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Autore: __Armageddon__    27/08/2015    4 recensioni
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La presidente mi osserva, mi scruta con calma e cerca di leggermi l'anima con i suoi occhi di un colore che io stesso non sarei in grado di riprodurre su nessuna mia tela.
«Voglio sapere da che parte sta!» sibila. I gomiti poggiati sul tavolo di ferro, le mani strette come se stesse pregando, ogni tanto se le sfrega, quasi sentisse freddo.
«Lei è consapevole del fatto che tutti i suoi... “compari”... sono dietro quel vetro,assistendo così al suo mutismo?» chiede,pronunciando la parola “compari” in modo tagliente,quasi le facesse ribrezzo.
«RISPONDA!» grida esasperata e furente, battendo le mani sul tavolo con impeto e sporgendosi in avanti,come se volesse spaventarmi. Poi si blocca, osserva per un nano secondo lo specchio posto al fianco del tavolo, conscia di non essere sola, realizzando di avere gli occhi di tutti i miei amici puntati sul suo profilo.
Si risiede nella seggiola e si mette alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio.
«Voglio sapere da che parte sta,Mellark.» sospira,con finta tranquillità.
«Avevamo un patto!» affermo inquieto.
«Lo so bene.» risponde lei, flemmatica.
«E allora perché Katniss è ancora a Capitol City, da Snow?!» sibilo a denti stretti, adirato.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
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"Se si potesse prevedere tutto il male
che può nascere dal bene che crediamo di fare!" -Luigi Pirandello


Vado avanti per inerzia, non so che ore siano e forse non voglio saperlo.
Quando avevo riaperto gli occhi mi ero ritrovato in una stanza bianca, illuminata da un neon che accecava la mia vista.
Ero disteso sulla schiena, inerme, arreso.
Ero stanco ancor prima della partenza.
L'arena era esplosa e dopo la mia sfuriata contro Plutarch mi avevano fatto dormire per tutto il viaggio, al mio risveglio mi ritrovai in ospedale, i medici che mi mettevano la mascherina per l'ossigeno, che controllavano i parametri vitali, il braccio destro fasciato perché mi avevano fatto un'operazione per rimuovere il Chip di localizzazione che ci avevano messo nell'arena. Mi misero al corrente del fatto che il mio corpo avesse bisogno di 1 settimana di riposo per farlo riprendere dai traumi subiti durante i giochi e, successivamente mi informarono sull'esistenza del nuovo distretto 13, ricostruito sottoterra dopo i giorni bui grazie a un trattato con la Capitale, a quanto pare il distretto aveva puntato delle bombe nucleari contro Capitol City e il presidente aveva sventolato bandiera bianca, firmando così, un patto con la portavoce del distretto che aveva acconsentito a vivere sottoterra nascondendo l'esistenza di esso all'intera Panem e facendo successivamente bombardare la superficie per mantenere le apparenze. Per la nazione il 13 era solamente un lontano ricordo, mentre per il distretto in sé 'niente era andato perduto', erano risorti dalle proprie ceneri, covando un senso di vendetta contro Capitol, allenando ogni singolo cittadino ad una possibile rivolta, senza mai lasciare la speranza di riscattare il loro nome.
Mi misero al corrente di tutto, della presidente Alma Coin che aveva comunicato con Haymitch e molti altri tributi per alimentare la scintilla portata da Katniss Everdeen, avevano aspettato allungo, un'attesa durata 70 anni, un'occasione che non potevano farsi sfuggire... Eppure avevano salvato me, idioti.
Erano passati solo 3 giorni dal mio ricovero, ma io non ero nel posto giusto,lo sapevo e lo sentivo.
Era tutto maledettamente sbagliato perché significava solo una cosa: se io ero vivo lei era morta.
Inizialmente, quando non avevo assimilato l'accaduto, avevo immaginato come sarebbe andata la mia vita se avessi vinto l'edizione della memoria normalmente. Mi vedevo ai tour della vittoria con i cartoncini di Effie dove parlavo delle perdite e del mio dolore per la morte della ragazza che amavo, dove davo spettacolo del mio stesso malessere, dove mostravo a tutti come si crollava per via dei giochi, ma invece eccomi qua, in un'ospedale che puzza di disinfettante, la flebo attaccate al mio braccio sinistro per rimettermi in forze, mentre il destro è fasciato.
