci rifletté: abbandonare l’Inghilterra, doveva aveva trascorso tutta la sua vita… Lasciare gli amici, la sicurezza di una Londra che conosceva come il fodero della sua bacchetta …
“No. Credo che mi piacerebbe.” Si stupì lui stesso della risposta che gli uscì. Ma in fondo aveva senso: il suo sangue, quel sangue tanto disprezzato da suo padre, aveva i colori dell’Africa, della Francia, dell’Italia. Per quanto si fosse circondato di vestiti alla moda, oggetti costosi e colori, aveva sempre sofferto il grigio di cui pareva imbevuta quell’isola, la mentalità ristretta di molti dei suoi concittadini e il soffocante codice di condotta della nobiltà a cui sarebbe dovuto appartenere.
Emil sogghignò soddisfatto. “Sicuro di riuscire a reggere i ritmi di tua nonna? Quella mi sembra una bella zingara, etnia a parte.”
“Ho passato metà della mia infanzia a seguirla ovunque.” Gli ricordò. “L’unica cosa che mi mancherà saranno i miei amici…” Pensò ad Albus, a Loki, a Scorpius … a quella brigata sconclusionata che lo aveva mantenuto sano di mente e che non gli aveva permesso di rendersi una fotocopia infelice di suo padre.
Prima di Emil, c’erano stati loro.
La sua faccia dovette inconsapevolmente esprimere molto, perché venne abbracciato e trascinato steso sul divano. Quando voltò la testa, l’altro lo coinvolse in un bacio molto, molto consolante.
Quindi servono anche a questo i fidanzati …
Interessante.
“I tuoi amici non spariranno inghiottiti da una voragine. Saranno dove sono sempre stati, perché voi maghi non schiodate il culo da dove siete nati manco a riempirvi di Galeoni.” Gli fece notare. “Vuoi lavorare per tua nonna, sì o no?”
Chiuse gli occhi e annuì. “… e tu?” Li riaprì per guardarlo: poteva essere sicuro delle sue decisioni, ma non poteva dire altrettanto di quelle del compagno. Non aveva quella presunzione. “Tu vuoi lavorare per lei?”
 
Milo quando aveva lasciato il principino al suo destino – almeno dal punto di vista lavorativo, quello amicale era un altro paio di maniche – si era ripromesso che non avrebbe più permesso a nessuno di dargli ordini. Già quelli di Sören, che erano goffi come quelli di un anatroccolo dispotico, gli erano stati difficili da digerire …
Figuriamoci quelli di un altro cazzo di mago. No, basta maghi. Ho dato per questa vita e pure per un paio d’altre.
E poi era arrivata Amara Zabini. Che gli aveva promesso un lavoro come suo assistente, lo stesso di Michel, ma aveva alluso a tutt’altro.
Non vuoi tornare nel mondo da cui sei stato cacciato?
Cacciato a pedate, sottolineamo.
E anche Michel doveva aver letto tra le righe perché l’esitazione con cui lo stava guardando non parlava di un salario dato per prendere appuntamenti e organizzare venues per far alleggerire la coscienza a ricchi maghi sfaccendati.
 
“Potrei farti conoscere le persone giuste…”
“Le ho conosciute Madame, e se devo essere onesto non ci tengo a ritrovarmele tra i piedi.”
“Non ti manca la musica? Perché io lavoro con la musica, Milo. Ne sono costantemente circondata. Come potrei farne a meno, quando la amo così tanto?”

 
Già. Come puoi fare a meno di respirare?
Non puoi.
Per questo persino nei momenti più bui della sua vita aveva avuto un violino a fianco. Perché qualche volta aveva dimenticato di essere umano. Di essere un musicista?
Quello mai.
 
“Dovrei incontrare un sacco di facce di cazzo che avrei preferito non vedere mai più.” Osservò leggero, perché era l’unico tono che potesse usare per una conversazione così pesante. “Non credo proprio che il mondo dell’arte magica in Europa sia cambiato poi così tanto dall’ultima volta che ci ho messo piede …”
“Sei tu ad essere cambiato.” Michel gli sollevò il mento con due dita. Lo avrebbe morso se non l’avesse contemplato come la settima meraviglia del mondo.
Così mi smonti però, eh.
“Non sei più Emil Von Houten, non solo.” Continuò. “Sei Milo … e Milo non si farebbe mai abbattere dalle malelingue. Combatterebbe con le unghie e coi denti. Guarda in cosa mi ha trasformato, da mago razzista qual ero.”
“Dì la verità, vuoi solo bullarti di avere per ragazzo un musicista famoso.” Convenne mordendosi l’interno della guancia per non piangere, cazzo, non poteva piangere.
Michel fece spallucce. “Certo, anche.” Gli porse un fazzoletto, da bravo stronzo qual’era. “E poi mi è stato detto che la mia lingua è biforcuta come quella di un serpente. La peggiore malelingua di tutta Europa, come vedi, ce l’hai dalla tua parte.”
Milo a quel punto trovò che non ci fosse più niente da dire. Non serviva dirgli che sarebbe cascato nelle grinfie di Amara Zabini volontariamente.
Del resto era già caduto tra quelle del suo insopportabile, meraviglioso nipote.
Ormai era fottuto.
Manco in un letto si era sentito tanto contento.
 
