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Autore: Elizabeth_Tempest    01/09/2015    4 recensioni
Nella Danimarca settecentesca, il destino di una testarda contessa e di un misterioso giovane venuto da lontano s'intrecceranno.
"Friederieke guardava fuori dalla finestra, annoiata, rigirandosi pigramente il lavoro tra le mani; il cucito non l’aveva mai entusiasmata, lo aveva sempre trovato noioso dato che non ne trovava una vera utilità pratica –del resto i suoi abiti arrivavano sempre da qualche sartoria della capitale, dove suo padre spendeva un vero e proprio patrimonio per farle avere sempre i modelli più in voga alla corte francese.
Si concentrò sul ricamo, tentando di ricordare cosa fosse di preciso… forse un usignolo? si chiese, lanciando un’occhiata perplessa ai fili azzurri.
Non le sovvenne nulla ed alzò lo sguardo, sperando di poter sbirciare il lavoro della signorina Bernstein che invece pareva tutta presa dalla sua opera e la teneva in modo tale che la fanciulla non potesse vedere cosa stesse ricamando." [dal primo capitolo]
La storia è ambientata prima degli eventi di The Lost Canvas, ed è collegato ad uno dei gaiden.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Pisces Albafica
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo XVI

Albafica si era trattenuto al palazzo dei Frydendahl fin quasi all’ora di pranzo, quando aveva deciso che era il caso di tornare ad Århus: avrebbe redatto un rapporto per il Patriarca e poi si sarebbe preparato per il ballo a cui Iedike Frydendhal lo aveva invitato.

–E ora torniamo a noi! Sapete ballare, signor Van Dijk?- gli aveva chiesto la contessina, sfoderano un sorriso malandrino che aveva ridato un po’ di colore alle gote ancora smorte.

-Abbastanza bene, credo. Purtroppo il Santuario di Athena difetta di questo genere di avvenimenti.

-Bene, perché tra un paio di giorni si terrà un piccolo ballo, una festicciola tra amici, a cui saranno invitati tutti i miei parenti, padre Hans, alcuni cittadini “importanti” di Århus, per lo più creditori della tenuta e un paio di giovani aristocratici amici di mio fratello. È Ludvig ad aver organizzato tutto, io non sono brava con queste cose e ne so ben poco, ma vi inserirò nella lista degli invitati: i vostri sospetti, mio fratello e padre Hans, saranno nello stesso posto e in qualità di mio presunto pretendente e mio ospite, vi sarà facile studiarli. Ve la sentite?

-Certamente, Iedike.

-E non preoccupatevi, non vi lascerò nelle grinfie di Sophia.- gli aveva detto, ridendo.

Il ballo, in realtà, non lo preoccupava troppo, era un ballerino decente, forse un po’ mediocre –non aveva il talento di Dégel per gli eventi mondani e le danze-, ma per nulla negato come Manigoldo e Cardia, che erano più per balli e canti da osteria; il vero problema sarebbe stato passare tutta la serata a così stretto contatto con delle persone, col rischio di ferirsi in un modo qualsiasi e avvelenare qualcuno, magari proprio Iedike. Al solo pensiero della contessina Frydendahl pallida, riversa al suolo, le labbra sporche di sangue e gli occhi vuoti, privi di vita, sentì lo stomaco accartocciarsi dolorosamente e il cuore perdere un paio di battiti.

Non voleva arrecarle alcun danno, non lo avrebbe sopportato… non avrebbe sopportato di rivivere la morte del maestro Lugonis, di perdere quella ragazza a cui si era affezionato, così come si era affezionato al vecchio, testardo ed irriverente Jens. Iedike non aveva che sedici anni, era nel pieno della sua giovane vita e se fosse morta a causa del suo sangue non avrebbe potuto perdonarselo… certo, il solo contatto con la sua pelle non le avrebbe causato alcun danno –per di più portava i guanti, ma la prudenza non era mai troppa nel suo caso-, ma se egli avesse avuto una qualche ferita o anche un solo graffio troppo piccolo per essere notato, l’avrebbe condannata ad una morte terribilmente dolorosa. Poteva rischiare tanto per scovare la Stella?

