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Autore: Schully    18/09/2015    2 recensioni
Capitoli in revisione.
Mi sono messa a pasticciare dopo un finale di metà stagione mooolto deludente... se vi piace sognare forse questa storia fa per voi... premetto che l'ho scritta e pubblicata... non le ho dato il tempo di riposare sono troppo arrabbiata se c'è qualcosa da aggiustare dite son tutta orecchi.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La meta non è importante, quello che conta è il viaggio… parte prima
 
 
 

La luce dell’alba filtra lieve tra le persiane prendendomi in pieno viso; in passato avrei continuato a dormire, ma ora i delicati raggi del sole che mi colpiscono equivalgono alla più gelida delle secchiate, mi desto immediatamente. Oggi è il giorno della partenza, ci muoveremo non appena Maggie avrà visto il dottor Edwards per un ultimo controllo: sta entrando nel secondo trimestre, la gravidanza procede bene ma il dottore vuole essere sicuro, in fondo è un brav’uomo.
In questi mesi di permanenza obbligata, ho avuto modo di conoscerlo.
Carl lo trova inquietante, effettivamente ha quei modi un po’ strani, però non è cattivo… Aveva paura di Dawn, non che questo lo giustifichi, però ai miei occhi lo rende umano. Confesso di essere molto nervoso, in questi mesi di schiavitù l’idea di tornare a casa era l’unica cosa che mi sosteneva, ma ora ho una paura fottuta di quello che troverò.
Beth continua a ripetermi che andrà tutto bene, di stare tranquillo, però io mi sento come sui carboni ardenti: sospeso tra l’andare avanti o il tornare indietro. Se mia madre e i miei fratelli fossero morti che ne sarebbe di me? Ho già perso mio padre e non ho trovato mio zio, che cosa farò? Sono uno zoppo, è inutile che mi racconti delle balle, non sono utile a nessuno, anzi, se mai sono un peso per chiunque si voglia occupare di me.
Noah, mi dico, smettila di fasciarti la testa prima del tempo, non serve a niente. Beth ha ragione, quando sarò là lo scoprirò e agirò di conseguenza.

Abraham ha parlato a Rick dell’idea di Eugene, a me non sembra una gran cosa, anzi, la reputo un tantino pericolosa. Ora quelli dell’ospedale sono tutti animati da buoni propositi; ripetono fino allo sfinimento che ciò che è avvenuto non si ripeterà mai più: hanno instaurato un consiglio, non sarà più solo uno a decidere. Io però non mi fido. Non voglio che sappiano dov’è casa mia. Ho fatto presente a Rick tutto questo e lui mi ha rassicurato, dicendomi che non ha nessunissima intenzione di fornirgli informazioni riguardanti la nostra meta. Semplicemente, si limiterà a prendere da loro informazioni su eventuali mandrie di vaganti che potrebbero passare da qui ed essere una minaccia per noi e fornirgli informazioni vaghe su cibo e su provviste che potremmo trovare lungo il cammino.
Le sue rassicurazioni, tuttavia, non sono del tutto soddisfacenti. Un dolore allo stomaco persistente e bruciante è la manifestazione fisica dell’inquietudine che agita il mio animo. Dovrei essere loro grato per il fatto che vogliono portarmi a casa, che si occupano di me.
Esistono ancora le brave persone, dopotutto. Nonostante ciò, ho una gran paura che vada tutto a puttane. Beth è incredibile: non si ferma un minuto, la vedo schizzare di qua e di là come una pallina del flipper, portando le scatole di viveri che Carl ha preparato sui nostri mezzi. Quando anche l’ultima scatola è al suo posto, si volta e mi dice:
«Appena Maggie è pronta si parte!» Vedo una strana luce nei suoi occhi, non capisco se è speranza o follia.
Io ho solo una gran fifa.
 


∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Confesso che, per la prima volta dopo molto tempo, sono in ansia: cosa ne sarà di noi? Ho sempre confidato nella nostra capacità di sopravvivere, ma ora la mia fiducia sta scemando. Confesso di avere paura, credo ancora in Rick e nel gruppo, solo che ho paura che le difficoltà siano superiori alle nostre forze. Soprattutto ora che Maggie è incinta: non ce l’abbiamo fatta con Lori, e allora alla prigione eravamo al sicuro, cosa ci fa credere che per Maggie sia diverso?
Gioca a nostro favore il fatto che ora abbiamo alle spalle un ospedale: il Dottor Edwards ha insistito perché portassi via di nascosto un ecografo portatile; certo, la batteria è limitata, ma se lo usiamo con parsimonia, dovrebbe reggere fino al momento del parto.  Inoltre, se l’idea di Eugene funziona, potremmo mantenerci in contatto con questo posto.
Devo farmi forza, devo credere che questo sia sufficiente, nessuno di noi vuole avere un’altra Judith. Coraggio Carol, mi dico, abbi un po’ di fiducia, Beth continua a ripeterlo e in fondo devo ammettere che ha ragione, siamo vivi e ancora tutti insieme.
Chi l’avrebbe detto?!

