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Autore: __Armageddon__    17/09/2015    2 recensioni
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La presidente mi osserva, mi scruta con calma e cerca di leggermi l'anima con i suoi occhi di un colore che io stesso non sarei in grado di riprodurre su nessuna mia tela.
«Voglio sapere da che parte sta!» sibila. I gomiti poggiati sul tavolo di ferro, le mani strette come se stesse pregando, ogni tanto se le sfrega, quasi sentisse freddo.
«Lei è consapevole del fatto che tutti i suoi... “compari”... sono dietro quel vetro,assistendo così al suo mutismo?» chiede,pronunciando la parola “compari” in modo tagliente,quasi le facesse ribrezzo.
«RISPONDA!» grida esasperata e furente, battendo le mani sul tavolo con impeto e sporgendosi in avanti,come se volesse spaventarmi. Poi si blocca, osserva per un nano secondo lo specchio posto al fianco del tavolo, conscia di non essere sola, realizzando di avere gli occhi di tutti i miei amici puntati sul suo profilo.
Si risiede nella seggiola e si mette alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio.
«Voglio sapere da che parte sta,Mellark.» sospira,con finta tranquillità.
«Avevamo un patto!» affermo inquieto.
«Lo so bene.» risponde lei, flemmatica.
«E allora perché Katniss è ancora a Capitol City, da Snow?!» sibilo a denti stretti, adirato.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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“Ci sono due tipi di tormenti nella vita: la conseguenza per il troppo coraggio ed il rimpianto per la troppa paura. In queste situazioni non sono io che decido, ma se voi poteste, cosa scegliereste ?” -Anonimo
 



Mi ero permesso per la prima volta di osservare il distretto 13 e devo ammettere che non aveva nulla di invidiabile.
Quando vidi la sua profondità ne rimasi stupefatto per l'ingegneria con cui era stato creato.
Gli abitanti indossavano delle divise grigie e avevano da svolgere in tutta la giornata determinati compiti.
Al distretto 13 nulla era affidato al caso. Le matite erano tante quanto gli abitanti e la carta veniva ripetutamente riciclata per essere riutilizzata, i bambini erano pochissimi per via di un'epidemia di varicella che rese quasi tutte le donne sterili e non vi era un minimo di svago, si aveva un'ora libera 
che ti permetteva di rilassarti, ma non era nulla di eclatante.
Il tredici, molto semplicemente, era un luogo triste. Triste come chi lo governava.
Dopo l'incontro con la dolce Primrose incontrai Plutarch, ormai il segretario della Coin, informandomi che questa mi aveva procurato un braccialetto con su scritto: MENTALMENTE INSTABILE. Perché doveva giustificare la mia nullafacenza, il mio pascolare per il distretto senza una meta ben precisa, senza che io seguissi l'orario giornaliero prestabilito per tutti.
Mi osservavano quelli del 13. C'era chi mi guardava con ammirazione e chi -come me- riteneva il mio salvataggio un errore.
Ormai io non avevo più nulla, non avevo -e non volevo- nessuno con cui parlare veramente se non Johanna o Delly.
Delly è la mia migliore amica sin dalle elementari e chiunque ci vedeva vicini sospettava fossimo parenti per via della nostra somiglianza, abbiamo gli stessi occhi, gli stessi capelli biondi e un tempo riuscivamo a capirci anche con uno sguardo.
Era stata proprio lei a raccontarmi quello che successe al dodici e alla mia famiglia.
Mi era venuta a trovare in ospedale il giorno prima della mia sfuriata e senza mai guardarmi negli occhi mi aveva raccontato tutto.
«Eravamo tutti insieme quella sera.
Ross non voleva guardare la trasmissione così chiamammo la compagnia ed uscimmo per distrarci un po'...
Eravamo io, Ross, Rye con la sua fidanzata e Chris.
I tuoi fratelli continuavano a litigare, erano irritati e si insultavano per stupidaggini, così dopo un po' Rye se ne ritornò alla panetteria e la sua fidanzata se ne andò a casa.
Ma Ross...
Ross borbottava costantemente, era agitato e quindi io e Chris, infastiditi per il suo atteggiamento, andammo in piazza a guardare i giochi, seguiti da tuo fratello.
Continuava a dire che aveva un brutto presentimento, che non era tranquillo e inveiva contro Rye, così non resistetti più e gli urlai in faccia...
Gli avevo gridato che lo odiavo Pee...
Gli dissi che lo odiavo perché era un debole, che lo odiavo perché era testardo, perché non era riuscito a guardarti per più di cinque minuti negli occhi dopo il tuo ritorno, perché non riusciva a fare il tifo neanche per un secondo per te, che eri suo fratello. Gli ho detto che lo odiavo perché era un codardo e lui mi fissava, le labbra incurvate verso il basso e gli occhi spenti come di chi viene ucciso dalla persona che più ama.
Poi mi voltai e continuai a guardare quello che accadeva nell'arena e vidi Katniss che ti dava un bacio sussurrandoti che vi sareste visti a mezzanotte.
Ross era inquieto, continuava a ripetere che quello, più che un “ci vediamo dopo”, sembrava un addio. Io e Chris scoppiammo a ridere dicendo che sarebbe andato tutto bene... Ma ci sbagliammo.
Dopo che Katniss ebbe scoccato la freccia contro il campo di forza, tutti gli schermi del distretto si spensero... C'era un silenzio assordante, così profondo che riuscivamo a sentire gli uni il respiro degli altri; poi staccarono la luce e poco dopo tutti i pacificatori abbandonarono il distretto... Eravamo soli.
Fu lì che Gale Hawthorne, il cugino di Katniss, ci intimò di scappare...
Ci ha spinti verso il bosco.» 
Era brava a raccontare le cose Delly, così brava che riuscivo a vedere tutto quello che raccontava, come se stessero proiettando l'accaduto nella mia stanza d'ospedale.