Tutta la mia sofferenza è incorniciata dal continuano ciarlare dei miei compagni di stanza. Loro parlano, parlano e parlano, forse, anche più del dovuto, peggiorando solo il mio stato d'animo.
Vorrei non essere qui, vorrei non essere da nessuna parte, vorrei semplicemente essere morto.
Non apro gli occhi, non riuscirei ad accettare il fatto di essere qui senza di lei, dover vedere cose che avrebbero dovuto vedere i suoi occhi, di vivere una vita che non sento più appartenermi.
Avevo fatto di tutto per farla sopravvivere, avevo fatto un patto con Haymitch dopo l'annuncio dell'edizione della memoria, ricordo che quella sera avevo percorso i 22 metri che ci separavano correndo e subito dopo aver spalancato la porta d'entrata del mio mentore, mi sedetti di fronte a lui, che mi fissava, assente, il bicchiere di whisky in mano e i pensieri che sicuramente lo riportavano ai suoi primi giochi, il ricordo di Maysilee Donner, la sua alleata, e la cognizione che questa volta non ne sarebbe uscito di nuovo vivo. Era sicuro di morire Haymitch, se Effie l'avesse estratto.
Lo guardai per minuti interi, sapevo che lei non sarebbe arrivata, poi, parlai.
«Scegli lei. Lo sappiamo entrambi che io non ho alcuna possibilità di sopravvivere. Lei ha la sua famiglia, deve occuparsi di loro. I patti devono restare immutati: Katniss avrà tutti gli sponsor mentre io cercherò di tenerla in vita fino alla fine. Intesi? » guardava il liquido ambrato dentro al suo bicchiere scheggiato negando più volte con la testa,era uguale a lei il mio mentore, stessi occhi da giacimento e stesso carattere schivo, erano tutti e due orgogliosi e forse, Haymitch aveva sempre preferito me perché se avesse vinto solo lei si sarebbe ridotta come lui, mentre io a suo dire "l'avrei presa con filosofia" e poi sarei andato avanti con la mia vita, ma in realtà, la mia vita ruotava intorno a lei.
«Mi stai dicendo che vuoi morire per... Dolcezza?» mi chiese sbuffando e ingurgitando con un sorso tutto l'alcool che aveva nella coppa.
«Ti sto dicendo che lei deve vivere.» risposi piccato.
«E per quale motivo sentiamo, perché dovrei sceglierla ancora, perché dovrebbe avere tale privilegio,Peeta...» le sue domande biascicate facevano a pugni con il suo tono scocciato.
Stavo per ribattere, ma lui non me ne diede il tempo.
«E non tirare fuori la famiglia, o altre stronzate simili... Tutti ne abbiamo, o nel mio caso... avevamo una.» gesticolava, farfugliava quelle parole che mi zittivano lentamente. Aveva ragione, anch'io non ero solo: avevo i miei genitori e i miei fratelli Rye e Ross, ma lei era più importante anche di me.
«Haymitch...Cosa devo fare,cosa devo dirti per convincerti a scegliere lei ?» chiesi a capo chino.
«Va bene... Tornerà a casa...» non mi guardava il mio mentore, fissava la porta alle mie spalle, incurante di tutti i ringraziamenti che gli avevo fatto, non aveva neanche risposto, mi aveva solo sorriso mestamente intimandomi di andarmene a casa e di farmi una bella dormita e io gli avevo dato ascolto, percorrendo la stradina che mi portava a casa senza un peso sul cuore.
Non potevano esserci due vincitori per la seconda volta ne ero sicuro, ma almeno potevo sperare sul fatto che lei avesse la possibilità -seppur misera- di salvarsi.
Aprii gli occhi ridestandomi da ciò che aveva rammentato la mia mente e, senza neanche rendermene conto, iniziai a piangere. Lacrime silenziose mi rigavano le guance e bagnavano il cuscino su cui ero poggiato. Fissavo il vuoto, forse perché dentro di me non vi era più nulla. Io l'avevo supplicato e lui mi aveva illuso dicendomi che mi avrebbe dato ascolto, preso per i fondelli da un' ubriacone. Continuavo a tirare su col naso mentre il dolore mi dilaniava il petto, lei non c'era più. Sospiravo rimanendo immobile. Non volevo farmi sentire mentre piangevo la sua persona, non ero disposto a cominciare una farsa dove mostravo a tutti il mio dolore, volevo solo lasciarmi andare... Per sempre. Perché niente era andato per il verso giusto, perché io ero vivo, perché non ero a Capitol City, perché non ero tra le grinfie del mostro che governava Panem, perché non ero con lei, ma in una stupida stanza asettica, vivo, mentre Katniss, era chissà dove e la colpa è solo mia, perché l'ho lasciata andare, perché mi sono fidato di altri tributi che, alla fine, volevano anche il nostro sangue, e, per i miei errori le ne aveva pagato le conseguenze.
