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Autore: Flawless_hunter    04/09/2015    6 recensioni
Fangirls e Fanboys hanno trovato il modo di entrare nei loro libri preferiti e instaurare lì un loro dominio, il Fandom. A dieci anni dalla fine dalla Rivolta di Panem, i Fans costringono i protagonisti delle loro saghe preferite (Hunger Games, Divergent, Shadowhunters, Harry Potter, etc..) a prendere parte ad un'ultima edizione degli Hunger Games: i Fandom Games.
Chi vincerà? Stavolta per Katniss e Peeta non sarà una passeggiata vincere contro semidei, nephilim, re, regine, maghi e quant'altro
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Spoiler!
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Note dell’autore: Dedico il capitolo alla mia parabatai adorata e a tutti quelli che, nonostante sia passato un anno dal primo capitolo e la storia non abbia ancora trovato una fine, continuano a leggere questa fan fiction.
Vi prometto che non la abbandonerò.
Perché voi, miei piccoli lettori a cui voglio tanto bene, ve lo meritate, il finale.
Hunter.
 
 
La luce grigia dell’alba trovò Tobias sveglio.
Grandi gocce d’acqua cadevano a ritmo cadenzato dal fogliame che lui e Peeta avevano utilizzato come tetto del loro riparo di fortuna.
Il ragazzo di Panem dormiva inquieto in un sacco a pelo poco lontano e piccole volute di fumo grigio si alzavano da ciò che rimaneva del falò acceso la notte precedente.
Una brezza umida accarezzava il volto corrugato di Quattro.
Non aveva svegliato Peeta per il turno di guardia, quella notte: non avrebbe avuto senso dal momento che lui sarebbe rimasto sveglio tutta la notte comunque.
Peeta o non Peeta.
Aveva spesso tutte le ore notturne a pensare al volto di Tris e a sentire una voragine aprirglisi in petto, risucchiando ogni pensiero positivo.
Avrebbe voluto vendicarla ma, da quanto aveva visto la notte precedente, era arrivato tardi.
Qualcun altro aveva già ucciso il ragazzino col gatto e, a lui, adesso, non restava più nulla.
Non Tris.
Non vendetta.
Nulla.
Sentì gli occhi iniziare a bruciare e lacrime dolorose iniziarono a rigargli le guance.
-Ehi, amico, tutto bene?- sentì dire dalla voce impastata di sonno di Peeta, alle sue spalle.
Solo a quel punto Tobias si accorse di star tremando.
Scosse la testa, sapendo che, se avesse provato a parlare, avrebbe emesso solo gemiti di disperazione.
Sentì il biondino alzarsi e mettersi a sedere accanto a lui.
-E’ per Beatrice, non è vero?- chiese Peeta, con delicatezza.
Quattro annuì.
-Anche a me manca Katniss, sai? Mi manca come l’ossigeno manca a qualcuno che sta lentamente affogando. E non ti dirò di non piangere, perché non tutte le lacrime sono male. Ma la vita va avanti: devi solo avere il coraggio di accorgertene-.
Tobias alzò lo sguardo, allacciando i propri occhi castani in quelli azzurri del ragazzo di Panem e si asciugò il naso con una manica.
-Come fai a non essere distrutto?-.
-Lo sono. Non c’è nemmeno una fibra di me che non stia soffrendo per la sua mancanza- rispose Peeta –Ma non per questo posso permettermi di crollare. Ho due bambini a casa, che mi aspettano. Se crollassi e mi lasciassi ammazzare, chi baderebbe a loro?-.
Tobias rimase in silenzio per un po’, guardando il cielo che, rapidamente, verso est, si tingeva di un vivo rosa.
-Io non ho figli o famiglia da cui tornare. Ma ti prometto, Peeta Mellark, che fino al momento in cui in me ci sarà un alito di vita mi impegnerò perché tu possa tornare a riabbracciare i tuoi bambini-.
 