«Io e Ross eravamo insieme quando Hawthorne gridò che dovevamo scappare tutti e noi ci mettemmo a correre verso la recinzione. Chris prese in braccio dei bambini, mentre io aiutai una signora ad alzarsi dopo che cadde. Cercavo i ragazzi con lo sguardo senza mai fermarmi, ma ad un tratto vidi tuo fratello, si era fermato per poi mettersi a correre dalla parte opposta in direzione della panetteria. Senza pensarci due volte lo seguii e lì, proprio in quel momento, arrivarono gli hovercraft con lo stemma della capitale a sganciare le bombe incendiarie...» aveva gli occhi chiusi la mia migliore amica, sospirava e le lacrime le bagnavano le guance, faceva male ricordare, lo sapevamo entrambi adesso, ora lei poteva capire cosa voleva dire convivere con un ricordo terribile, così atroce da farti cambiare. Segnandoti per sempre.
«Volevo fermarlo Pee.. Ci ho provato davvero, ma lui era cocciuto, voleva ritornare indietro per i tuoi genitori e per tuo fratello...» e la vedevo Didi, che cercava di convincere Ross per scappare, per tornare indietro nel bosco, ma lui non voleva fermarsi.
Riuscivo anche a sentire il rumore sordo che emettevano gli Hovercraft quando lanciavano le bombe per incenerire tutto.
«Durante i giochi i tuoi erano nel retro della panetteria, forse c'era anche Rye, forse erano svenuti per il fumo e lui per essere l'eroe della situazione entrò dentro per cercare di salvarli, per aiutare qualcuno. Sai come la pensava lui, non voleva che i suoi rimpianti superassero i sogni che aveva, non voleva poter pensare di averli lasciati lì senza neanche aver provato a tirarli fuori.» disse con un sorriso amaro stampato sul viso, gli occhi puntati in una mattonella bianca di fronte a lei e le parole che si animavano nella mia testa, rendendo l'accaduto reale, tangibile.
Vedevo Ross che entrava nella panetteria per salvare qualcuno, conscio di non avere abbastanza tempo per aiutarli tutti e lui lo sa, è consapevole di non avere chance, ma comunque doveva farlo, doveva tentare, perché viveva con il rimpianto Ross.
Dopo i miei primi giochi mi abbracciò così forte da farmi mancare il respiro e mi chiese scusa un miliardo di volte, perché non era stato un buon fratello e voleva migliorare, perché non si era offerto volontario come Katniss aveva fatto con Primrose, perché non mi aveva mai difeso quando mamma mi prendeva a botte. Era pentito Ross, quello che aveva due anni in più di me, quello con cui dividevo la stanza, che mi sfotteva perché sbavavo dietro ad una ragazza del giacimento quando potevo provarci con la figlia del fioraio.
Ma la quiete durò poco, perché dopo pochi giorni non riuscì più a sostenere a lungo il mio sguardo, viveva con il rimpianto Ross, si sentiva colpevole del mio cambiamento e non voleva più riprovare una cosa simile con altre persone. Si dava contro perché lui pensava di potermi salvare da un destino che era già stato scritto per noi, era stato vano il mio tentativo di spiegargli che andava tutto bene, per lui dissi quelle cose perché avevo il cuore buono, ma piangeva Ross, piangeva e singhiozzava così forte da non farmi capire nulla, riuscivo solo ad afferrare poche parole dove diceva che se ero cambiato, la colpa era anche sua, perché non aveva fatto niente, perché era il suo ultimo anno di tessere per l'estrazione e aveva paura, era così spaventato da restare immobile mentre mi vedeva salire su quel palco, pietrificato, mentre Effie Trinket annunciava i nuovi tributi. Ed io lo tenevo stretto a me, perché non volevo che sentisse tutta quella sofferenza, me li sarei presi volentieri io i suoi dolori per non vederlo più così. Io ero forte, io potevo reggerli. al mio ritorno dopo i tour della vittoria mi stava aspettando fuori dalla stazione con papà e Rye, mentre mamma era alla panetteria, troppo impegnata a odiarmi per venire.
E solo ora capisco per che cosa i miei fratelli litigavano quella sera: perché Ross non era intervenuto. Si davano contro quando la colpa alla fine non era di nessuno. Era stato il destino, che nonostante tutto, io stesso continuo a ringraziare. Se non fosse stato per quell'estrazione, io non avrei mai conosciuto Katniss Everdeen e se lei avesse vinto non avrei mai avuto il coraggio di parlarle. Io, in fondo, non valevo niente neanche per mia madre. Figuriamoci per Katniss Everdeen.
Nella mia stanza d'ospedale asettica riuscivo persino a percepire l'odore di bruciato, quello che si espandeva nell'aria e il fumo che riempiva i polmoni.
Vedevo quello che aveva visto la mia migliore amica e provavo la stessa disperazione che aveva provato lei, perché era della famiglia, perché li aveva visti morire, ed era colpa mia, perché sarei dovuto morire molto prima, ma volevo solo proteggere la ragazza che amavo, lasciando così fuori tutto il resto.
«Ero lì davanti Pee...» piangeva Delly con la testa poggiata sulle mani sopra al lettino della stanza ed io le accarezzai la testa per consolarla, anche se la perdita,infondo, era mia.
«Ero lì...» singhiozzava la mia amica mentre cercava di finire il racconto, mentre mi descriveva come il nostro mondo, la nostra realtà, veniva distrutta per punire la ragazza in fiamme.
Non avrei potuto dire altro che non fosse il mio “sta' tranquilla” ripetuto come una vecchia nenia mentre fissavo la parete bianca di fronte a me, mentre il mio cervello riproduceva ciò che la mia amica Didi aveva visto, immaginai la morte dei miei cari.
Ross che entrava nella panetteria di famiglia cercando Rye e i mie genitori, che si buttava tra le fiamme per andare nel retrobottega, che cercava mio fratello per portarlo fuori e salvarlo, la panetteria che lentamente va in pezzi e la porta che si blocca per chissà quale asse di legno.