****
 
 
Londra, Piccadilly Circus
The Royal Inn
 
“Lilian…”
“Sì?”
“Raccontami una storia.”
Era iniziato così il giorno in cui Sören avrebbe catturato John Doe, nell’operazione di polizia più demente della storia.
Lily aveva ribadito più volte cosa pensasse, così invece di chiedergli di scappare alle Bahamas e lasciar perdere redenzioni, conti da saldare, sfide all’ultimo sangue e quant’altro, gli era scivolata accanto, tra le coperte ancora calde di sonno, e bilanciando tra le gambe una tazza di the aveva cominciato.
Era brava a raccontare. Balle soprattutto, a sentire la sua famiglia, ma non era quello che Sören voleva sentire; poteva essere un cretino suicida, ma era un cretino suicida consapevole di marciare sparato verso i casini.
Sören voleva una storia per ricordarsi che c’era ancora qualcosa di buono nel mondo.
E chi era lei per negarglielo?  
Così gli aveva raccontato la storia dei suoi genitori, dei suoi zii, di quella generazione di giovani maghi che avevano combattuto per la libertà, ad ogni costo, con un conto salato da cui comunque, alla fine, erano riusciti a riprendersi. E a ricostruire. Era la cosa più vicina ad una fiaba che avesse mai ascoltato. Non c’era una morale forse, ma un continuo lieto fine ed era quello che l’altro aveva bisogno di ascoltare.
Quindi quella sera la passarono a letto sì, ma come due bambini, il sesso e il desiderio accantonati per il momento.
“Non dev’essere stato facile ricominciare.”  
“Non lo è stato, ma ci sono riusciti … io e miei fratelli siamo una bella testimonianza vivente.” Confermò con un sorriso. “La pace prima o poi arriva.”
“Non sei la prima persona che me lo dice.” Mormorò. “Sto provando a crederci.”
“E quale sarebbe l’alternativa?” Gli fece notare. “Vivere perennemente in trincea?”
Sören scosse la testa. “Dopo questo, ho chiuso con le trincee. Non con il mio lavoro, essere un agente mi piace…”
“Lo so.”
“Com’è riuscito tuo padre a bilanciare tutto?”
“Mio padre?” Domandò confusa. La testa del suo ragazzo era un labirinto con brusche svolte ad u. Bisognava imparare ad orientarsi o, nella maggior parte dei casi, farsi guidare dall’istinto. Così rispose senza pensarci troppo. “Papà ci prova. Non si può toglierlo dal suo lavoro, o meglio, dal lavoro sul campo. Ne soffrirebbe troppo. Da quello di scrivania invece non c’è problema, gli ha sempre fatto schifo.” Sbuffò divertita. Suo zio diceva sempre che l’ufficio del Capo Potter era più vuoto dello stomaco di un cane randagio.  
“E a tua madre sta bene?”
“Lo ama.” Scrollò le spalle. “Ha sempre saputo che tipo era, si conoscono da quando sono bambini.” Era ancora arrabbiata con il Salvatore di tutti meno che del suo ragazzo, ma doveva essere onesta. “È un brav’uomo. Torna sempre a casa alla fine della giornata, credo sia questo l’importante.”
“Per te lo è?”
“Importante?” Sospirò: avrebbe mentito se avesse detto che le assenze lavorative di suo padre non le erano pesate, specialmente prima e dopo Hogwarts.
Ma c’è la Tana …
Era cresciuta circondata da una frotta di parenti, nonni e cugini: non poteva dire che le fosse mancato l’affetto.
“C’era nei momenti importanti.” Si risolse a dire. “E ci vogliamo bene.”
Anche se al momento lo ricoprirei di Fatture Orcovolanti!
“Anch’io volevo bene a mio padre …e credo che anche lui ne volesse a me.” Se ne uscì, ed era quello il nocciolo del discorso? Poteva essere: non l’aveva mai sentito parlare di Elias Prince, fatto salvo qualche accenno. Comunque, da quei frammenti di conversazione, si era fatta un’idea su che tipo di mago fosse stato Prince Senior per il figlio.
L’unica influenza positiva della sua infanzia.
“Ne sono sicura.”
“Credi che una persona come me possa diventare padre?”
Sbam!
Lanciamo questa Bombarda Maxima e vediamo come reagisce la Rossa! Dai!

Lily sbatté le palpebre, completamente spiazzata. Solo dopo realizzò che non le era stato chiesto in qualità di ragazza  – con tutte le implicazioni ansiogene del caso. Sören stava rivolgendo quella domanda alla vecchia amica che era stata e che, sebbene in modo diverso, era ancora.
“… improvviso desiderio di paternità?” Si informò comunque cauta perché ugh, bambini proprio no, non in quel momento instabile e folle della loro vita!
Sören la guardò confuso, prima di realizzare la portata del ginepraio in cui si era infilato e impallidire. “Non intendevo dire … io e te … Non.” Inspirò brusco, il suo modo di andare in iperventilazione. “Non intendevo proporti di metter su famiglia!”
“Cosa di cui te ne sono molto grata.” Gli mise una mano sulla spalla, tirando un comico sospiro di sollievo per sciogliere la tensione. E anche per riprendere a respirare a dovere. “Era una considerazione oggettiva allora?”
“Esatto.” Si affrettò a confermare. “Sì, ho … ho cominciato a pensarci perché Dionis…”