***
 
Jace si stava girando e rigirando lo stilo tra le mani, chiedendosi se era davvero in grado di fare una cosa del genere.
D’altronde, su di lui si sarebbero potute dire tante cose (e molti lo facevano), ma non si poteva definire un traditore.
L’unica volta che aveva commesso qualcosa di simile ad un tradimento era perché era momentaneamente posseduto dal figlio di Lilith, la madre dei Demoni.
D’altra parte l’alleanza doveva durare solo finchè gli assassini delle loro compagne fossero morti, cosa successa diversi giorni prima, con la morte del mago.
Fece un respiro profondo e iniziò a tracciare una runa, col cuore che gli rombava nelle orecchie.
 
-Jon, svegliati!-.
Il Guardiano della Notte aprì un occhio, pigramente, e ciò che vide lo confuse.
Jace era in piedi di fronte a lui, gambe leggermente divaricate, schiena eretta, sguardo duro e una spada per ogni mano.
Quella nella mano sinistra sembrava fatta di vetro, quella nella mano destra era inequivocabilmente quella in acciaio Valiriano di Jon.
-Cosa fai con Lungo Art…?-
-Alzati!- lo interruppe Jace con tono autoritario.
Jon obbedì, ma con sguardo accigliato e confuso.
-Jace, mi spieghi cosa stia succedendo? Cosa c’è?-.
Per tutta risposta il Nephilim gli lanciò la sua spada inguainata e il Guardiano della Notte la prese al volo.
-Avevamo deciso di allearci- disse Jace, fissandolo dritto negli occhi –fino a quando non avessimo vendicato la morte di Clary e Daenerys. E Potter è morto qualche giorno fa. Nulla di personale, ma non possiamo più essere alleati-.
Jon capiva.
Era ovvio, era stato bello fino a quando era durato, ma non aveva senso continuare oltre.
-Va bene, Nephilim. E’ stato un onore combattere al tuo fianco. Addio-.
-No!- esclamò Jace –No. Ti ho dato la spada per un motivo. Siamo nemici, ora. Solo il vincitore lascerà l’accampamento-.
Ciò detto il Cacciatore partì in affondo verso il petto dell’avversario.
Ma Jon era allenato: in un lampo estrasse la spada dal fodero e piroettò di lato per evitare la lama cristallina dell’altro.
Una sensazione strana gli attraversò il braccio.
Cerco di passare la spada nell’altra mano, ma quella non si mosse, restando saldamente incollata al palmo della mano destra.
Jace era ripartito alla carica, nel frattempo, obbligando Jon ad una serie di parate rapidissime.
Ecco perché il Nephilim aveva la sua spada, poco prima; era una qualche sorta di sortilegio, ma a che scopo incollargli la mano all’elsa della spada?
A contatto con la pelle del palmo sentì la temperatura dell’elsa alzarsi.
Ben presto divenne incandescente, ma l’arma non voleva ancora saperne di staccarsi dalla sua mano.
Il bruciore era così intenso da strappargli un urlo.
Fu allora che il Nephilim smise di attaccarlo e fece un passo indietro.
-Tu, schifoso…- sibilò Jon avvicinandosi a Jace, ma, in quel momento, la sua mano destra prese letteralmente fuoco, mandandolo nel panico.
Iniziò a gridare e correre in tondo, mentre il fuoco lo divorava e consumava come fosse fatto di legno secco.
Il dolore era insopportabile ma, nei suoi ultimi attimi di vita, gli venne in mente Lady Melisandre, la Donna Rossa.
Decise che, se proprio doveva morire, tanto valeva tentare di portare Jonathan Christopher Herondale con sé.
Offrì la sua anima a R’hllor e, morendo, lanciò una muta maledizione al Nephilim.
 