Vedevo quello che accadeva nella panetteria di famiglia anche se Delly non l'aveva raccontato, immaginavo cosa avesse fatto mio fratello una volta dentro, il panico provato mentre realizzava di non avere scampo, l'agitazione che sentiva mentre i gradi aumentavano, mentre tutto intorno a lui andava in pezzi. Immaginavo come cercava furiosamente di scappare anche se non vi erano possibilità di fuggire, come piangeva nel vedere i nostri genitori in terra, probabilmente morti, e come scuoteva Rye sperando che si svegliasse. Lo faceva sempre quando aveva gli incubi, correva da Rye e lo svegliava per farsi dare forza, ma lì, da bambini era diverso, i mostri sotto al letto li dimentichi, ma il terrore che si prova nel vedere la morte ad un palmo dal tuo viso è destabilizzante.
Voleva fare l'eroe Ross, era uno dei suoi buoni propositi, magari avrebbe fatto il pacificatore in una vita parallela, in una vita dove io sono dieci metri sottoterra, dove Katniss magari stringe al petto i suoi bambini, in una vita che non implicherebbe la mia presenza.
Lo vedevo. Il mio fratellone dai capelli biondi, così biondi da sembrare bianchi in estate, come piangeva, come gli si formavano delle bruciature sul viso, o come avrebbe detto lui, sul suo bellissimo viso degno di Capitol City. Vedevo come si toglieva il giubbotto per il caldo, poi la maglietta, le bruciature che gli si formavano sul petto, sulle braccia, sulle mani, l'aria che mancava sempre di più e il caldo soffocante, immaginavo come avesse sperato di morire, così come ho pregato che succedesse a me; perché dopo un po', quando capisci di non avere più alcuna opportunità per scamparla, fai l'unica cosa che ti viene più semplice fare, ti appelli alla morte.
Così il suo sorriso si trasformò lentamente in una smorfia di dolore, la pelle che pian piano gli si sfaldava e il cuore che gridava pietà, magari aveva gridato Ross, lo faceva sempre quando voleva sfogarsi, chissà se mi aveva incolpato proprio come mi ero accusato io stesso per tutto il tempo, avrei preferito morire, magari non sarebbe successo nulla di tutto ciò, Rye sarebbe riuscito a sposarsi con la ragazza con cui si frequentava, una ragazza misteriosa di cui parlava sempre, di cui lui era follemente innamorato, ma che io non ero mai riuscito a conoscere e magari Ross sarebbe diventato un'eroe, magari un vero e proprio pacificatore come sognava, forse anche Katniss avrebbe messo su famiglia con Gale, e chissà, se avessi avuto abbastanza coraggio mi avrebbe ricordato con un sorriso perché avevo mangiato le bacche velenose solo per farla vincere,non prima di averle ricordato che sarei stato suo per sempre. Sarebbe dovuta andare così, e invece, l'unica cosa che riuscivo a immaginare erano i volti sfigurati della mia famiglia, Delly che cercava di fermare Ross dal compiere una follia e che non lo vedeva più uscire dalla panetteria.
«Ero lì davanti... Lui...Lui è entrato ed io non volevo... aveva detto che sarebbe tornato subito, mi aveva sorriso capisci? Poi è entrato ed io.. io l'ho aspettato, ma.. ma.. la panetteria è crollata dopo poco... l'avrei aspettato lì fuori tutta la vita se non fosse stato per Christopher Tuttle..» voleva morire con Ross ,Didi, lei aveva visto mio fratello sorriderle per rassicurarla, lo faceva sempre, gli aveva sorriso un'ultima volta. Mio fratello aveva il sorriso contagioso di chi aveva sofferto, era dannatamente bello Ross vestito dei suoi sbagli e l'aveva fatto un'ultima volta prima che la panetteria gli crollasse in testa, bruciato vivo come tutti i Mellark, tutti tranne me.
Poi nella mente vidi la mia amica sbraitare e dimenarsi dalla stretta di Tuttle che cercava di salvarla, mentre lei voleva solo andare incontro a mio fratello , anche se non vi erano superstiti e Chris, il mio migliore amico, la tirò via caricandosela sulle spalle e fuggendo verso il bosco nonostante lei gridasse in preda al dolore e lo insultasse.
915 persone salvate su 10.000, grazie a Gale Hawthorne.
Ed era come se io fossi stato lì per tutto il tempo, sentivo sulla mia pelle l'amarezza che solo le persone sopravvissute al bombardamento del 12 provavano, mi sentii quasi uno spettatore involontario della vicenda, uno di quelli che sta in fondo alla stanza senza destare sospetti, ma che vede e prova tutte le emozioni che sentono le persone che lo circondano, e, adesso vi era il nulla. Io non sentivo nulla perché non avevo niente, derubato di tutti i miei averi, perfino del mio ultimo desiderio di restare me stesso, quello che avevo rivelato a Katniss durante i primi giochi dove le raccontavo che se fossi morto l'avrei fatto restando me stesso, non volevo essere una delle tante pedine dei giochi, ma in realtà, solo adesso, mentre Didi è al mio capezzale che piange e singhiozza, mi rendo conto che stavo mentendo a me stesso solo per rendere la pillola meno amara di quello che era. Nessuno ritorna mai indietro per davvero dall'arena, nessuno riusciva ad essere un vero vincitore, i giochi distruggevano te stesso, ti toglievano ogni cosa lasciandoti solo il mesto ricordo della persona che eri prima.
E faceva male realizzare che il ragazzo che era salito sul palco durante la mietitura dei 74esimi Hunger Games, Peeta Mellark, il ragazzo del pane, lo sfortunato amante, era sepolto sotto una coltre di cenere lasciata dai tizzoni ardenti che un presidente dispotico aveva voluto estirpare con la forza.
«Ho preso a schiaffi Christopher quando mi ha fatto poggiare i piedi oltre la recinzione, volevo restare con lui, ma non me l'ha permesso..» continuò Delly.
Le dissi che non doveva pensare quelle cose, che lei doveva sperare in una vita migliore, ma non mi ascoltava Didi, sapeva che anch'io, come lei, sarei voluto rimanere al fianco di Katniss, sia da vivo che da morto.