Prima di partire però, devo fare pace con Dio. Ho rimandato per troppi giorni. Quando Beth è stata ferita l’ho insultato, incolpandolo della morte dei miei amici; ma se è vero che si è portato via le persone più importanti della mia vita, è anche vero che me ne ha date di altrettanto care. E in questa nostra nuova missione abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile, un po’ di FEDE o speranza, che dir si voglia, non guasta.
La cappella dell’ospedale si trova tre piani più sotto. La bonifica dei locali è appena cominciata, infatti cinque erranti sono ancora intrappolati nella chiesetta. Niente che non possa gestire, a volte mi stupisco del mio sangue freddo. Una volta ero terrorizzata dalla mia stessa ombra, credevo di essere una donna inutile: solo capace a prender botte e a stare zitta. Invece ora… ora non è più così. Mi sono indurita, è questa la verità. Quando sono arrivata a Terminus e ho liberato la mia famiglia, ho fatto cose che per la vecchia Carol sarebbero state impensabili.
Ho lasciato che gli zombie mangiassero delle persone davanti ai miei occhi, ne ho uccise io stessa. Senza nessuna pietà, senza nessun rimorso. La vecchia me avrebbe tremato e si sarebbe nascosta, la nuova me invece, ha agito.
C’è qualcosa di oscuro in me, l’ho dimostrato in più di un’occasione, e devo fare i conti con questo. Tyreese mi ha perdonato per quello che ho fatto, io saprò fare altrettanto?
La mia espiazione comincia adesso.

Apro il portone della cappella attirando immediatamente l’attenzione dell’errante alla mia sinistra: una volta doveva essere un bell’uomo, uno di quelli dal sorriso sincero e le mani grandi, qualcuno su cui contare, ora è solo un ammasso di carne purulenta, i suoi vestiti sono sporchi e laceri, penzolano sul suo corpo che una volta doveva essere possente. Non ho nessuna esitazione mentre affondo il mio coltello nel suo cranio. Pulita ed efficiente, mi volto per affrontare il secondo errante che giunge dalla mia destra: è una vecchia, probabilmente era una paziente dell’ospedale; porta una di quelle vestagliette legate sulla schiena che all’inizio di tutto questo doveva essere candida come la neve e che invece ora è lercia come la merda; gli aghi delle flebo le penzolano dalle braccia, come se fossero i fili di una ragnatela, e la bava le scende dalla bocca. Con un calcio la faccio cadere e poi conficco il tacco della mia scarpa nel suo cranio molle. In un attimo ho ripulito questo posto, gli ultimi tre erranti li ho finiti in un baleno, sono molto fiera di me stessa.

Mi siedo su di una panca di legno e volgo il mio sguardo al crocefisso. Sono nervosa, è molto che non prego, ma sono qui per questo… quindi:
«Padre nostro, che sei nei cieli…» comincio titubante. «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra…» non riesco a proseguire, mi mancano il fiato e le parole. Sento il mio cuore che batte a mille, la testa mi gira e credo di essere sull’orlo di un attacco di panico. Tutto quello che ho superato fino ad ora mi crolla addosso come un macigno: la morte di Sophia, non mi ricordo nemmeno il suo viso; Karen… il Governatore, il coma di Beth; senza dimenticare Lizzie e la piccola Mika… cosa sono diventata? È troppo… Non sono in grado di gestirlo. La gola mi si serra in una morsa che mi toglie il fiato, lacrime brucianti escono dai miei occhi. “Devi calmarti, devi calmarti…” continuo a ripetermi come un mantra. Improvvisamente sento la porta della cappella cigolare, segno che qualcuno sta entrando. Il mio primo istinto mi dice di nascondermi e così faccio; “ho paura”, acquattandomi tra due panche cerco di trattenere il respiro e non far sentire i miei rantoli spaventati. Il nuovo venuto non si accorge di me, per fortuna.

È Daryl.