Morta.
Dovevo darle retta.
Morta.
L'arena era esplosa, poteva esserle successo qualsiasi cosa.
Morta, perché Snow la odiava. La odiava perché la temeva.
Avrei fatto di tutto per tornare indietro, ma l'esplosione mi aveva spinto lontano da lei facendomi battere la testa per poi farmi svenire. Ero convinto di star morendo, avevo accolto il sonno eterno solo per donare a lei la vita che meritava e la sentii mentre gridava il mio nome. Sarei morto felice dopo la sua rivelazione, dopo che mi aveva detto che aveva bisogno di me.
Eppure... niente aveva seguito il suo corso ed io ero sopravvissuto, ma non ero vivo, non era vita senza di lei.
Continuavo a ripetermi che era passato poco tempo, che dovevo stringere i denti, resistere, ma non importava perché forse ,lei era morta, persa per sempre.
«Cosa ti lacrimi Panettiere...?!» una voce mi fece ridestare dai miei pensieri, una voce che avevo avuto la sfortuna di sentire per parecchio tempo nell'arena e al centro di addestramento, una voce che non avrei dovuto mai più sentire perché i giochi erano finiti, perché doveva essere morta come lei, come la ragazza che amavo e, la sua faccia doveva essere proiettata in cielo non prima del cannone che annunciava la sua morte.
«Lascialo in pace Jo...» non poteva essere vero, non doveva essere così, forse ero in paradiso, ma non mi alzavo perché realizzare il tutto sarebbe stato ancor più doloroso.
«Avanti Rotella,prima o poi dovrà muovere il culo da lì...» era spazientita la vincitrice del distretto 7 mentre descriveva il mio poltrire.
«Johanna tappati quella fogna!» rispose spazientito Beetee Latier.
«Fottiti tre.» gli ringhiò in risposta, marcando il distretto dal quale proveniva.
Non riuscivo a contenere la mia rabbia, la mia tristezza, perché era tutto maledettamente fuori posto come il pezzo di un puzzle nell'incastro sbagliato.
«No. State zitti tutti e due!» il rumore dell'elettrocardiogramma stonava terribilmente con quello che sentivo dentro di me, avrei solo voluto udire il 'bip' continuo che decretava il mio decesso, mentre invece nella stanza echeggiava il suono del mio battito cardiaco. La dimostrazione che ero lì, con loro, vivo.
«Mio Dio...L'esplosione ti ha fatto scendere le palline, Biondina?» ricordo che Johanna Mason ci era stata presentata come una ragazza villana e adesso era perfetta per il modo in cui mi trattava, mi insultava, mi derideva e andava bene tutto, meritavo ogni offesa perché ero lì da pochi giorni, perché avrei solo voluto dimenticare, o tornare indietro nel tempo per dare ascolto a Katniss, per fuggire con lei, ma in verità non andava per niente bene, non dovevo essere lì, non senza di lei.
«STA' ZITTA!» le ringhiai contro mentre il sangue mi incendiava le vene.
Quella sua frase mi riportò sulla terra ricordandomi che quell'esplosione, aveva rovinato tutto quello che avevo pianificato e Johanna non la doveva nominare, non doveva parlare di quell'ultima sera.
Iniziai a dimenarmi, non volevo nessun aiuto per restare vivo, per salvarmi ancora, volevo lei, solo lei.
Senza rendermene conto iniziai a gridare in preda al dolore, che non era fisico, ma emotivo. Inveivo contro tutte le persone che mi si avvicinavano, medici e infermieri dovevano starmi alla larga così come ogni singolo essere vivente, volevo solo sparire. Ero lacerato dall'interno e niente avrebbe mai potuto rimettermi in sesto, perché lei non c'era più.
Gridavo così forte che la gola bruciava, ma non era abbastanza perché meritavo di peggio, perché avevo fallito. Aveva ragione mia madre, io non valevo nulla e l'unica persona che meritava di stare davvero in quel letto comodo non dovevo essere io, ma Katniss. 