Ero stato un grande ipocrita quando le dissi che non doveva pensare a quelle cose, che doveva ricordare Ross con un sorriso, ma in realtà io stesso ero il primo che si crogiolava nel suo dolore, il cruccio della perdita che ti toglie il sonno e il respiro.
« Abbiamo camminato per giorni interi, finché non siamo stati accolti dal 13 Pee...» mi disse Delly quel giorno, il giorno in cui avevo appreso come ogni cosa mi era stata strappata dalle mani, dove capii che non avevo più nulla se non il rimpianto di essere vivo.
E solo adesso, mentre vago per i corridoi di questo posto grigio e squallido, mi rendo conto che gli abitanti del 13 ,alla resa dei conti, hanno accolto i sopravvissuti del mio distretto perché dovevano mandare avanti il loro, cosa che sarebbe stata impossibile fare senza di noi viste le condizioni di sterilità delle donne e di alcuni uomini. Mi rendo conto che l'atto di bontà che hanno compiuto, era solo della finta benevolenza che aveva il proprio tornaconto, perché come bambini ci sono solo i sopravvissuti del 12 e il 13 doveva -in qualche modo- ripopolare la sua circoscrizione.
«Soldato Mellark, al rapporto dalla Presidente.» il soldato di colore mi si era piazzato davanti senza neanche che me ne rendessi conto, troppo perso nel ricordo delle mie perdite, tutte in una sola notte.
«Finalmente.»ero sollevato, la Coin in questo periodo non era riuscita a dedicarmi del tempo per chissà quali ragioni, ed ora sono qui mentre seguo uno dei suoi soldati -con tanto di spille di riconoscimento appuntate al petto- verso il comando.
Entrati nell'ascensore digita un codice e questo si attiva, cambiando diverse volte direzione.
Dopo qualche minuto mi volto ad osservare l'uomo al mio fianco e noto che ha una benda bianca sul naso e scoppio a ridere, una risata isterica e rumorosa, quelle che ti scappano e che non riesci a trattenere...sono nell'ascensore con il tizio a cui ho rotto il naso.
«Mi dispiace amico...» borbotto asciugandomi le piccole lacrime che mi si sono formate agli angoli degli occhi, rido a crepapelle per la situazione imbarazzate in cui mi trovo e lui mi osserva serio, così serio da far scemare le mie risa.
«Accetto le sue scuse, ma non sono suo amico dopo il gancio che mi ha tirato.» non riesco a capire dove io abbia trovato il coraggio di aggredire questo energumeno, così alzo le mani in segno di resa borbottando un 'okay'
«Io sono il colonnello Boogs.» dice perentorio.
«Peeta Mellark.» affermo porgendogli la mano destra e lui mi fissa per qualche secondo, senza mai perdere la sua serietà che lo caratterizza.
«Lo so.» ribatte Boogs deciso.
«mi pare evidente...» mormoro quando finalmente l'ascensore si ferma e le porte si aprono.
Dopo qualche minuto sono davanti ad una porta e prima che io possa varcare la soglia, il soldato mi poggia una mano sulla spalla e, con fare categorico, mi consiglia di mantenere la calma, annuisco ringraziandolo e dopo aver preso un respiro profondo entro nella stanza.
«Peeta, è un piacere rivederti.» mi accoglie il primo stratega.
La sala riunioni è piuttosto grande, con un tavolo lungo circondato da sedie e di fronte ad esso vi è uno schermo che mostra varie progettazioni militari.
«Heavensbee.»dico stringendo la mano all'uomo che mi fa accomodare su una sedia.
«La presidente sta per arrivare insieme a delle persone fidate per aggiornarti sulle questioni recentemente accadute.» mi informa Plutarch elettrizzato, perché per lui, oggi si faranno cose mai viste.
Sento la maniglia abbassarsi e senza indugiare mi alzo per buona educazione, ma subito mi risiedo quando vedo chi sta entrando insieme alla presidente.
Non mi piace Alma Coin, ha uno sguardo freddo da calcolatrice, come se questa rivoluzione potesse giovare più a lei che al popolo.
E' poco più bassa di me, ha i capelli lisci come la seta e grigi, la pelle è diafana per via del sole mai visto -o visto poche volte- e gli occhi sono di un colore particolare, sembrano arancioni o giù di li.
«Mellark, è un piacere incontrarla.» mi tende la mano ed io gliela stringo con vigore dicendole che "il piacere è tutto mio" ma non è vero, voglio solo una cosa e la otterrò... Spero.
«Bene. Accomodatevi.» dice Alma.
Così finalmente ci sediamo e Plutarch prende la parola.
«Okay, la mia idea è quella di fare dei video propagandistici dove dobbiamo spingere gli altri distretti ad unirsi a noi per combattere il regime di Coriolanus Snow... Mi piace chiamarli pass-pro.» ascolto le sue parole cristalline mentre la Coin gioca con una penna rigirandosela tra le dita annuendo e sorridendo compiaciuta.
«Ed io a cosa vi servo?» chiedo veramente curioso, ma la vera domanda che avrei voluto porre ai presenti era: cosa dovrei fare io che Katniss non era in grado di fare?
Ma ovviamente non lo feci, perché dovevo mantenere la calma.
«Tu sei quello bravo con le parole, reciti qualche battuta, sventoli il simbolo della ghiandaia ed è fatta.» non capiva Plutarch che non sarebbe bastato, nessun discorso sarebbe mai stato sufficiente.
«Pensate che funzionerà? Davvero, siete seri...?» li squadrai uno a uno mentre tutti i presenti annuivano alla mia domanda retorica, tutti tranne Haymitch e Gale, che mi fissava glaciale, con quegli occhi grigi uguali ai suoi, quegli occhi che non avevo dimenticato per un solo attimo e che mi avevano fatto risedere non appena li avevo visti, perché faceva male averceli di fronte, perché non erano i suoi.
«No... Non funzionerà.» affermai e tutti continuavano a borbottare sul fatto che sarebbe bastato, che il piano avrebbe funzionato, mentre era evidente che per me non era così.