Venne riportato alla realtà da un lieve bussare alla sua porta: era una delle servette di Solveig, che gli portava il materiale da scrittura che aveva richiesto alla locandiera. Ringraziata la ragazzina, tornò al suo tavolino e dispose ordinatamente il tutto, studiando con cura ogni pezzo: pareva tutto di buona qualità e la carta era di gran lunga migliore di quella che credeva avrebbe ricevuto. Non sapeva se imputare la cosa al fatto che, probabilmente, era uno dei pochi ospiti benestanti della locanda o alla simpatia che evidentemente ispirava alla giunonica locandiera.

Preparato il pennino, lo intinse nell’inchiostro e iniziò a scrivere il proprio rapporto, ripensando a ciò che era successo nei giorni passati… era ormai quasi una settimana che mancava dal Santuario ed erano successe fin troppe cose: Frydenjord, un normalissimo e tipico villaggetto danese si era trasformato in una landa grigia e opprimente, i cui abitanti parevano sempre più morti che camminavano, completamente svuotati della propria vita e forse anche dell’anima. Solo gli abitanti del maniero che sovrastava il paesello si erano momentaneamente salvati, ma quella specie di gangrena stava risalendo lentamente la strada che portava a quell’antico castello, iniziando ad avvelenare anche la famiglia Frydendahl e la servitù.

Aveva incontrato Ludvig Frydendahl e padre Hans, i maggiori indiziati, giunti a Frydenjord nello stesso periodo, ossia quando il grigiore aveva iniziato a contagiare la popolazione del villaggio: il primo era il figlio maggiore del conte di quelle terre, un libertino i cui passatempi preferiti erano, a detta del vecchio Jens Andersen, la caccia alle donne sposate e quella alla volpe; il secondo era il nuovo pastore, un uomo rigoroso, fermamente convinto della parola che predicava ogni domenica, che aveva preso il posto di padre Peder, il vecchio pastore e che, secondo Jens e la contessina, era il maggiore indiziato.

E poi c’erano Jens e la contessa Friederieke: il primo era stato allievo del precedente Cavaliere dell’Aquila –una donna che tutti ricordavano ancora per la sua furia in battaglia- e aveva abbandonato il Santuario quando, rimasto gravemente zoppo, aveva perso l’opportunità di diventare un Saint; la seconda, sorella minore di Ludvig, era passata dall’essere una delle sospettate a sua migliore alleata in quella brutta storia.

Continuò a scrivere riversando sulla carta tutto ciò che aveva avuto modo di vedere fino a quel momento, i progressi fatti nella sua indagine –praticamente nulli, nonostante gli indizi vertessero quasi tutti su Ludvig Frydendahl- e i suoi dubbi su quanto stava accadendo. Una volta terminato posò con cura il pennino, sparse della sabbia sull’inchiostro, scrollò il foglio, lo sovrappose ad un altro e li piegò con cura, prima di sigillare la missiva e scrivere –questa volta con caratteri latini e non in greco antico- l’indirizzo a cui veniva recapitata la posta del Santuario, una bottega ad Atene.

Terminata l’operazione, si ritrovò a pensare che gli servivano degli abiti per il ballo… sperò di avere abbastanza denaro anche per quello.

 

Con l’intera famiglia seduta attorno alla tavola, i Frydendahl si dilettavano a parlare del più e del meno, a seconda dei gusti personali: Sophia, Christina e Ludvig discorrevano allegramente della vita alla capitale –la signorina Bernstein, che il conte ammetteva più che volentieri ai propri pasti, trovandola una donna, se non proprio di mente brillante, comunque piacevole, li ascoltava avidamente ed interveniva di tanto in tanto-, mentre la baronessa Maria, Iedike e il conte parlavano di filosofia e scienze. Il pasto, seppur semplice, era sempre ottimo grazie al talento delle cuoche e, tutto sommato, nella stanza si respirava un’aria leggera e felice.