Tiro un sospiro di sollievo ma, nello stesso tempo, penso che forse avrei preferito gli erranti, almeno loro so come gestirli. Sto per farmi vedere, ma capisco dal suo comportamento che forse non è il caso; cammina avanti e in dietro nervosamente, e dopo la nostra ultima conversazione a tu per tu che è avvenuta quando Beth era ancora in coma, non credo sarebbe molto amichevole nei miei confronti. Ultimamente mi parla a grugniti, il che non è molto confortante, quindi per il mio e il suo bene credo che me ne starò nascosta finché non se ne sarà andato. Lui comincia inaspettatamente a parlare:
«Io non credo in te.» Guarda dritto verso il crocefisso, ha gli occhi spiritati: «Non ci ho mai creduto, nemmeno quando mia madre era ancora in vita e mi obbligava ad andare a catechismo, se sai tutto, sai anche che molto spesso ho bigiato.» Fa una pausa e si accende una sigaretta, io mi appiattisco sempre di più sul pavimento. Lui fa qualche passo avanti, avvicinandosi al mio nascondiglio. Trattengo ancora di più il fiato, spaventata dall’idea che possa vedermi, ma inaspettatamente non mi nota; si siede su di una panca, due file più indietro, alla mia destra e riprende a parlare:
«Non ho creduto in te nemmeno quando è morta bruciata. Anzi, se vuoi saperlo, ti ho odiato. Ho pensato che se mai fossi esistito, ti avrei ucciso con queste mani. Me l’hai portata via… l’unica cosa bella… mi leggeva le favole…» si alza nervoso, è incazzato nero, si muove avanti e indietro aprendo e chiudendo le mani. Sta lottando contro i propri demoni, che a quanto pare sono belli grossi e difficili da battere. Si avvicina all’altare e con rabbia butta a terra tutto quello che c’è sopra:
«Il Chupacabra è più vero di te… io l’ho visto! Nessuno mi ha creduto, nemmeno Merle, ma io sono sicuro di quello che ho visto!» Urla indemoniato afferrando i bordi dell’altare. Vedo le lacrime che escono dai suoi occhi, vorrei aiutarlo ma so che non posso farlo, deve uscirne da solo, deve accettare… l’amore.
Improvvisamente si accascia e il mio cuore perde un battito perché sento fin dentro l’anima ciò che prova Daryl: “Ti capisco… fin troppo” penso amareggiata. Lui con un filo di voce continua:
«Però… lei crede in te… lei è importante… rappresenta tutto il buono che è rimasto in noi... io le starò lontano. Okay? So che è quello che vuoi, non la sporcherò, ma ti… fa’ che sopravviva!» Sembra voglia alzarsi e non ci riesca; così invece s’inginocchia e con una voce sicura comincia a decantare:
«Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.» Alzandosi, apre il suo gilet, prende qualcosa da una tasca interna e la posa sull’altare. Soltanto quando si scosta di lato, riesco a vedere di cosa si tratta: una rosa cherokee.
«Visto che ci sei, Signore, butta un occhio su Sophia… non se lo meritava. Beth direbbe che è con te e, per l’appunto, tu non vuoi deluderla, vero?» Detto questo, buttando la sigaretta contro il crocefisso, lascia la stanza.
Il mozzicone colpisce il legno senza produrre alcun suono e ruzzola ai miei piedi, ancora fumante. Io non so che pensare… Sophia… la mia bambina, Daryl ci pensa ancora; dovrei farlo anch’io, ma ho relegato il suo ricordo in un compartimento buio e freddo, è sepolto così in profondità che stento a ricordare il suo viso. Sono una madre di merda? Sì, sì, si… sì, dice il mio subconscio, però sei sopravvissuta… A quale prezzo?