Nella stanza c'è caos, troppo rumore, troppe parole dette da persone incompetenti che non sanno e che non capiscono quello che si prova ad andare negli Hunger Games e la mano agisce da sola, come se avesse vita propria e quando la sbatto sul tavolo il tonfo fa zittire tutti, che si voltano a fissarmi con gli occhi spalancati, spaventati da me.
Non capiscono... Loro... Loro non potrebbero capire, mai.
«Avete lasciato Katniss a morire nell'arena. Lei era migliore di voi!» e lo sguardo di Gale cambia un po', ma di poco perché forse pensava che di lei non mi importasse realmente, che ero andato avanti con la mia vita, ma Katniss è una costante, proprio come la sua voce nella mia testa che non se n'è mai andata, a volte tace, ma rimane, sempre.
«Quindi ragazzo... Hai idee?» con un semplice quesito il mio vecchio mentore mi aveva ammutolito perché no, non ne avevo,ma quattro parole non avrebbero convinto né ora né mai un intera Panem a rivoltarsi contro la sua Capitale, era impossibile e ancora sentivo l'annuncio dell'edizione della memoria rimbombarmi nelle orecchie.
Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.
Non parlavo perché, no, non avevo idee, ed Haymitch lo sapeva.
«Gireremo un pass-pro fra qualche giorno, nel frattempo svolgete le vostre mansioni.» concluse così la discussione la Coin ed io, senza ascoltare altre insinuazioni, mi lancio fuori da quella stanza.
Mi mancava l'aria.
Era tutto nelle mie mani e non potevo sbagliare ancora.
Due giorni dopo, la sveglia mi fece alzare dal letto alle 8 in punto, era il “grande” giorno e Johanna mi avrebbe fatto compagnia, era la mia roccia.
Non avevamo tempo per la colazione, perché dovevano andare al comando.
Come di consueto, Boogs ci fece strada ed era più loquace del solito.
«Andrete in un altro posto dove vi prepareranno per il pass-pro.» annuivo mentre al mio fianco Johanna sbuffava.
Non dovevo sbagliare.
Quando le porte si aprirono separarono me e Johanna per farci preparare, non che non avessi visto niente di Jo, ma era giusto così.
Varcata la soglia del mio camerino vidi Effie sorridermi e senza darmi l'occasione di fare un ennesimo passo in avanti mi si buttò fra le braccia, stringendomi a se con fare materno, piangendo.
«Pensavo di non rivedervi più...» le sorrisi teneramente senza pronunciare le parole che affollavano la mia mente, che gridavano ci sono solo io, ma lei sembrava leggermi il pensiero.
«Non tutto è perduto caro ed ora, su su che dobbiamo prepararci! Oggi sarà una grande grande grande giornata.» 
Disse mentre io andavo al centro della stanza, poi mi sorrise teneramente aprendo la porta d'entrata e subito entrarono Flavius e Venia, rimasi esterrefatto quando li vidi, ero pietrificato e un sorriso imbarazzato mi incorniciava il viso mentre loro mi si avvicinavano piangendo dalla gioia, abbracciandomi con veemenza e sospirando teatralmente, pensavo fossero morti e invece erano qui e non sarei potuto essere più felice.
Subito dopo mi avevano messo su un piedistallo e mi parlavano di come erano stati portati al 13, di Cinna che non era sopravvissuto, malmenato davanti a Katniss prima che entrasse nell'arena, una notizia che loro lo avevano scoperto per puro caso sentendo Plutarch, Haymitch e Effie che vociavano sull'accaduto e infine mi dissero che Octavia era con Johanna.
Parlavano continuamente Flavius e Venia, loro chiacchieravano ed io mi persi ad osservare i miei preparatori che non indossavano più tutti quei gingilli che portavano a Capitol quasi una vita fa, l'unica cosa bizzarra dei due erano i capelli Rosa Antico della donna che si abbinavano alle unghie laccate dello stesso colore, mentre l'uomo aveva i capelli di un Rosso Carminio. Li osservavo con pazienza, godendo di quei momenti, sorridendo ai loro consigli di bellezza mentre continuavano a spalmarmi delle creme per le cicatrici, acconciandomi i capelli e inveendo sulle mie unghie poco curate.
Alla fine del lavoro Effie si avvicinò a me aprendo un libro con dei disegni. Rappresentavano una divisa militare.
«Cinna ne ha preparate due, una per te e l'altra per...Katniss.
Avete due libri separati.» erano dei disegni sbalorditivi, curati nel minimo dettaglio.
«sono bellissimi Effie.»
annuiva la mia "stilista" richiudendo lentamente il libro come se si potesse rompere e lo rimise a posto facendomi indossare la mia divisa nera. Era perfetta, sembrava essermi stata cucita addosso e non potevo non pensare che forse sarebbe piaciuta anche a Katniss.
Dopo le ultime aggiunge Effie uscì dalla stanza per concedermi qualche minuto di Privacy così di fretta recuperai il libricino di Cinna sfogliandone ogni pagina e guardandone minuziosamente ogni dettaglio. Ma era stata nell'ultima pagina che qualcosa catturò la mia attenzione, una scritta che recitava poche parole, ma che mi fecero sorridere e sperare ancora.
Subito dopo riposi il libro e uscì fuori dalla stanza, andando incontro a Johanna vestita da militare del 13, con una divisa nera totalmente differente dalla mia.
Effie mi si avvicinò con lentezza, osservandomi con orgoglio, speravo di vedere uno sguardo simile negli occhi di mia madre, ma nei suoi c'era solo biasimo e odio. Ma la mia stilista, la donna che faceva parte del Team d'oro mi si para davanti, poggiandomi le mani sulle spalle e sospirando compiaciuta.