In realtà Sophia di tanto in tanto scoccava occhiate in tralice alla cugina che, dal canto suo, la ignorava accuratamente, mentre la baronessa Maria studiava la nipote attentamente, alla ricerca di un qualche dettaglio che lasciasse intendere i sentimenti che provava per il mercante olandese.

Fu Ludvig a correre inaspettatamente in suo aiuto, richiamando l’attenzione del padre –e di tutta la tavolata- e annunciandogli che il ballo si sarebbe tenuto entro un paio di giorni.

Il conte annuì, poi si rivolse alla figlia. –Pensavo che sarebbe gentile, da parte nostra, invitare monsieur Van Dijk, Iedike, dopotutto è amico del vecchio Jens e Dio solo sa quanto egli e sua moglie ci abbiano reso dei gran mestieri in passato. Inoltre mi sembra che andiate d’accordo e sarebbe piacevole averlo qua per una serata tra amici, chissà quante cose ha da raccontare e sembra anche molto ben educato.

Iedike posò il calice dal quale stava bevendo e sorrise al genitore. –Oh, non v’ingannate, padre, è una persona estremamente interessante e a modo e anche molto colta, nonostante non abbia goduto del privilegio di avere i migliori insegnanti come Ludvig ed io, ma so che ha letto molto e ha viaggiato abbastanza da supplire a questa sua sfortunata mancanza con la conoscenza diretta che, credo converrete con me, spesso fa più di molti libri.

-Sicuramente, mia cara, sicuramente. Anche io da giovane desideravo viaggiare, sai? Ma purtroppo con queste gambe… se non fossi caduto da cavallo lo avrei fatto certamente, ma Dio mi ha ricompensato per le mie sofferenze e le mie speranze giovanili dandomi due figli splendidi.- disse l’anziano conte.

-Padre, non esagerate, Dio avrebbe potuto darvi figli migliori di me e Ludvig.- disse la ragazza, rivolgendo un sorrisetto al fratello, che le strizzò l’occhio con fare complice.

-Certo che no, bambina mia, ma torniamo al signor Van Dijk: cosa ne diresti di scrivergli dopo pranzo, pregandolo di farci l’onore di prendere parte alla nostra festa?- le chiese l’anziano Frydendahl.

-Io penso, mio caro fratello, che sarebbe un’idea ottima, come dici tu Iedike e monsieur Van Dijk paiono andare tanto d’accordo e sarebbe proprio bello che, per una volta, vostra figlia fosse circondata da giovani invece che da noi poveri vecchi.- rise la baronessa Maria, gettando l’amo e attendendo la sua giovane nipote abboccasse. Venne subito ricompensata dalle lamentele di Christina, che le assicuravano che non fosse affatto vecchia e, anzi, fosse ancora splendida e quelle di Iedike, che diceva di apprezzare la loro compagnia più di quella di molti giovani.

-In ogni caso- continuò la contessina –stavo proprio per informarvi di aver già invitato il signor Van Dijk questa mattina, quando è venuto a farmi visita. Mi pareva molto ineducato non farlo, vista la sua gentilezza: se non fosse stato per lui, ieri sarei svenuta nel bel mezzo di una strada.

La signorina Bernstein inorridì all’idea e concordò con la sua protetta, cosa sulla quale Iedike aveva contato. –La contessa ha ragione, monsieur Van Dijk è stato estremamente gentile ad aiutarla di un momento simile. Chissà cosa le sarebbe potuto accadere, povera cara. Spero che vi sentiate meglio.

-A meraviglia, mia cara amica, non preoccupatevi: ho riposato a lungo e la passeggiata fatta questa mattina mi ha rinvigorita.- la rassicurò la giovane, sorridendo. Era proprio ora di tender la sua trappola.

-Sei uscita a passeggiare, bambina mia? Non ne avevo idea… non è stato un po’ imprudente?- si preoccupò infatti suo padre.