“Sì, mi immagino.” Lo fermò divertita. “Sono padre, diventa padre anche tu, diventiamo papà assieme! Dion è uno che ama condividere la propria gioia, che ti piaccia o meno.”
Sören stiracchiò un sorrisetto. “Penso che abbia preso uno Snaso con il sottoscritto.”
Lily scosse la testa. “No, non credo. La penso come lui.”
“… perché?”
“Perché il fatto che tu ti faccia questa domanda già ti mette un gradino sopra tanti altri uomini, Babbani o maghi che siano.” E ne era convinta: Sören aveva ancora molta strada fare per diventare un bambino vero, ma, ironia a parte, aveva una sconfinata riserva d’amore da dare.
Ed ha passato troppo tempo a tenerla imbottigliata.
“Credimi, saresti un bravissimo papà.”
Il compagno distolse lo sguardo verso la finestra, fissandola con una tale intensità che probabilmente gli avrebbe dato fuoco se avesse avuto la bacchetta in mano. Rispettò il suo desiderio di non farsi vedere commosso. “Cos’è tutto questo pianificare il futuro comunque? Devo aspettarmi che tu vada dai Folletti e impegni una somma per una villetta a schiera a Kensington?” Lo prese in giro.
Si voltò per guardarla e okay, forse era meglio se guardava la finestra, perché per uno sguardo così era anche disposta a sfornare un paio di marmocchi. Gemelli, per giunta.
“È l’aria inglese.” Le rispose però a tono, tirandola a sé e sdraiandosi di nuovo tra le lenzuola; la loro fortezza momentanea. “I capelli rossi quanto sono ricorrenti nella tua famiglia?”
Lily decise di stare al gioco, perché solo con quel suo impossibile tedesco avrebbe potuto parlare di bambini senza farsi venire un improvviso desiderio di partire per paesi lontani. “Tranne i miei fratelli, Rosie e il ramo francese siamo inevitabilmente pel di carota, temo. Qualche problema?”
“Nessuno.” Le baciò la testa. “Spero anche nelle lentiggini.”
“Sì, sono decisamente io quella avventata e che corre troppo. Dovrebbero sentirti adesso!” Scosse la testa mentre l’altro ridacchiava. “Comunque scordatelo che lo chiamiamo con qualche orribile nome della tradizione Purosangue.”
“Sören è un bel nome.”
“Sì, ma qui diventa Severus. Hai idea di quanto abbiano preso in giro Al? E lo ha come secondo nome!”  
“Io pensavo ad Elias.” Disse serio. Gli brillavano ancora gli occhi di divertimento, e stavano giocando, pretendendo di dispiegare un futuro che era incerto come non mai, ma …
“Se è una bambina Eileen?” Gli servì su un piatto d’argento perché era scema.
O perché lo amava da morire, che era un po’ la stessa cosa.
“Non Molly o Ginevra?”
“Nah.” Fece spallucce. “La mia famiglia ha già esaurito i diritti sulla quota nomi dei prossimi discendenti. Tocca alla tua.”
Sören le prese il viso tra le mani e la baciò: e dal tono del bacio lo scherzo era finito da un pezzo.
Oh, beh. Anche se fosse. Non è che mi vedo con qualcun altro.
Ci mise un po’ a sentire battere alla porta. Sören no, perché si irrigidì di colpo.
Lily non pensò a staccarsi, perché se l’avesse fatto avrebbe gridato contro tutte le ingiustizie  che c’erano al mondo, riunite in due auror che erano venuti a prendere il suo uomo. Come un’idiota gli si aggrappò addosso, serrando gli occhi e rifiutando di mollare la presa.
Sören fu … Sören. Ricambiò l’abbraccio, accarezzandole la schiena come se avessero ancora tempo.
"Ti amo, Lily."
... oh, al diavolo. Al diavolo, al diavolo!
“Anch'io, brutto pezzo di scemo, ma piantala di fare il tedesco melodrammatico. Solo… torna, okay?” Sussurrò ad un punto imprecisato della sua clavicola, perché guardarlo in faccia era troppo. “Non andare in cerca di rese dei conti finali e roba del genere. Porta papà e le sue squadre fino John Doe, poi gira il culo e torna da me.”
Sören le prese il viso tra le mani. “Te lo prometto.” Si morse un labbro. “Te lo prometto, mia Lilian.” Ripeté, come se volesse convincersene lui per primo.
Probabilmente era così.
“Verrò a prenderti di persona se non ti riavrò nel mio letto nelle prossime settantadue ore. Lo farò.” Mantenere la voce ferma, pensare ad altro. Pensare a cose belle, come alla lunghissima vacanza a cui l’avrebbe obbligato una volta finito tutto.
Dove nessuno può raggiungerci. 
Neanche i guai.
Sören la sciolse dall’abbraccio; era un Occlumante migliore di quanto fosse un Legimante, ma doveva aver capito la serietà delle sue intenzioni. “Ne saresti capace.” Convenne infilandosi i pantaloni e la camicia. Fu pronto in un attimo, perché accidenti a lui, era uno di quei tipi nati pronti.
Quanto lo odio.
E quanto lo amo.
Si chinò a baciarle la fronte. “A domani liebchen.”
Non gli rispose, perché la sua capacità di battuta si arrestava lì, con lui che le dava le spalle e si chiudeva dietro la porta.
Si raggomitolò nel letto e morse il cuscino. Si sarebbe alzata, si sarebbe vestita e sarebbe andata al San Mungo a rendersi utile perché restare in attesa con le mani in mano l’avrebbe fatta impazzire.
L’avrebbe fatto, ma dopo.
 