«Ragazzo... Ragazzo calmati...»sentivo la voce del mio mentore, non l'avevo visto arrivare. Non avrei potuto perché la mia vista era offuscata per le lacrime e per la tristezza.
Ero al centro dell'ospedale, a quanto pare ero uscito inconsciamente dalla mia stanza che sembrava opprimermi facendomi mancare il respiro.
Sbraitavo davanti agli occhi di tutti i medici, dei pazienti e di alcuni presenti del 13,sentivo gli occhi color nocciola di Johanna sulla schiena insieme a quelli di Beetee, ma non me ne curavo, ormai tutti vedevano quello che i giochi ne avevano fatto di Peeta Mellark, lo avevano distrutto.
Scalciavo, tiravo pugni e schiaffi, addirittura mordevo. Sembravo un animale mentre dei soldati -penso- cercavano di trattenermi, ma non era semplice tenere un vincitore, ero allenato per gli Hunger Games, non era uno scherzo.
«DOVEVI SALVARE LEI...»gli gridai in faccia la mia affermazione con tutto il fiato che avevo in gola, sentendo le corde vocali andare in fiamme, spingendomi in avanti a fatica mentre un soldato mi teneva da dietro per le braccia, temendo che potessi picchiare il mio mentore, e Dio solo sa quanto avrei voluto spaccare la faccia ad Haymitch Abernathy, facendo scomparire così il suo ghigno che ora detesto, perché lo faceva sempre a lei.
«Mellark si calmi!»il soldato alle mie spalle continuava a tirarmi indietro borbottando a fatica ogni singola parola, volevo che mi lasciasse andare, volevo far capire ad Haymitch come mi sentivo ora che avevo perso tutto.
«NON POSSO CALMARMI!»gridai, liberandomi dalla presa ferrea del ragazzo.
«Come posso? Mi dica come posso calmarmi.» chiesi alla guardia voltando il capo in sua direzione, mi guardava sgomentato, non aveva risposta al mio quesito.
«TU.» ringhiai contro il mio mentore indicandolo con l'indice, furente e deluso.
«Cosa mi hai salvato a fare, eh ? Cosa ti aspettavi da me? Guardami... GUARDAMI! Ti avevo chiesto una sola cosa, UNA e mi hai preso per il culo, mi avevi promesso che avresti scelto Katniss e quando penso che sia finito tutto mi risveglio in questo ospedale del cazzo... Scopro che il mio distretto è stato distrutto, che della mia famiglia non ne è rimasto altro che cenere e per di più... non ho neanche la possibilità di sapere che fine abbia fatto l'unica persona che amavo, UNA CAZZO DI COSA ABERNATHY.
Non so dove sia, se sia morta o da Snow, non posso piangere per nessuno perché la cogliona di Johanna se ne lamenta, non sono libero di piangere Haymitch, io che volevo morire non ho neanche la possibilità di piangere! ED E' SOLO COLPA TUA!
Guarda come ci hai ridotto, come MI hai ridotto.» ero gelido, mi guardava il mio mentore con un'espressione misto tra la tristezza e la delusione per se stesso, ma si meritava ogni parola Haymitch Abernathy, colui che aveva sempre preferito me perché totalmente diverso da lui.
«Cos'è adesso non parli?» gli chiesi tagliente, guardandolo in quegli occhi che tanto mi ricordavano Katniss.
«Mi..mi dispiace Peeta, ma erano gli ordini, non avevo voce in capitolo. Prima dovevamo prendere te e poi Katniss, ma non abbiamo.. Non ho fatto in tempo..» rispose flebilmente senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi.
«Ti.. ti dispiace, tutto qui? Cioè... Ti dispiace.»risposi sprezzante, ghignando, lui che diventava sempre più cupo ed io sempre più arrabbiato. Era riuscito a togliermi tutto in una notte Haymitch.
«Mi fai schifo Haymitch Abenathy. Completamente.» affermai serio, non riuscivo più a sopportare la sua presenza, mi infastidiva.
«Vattene.»dissi mestamente al mio,ormai, vecchio amico che in risposta negò impercettibilmente con la testa.