-No, padre, non vi preoccupate. Il signor Van Dijk è venuto a farmi visita questa mattina ed è stato tanto caro da passeggiare con me per assicurarsi che non mi accadesse nulla.- gli rivelò la ragazza, sorridendo compiaciuta.

Sophia le lanciò un’occhiataccia. –Monsieur Van Dijk è davvero molto garbato, a maggior ragione con un’estranea come lo siete voi, cugina. Presumo che lo faccia come dovere verso il suo vecchio amico, l’anziano Andersen, del resto siete stata tenuta a balia da sua moglie, no?

-Sì, dite bene, la povera, cara Maria, che Dio l’abbia in gloria, mi ha fatto da balia e di lei non serbo che bei ricordi, ma il signor Van Dijk sta diventando un amico carissimo, pare che abbia molti gusti in comune con me, anche se a volte la pensiamo diversamente. Il che è un bene, perché le mie poche amiche sono ormai maritate e trovano ben poco tempo per scrivermi.- si rammaricò Iedike, cercando di mostrarsi corrucciata. In realtà di amiche ne aveva ben poche, anzi, l’unica a cui avesse voluto davvero bene per la sua gentilezza e la sua dolcezza, Dagmar, le era di tre anni maggiore e aveva sposato felicemente un nobile norvegese, ma era meglio che suo padre pensasse che la sua adoratissima figlioletta si sentisse sola.

Ed infatti il conte, nel vedere quell’espressione in volto, si intenerì. –Povera la mia bambina, è colpa mia che ti tengo sempre qua, accanto a me. La tua presenza mi fa così tanto piacere, ma forse dovrei mandarti più spesso a Copenaghen, affinché tu possa stare con persone della tua età. In ogni caso mi fa piacere che tu abbia un amico simile.

-Già, anche perché l’unica persona con cui potrei discorrere, qui, è Ludvig, ma a volte mi sembra troppo ottuso per capire le questioni importanti.- scherzò la ragazza, punzecchiando il fratello, che, dal canto suo, rise.

-Purtroppo, sorella cara, io sono davvero troppo ignorante di scienze e filosofia per parlare con voi, ma anche voi! Mai che facciate uno sforzo per intendervi di caccia o vini!- la dileggiò Ludvig, stando al gioco della sorella minore come aveva sempre fatto.

-Avete ragione, mea culpa. Prometto che mi applicherò di più per capire quale sia il divertimento che sta alla base dell’inseguimento di un animale che tanto sapete già di poter prendere senza il benché minimo sforzo. Si trattasse almeno di un orso!-  disse la ragazza, ridendo e pian piano tutti i commensali tornarono alle loro conversazioni originarie, anche se l’acrimonia di Sophia pareva cresciuta di pari passo alla soddisfazione, originatasi per ragioni diverse, di Iedike e sua zia Maria.

 

Terminato il pranzo, le baronessine Eckersberg si ritirarono con Iedike e la signorina Bernstein nella “stanza delle torture” per leggere e ricamare, Ludvig uscì per una cavalcata e Maria, con una scusa, si ritirò in biblioteca col fratello.

Il conte si sistemò comodamente sulla poltrona e coprì le gambe storpie con una coperta, mentre Maria si piazzava accanto al caminetto, guardando il ritratto di Amalie Frydendahl.

-Friederieke le somiglia sempre più in bellezza.- disse, con una punta di nostalgia, il conte –A volte non mi capacito ancora che sia venuta a mancare così tanto tempo fa.

-In effetti fu qualcosa di improvviso, tua moglie non aveva mai avuto alcun problema durante le sue gravidanze e i parti… purtroppo le vie del Signore sono infinite e ad Amalie è toccato ciò che le è toccato.- disse la baronessa, dando del tu al fratello come faceva sempre in privato. Fin da bambini avevano avuto un rapporto strettissimo, quasi pari a quello che vi era tra Ludvig e Iedike e avevano sempre tralasciato i convenevoli inutili.