«Il tocco finale di Cinna...» bisbiglia, mentre mi appunta una spilla nera al petto, non capii subito cosa fosse perché ero infatuato dalle movenze materne della donna che aveva estratto il mio nome dalla boccia della mietitura, ma adesso era diversa da allora, era più umana, più conscia che i giochi della fame fossero tutto, tranne che giochi. Poi si allontanò di qualche passo ed io osservai la spilla nera, era una ghiandaia imitatrice. La accarezzai con le dita mentre mi si formava pian piano un groppo in gola, poi abbracciai Effie che prese ad accarezzarmi la schiena.
«Noi siamo un Team, Effie!» le dissi all'orecchio per poi avvicinarmi a Johanna che mi aspettava a qualche metro di distanza, poi ,finalmente, Boogs ci guidò verso la sala riprese per girare quel dannatissimo pass-pro che mi stava facendo morire dall'ansia.
«Trucco e parrucco Panettiere... Complimenti.»mi schernisce ammiccando mentre ci portano in una stanza allestita in modo teatrale dove c'è un palco e dietro uno schermo, ventilatori e fumo bianco per inscenare una rivolta, Effie mi passa un cartoncino con su scritto un discorso che studio a memoria, la mia stilista si mette dietro alla videocamera per non occupare l'inquadratura. Quando io e Johanna saliamo sul palco lo scenario si attiva, mostrando dietro di noi una folla che alza i fucili in segno di vittoria.
«Ricorda Peeta: sei in battaglia con i tuoi fratelli e sorelle, avete appena vinto uno scontro tra voi e i soldati di Capitol City.» mi ricorda pacatamente Plutarch ed io annuisco velocemente prendendo un respiro profondo.
Vento in faccia, fumo negli occhi e un asta di ferro che al computer diventerà una bandiera con la ghiandaia, appena gridano "azione" mi metto a gridare le mie battute:
«Popolo di Panem, combattiamo, osiamo, poniamo fine alla nostra sete di giustizia!» Johanna al mio fianco alza le braccia e le fa ricadere lungo i fianchi.
«Per Dio.» afferma disgustata infischiandosene della mia occhiataccia
«Era una prova, si doveva riscaldare...» dice Effie a mio favore con la sua voce squillante.
Annuisco alla Trinker ringraziandola con un sorrisetto imbarazzato mentre Plutarch dalla stanza adibita per mettere tutti gli effetti speciali, mi dice, tramite gli altoparlanti che ci sono nella stanza, di ripetere la battuta.
Mi inginocchio e appena mi danno il via mi alzo sventolando la "bandiera" e pronuncio le parole scritte del primo stratega.
«Popolo di Panem, combattiamo, osiamo, poniamo fine alla nostra sete di giustizia!» grido.
«SEI IN GUERRA!» questa volta è Plutarch a urlarmi contro mentre il microfono emette un suono fastidiosissimo, facendomi scattare indietro per lo spavento.
«Okay Peeta scusami, scusa è.. è stato un mio scatto.
Ehmn Rifacciamola.» ripete Heavensbee riprendendo il controllo di se stesso.
Sbuffo e ripeto il teatrino.
«Popolo di Panem, combattiamo, osiamo, poniamo fine alla nostra sete di gius...» interrompendomi Johanna sbuffa, lasciando cadere la sua ascia in terra e scendendo dal palco dicendo che “si rifiuta”,mentre Effie mi osserva con uno sguardo nauseato, poi si spaventa a causa di qualcuno che batte le mani rumorosamente e lentamente, così si volta indietro per capire chi l'ha impaurita.
«Ed ecco a voi signori e signore come cade una rivoluzione...» applaude lento mentre mi si avvicina con calma, ed è la prima volta che siamo quasi soli in una stanza o che io non mi avventi contro il suo collo, la prima volta che mi rendo conto che non puzza più di alcool e lo osservo riluttante mentre mi gira intorno osservandomi minuziosamente con un sorriso sghembo.
«Ciao Peeta...È così che si saluta un vecchio amico?» chiede mentre si asciuga il naso con un fazzoletto.
«Forse da sobrio non ti riconosco.» ribatto serio.
«La mia faccia è solo lo specchio del mio malessere, ragazzo.» e vorrei solo gridargli in faccia tutto il mio biasimo, vorrei strattonarlo e inveirgli contro, ma l'unica cosa che faccio è quella di girare i tacchi e andarmene fuori dalla stanza, sdegnato.
Poco dopo Boogs convoca me Johanna ed Effie al comando dalla Coin, nella sala ci sono già Plutarch, Beetee, Haymitch e, ovviamente, la presidente.
Non appena ci accomodiamo Latier mostra ai presenti il video migliore che siamo riusciti a girare e, mio malgrado, devo ammettere che fa proprio schifo.
«Fai pietà, Panettiere.» commenta Johanna.
Ed è vero, mai vista una cosa più brutta.
«Bene, il ragazzo non riuscirà mai a fare una cosa simile così, con il fumo e i ventilatori puntati in faccia. Credo sia evidente..» devo riconoscere che Haymitch ha ragione, questa volta.
«Qualche idee, Abernathy?» la Coin pone una semplice domanda e tutti rizzano le orecchie, ma sono io a prendere la parola.
«Voglio vedere il dodici.» dico determinato.
«Potrebbe essere una buona idea, non ci sono state attività aeree sulla zona.» dice Beetee alla presidente, cercando invano di convincerla con quell'informazione.
«No! Non permetterò che tu vada lì.» ribatte la presidente guardandomi dritto negli occhi, sbuffo e volto lo sguardo verso Johanna che alza impercettibilmente le spalle come se mi avesse letto il pensiero, quasi avesse capito che stavo pensando “perchè Alma Coin non capisce?”
«Ha ragione il ragazzo, presidente, ora lui è la faccia della ribellione.» E Plutarch mi sembra più umano di lei in questo istante, mentre mi osserva dispiaciuto, forse perché lui ha già visto com'è ridotto il mio distretto.
« No. Non metterò in pericolo la vita della mia risorsa, non andrà al 12!» afferma decisa
«Glielo lasci vedere, lo lasci tornare a casa.
Deve ricordare chi è il vero nemico.» dice pacatamente Heavensbee.