«Ho.detto.VATTENE!» Affermai irritato afferrandolo per un solo istante per il colletto della divisa grigia fornita dal distretto 13, ma delle guardie mi allontanarono dall'uomo per poi sbattermi in terra con irruenza, non avevano altre possibilità, non vi era altro modo, eppure era tutto ovatto le orecchie sentivano solo il mio nome gridato da lei, la mia bocca non sentiva il pavimento freddo, ma le sue labbra un po' screpolate e salate per via del mare dell'Arena e i miei occhi vedono solo i suoi occhi grigi come quelle dell'uomo che mi sta osservando, accovacciato accanto a me con uno sguardo carico di scuse. Mi accarezza i capelli Haymitch, se ne frega della merda che gli ho sputato addosso, mi guarda tristemente, le labbra incurvate verso il basso e gli occhi pieni di lacrime. Avevo rotto il naso a un soldato di colore e avevo fatto un occhio nero ad un inserviente che voleva contenere la mia ira, avevo insultato la Mason e dato ogni colpa al mio mentore, che nonostante tutto mi carezzava la testa come solo un padre saprebbe fare...
«Dovevi solo salvare lei...» sussurravo quelle parole come se potessero diventare vere, mentre il groppo in gola mi rendeva difficile anche solo respirare.
«Solo lei...» singhiozzavo perché in fondo non mi rimaneva altro che piangere.
I capelli biondi erano attaccati alla fronte sudata mentre le lacrime mi bagnavano le guance, perché doveva esserci lei al mio posto, perché lei non sarebbe mai stata sola, io...
Io avevo solo il mio grande amore e ora...Neanche più quello.
«ragazzo...» la voce dell'uomo di fronte a me fece rimontare la rabbia.
«VAFFANCULO!» ero riuscito -non so come- a piazzarmi di fronte a lui, mentre gli ringhiavo i miei insulti come una bestia feroce, gli avevo chiesto una sola cosa ed ora eravamo in questo stato...
Tutto divenne confuso dopo la testata che gli avevo dato in mezzo agli occhi, ricordo solo Johanna che gridava chissà quali accuse contro i soldati che la tenevano per evitare che venisse in mio soccorso e Beetee, che provava a far ragionare i medici per non farci sedare, per aiutare me e Jo, ma alla fine tutto si perse lentamente come un film che piano piano giunge al termine e la cosa più chiara di quegli ultimi istanti fu l'ago che mi si conficcava nella carne e il buio che regnava sovrano, dopo l'iniezione vi era solo l'oblio. Che profumava di bosco e libertà.
Lentamente aprii le palpebre ritrovandomi disteso in un lettino. Non ero più in ospedale, ma in una camera vera e propria.
La stanza era piccolina: al centro vi era un cubo con tre cassetti che fungeva da comodino,ai suoi lati vi erano due letti, su uno dei quali ero coricato io. Anche l'altro letto era occupato da qualcuno che mi dava le spalle, una persona di cui neanche mi preoccupavo,la sua presenza non mi era di rilevante importanza.
Mi sedetti sul lato del letto e controllai l'interno del comodino che arredava la piccola stanza,ma al suo interno non vi era nulla se non alcune cose fornite dal 13.
Un cassetto doveva essere il mio, uno del mio compagno di stanza e l'ultimo doveva essere comune, ma erano tutti e tre pressoché vuoti.
«Siamo coinquilini...»la voce assonnata che proveniva dall'altro letto mi fece sobbalzare, era Johanna.
Non risposi, non ce n'era bisogno, non esistevano parole adatte alla situazione.
«Non si hanno notizie di nessuno.» mi disse pacatamente, dal mio canto continuavo a tacere mentre aprivo costantemente i tre cassetti del comodino, come se potesse apparire qualcosa da un momento all'altro.
«Guarda che se lo riapri non appare niente comunque...»disse sbuffando, infastidita dal mio movimento meccanico. Ero recidivo, continuavo a fare quello che alla mia testa andava di fare e lei spazientita si alzò sbuffando e mi fece distendere sul letto.
«Non costringermi a prendere la mia scure.» dopo quella sua minaccia si mise a ridere di gusto scuotendo la testa, era più pazza di me.
«Nah,niente ascia... Ti faccio solo un regalo se la prendo,e, per il momento, non voglio la tua anima sulla coscienza... » la guardavo assente, senza mai dire nulla.
«Okay... Non sei di compagnia...» borbottava insulti mentre si dirigeva verso il bagno della stanza, ma prima che potesse richiudere la porta mi intimò di prendere l'orario del giorno dopo per concludere qualcosa.