-Mi manca ancora oggi… ma sono felice di aver potuto passare con lei tutto quel tempo, l’amore per la mia Amalie ha resto questa vita meno grama.

-A proposito di amore, tua figlia è innamorata.- annunciò, sorridendo.

-Come? E di chi? Quand’è successo?- si stupì il conte.

-Oh, Ludvig, ma sei proprio ottuso, certe volte! È così palese, fratello mio, solo a te potrebbe sfuggire una cosa simile! Non cambierai proprio mai.- rise –Iedike è innamorata di quello straniero, del signor Van Dijk, no?

Il conte si fece pensieroso. –Dici davvero? Proprio non me ne sono accorto… deve aver nascosto tutto molto bene, quella furbetta.

Maria roteò gli occhi. -In realtà lo ha capito anche tutta la servitù, fratello. Alcuni, addirittura, dicono che quei due si siano già confessati a vicenda e pianifichino di chiedere il tuo consenso per il matrimonio.

Il conte sgranò gli occhi. –Come? Di già?

-Be’, vedila così: se fosse vero e ne dubito, Iedike ha troppo buon senso per sposarsi su due piedi con un perfetto sconosciuto di cui solo Jens sa qualcosa, conoscerebbe suo marito sempre meglio di quanto io non conoscessi quel dannato Eckersberg quando i nostri genitori mi costrinsero a sposarlo. Ha le stesse probabilità che avevo io all’epoca di essere felice.- disse amaramente la donna.

-Non li hai ancora perdonati?

-Chi, mamma e papà? Oh, Ludvig… io voglio loro così tanto bene anche se il Signore li ha chiamati a sé anni fa, ma ciò che mi hanno fatto, pur a fin di bene, mi ha rovinato l’esistenza: loro pensavano al mio futuro e credevano che combinando un matrimonio con un Eckersberg, non avrei mai dovuto preoccuparmi del danaro. Non sono arrabbiata con loro, ma solo amareggiata dalla loro cecità: la reputazione di Sebastian non era poi così segreta.

-Se fossi stato un fratello migliore, mi sarei occupato di te.- mormorò il conte, dispiaciuto nel vedere la tristezza negli occhi della sorella.

-Ma che dici? Tu sei il miglior fratello che si possa desiderare, Ludvig: mi hai accolta ogni volta che scappavo e mi hai consolata ogni volta che mi strappava un figlio per darli alla sua amante. Mi ha strappato persino Søren, che solo un cieco potrebbe scambiare per figlio suo e solo per farmi un dispetto…- prese un libro e lo aprì -E Christina, la mia piccola bambola, che mi era così cara, con quei dolci sorrisi e quel suo modo delizioso di ridere? Ricordi che mi teneva lontana anche quando stava male? La mia povera bimba dilaniata dalla febbre e invece di sua madre, al suo capezzale c’era l’amante di suo padre. Purtroppo la riuscita di un matrimonio è solo nelle mani di nostro Signore.- dichiarò, richiudendo il libro e rimettendolo al suo posto.

-Dove vorresti arrivare?- chiede il conte.

-Lascia che Iedike sposi chi ami. Per un uomo il matrimonio è molto diverso, se non vi è amore nel vincolo coniugale, può cercarlo altrove e mantenere una reputazione limpida, permettendo alla propria amante e agli eventuali figli di vivere una vita dignitosa, ma per una donna è diverso: un matrimonio infelice è un fardello, soprattutto per una ragazza tanto giovane come tua figlia e persino cercare conforto in un amante è motivo di sofferenza. Se ti chiederà il permesso di sposare questo giovanotto, lascia che segua il suo cuore: di certo il signor Van Dijk non difetta di denaro e sono ragionevolmente sicura che tua figlia sarà felice con lui.- concluse Maria.

-Presumo tu abbia ragione, sorella mia. Presumo che sia così.