«Lui sa chi è il nemico!» risponde la Coin con calma, una misura che mi fa aggrottare le sopracciglia, riesce a controllare le sue emozioni Alma Coin e la cosa mi lascia sempre più sbigottito, sembra non esserci fine alla freddezza di questa donna.
«Forse l'ha dimenticato.» le poche parole di Plutarch la zittiscono facendola ragionare, si porta un dito sul mento e valuta la situazione soppesando i pro ed i contro di quello che potrebbe accadere alla sua “risorsa” una volta tornata a casa, poi sbuffa e infine rilascia il suo verdetto sospirando, sconfitta da Heavensbee il cui lavoro sembra essere l'arte del vendere, plasmando tutti con le sue parole.
«Va bene, ma starà lì per un'ora.» risponde accondiscendente la donna, continuando il loro battibecco incurante della mia presenza.
«E ci saranno degli hovercraft su di lui, così lo terranno d'occhio.» la precede Plutarch in modo tale che la presidente non possa cambiare idea, sembra un bambino a cui hanno appena comprato il suo gioco preferito con quel sorrisetto vittorioso stampato in volto.
Detto questo la presidente si alza seguita da Heavensbee, Beetee, Effie e Haymitch che mi batte una mano sulla spalla.
Sono solo con Jo che mi osserva, che non mi lascia da solo perché non vuole farmi sprofondare ancora e mi afferra la mano per offrirmi un’ancora ed io, provo ad attaccarmici.
Io e Johanna tornammo nella nostra stanza per levarci il peso della mattinata di dosso,era strano condividere con lei la mia quotidianità,forse perché non pensavo fosse così diversa da com'era nell'arena.
«Cos'hai intenzione di fare oggi Panettiere?» parla, o meglio grida attraverso la porta del bagno mentre io aspetto pazientemente il mio turno per lavarmi, per togliermi il peso della giornata dalle spalle per un solo istante grazie ad una breve doccia calda.
«Penso che seguirò alcune fasi dell'orario che vi stampate tutti sul braccio.» le rispondo annoiato.
Jo sbuffa, perché sa già che non farò niente di quello che mi verrà imposto, ma non le importa perché le basta che io sia sereno, anche se per poco.
«Tu invece che farai?» le chiedo di rimando, sono davvero curioso di sapere cos'ha in mente il 13 per i suoi abitanti, che per me sono solo degli ingranaggi in un meccanismo ben più elaborato che è la base su cui poggia il distretto stesso.
«Le solite cose, stronzate in pratica.» ribatte sbuffando.
E finalmente la porta si apre e ne esce una Johanna che si sta ancora infilando la maglia grigio topo, incurante del fatto che io sia un ragazzo e che veda il colore del suo intimo e mi viene da sorridere per la sua mancanza di pudore perché se ci fosse Effie Trinket le griderebbe:"CONTEGNO!"
«Interessante Mason, davvero interessante.» replicai alzandomi e chiudendomi in bagno mentre lei ancora blatera su quanto sia frustrante il distretto; mi tolgo i vestiti che ripongo nella cesta della biancheria sporca e mi infilo sotto il getto dell'acqua calda che è un balsamo per i miei pensieri. Se mi concentro posso ancora sentire la voce di Johanna che, mentre rassetta la stanza, continua a lamentarsi di come sia stata trattata da un'infermiera dai capelli rosso fuoco e chissà quante altre cose che non ho più né la voglia, né il coraggio di sentire.
Esco dal box doccia, mi avvolgo un asciugamano in vita per poi vestirmi con la tuta del 13 e mi sento ridicolo quando finisco di preparami per la prima volta come mi hanno sempre ordinato, perché qui mi sento fuori luogo proprio come lo ero nei primi giochi.
Mi guardo per un breve istante allo specchio, sistemandomi i capelli ormai ricresciuti e osservando l'uomo che è ormai riflesso su quel pezzo di vetro.
Sono io, ma non del tutto.
Poi esco e scopro che Johanna non c'è più, non aveva voglia di aspettarmi perché per lei ci impiego troppo a prepararmi, manco fossi una principessa...
Cammino senza sosta fino al corridoio principale, mettendo l'avambraccio su un apparecchio elettronico che scrive con dell'inchiostro cancellabile le mansioni che bisogna svolgere durante la giornata e con poca voglia mi dirigo nello stanza adibita per chissà quale compito.
Non appena varco la soglia tutti si zittiscono, stupefatti, quasi fossi il Re di Panem ed il mio imbarazzo cresce trasformandosi sempre più in disagio, non dovrei esserci io qui, questi sguardi non dovrebbero essere rivolti a me, ma a lei, che ho cercato di non pensare distraendomi, fallendo miseramente e sto per ricadere nel turbine di emozioni negative che solo il suo pensiero mi porta, ma Chris mi salva da me stesso ancor prima del tempo, sventolando un braccio per farmi sedere accanto a lui.
«Finalmente ci si rivede, Mellark.» mi strizza l'occhio e mi stringe una mano, per poi abbracciarmi calorosamente, mi era mancato Christopher.
«Come va?» gli chiedo sorridendogli.
«Va.» mi fa un sorriso tirato per poi voltarsi verso la lavagna, prendendo appunti mentre io mi dondolo sulla sedia alzando la testa e osservando il soffitto bianco della stanza, segnato da qualche crepa.
E' tutto maledettamente bianco questo posto.
«La presidente dopo il nostro arrivo ci ha informati di Odair e della Everdeen, abbiamo pregato tutti per loro.» bisbiglia il mio compagno di banco per non farsi sentire dall'insegnante e mi rimetto composto osservando per la prima volta il mio vecchio amico, ha una cicatrice sul sopracciglio sinistro, dei punti sul mento, un segno rossastro che parte dalla tempia sinistra che finisce alla mandibola,dei lievi segni vicino all'orecchio destro e delle bruciature sui bracci scoperti dalle maniche alzate.
Segue con gli occhi grigio/blu il mio sguardo e poi mi sorride come se niente fosse, il sorriso smagliante di chi ha visto la morte in faccia, ma che ha vinto comunque, un sorriso che io non possiedo più.