 
 
 
****
 
 
Londra, Ministero.
Ufficio Auror.
 
C’era voluta tutta la sua forza d’animo, il suo rigore, il suo odio per Johannes per dare le spalle a Lily e seguire gli auror venuti a prenderlo.
Cinque anni prima dirle addio era stato difficile, soprattutto perché pensava che non l’avrebbe più rivista.
Lasciarla sapendo di essere atteso, di essere amato … era peggio. Molto peggio.
Sperava che tutto quello non trasparisse dalla sua espressione mentre varcava le porte dell’ufficio auror. Cercò con lo sguardo Potter e Scorpius, e li trovò entrambi alla propria scrivania condivisa. Stavano parlando a bassa voce, e Potter lanciava occhiate impazienti verso l’ufficio del padre. Accanto a loro Ama stava controllando qualcosa nei suoi appunti, probabilmente per dar loro privacy.
Li raggiunse. “Agenti…” Li apostrofò.
“Oh, Prince!” Scorpius, il campione di cortesia, stavolta sembrava aver dimenticato le buone maniere. Il cipiglio che esibiva era così incongruo, in quel volto di solito solare, che lo preoccupò.
È in ansia per l’operazione?
Potter in compenso gli lanciò un’occhiata … colpevole?
Colpevole?
“Prince, ascolta.” Aveva l’aria di avere i minuti contati, e la polvere che esibiva sul giubbotto faceva capire quanto.
Non si è neppure spazzolato, ed è una sorta di maniaco dell’apparir al meglio.
Come Lily.
Doveva smettere di pensare a Lily. “Ti ascolto.”
Potter gli lanciò un’occhiataccia mentre Scorpius, per ragioni a lui sconosciute, soffocava una risatina. “Benedetta è stata rapita.”
“La nipote del tuo compagno?” Ricordò. “Com’è successo?”
“Storia lunga, la sua famiglia la rivuole indietro con le buone o con le cattive. Siamo arrivati alle cattive purtroppo.”  
Fece due più due. “Non prenderai parte all’operazione.”
L’altro annuì, passandosi una mani tra i capelli e lanciando un’occhiata verso il partner. Scorpius gli batté una mano sulla spalla ritrovando il sorriso anche per l’altro. “Guai a casa. Anche se ce lo portassimo dietro non avrebbe la testa. E già di solito la lascia in Scozia tutte le mattine…”
“Ma va’ all’inferno!”
“Potter.” Lo richiamò all’ordine, perché come la sorella – dovevasmetterlasubito – aveva la capacità di distrarsi di un pre-scolare. “Non è un problema.”
Questo annuì con l’aria di ascoltarlo solo a metà. “Mi sostituirà il Sergente Stump, è in gamba. Quando ero ancora ad Hogwarts aveva già migliaia d’ore di servizio. Ti parerà le spalle.”
“Il punto è proprio che non lo faccia.” Gli ricordò, dato che tra meno di un paio d’ore avrebbe dovuto impersonare il ruolo di Giuda. “Come ti ho detto, per me va bene. Lo è per te?” Domandò: per come lo conosceva, James Potter era il tipo di agente che non si sarebbe fatto scappare per nulla al mondo la possibilità di combattere in prima linea, specie quando c’era la concreta possibilità di vincere la battaglia finale.
L’inglese inspirò bruscamente. No che non andava bene, era evidente.
Sören capiva cosa provava: per quel momento, quella possibilità di vittoria lui aveva lasciato l’amore della sua vita in una stanza ad aspettarlo.
Poi però scosse la testa, come a scacciare un pensiero. “La mia famiglia ha bisogno di me.” Tagliò corto. “Qui sono sostituibile, là no.”
È tutto qui alla fine, giusto? Il cuore prima del dovere.
Un tempo non avrebbe capito quella decisione; gli avrebbe del debole.
Non adesso.
Gli tese la mano. “Fa’ ciò che devi. Festeggerai con noi la vittoria.”
Potter lo guardò confuso per un attimo, prima di sorridere – Merlino, per fortuna non sorrideva come la sorella – e ricambiare la stretta. “Ci puoi contare Pipistrello. Sarò in prima fila con un Whiskey Incendiario in mano!”
“Non mi aspetto niente di meno.”
Per la prima volta nella loro lunga e, se poteva aggiungere, travagliata conoscenza, si scambiarono un sorriso sincero. Dalle parti di Scorpius arrivò un fischio ammirato. “Non si ha mai una macchina fotografica tra le mani, quando serve!” Finse di lamentarsi con Ama, che per tutta risposta lo ignorò. “Momento epico!” Aggiunse allegro.
“Vatti a fare un giro, Malfuretto.” Sbuffò Potter, di nuovo in modalità maschio alfa. “Piuttosto, ho bisogno di parlare con il grande capo, si può sapere quando…” Non finì la frase che l’interpellato scese le scale, seguito dall’immancabile Ron Weasley. Padre e figlio si scambiarono un’occhiata, e l’espressione seria dell’uomo si ammorbidì appena.
“Ho avvertito Zacharias, supporteranno le ricerche di Neville con una delle loro squadre. Tu puoi coordinarti con la squadra di Rothfuss. E tienimi informato. Chiamami se avrete bisogno, James. D’accordo?”
Il ragazzo annuì. “Grazie papà.” Diede un breve e sentito abbraccio al padre e si accomiatò allontanandosi verso la scrivania del caposquadra che gli era stato indicato.
Era difficile per un Potter rinunciare ad una resa dei conti, considerò Sören con un mezzo sorriso: in ogni singolo membro di quella genia aveva riscontrato un’incredibile voglia di fare la differenza.
Solo il richiamo della famiglia riesce a farli rinunciare.
Era un merito. “Bene.” Lo richiamò all’attenzione Harry Potter. “Siamo pronti?”  
“Sissignore.” Rispose.
 