 

 

Nella “stanza delle torture”, Christina stava ricamando assieme alla signorina Bernstein, mentre Sophia suonava, deliziando tutti con una serie di arie. Iedike, invece, era seduta allo scrittoio e stava tentando di comporre una lettere che, se letta da occhi indiscreti –quelli del nemico, possibilmente- potesse sembrare il normale carteggio tra due innamorati; non era affatto un compito facile, poiché non si era mai innamorata di nessuno e le poche lettere simili ricevute le aveva bruciate tutte. Si diede della sciocca, rimpiangendo quell’atto così puerile, ma effettivamente come avrebbe potuto sapere che le sarebbero tornate utili?

Mio carissimo Albafica” le parve un inizio incoraggiante. “Mio carissimo Albafica, non posso esprimere a parole quanta gioia io abbia provato nel vedervi questa mattina.

Forse era un po’ esagerato, ma la mancanza di pratica e precedenti non le era di troppo aiuto. “…provato nel vedervi questa mattina. Sono felice di sapere che avete una così alta considerazione di me e che proviate un tale affetto nei miei confronti e sono desolata se, per caso, io vi abbia creato un qualche disagio con quella richiesta così improvvisa. Le parole che ci siamo scambiati stamane mi hanno dato da riflettere e sono giunta alla conclusione di provare lo stesso per voi, di ricambiare la vostra ammirazione e la vostra stima in maniera incondizionata. Ancor più mi ha reso felice il vostro disinteresse per il mio patrimonio o per le condizioni finanziarie in cui versa la mia famiglia: considero questo vostro modo di fare un segno di reale interesse per me e nulla potrebbe rendermi più felice ed orgogliosa di voi.”

Rilesse ciò che aveva scritto e le parve buono. Forse era un po’ troppo… dolce, per i suoi gusti, ma poteva andare.

“Ho anche una bella notizia da darvi: ho parlato a mio padre della mia intenzione di invitarvi al ballo ed egli era d’accordo, anzi, me lo ha proposto egli stesso prima che potessi informarlo. Sembra che gli piacciate molto e spero che, approfondendo la vostra conoscenza, egli acconsenta ad una nostra frequentazione più assidua e, se Dio lo vorrà, all’unione delle nostre famiglie. Non potete immaginare quanto sia felice per tutto ciò.”

In parte era vero, era felice di avere un amico o qualcosa di simile al ballo e di non dover affrontare da sola l’allegra comitiva messa assieme da Ludvig. “Ora, purtroppo, vi devo lasciare o rischio di insospettire troppo la mia istitutrice e le mie parenti. Vi aspetto domani, mi avete promesso di farmi visita, ricordate? La vostra sincera Friederieke.”

Sorrise soddisfatta, dicendosi che nessuno si sarebbe aspettato da una ragazzina nuova alle dolcezze dell’amore qualcosa di meglio e che, dunque, era perfettamente credibile, sistemò la missiva con cura, si alzò e uscì dalla stanza, alla ricerca di qualcuno che potesse recapitarla al giovane guerriero.

 





Come promesso, ho pubblicato il nuovo capitolo <3 Amatemi <3
Scherzo...
O forse no, chi lo sa.
Intanto inizio a ringraziare petitechérie per aver betato il capitolo e avermi illustrato l'importanza dei guanti: grazie, Pepe, senza di te qua le cazzate si sprecherebbero.
Ringrazio anche le persone che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo: siete fantastiche, avreste avuto tutte le ragioni per sfancularmi dopo un anno di assenza. Grazie ancora.
Bene, che dire? Siamo a circa metà della storia, più o meno -purtroppo non so bene di quanti capitoli si comporrà la storia, ma presumo che ce ne saranno almeno un'altra decina- e nel giro di qualche capitolo le cose finalmente si movimenteranno un po'... ma intanto dobbiamo prepararci mentalmente al ballo: vi assicuro che ci sarà da divertirsi. Albuccio scoprirà chi è il nemico? Forse... ma intanto raccontatemi i vostri sospetti, si apre il toto-cattivo! Chi è la Stella Malefica secondo voi?
Ci risentiamo il 23 settembre <3
Beth
   
 
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