Io sono morto dentro.
E lui continua, come se avesse letto nei miei occhi il senso di colpa che provo, quasi mi fosse stato tatuato in faccia.
«Non importa Peeta, c'è chi ha visto di peggio.» ed è vero perché ci sono persone che hanno perso degli arti, sono rimasti sordi dalle esplosioni, non hanno più la vista o sono completamente sfregiati, ma non importa c'è chi ha visto di peggio.
«Già...» cerco di abbozzargli un sorriso pieno di scuse, ma non basta, non sarà mai abbastanza e il mio migliore amico mi capisce.
«Se vuoi sdebitarti... Presentami la Mason.» e la mia risata lo interrompe perché alla fine non è cambiato di una virgola.
«Davvero amico, è una bella pollastrella... sono serio...» mentre parla mi sorride divertito vedendo come le sue parole hanno suscitato in me una fragorosa risata, così rumorosa, da farci sbattere fuori dall'aula perché disturbavamo e mi mette un braccio sulla spalla mentre cerca di escogitare un piano per conquistare la falegname del 7.
«Peeta.. dai smetti di ridere.. Potrebbe funzionare, capisci?» e non riesco a non sbellicarmi, piegandomi per il dolore alla pancia perché è sempre il solito coglione che cerca di entrare nelle mutandine di tutte le ragazze che lo guardano per un solo istante, è sempre il solito demente e mi era mancato, mi era mancato quel senso di leggerezza che solo lui sapeva darmi quando tutto andava storto, quando mamma mi picchiava perché avevo decorato male una torta, o, quando Rye mi sfotteva perché Katniss non mi filava di striscio, lei aveva occhi solo per il Minatore...
Chris e Delly erano gli unici a credere in me quando ho affrontato i primi giochi, i primi che ho visto alla stazione quando io e Katniss eravamo scesi dal treno dopo i tour della vittoria, quindi rido, rido fino alle lacrime perché non mi sentivo così spensierato da quando avevo scoperto di essere vivo sull'Hovercraft dopo l'edizione della memoria.
«No, non funzionerà Chris. Proprio come non ha funzionato con Didi!» e mi spintona perché per lui sono un ingrato, perché senza di lui non avrei fatto tutte le mie conquiste, ride quando mi parla, ride e mi fa ridere perché è vero era grazie a lui se avevo tutte le ragazzine del paese ai piedi, ma alla fine non sono mai state importanti, perché nessuna era come lei, Katniss.
E poi arrivò l'ora di pranzo, il mio migliore amico mi aveva pregato cento volte di andare a mangiare con gli altri, ma rifiutai ogni singola volta, non mi andava, non ero pronto a rivedere i miei vecchi amici.
Così mi sorrise dandomi una pacca sulla spalla, come se non fosse cambiato nulla.
«Funzionerà Pee... Funzionerà!» disse con gli occhi che brillavano per il suo piano di conquista nei confronti di Johanna, era emozionato per la sua grande idea, poi, se ne andò dandomi le spalle.
«FAI COME CREDI, TUTTLE.» gridai il suo cognome perché sapevo che gli dava fastidio mentre era già lontano, si era voltato per un'istante facendomi il pollice in su', ammiccando in mia direzione, poi mi diede la schiena allontanandosi ed io mi allontanai a mia volta camminando all'indietro, incurante della campana che annunciava a tutti di andare in mensa e osservavo il mio amico, ormai un puntino lontano con le mani in tasca diretto verso gli altri del 12 per mangiare tutti insieme, come i vecchi tempi.
Il corridoio si riempì e finalmente io mi voltai per camminare ancora e ancora, con la speranza che un giorno sarebbe stato tutto più semplice anche con i miei vecchi amici.
Camminavo pensando a Chris che era sempre il solito, invidiandolo perché lui era lo stesso che avevo lasciato al 12 dopo la mia partenza per l'edizione della memoria, e, mi ritrovai a pensare, mentre entravo nella mia stanza aspettando che Johanna arrivasse con i vassoi pieni di poltiglia senza gusto, che avrei voluto poter dire lo stesso di me.







NOTE:
Ciao a tutte, lo so sono in ritardo, ma tra l'inizio della scuola e la correzione del capitolo non sono riuscita ad aggiornare per tempo, ma spero che ne sia valsa la pena.
In questo capitolo troviamo il punto di vista della nostra migliore amica Delly che ha assistito alla morte della famiglia di Peeta, e qui il nostro ragazzo del pane non può fare a meno che sentirsi in colpa, pensando addirittura ad una vita parallela dove lui sarebbe dovuto morire nell'arena dei suoi primi giochi.
Ho aggiunto un nuovo personaggio e l'ho chiamato Christopher Tuttle, ed è il migliore amico di Peeta, colui che assiste alla morte di Ross e che salva Delly da se stessa.
Ho voluto ricreare un rapporto "speciale" fra Effie e Peeta, facendo sì che il Panettiere senta la Trinket un pò la mamma della situazione e Johanna è sempre la spalla di Peeta, quella su cui può sempre contare.
Scrivere queste pagine non è stato molto semplice, l'avevo già finito ed ero pronta per pubblicare, ma il pc mi si era spento prima che io potessi salvare, e, quando l'ho riacceso le mie 20 pagine erano inesistenti, perse nel nulla, così ho dovuto rifare tutto da capo :)
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e sopratutto che sia chiaro, se ci sono errori di battitura vi chiedo scusa in anticipo, ma 19 pagine sono sfiancanti da correggere nel dettaglio xD 
Se vi va lasciatemi una recensione cosicché che io possa migliorarmi con il proseguimento della storia :3
Come sempre ringrazio Federico per avermi sopportata con questo capitolo lunghissimo<3

P.S.: Vorrei aggiornare il terzo capitolo fra una settimana, anche meno, per farmi perdonare del ritardo di questo qui :3
A presto sognatori <3
__Haaveilla__

  
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