****
 
 
Galles, Denbighshire.
 
Ted non era contento di come si stavano svolgendo le ricerche.
James glielo leggeva in faccia, nella postura con cui aveva accolto la squadra di Tiratori e i suoi colleghi: avrebbe voluto far da solo.
Da quando è diventato un vendicatore solitario?
Forse lo era sempre stato. Il compagno non era mai stato il tipo di mago che si trovava bene in un contesto di gruppo. Tranne al lavoro, quando doveva per forza o per amore interfacciarsi con colleghi e alunni, preferiva agire in solitudine.
Per fare entrare me nel suo processo decisionale ce n’è voluta. Figuriamoci gli altri.
Gli mise una mano sulla spalla mentre i Tiratori facevano radunare i Mannari vicino al focolare: erano gli auror ad entrare nelle capanne e perquisirle. Per quanto Flynn avesse spiegato la situazione all’anziano del branco, tal Moscardo, e continuasse a stargli accanto a mo’ di assicurazione che nulla sarebbe accaduto, il clima era teso.
Come la metti, non è una bella scena. Sembra una perquisizione.
Avrebbe potuto dare una mano ai colleghi ma preferiva rimanere accanto all’altro, al limitare dell’accampamento. Da come si mordeva le labbra doveva esser indeciso su cosa lo metteva più a disagio, dover far la parte del Mangiamorte o non poter andare in giro a rivoltar capanne alla ricerca di Ben.
“Ehi.” Lo apostrofò. “La troveranno.”
“Benedetta non è qui.” Ribatté. Sarebbe stato minaccioso se i capelli non avessero continuato a cambiare colore ad ogni soffio di vento.
È stressato.
“Ma non hai detto che l’aveva di sicuro portata qua?”
“Non intendevo l’accampamento. Stiamo perdendo tempo. Vedi Vulneraria o Ben da qualche parte forse?”
Oooh, okay, sarcasmo.
“No, ma non significa che siano su un aereo per la Svizzera.” Replicò sullo stesso tono. “Teddy, non stai aiutando.”
Per un attimo lo vide vacillare. “Scusami.” Mormorò distogliendo lo sguardo e puntandolo in mezzo agli alberi. “… so che non dovrei neppure essere qui.”
“No, infatti, partecipi alle ricerche solo perché il tuo ragazzo è un Potter molto speciale.” Fu contento di strappargli almeno un mezzo sorriso.  
“I ruoli si sono invertiti…”
Ah, se n’è accorto pure lui!
“Prima o poi doveva succedere, Professore. Tra poco sarò io a mettere i sottobicchieri in tavola.”
“Non spero tanto.” Stavolta sorrise più convinto. Immediatamente spento una volta che il Sergente dei Tiratori si avvicinò.
“Non è qui.” Esordì. “Le capanne sono pulite.”
“Quindi?” Chiese James.  
L’uomo fece una smorfia. Non era entusiasta di essere così vicino ad un branco di Mannari, per quanto ridotto a donne e bambini. “Sta per calare il sole e stasera è notte di luna piena. Non posso chiedere oltre ai miei uomini.”
“Neppure di fare il loro lavoro?”
“Teddy!” Niente di meglio che un’esplosione di passivo-aggressività per mettere le cose nella giusta prospettiva, no? James non gli tirò un pugno solo perché aveva ancora un anello in tasca che attendeva di essere consegnato.
Avremo dovuto essere in un ristorante da ricconi a giurarci eterno amore, non in mezzo ad una foresta umida con il rischio di essere sbranati!
Ma ehi, era James Sirius Potter: la sua vita era una continua sfida.
“Riprenderete le ricerche domattina?” Bloccò la protesta di Ted con un’occhiataccia che, miracolo, funzionò.
Devo ricordarmela. Così magari la uso quando comincia a fare lo spocchioso so-tutto-io.
“Affermativo.” Confermò questo facendo cenno ai suoi uomini di radunarsi. “Con la luce sarà più semplice perlustrare i boschi qui attorno.”
“Certo.” Annuì compito. “Grazie per la collaborazione. Ci vediamo domattina.”
Quando i Tiratori si furono Smaterializzati fu la volta degli auror. “Vuoi che rimaniamo James?” Domandò il Sergente. “Abbiamo ancora del tempo e il bastardo sarà di certo acquattato nei dintorni. Possiamo fare un ultimo tentativo.”
“No.” Scosse la testa. “Hanno ragione i Tiratori, riprendere le ricerche appena fa luce è l’unica cosa sensata da fare.”
Quando anche il secondo gruppo se ne fu andato si voltò verso il compagno, rimasto fino a quel momento in silenzio. Sorrise alla sua aria tempestosa. “Non credo che ci sarà bisogno di loro domattina. Stanotte Ben dormirà nel suo letto.”
“… li hai appena mandati via.” Osservò.
“Sì, ma noi rimaniamo.” Gli diede una pacca sulla spalla, avvicinandosi al vice capo branco.
“James, cos’hai intenzione di fare?”
Ah, ora ti torna la ragionevolezza?
“Fin’ora ho fatto la cosa giusta, tutte le procedure del caso. Ora basta. Non lascerò che la pulce passi la sua seconda trasformazione qui con un rapitore psicopatico del cazzo. In taglia Mannara per giunta.”
Ted lo fece fermare di colpo afferrandolo per una spalla. Aveva un’espressione così seria che per un attimo si preoccupò. “Ti amo, lo sai?” Disse invece.
James si impedì di gongolare come una scolaretta: forse dopo il matrimonio quell’istinto da decerebrato gli sarebbe passato.
O forse no.
“Perché stiamo per fare la stronzata pericolosa del secolo?”
Ted sospirò, una parte di lui ancora professorino giudizioso. Poi gli sorrise di nuovo, e il Plenilunio doveva entrarci qualcosa perché fu un sorriso ferino. “Perché ho il compagno che ho sempre desiderato accanto.”
La prossima volta che me lo dirai sarà con un anello al dito, cazzo.
Se lo tenne per sé però, perché era anticlimatico da morire dirlo ad alta voce e poi baciarlo a morte, visto il contesto. “E te ne sei accorto solo adesso?” Ironizzò invece prima di voltarsi verso Moscardo: non pareva un Mannaro, piuttosto un signore di mezza età fissato con la vita all’aria aperta.
Mai fidarsi delle apparenze. Neanche Teddy sembra quello che è.
Erano i geni Mannari, a regalare quell’aria da Dottor Jekyll e Mister Hyde? “Ho già detto quello che so agli agenti, ragazzo.”  
“Sapevi che era sua intenzione rapirla?” Gli domandò a bruciapelo.
“Non si tratta di rapimento se la cucciola è famiglia. Appartiene al branco.” Argomentò e James temette seriamente in un’esplosione da parte del compagno.
Perché tutti continuano a prendere a calci i suoi punti deboli?
“Benedetta non è una cosa.” Disse Ted, ed era il tono che faceva sprofondare decine di alunni in un silenzio tombale.
Posso testimoniarlo!
“È una bambina di cinque anni. È stata rapita da un posto che considerava casa ed è stata strappata da due persone che la amano. Tutto per cosa? Per avere una femmina nel branco?”
“Il branco deve sopravvivere e nessuno qui le farebbe del male.” L’uomo fece una smorfia. “Dite che l’amate, e vi credo. Ma è un Mannaro, come noi. Ora è piccola, docile. Ma quando crescerà? Sarete in grado di far fronte ai suoi bisogni? Per tuo padre è stata dura vivere tra due mondi. È stato trattato come un reietto, e così accadrà a Benedetta se la crescerete tra i maghi. Sarà temuta, detestata. Qui sarebbe capita.”
Cavolo …
Per quanto ottusamente fedele ad uno stronzo, il vecchio aveva le sue ragioni, e anche Ted dovette accorgersene perché non ebbe la forza di replicare.
Si sentì quindi in dovere di intervenire. “Non sta a Vulneraria decidere con chi deve vivere, ma al Ministero.”
Moscardo emise un basso ringhio gutturale. “Altri maghi! Decidete per noi da secoli, ci etichettate, ci mettete su un grosso libro e ci tenete rinchiusi in una riserva. Come potete prendere la decisione giusta se ci ritenete sbagliati?” Gli occhi ebbero un improvviso bagliore dorato. James guardò con ansia il sole sparire oltre le cime degli alberi. Era l’imbruinire.
“Okay, ora non facciamone un problema di classe…” Iniziò.
Ted lo fermò con un cenno di diniego. Lo vide rilassare la postura e non capì quell’improvvisa resa. Non subito almeno. “Io non vi ritengo sbagliati. Mio padre era un Mannaro, io sono un ibrido. Come potrei?” Interloquì pacato. “Ritengo sbagliato quello che ha fatto Vulneraria però. Se fosse stato un mago sarebbe stato lo stesso.”
Oh, okay … Sta cercando di portarlo dalla sua parte.
In effetti non era il caso di affrontarlo direttamente: era un anziano, ma era pur sempre un Mannaro. “Non voglio tagliarla fuori da un mondo a cui appartiene, Moscardo, in nessuno dei due casi. Voglio arrivare ad un accordo, ma non stasera. Stasera voglio solo portarla a casa. Ha saltato l’ultima dose di Antilupo, ed è sempre stata abituata a prenderla.”
“È con la sua famiglia, starà bene…” Ripeté l’uomo, ma per la prima volta non parve convinto delle sue ragioni.
“Lupin non ha tutti i torti.” Intervenne Flynn. “Se Benedetta non è abituata a diventare Mannaro senza Antilupo potrebbe diventare aggressiva. Verso sé stessa e verso Vulneraria. Ed essendo lui il capobranco, se non si sottomette potrebbe finire male.”
Cosa?
“In che senso?” Chiese con un orribile presentimento.
“Che ci saranno due lupi che lotteranno per essere l’alfa nello stesso territorio.”
Merda.
Si lanciò un’occhiata con Ted, che era impallidito.
A questo non avevamo pensato.
L’uomo si passò una mano sulla testa. Un sospiro segnalò un’apertura e James l’avrebbe baciato. “È andato al Picco della Vedova. Sono da soli, gli uomini sono a cacciare dall’altra parte della Foresta.”
“Finalmente una buona notizia!” Esclamò Flynn. “Sbrighiamoci. Una volta presa Ben dovremo filare via alla velocità di uno Schiantesimo.” Consultò il proprio orologio. “Il Plenilunio è tra meno di un’ora.”
 