«Johanna? » la chiamai prima che si chiudesse in bagno.
«Quanto tempo ho dormito? E l'orario cos'è?» le chiesi.
«Se dovevi stare in ospedale per una settimana e sei qui... Fai i tuoi conti piccolo matematico.
Comunque l'orario lo prendi nel corridoio principale, cioè è un qualcosa... un' affare attaccato al muro, poi chiamalo come ti pare e sto coso insomma ti stampa l'orario sull'avambraccio, ma poi io ti sembro Beetee? Queste cose non so neanche come si chiamino l'importante è sapere che serve per essere informati su quali compiti devi svolgere durante la giornata... Sono così... Sfigati qui dentro che, Dio mio hanno pure degli orari come nelle carceri... Che schifo Panettiere. Che.Schifo.» rispose veramente allibita dalle mansioni che dovevano compiere gli abitanti, per poi chiudersi nel bagno.
Ovviamente all'inizio provai ad ascoltarla, a distrarmi svolgendo i compiti del distretto, ma non ci riuscii a lungo, finché non smisi del tutto.
Iniziai a nascondermi in sgabuzzini o negli armadi, perché volevo restare solo e sentire l'eco che all'interno della mia testa aveva la sua voce.
Resteresti con me?
La sentivo, era lei, era la sua voce e non riuscivo a non lacrimare silenziosamente.
«sempre...»sussurravo la mia risposta nel buio dell'armadio, perché quello spazio stretto mi faceva sentire in gabbia e andava bene, lei non c'era più.
Senza neanche rendermene conto passarono due mesi, due mesi senza sue notizie, due mesi dove mi ero rifiutato di parlare con Alma Coin, la presidente del 13, due mesi dove mi nascondevo per non incontrare la famiglia della mia Katniss, per non vedere Prim o Gale, che aveva i suoi stessi occhi. Due mesi dove mi rintanavo in qualsiasi buco per piangere la mia famiglia, morta dopo le bombe incendiare che il presidente aveva mandato per distruggere il mio distretto, per pensare a Katniss, alla mia Katniss, che forse, non era mai stata mia e quest'armadio è piccolo, così piccolo che le mie gambe sono strette al petto e il respiro si fa sempre più corto magari se lo trattengo finisce l'incubo e l'avrei fatto, ora, sempre perché lei doveva essere qui e magari avrebbe scelto Gale Hawthorne il braccio destro della Coin, che pur di non pensare a lei si butta sul lavoro, che è diventato il soldato più bravo e nominato dell'intero distretto e mi sarebbe andato bene, perché sarebbe qui, viva, mentre sorride e la treccia laterale le ondeggia sulla spalla quando cammina.
Invece ci sono io, l'ombra di me stesso, un diciassettenne che si strappa i capelli perché il suono del bulbo che si stacca dalla cute gli dà sollievo, il dolore mi dà sollievo e non posso neanche più fare questo, perché mi hanno rasato e lei non c'è più, con ogni probabilità è morta.
E le unghie si conficcano nella carne mentre le lacrime salate finiscono sulle mie labbra, perché devo pagare, devo farmi male, perché non sono mai stato abbastanza, neanche per mia madre.
Peeta, resteresti con me?
«Per sempre...» la voce non sembra neanche mia, è incrinata per il dolore e niente può farmi stare meglio se non il sangue che scorre sulle mie braccia, perché me lo merito,va tutto bene.
Le ante dell'armadio dello sgabuzzino si aprono di scatto mentre la luce mi acceca bruciandomi gli occhi, ma va bene, devo sentire dolore.
Eppure nessuno mi capisce, perché quattro braccia mi afferrano facendomi uscire dalla mia piccola tana mentre, due occhi color nocciola mi osservano con disprezzo.
«Smettila di fare la ragazzina, Mellark!» e lo schiaffo mi fa girare la faccia dall'altro lato, la guancia sinistra che pulsa, ma va bene anzi vi prego,uccidetemi così la rivedrò...
«MENTECATTO.» le grida, gli schiaffi di Johanna, la sua preoccupazione è tutto giusto e al contempo sbagliato, io non lo merito, non merito più nulla.
«Pensi che lei avrebbe fatto così? Alza il culo e fa qualcosa al posto di comportarti da checca!» grida la Mason, perché mi sono lasciato andare,
perché mi sono fatto travolgere dalla marea finendo contro gli scogli e lei non avrebbe fatto così.