Non esisto più.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Sono passati quattro giorni da quando abbiamo lasciato il “Grady” e in totale abbiamo percorso duecento miglia. Abbiamo di poco passato il confine, sono troppo poche e siamo già stremati. L’autostrada si è dimostrata impercorribile per via di tutte le carcasse disseminate lungo la carreggiata. Abbiamo cercato dei percorsi alternativi, ma purtroppo si sono rilevati altrettanto ostici da superare.
Alcuni erano invasi dagli erranti, in altri mancava la segnaletica, altri invece erano ostruiti e questo ha fatto sì che ci perdessimo più di una volta, riducendo di molto le nostre scorte di carburante. Per questo motivo, abbiamo dovuto abbandonare lo scuolabus, era un valido rifugio durante la notte, però consumava troppa benzina; abbiamo tenuto un vecchio pick-up bianco dalla vernice scrostata, una Ford Focus station wagon nuova di pacca, che abbiamo trovato in un concessionario appena fuori Atlanta, e un paio di mini van color ruggine della Nissan, che probabilmente prima di tutto questo erano stati usati per le consegne, visto il contakilometri truccato e le gomme usurate. Glenn è stato il primo che se n’è accorto e il primo che se n’è occupato.
«Se abbiamo la benzina per farli camminare, questi gioiellini non ci lasceranno mai a piedi, il loro motore va che è una bellezza!» Ha detto con gioia. Sul momento la prospettiva era stata rassicurante… solo sul momento, però. Adesso che la benzina e l’acqua cominciano a scarseggiare... un po’ meno.
Richmond è ancora lontana, ci siamo fermati in un’area di sosta ancora in buono stato. Girovagando con circospezione nel piccolo drugstore abbiamo trovato tre barrette di cioccolato, quattro bottigliette d’acqua e, spremendo fino all’ultima goccia le pompe, abbiamo racimolato due litri di benzina. Che magro bottino, penso. Leggo negli occhi di tutti paura e incertezza; so che si stanno chiedendo come arriveremo a Richmond e soprattutto se ci arriveremo.
Guardo verso Daryl, conscia del fatto che non troverò né pace né conforto nei suoi occhi, ma non posso farne a meno, sono la mia droga.
Credo di aver scoperto di essere masochista, perché anche se scorgere l’indifferenza nel suo sguardo mi annienta come la più brutale delle pugnalate in mezzo al petto, allo stesso tempo guardare il suo viso mi è necessario, è ciò che mi fa muovere, senza sarei perduta. Lui non disattende le mie pretese e mi ghiaccia sul posto; dal suo volto non traspare nulla, nessun’emozione, forse giusto una nota di disgusto, ma non riesco a capire se sia rivolta a me o a sé stesso. Un sospiro sfugge dalle mie labbra screpolate, ma non lo sente nessuno, viene coperto dal rumore del vento freddo che comincia a soffiare da nord-est. Se i conti che ho fatto con Noah e Carl sono giusti, dovremmo essere intorno al dieci settembre. L’anno non voglio nemmeno ricordarlo, mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, in un’epoca in cui ci si uccideva per un tozzo di pane.