 
Ted avrebbe voluto essere ignaro del mondo dei Mannari. Come un mago qualunque, che si limitava ad avere idee preconcette e una generale diffidenza per chiunque avesse gli occhi dorati dei lupi.
Sfortunatamente aveva passato buona parte dell’adolescenza a studiarli, tentando di capire il mondo che aveva segnato suo padre al punto da influenzare molte delle sue decisioni. Interessarsi alla Licantropia era stato un modo per sentirsi vicino ad un genitore che non aveva mai conosciuto, simile al desiderio di diventare auror come sua madre.
Mettersi nei panni dei genitori non aveva funzionato, ma studiare lo aveva reso informato, che forse era la cifra stessa del suo essere. Conoscere la natura delle cose e non esserci mai dentro completamente.
Ecco perché sono diventato professore …
Divagazioni a parte, stavano addentrandosi nel fitto di una foresta pullulata di Mannari e avendo sviscerato per anni ogni testo su di loro sapeva bene in che razza di guaio si fossero cacciati.
Flynn pareva condividere la sua preoccupazione. “Nella prime ore l’aggressività è minima.” Disse controllando con la coda la propria bacchetta, posata nel palmo della mano ed incantata con un Guidami. “La Luna deve essere completamente sorta perché la trasformazione sia completa … con annessi e connessi.” Concluse forse per tranquillizzare sé stessa, oltre che loro.
“Allora perché sto indossando questa roba schifosa?” Argomentò James, avvolto in un vecchio giubbotto che Moscardo gli aveva prestato. “Senza offesa per il vecchio, ma lavarlo ogni tanto?”
“Perché ti potrebbe salvare la vita.” Gli spiegò. “Ha l’odore di Moscardo.”
“… perché il branco sentisse il mio, da umano, sarei fottuto. Ricevuto.” Realizzò James, abbottonandoselo.
Non basterà se la Luna sarà al suo culmine.
Scacciò quel pensiero. “Allunghiamo il passo e bacchette alla mano.” Disse.
Il suo ragazzo batté le palpebre. “Okay, ma non dovremo arrivare ad usarla, giusto? Non con Ben!”
“Senza l’Antilupo non ho idea di come potrebbe reagire alla nostra presenza.”  
James borbottò un’imprecazione tra i denti, ma non ribatté.
Flynn gli si affiancò. “Sei sicuro di volerlo portare? Giubbotto o meno, il ragazzo puzza di umano lontano un miglio.”
Ted assentì. “È un auror addestrato, sa quello che fa. Se le cose prendessero una brutta piega avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile.”
Flynn annuì con un sorriso poco convinto. “Già … io e te non siamo granché come squadra di salvataggio, un professore e una funzionaria del Ministero.”
Le batté una pacca sulla spalla: l’aveva perdonata, considerando che stava rischiando la propria incolumità per riparare all’errore. “Non siamo solo questo, no?”
Con la luna sorta nel cielo, pallida e tonda, non lo erano. In mezzo ad una foresta, circondati da una miriade di odori, rumori che appartenevano ad un mondo antico, dove gli animali erano padroni, non potevano esserlo.
Ted respirò a pieni polmoni l’aria carica di eccitazione, sentendo il sangue ribollire nel petto, i muscoli guizzare involontari.
Benedetta doveva sentire quel richiamo atavico quanto e più di lui.
Non posso privarla di questo.
Moscardo aveva ragione, e alla luce del sole avrebbe cercato un accordo, per il bene di Ben e per non renderla come Remus, esule in due mondi.
Ma non stasera.
“Siamo arrivati.” L’Incantesimo Guidami si era esaurito, segnalando con una freccia bluastra uno sperone roccioso che si stagliava di fronte a loro, una volta diradati gli alberi. “Moscardo ha detto che questo è il territorio di caccia di Vulneraria.” Spiegò la funzionaria.
“Quindi sta cacciando qua attorno?” James aveva tirato fuori la bacchetta, mentre guardava lucido e attento la boscaglia di fronte a sé.
Flynn scosse la testa. “Il bosco è tranquillo, non ha iniziato. Se sta riposando in attesa che la trasformazione sia completa si sarà nascosto da qualche parte con Benedetta …”
“Una grotta.” Suggerì James indicando il picco. “La Cornovaglia è piena di grotte!”
“Andiamo.” Li spronò. “Troviamo Ben, le somministriamo l’Antilupo e la portiamo via.”
“E Vulneraria?” Interloquì Flynn. “No, perché trasformato sarà ancora meno ragionevole.”
Non sono venuto qui senza un piano.
O meglio, aveva le idee chiare. Era già qualcosa. “James ha lo Schiantesimo più potente che conosco.” Gli sorrise e fu ricambiato con un ghigno compiaciuto: a volte lusingare il primogenito dei Potter aveva risvolti positivi. “Voi tenete a bada Vulneraria, a Ben penserò io.”
Trovare la grotta fu facile. Ce n’era una abbastanza grossa proprio nel punto dove il picco si congiungeva ad un ammasso di rocce formando una sorta di terrazza naturale. Ted illuminò l’entrata con la bacchetta: carcasse di piccoli animali la disseminavano, come un tetro avvertimento per chi avesse intenzione di entrare.
È questa.
“Se entriamo qua dentro usciamo orizzontanti.” Intervenne James grave. Doveva aver visto qualcosa che a lui sfuggiva. Alla sua occhiata interrogativa spiegò. “Se usiamo un Lumos li avvertiamo della nostra presenza, se entriamo alla cieca loro ci vedranno comunque meglio di noi. In ogni caso, siamo fottuti.”
Già.
Si fidava della sua analisi. “Cosa proponi di fare allora?” Gli domandò.
“Stanarli.” Tagliò corto. “Sono come grossi lupi, no? Quindi avranno paura della cosa che più fa paura agli animali. Il fuoco. Accendiamo uno davanti all’entrata, e spingiamo il fumo dentro la grotta.” Fece una pausa intuendo la sua titubanza. “Non sarà pericoloso per la pulce, ma li farà uscire. A quel punto li separeremo.”
È un piano. È un buon piano.
Flynn la pensava come lui perché fischiò ammirata. “Abbiamo un vero Potter condottiero!”
James, come suo solito, aggiustò la postura per armonizzarla con l’idea che voleva dare di sé al resto del mondo. “Che vuoi farci, il sangue non è acqua!”
Gli diede uno schiaffetto sulla nuca perché tra i suoi tanti compiti, c’era anche quello di farlo tornare con i piedi per terra. “Potrai vantarti quanto vuoi, dopo.”
“Agli ordini!” Gli rispose con un sorriso da schiaffi. Fu poi tempo di tornare all’azione: trovare la legna fu semplice visto che ne erano circondati, meno lo fu accendere il fuoco dato che era una notte tersa, ma ventosa.
Sono questi i momenti in cui amo essere un mago.
La magia fece divampare le fiamme in poco tempo e poi, buttandovi sopra felci ancora verdi, si creò un compatto fumo grigio che indirizzarono all’interno della grotta.
La reazione non tardò ad arrivare, e fu violenta ed improvvisa. Due masse scure schizzarono fuori dalla caverna e Ted, che non era più il giovane allievo Auror di un tempo e soprattutto non aveva più la prontezza di riflessi che l’aveva tenuto all’erta per i suoi primi anni di insegnamento – non riuscì a reagire, rimanendo come un cervo di fronte ai fari di un automobile.