Jace si avvicinò al cadavere incenerito del Guardiano della Notte.
Sull’elsa, annerita dalle fiamme, erano ancora visibili la runa Pastein e la runa Pyrus, la runa per far rimanere le cose attaccate e la runa del fuoco.
Perdonami, Jon. Ho fatto una cosa orribile. Ma sono solo umano: voglio solo tornare a casa. A casa da Alec, da Izzy, da Simon.
Si inginocchiò accanto alle carni carbonizzate.
-Ave atque vale, Jon Snow-.
 
***
 
Era successo il caos, da quando Sadie aveva fatto esplodere Percy come un petardo.
Dopo l’accaduto, la giovane maga si era trasformata in un rapace, volando via nella notte.
Carter l’aveva guardata andarsene lontana, ma poi aveva raggiunto Annabeth, che gridava a pieni polmoni la sua agonia.
Era inginocchiata a terra e piegata in avanti, ma non c’era nessun cadavere su cui piangere: un braccio del figlio di Poseidone era ai bordi della radura, un piede nell’erba viscida del suo sangue, una parte della sua testa incastrata nella biforcazione di un ramo.
Carter provò a non vomitare e si abbassò vicino alla figlia di Athena, posandole una mano sulla spalla.
Ma quella reagì come se le avesse appena dato una sberla: si alzò di botto, urtando con la propria testa il mento del ragazzo e facendogli mordere dolorosamente la lingua, e lo spinse forte a terra.
-Annabeth, ma cosa…?-
-Non chiamarmi Annabeth! Non sono tua amica. E’ colpa vostra. Tutto questo- disse lei allargando le braccia e indicando simbolicamente tutti i resti di Perseus Jackson disseminati nelle vicinanze –è colpa vostra. Nulla di tutto questo sarebbe mai successo senza di voi-.
Gli occhi erano diventati duri e freddi come il ferro.
La lama di bronzo celeste del suo pugnale le comparve in mano.
-Dovrei… dovrei ucciderti-.
Il mago preparò mentalmente un incantesimo-scudo.
-Ti prego, ragiona…- la supplicò lui.
-Vattene, Kane. La prosima volta che ci rincontreremo, ti taglierò la gola con questo pugnale. La taglierò a te e a tua sorella. Lo giuro sullo Stige-.
Carter indugiò un secondo, scioccato dalla durezza e dalla rabbia di quelle parole.
-VATTENE!- gridò lei, alzando il coltello sopra alla propria testa.
In una breve frazione di secondo l’Occhio di Horus si era alzato in piedi, trasformandosi a sua volta in rapace e spiccando il volo, nella direzione presa dalla sorella.
 
Era l’alba, adesso, e Carter non aveva idea di dove si trovasse lui.
O sua sorella.
O Annabeth.
Continuava a pensare e ripensare alla notte precedente, cercando di capire cosa fosse successo.
Certo, Sadie amava distruggere le cose: ma le cose, non le persone.
E tantomeno gli amici.
Era sicuramente una sorta di magia, o di trucco, delle persone che li avevano intrappolati tutti lì dentro, e doveva trovare il modo di farlo capire anche ad Annabeth.
Ma, per il momento, la sua preoccupazione era di trovare sua sorella prima che lo facesse la figlia di Athena.
Perché, dopotutto, nonostante avesse appena ucciso un suo amico, restava sempre sua sorella e, se lui aveva ragione e Sadie si era ripresa e resa conto di ciò che aveva fatto, probabilmente era da qualche parte, traumatizzata e spaventata.
In lontananza un cannone esplose un colpo, e il suo cuore mancò un battito.
Che fosse Sadie?
Che Annabeth l’avesse raggiunta e uccisa?
Che si fosse tolta la vita in preda alla disperazione?
No, non poteva pensarci.
Sadie era viva, da qualche parte nella foresta, e aveva bisogno del suo aiuto.
Con uno stridio acuto, il falco-Carte si librò nuovamente in volo setacciando con la sua vista da rapace l’intera foresta.
  
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