Io si... Io ho bisogno di te.
Katniss aveva bisogno di me, voleva morire per me e forse ci è riuscita.
«Non abbiamo notizie è vero,ma devi reagire Peeta. Per Katniss, ma sopratutto per te.» ed è vero, perché forse nulla è vano, non si sa nulla ,ancora, ma va bene anche se il dubbio mi sta torturando, va bene perché lei l'avrebbe fatto, per me.
Abbraccio di getto Johanna e lei subito mi stringe a se, piangendo con me, per me, perché conosciamo le nostre paure, perché alcune notti grida nel sonno o si dimena nel letto e quando non grida mi sveglio di botto, preoccupato, trovandola nel bagno della nostra stanza con la luce accesa mentre trema e piange, le hanno tolto tutto tranne la rabbia e a volte si stringe a me piangendo perché gli manca Jason, suo fratello e mi racconta del suo distretto mentre io per non farle perdere la testa le parlo del mio “per non dimenticare panettiere” ed è vero, perché non vogliamo dimenticare chi eravamo, anche se ci hanno cambiato.
Dopo qualche minuto mi stacco da lei e senza dire nulla mi dirigo nell'infermeria, le braccia sono sporche di sangue e i capelli ancora rasati. Tutti mi fissano, perché mi sono fatto vedere così poche volte da far sembrare la mia presenza una delle tante voci di corridoio. E non appena varco la soglia la vedo, con le sue trecce bionde e un lembo della camicia fuori dalla gonna, ma quando si volta fa cadere delle cartelle cliniche che teneva in mano perché io sono qui, mentre sua sorella non c'è più, ma non piange Primrose, perché lotta per lei lo fa ogni giorno aiutando i bisognosi, come faceva sua madre al giacimento e della bambina che passava davanti alla panetteria, guardando i dolci della vetrina, non ce n'è più traccia, ora davanti a me c'è una donna e lei sarebbe fiera di ciò che è diventata, proprio come lo sono io.
Mi avvicino lentamente a lei con gli occhi bassi perché ho fallito, ma lei poggia una mano sulla mia spalla sorridendomi dolcemente, è più forte di me Prim.
«Manca anche a me» e non la lascio finire perché il mio 'mi dispiace' esce fuori senza che io me ne renda conto, ma lei mi trascina sulla lettiga sorridendomi e curandomi i tagli e ogni ferita che mi sono fatto, per poi fissarmi con i suoi occhi azzurri
«Vivi la vita che ti ha donato, Peeta e lotta per lei.» mi alzo dopo quelle parole stringendola a me, come se ci conoscessimo da una vita e promettendole che lo farò, perché ha ragione, perché devo lottare per lei, così mi dirigo da Heavensbee e quando lo vedo lui mi sorride e lentamente annuisce, perché ha capito che ho accettato di incontrare la presidente, che ho acconsentito ad ascoltare quello che volevano che io facessi, perché devo lottare.
Per lei, ma sopratutto per me.






NOTE: 
Ciao a tutte :3 sono esattamente le 5:20 del mattino e questo racconto mi è costato un'after xD sono sul capitolo da ben 12 ore, tra correzione e pubblicazione, ma il sito non me l'ha fatto caricare, quindi sono rimasta al pc per tipo 4 ore a provare finchè non mi si è cancellato... che giornata di merda.
Bando alle ciance: 
finalmente siamo arrivati al primo capitolo e spero possa interessarvi tanto quanto il prologo, qui possiamo notare quanto Peeta sia distrutto, e , se la prende con Haymitch che fa un po' da capro espiatorio. Forse Peeta incolpa Haymitch perchè stanco di colpevolizzarsi (?)
Se vi va fatemi sapere che pensate di questo capitolo con una recensione, che è stato davvero un parto xD
Sono ben accette critiche e consigli cosicché io possa migliorarmi con il proseguimento della storia :)

Vorrei ringraziare di cuore 
sacher_torteAlnyFMillen,shinichi669 per le recensioni che mi avete fatto, sono state uno splendido regalo di compleanno :3

Ora vado a letto, sono le 5:35 non mi reggo più in piedi :)

P.S.: Un particolare GRAZIE a Federico che mi sta prendendo per il culo da 12 ore, senza te non avrei mai pubblicato <3
A presto sognatori :)
__Haaveilla__

 


 
  
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