Ma non James, che senza esitare puntò una delle due macchie e lanciò lo Schiantesimo. Un lampo rosso e Vulneraria, la massa di pelo arruffato più grossa delle due, fu catapultato fuori dallo spiazzo di rocce, giù tra gli arbusti del bosco.
Ben!” Si voltò verso il mannaro più piccolo: Ben trasformata non differiva molto da un giovane lupo, a parte il muso più corto e la coda a ciuffi. Da adulta sarebbe diventata almeno il doppio.
Non me ne devo preoccupare adesso.
Perché da come gli stava mostrando i denti doveva tener l’attenzione ben focalizzata sul presente. “Benedetta, sono io … zio Teddy.” Nonostante le proteste soffocate di James rinfoderò la bacchetta e alzò le mani. Non c’era tempo per trasformarsi in un lupo, e in quella forma in ogni caso gli sarebbe stata preclusa la possibilità di parlarle. “Sono io piccola, va tutto bene.” Il ringhio con cui gli rispose e l’indietreggiare ad orecchie abbassate segnalava chiaramente quale fosse il problema. “Lo so che sei spaventata … ma torniamo a casa. È finita, torniamo a casa.” Stressò l’ultima parola, perché era importante che la capisse.
Hai una casa e l’avrai sempre.
Un serie di ululati squarciarono la radura. “Dobbiamo Smaterializzarci ora, questo è il branco, Vulneraria deve averli chiamati!” Tradusse per loro Flynn, che con James era rimasta a prudente distanza di sicurezza. “Non possiamo affrontarli, sono troppi!”
No, non potevano ma Ben non era tranquilla, e tentare di portarla via in quelle condizioni non poteva che finire male. “Benedetta, dobbiamo tornare a casa, adesso.” Tentò di nuovo.
Teddy!” James non urlò, non proprio, ma il sussurro che gli lanciò gli gelò comunque il sangue nelle vene. Alla luce della luna ora alta nel cielo vide forme scure salire lungo lo sperone di roccia. Ne contò sei.
Sei Mannari adulti che avevano appena trovato le loro prede.
Fece appena in tempo a chinarsi a prendere la bacchetta che il primo balzò in avanti e con orrore puntò James, sbattendolo a terra con violenza. “Jamie!” Un balenio rosso e un guaito segnalò che il ragazzo non si era lasciato prendere di sorpresa.
Sfortunatamente neanche il resto dei Mannari. Ted si trovò a doverne respingere due, e di questi uno era Vulneraria, ne era sicuro: trasformato non l’aveva visto che di sfuggita, ma la cicatrice che gli ricopriva buona parte del cranio ferino era inconfondibile.
Ci uccideranno. Ci uccideranno o ci morderanno.
La consapevolezza di aver portato Flynn e James verso la morte o una lunga malattia orribile lo atterrì.
Non può succedere. Non posso perdere la mia famiglia, non di nuovo.
Ma non era un uomo d’azione, non lo era mai stato. Bastò quell’attimo di paura, quell’attimo di distrazione che Vulneraria lo caricò, sfoderando i denti e cercando di chiuderli attorno al suo braccio. Lo prese di striscio, lacerandogli la camicia e facendolo cadere a terra.
Stavolta mi morderà.
Nell’impatto la bacchetta gli era saltata via dalle mani.
Mi morderà.
Aspettò di sentire il dolore della carne lacerata ma udì invece un latrato e Vulneraria improvvisamente non fu più su di lui, ma in lotta con un altro Mannaro che lo aveva afferrato per il collo tirandolo via.
Quel Mannaro era Benedetta.
Si tirò in piedi, cercando a tentoni la bacchetta. “Ben, no!” Gridò spaventato, ma questa non gli diede retta, persistendo nel suo attacco. Vulneraria, che all’inizio era stato forse troppo sorpreso per reagire, ci mise solo pochi attimi a liberarsi della presa, scagliando Benedetta a distanza. Non fece in tempo a tornare da lui che questa schizzò di nuovo in piedi, frapponendosi tra loro e il branco, scoprendo i denti e latrando con forza.
… ci sta proteggendo.
Vulneraria tentò di avanzare, ma era chiaro che avrebbe dovuto scontrarsi con lei se avesse persistito nel tentativo.
… la attaccherà?
Per un attimo il tempo parve sotto Arresto Momentum; si udivano solo i respiri delle bestie e degli uomini mischiati assieme. Poi Vulneraria lanciò un ululato, subito seguito dai compagni. Anche stavolta Benedetta non si spostò di un millimetro; il cambiamento fu da parte del branco, che indietreggiò prima di sparire nel folto della foresta così come era venuto.
“… Cosa cavolo è successo?” Sentì James mormorare, e si sentiva di condividere il sentimento.
A dopo le spiegazioni.
“Ben.” La chiamò, e il lupo si voltò, con gli occhi vispi e intelligenti della sua bambina, ogni traccia di aggressività scomparsa. Mise la bacchetta da parte. “Vieni qui.” La chiamò.
Non l’avrebbe attaccato, ora ne era sicuro. Non nel senso classico del termine visto che fu comunque buttato a terra. E leccato in faccia. “Ben!” Rise arruffandogli il pelo. “Brava cucciola.” La lodò mentre questa gli strofinava il muso addosso.
“Ha chiaramente scelto il suo capobranco.” Scherzò Flynn sospirando di sollievo. “Per nostra fortuna, non è il vecchio Vulneraria.”  
“È per questo che non ha attaccato noi, ma i Mannari?” Chiese James, ancora evidentemente scosso, ma illeso. Lo controllò da cima a fondo con la coda dell’occhio; notandolo l’altro scosse la testa. No, non l’avevano morso.
Merlino sia ringraziato…
“E' sotto Antilupo da quando è piccola, questo deve sicuramente aver aiutato a chiarirle le idee su cosa stava accadendo, ma sì.” Confermò la strega. “Siete voi la sua famiglia, e l’istinto protettivo ha fatto il resto.”
“E i Mannari erano d’accordo?”
Flynn si strinse nelle spalle. “Vulneraria deve aver capito che avrebbe dovuto combattere contro sua nipote con il rischio di ucciderla … È un Mannaro anziano, ed un capobranco. Il Plenilunio non gli dà alla testa, per fortuna. Gli altri lo hanno solo seguito … dopotutto in questa foresta ci sono prede molto più interessanti che un trio di maghi pelle ed ossa!”
James si avvicinò incerto, infilando la bacchetta nel giubbotto. “Credete che possa…”
Ted si scambiò uno sguardo con Flynn, che annuì. Osservò con il fiato sospeso l’altro avvicinarsi: per quanto amasse Ben e la accettasse senza riserve, vedersela davanti trasformata in uno dei peggiori incubi di un mago non doveva essere semplice.
Ma il suo ragazzino era straordinario, come lo era Benedetta. Si scrutarono un po’ a vicenda, e James le fece annusare la mano, come aveva imparato a fare con i cani di campagna. Benedetta si lasciò poi accarezzare di buon grado. “È il giubbotto di Moscardo?” Domandò.
Ted gli sorrise. “No, sei tu.”
Siamo la sua famiglia. Lo siamo sempre, in entrambi i mondi.
James chinò la testa, ispirando forte e Ted gli accarezzò la nuca, fingendo di non aver notato gli occhi lucidi. “Che ne dici se torniamo a casa?” Suggerì.
“Cazzo, sì.”
 