L’autunno è alle porte, dobbiamo sbrigarci. Il tramonto ormai ci ha raggiunto, l’ultimo raggio di sole mi colpisce in volto, mentre mi faccio scudo con le mani. È giunta l’ora di accamparci per la notte, non è sicuro viaggiare con il buio. Rick ci chiama tutti a raccolta e sappiamo cosa fare, ognuno ha il suo compito: il mio per esempio è quello di sistemare “l’antifurto”. Ormai ho trovato il mio metodo, Daryl mi ha insegnato le basi, ma io ho perfezionato la tecnica, che varia da luogo a luogo. Se siamo in mezzo al bosco, ad esempio, uso gli alberi e scavo delle buche. Invece in posti come il parcheggio in cui ci stiamo accampando, ho trovato un sistema migliore. Innanzitutto cerchiamo sempre un luogo riparato, magari tra altre carcasse di auto, in modo da passare inosservati non tanto dagli erranti, che comunque ti fiutano, quanto dagli umani, che sono molto più pericolosi. Poi tiro due fila di corde robuste tra le macchine che fungono da barriera a due altezze diverse, una a un metro e mezzo, l’altra a cinquanta centimetri da terra, e ci attacco tutto quello che trovo in giro che possa far rumore, in modo che “l’antifurto” scatti e ci permetta di scappare.
Oggi sono stata fortunata, poco distante dal nostro accampamento ho trovato anche delle barre di ferro lunghe circa un metro e settanta, sono un po’ arrugginite, ma per quello che devo farci vanno più che bene.
Ne trasporto poco più di una dozzina nei pressi del primo perimetro, quello costituito dalle carcasse delle auto dietro cui ci siamo riparati. Carol mi vede e insieme a Carl viene ad aiutarmi, hanno capito benissimo ciò che voglio fare. Incastro le barre di ferro nei copertoni delle auto, Carl ne mette una nel paraurti di un furgone, Carol fa altrettanto.
In breve tempo abbiamo esaurito le barre di ferro, ostruendo ancora di più il passaggio tra le carcasse.
Inoltre, per come sono poste le barre, gli erranti ci si conficcheranno, rimanendo probabilmente bloccati. Ci sorridiamo l’un l’altro, fieri del lavoro fatto, nel frattempo ci avviciniamo al centro dell’accampamento, dove nel frattempo fervono i preparativi per la notte.
Tara e Rosita stanno accendendo il fuoco, mentre finché c’è ancora luce Glenn controlla i serbatoi delle auto abbandonate, nella speranza vana di trovare altra benzina.
Mia sorella è sul tetto di un camper a cui mancano le ruote davanti, con in braccio il suo fucile, e scruta davanti a sé preoccupata. Come se sapesse di essere osservata, si volta e mi guarda, cerca di sorridere e di infondermi sicurezza. “Tipico”, ormai non ne ho più bisogno e in più il suo volto è tirato, troppa tensione… non fa bene al bambino.
«Ehi, sorellona, non guardare me… lo so, sono bella. Ahahah! Guarda invece se arrivano gli zombie, non vorrei ci mordessero il culo!» Le dico ridendo, lei mi guarda stranita e poi ridendo a sua volta mi risponde:
«Sei stata troppo tempo con Daryl, ha avuto una cattiva influenza su di te.» Mi volto e colgo lo sguardo carico d’ira che Daryl le lancia, prima di allontanarsi scocciato. Maggie rimane stupita e guardandomi chiede:
«Ma che cavolo gli è preso, ora? Scherzavo!» Io non so che dire, guardo mestamente la schiena di Daryl che si allontana verso il tramonto, la sua ombra si allunga verso di me.
Istintivamente sporgo una mano in avanti come per toccarla, ma anche quella sfugge via dalle mie dita.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Rick è venuto a svegliarmi per il mio turno di guardia, mi passa il fucile e prima di coricarsi accanto a Carl e Judith dentro la station wagon, mi dice di stare attenta.  Salgo sul tetto del camper con il fucile e la mia fedele katana al fianco. Sono da poco passate le due e la luna splende alta nel cielo, non ho neanche bisogno della torcia.
Che splendida serata! Il vento è profumato, sa di terra e sale, forse di erba appena tagliata, anche se ammetto di non sapere come sia possibile. Nella mia vita di prima, in una serata di fine estate come questa, probabilmente sarei stata su di un elegante terrazza a sorseggiare vino rosso, con addosso un completo all’ultima moda, mentre in sottofondo si sentiva della musica. Riemergo dal mio sogno ad occhi aperti e mi guardo attorno.
Dai, Michonne, ripigliati, non è proprio il caso. Le voci della mia vecchia famiglia si fanno sentire. Per quanto tempo me li sono portati dietro in catene, parlando con loro come se li avessi accanto, prima che il gruppo mi trovasse? Che mi salvasse? Anche allora sognavo… ci sto ricadendo? Non posso permettermelo. Mi do un pizzico sul braccio, mettendo finalmente a fuoco ciò che mi circonda: siamo ancora qui… nel parcheggio di una stazione di servizio; ho una visuale piuttosto buona del parcheggio e della statale, e la luminosità della luna rende tutto più facile. 
Per ora tutto tranquillo, né erranti né umani in vista, però mi sento lo stesso osservata. Mi alzo di scatto e prendo il binocolo per la visione notturna che mi ha dato Abraham. Devo ammettere che la roba che “il soldato” ci ha prestato è utile! Scrutando attraverso le lenti, mi accerto che non ci sia nessuno nei paraggi. Questo posto mi rende nervosa, fa riemergere strane inquietudini, è tutto troppo tranquillo, non vedo l’ora di ripartire.

Non m’importa se la casa dello storpio sarà un altro buco nell’acqua, sono sicura che lungo il cammino troveremo il posto adatto a noi, il posto dove poter ricominciare a vivere. Dobbiamo farlo per Judith, per Carl, sono il nostro futuro, e dobbiamo farlo anche per noi stessi, ci stiamo perdendo. Stiamo diventando noi, i mostri, abbiamo bisogno di una cura. Rick ha bisogno di essere curato, non lo dà a vedere, però sta crollando, e se crolla lui, crolliamo tutti. La nostra sopportazione è giunta al termine, abbiamo bisogno di una casa.
Mentre faccio i miei ragionamenti, arriva l’alba senza che nulla sia mutato. Scendo dal camper per svegliare gli altri, ma provo ancora la sensazione di essere osservata. Mi guardo intorno guardinga, giro intorno all’accampamento… niente, non c’è niente… eppure… mi era sembrato... cosa? Forse è solo paranoia, dobbiamo sbaraccare. In fretta, anche. La nostra casa ci attende.
 
Continua…
 
   
 
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