 
Non c’era niente di meglio che tornare a casa dopo uno scampato pericolo. James stava imparando che la quiete di un fuoco acceso e un divano su cui stravaccarsi dopo aver rischiato la vita era preferibile a celebrazioni in pompa magna.
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato questo, il mio riposo dell’eroe.
Ma portata Benedetta nella stanza dedicata alla trasformazione e dato la buonanotte con un bacio sul muso peloso più adorabile di sempre, si era fatto una lunga doccia per togliersi di dosso la puzza di bosco, e ora sorvegliava le fiamme con affianco Ted.
Era in pace.
“Che serata…” Disse all’altro, preso a sorseggiare the come doveva fare perché era Teddy Lupin.
La normalità è grandiosa!
Questo sorrise. “Mi fa rivalutare i lunghi pomeriggi di correzione compiti.”
James annuì. Malfoy e gli altri dovevano essere nel pieno dell’azione, ma non sentiva il minimo stimolo a raggiungerli.
La vita privata si è già presa tutte le mie forze, spiacente.
“Tosta la ragazzina.” Commentò. “Voglio dire, se è così adesso, a diciassette anni comanderà un branco tutto suo!”
“Potrebbe.” Ribatté il compagno, ed era già tanto che vagliasse quella possibilità. Quella sera doveva avergli aperto gli occhi su un sacco di cose.
Peccato non sul matrimonio.
L’anello gli bruciava ancora addosso – non era riuscito a separarsene neanche dopo essersi cambiato – ma non aveva molto senso darglielo in quel momento.
Il ristorante … la proposta.
Oh ‘fanculo. Tanto comunque sarei stato richiamato in ufficio.
“James?” Ted lo scosse ed ehi, stava quasi per addormentarsi. “Cos’hai in tasca?”
Oh cazzo.
“Niente!” Nicchiò nel panico, perché come un idiota stravolto dagli eventi si era seduto dal lato sbagliato e l’altro stava evidentemente sentendo qualcosa di duro contro di sé.
E non è la mia solita dose d’amore.
“Sei sicuro?”
Si arrischiò a guardarlo e lo vide sorridere. E non era uno di quei suoi sorrisi inconsapevoli che precedevano un attacco di panico, né l’espressione incerta di cui lo graziava ogni volta che andava in blocco emotivo.
Era il sorriso pieno d’amore che aveva sperato sin da ragazzino rivolgesse a lui e a lui solo, e per cui aveva lottato con le unghie e coi denti ed infinita pazienza.
Era un sorriso per cui avrebbe fatto tutto da capo, altre mille volte.
Estrasse la scatolina. “Stasera volevo fare le cose come si deve.” Mise le mani avanti. “Sul serio, avevo prenotato in un ristorante super-lusso e mi sarei persino inginocchiato.”
Ted sbuffò divertito. “Un po’ teatrale.”
“Era per convincerti!” Si difese. “Per convincerti che…”
“Non ne ho bisogno, James.”
Si sentì sprofondare. “… dell’anello?”
Gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo. “Di essere convinto. Non dopo tutti questi anni, non dopo stasera. Avevo solo paura di spingerti ad un passo che non sentivi tuo.”
“Ma che cazzo di…”
Lo fermò con un bacio. Ormai Lupin se l’era segnato, era un buon modo per fargli passare il fiotto d’esasperazione che lo coglieva ogni volta che  tentava di difenderlo da roba inesistente. “Me ne rendo conto adesso. Sono lento, amore mio, mi conosci.”
“Eh, manco poco.” Convenne. “Volevo fare le cose alla lettera proprio per questo.”
“Siamo stati dirottati.” Gli accarezzò la guancia. “Pensavo che sarebbe piaciuto anche a me fare le cose … in maniera classica.” Scosse la testa. “Ma non siamo classici io e te, giusto?”
“Quindi…”
“Quindi sto aspettando, Jamie.” Lo guardò divertito. “Non devi darmi qualcosa?”
Oh … oh, okay.
Evitò l’inginocchiarsi che in effetti era una roba proprio cretina, ma aprì la custodia dell’anello e nel panico si chiese se Malfuretto gli avesse consigliato bene, che dopotutto era un Purosangue cretino. Da come Ted guardò la semplice fede di oro bianco si tranquillizzò.
Se la guarda come un libro appena uscito di stampa è okay.
“Edward Remus Lupin…” Perché era e sarebbe rimasto uno stronzo e l’occhiataccia che gli venne lanciata lo fece gongolare solo di più. “… mi vuoi sposare?”
“Sì, James Sirius Potter.” Lo imitò, ma poi gli tese la mano. Fu un miracolo che azzeccò il dito al primo colpo perché era così emozionato che avrebbe potuto infilarglielo in una narice. “Dopotutto sono sempre stato tuo.”
“Puoi scommetterci.” Intrecciò la mano alla sua e lo baciò, e non era come Lily e Malfuretto avevano progettato che andasse. Non era come nessuno aveva progettato andasse, una storia d’amore tra il ragazzino arruffato e combinaguai e il giovane uomo che voleva sempre fare la cosa giusta.
Ma erano loro, e Benedetta dormiva al sicuro.
Per questo avrebbe funzionato sempre alla grande.
 
 
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Note:

Non mi sto neanche a giustificare, perché onestamente non so se qualcuno ancora si ricorda ‘sta storia. Giuro che non me l’ero dimenticata, era solo bloccata nel traffico della vita vera.
Questa la canzone del capitolo.
Giuro che proverò a scrivere più in fretta stavolta, ma cambiare città non è che ti stimoli a rintanarti davanti ad un pc. :P
  
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