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Autore: bemyronald    28/09/2015    10 recensioni
«Senza che Hermione parve averlo premeditato, d'impulso, si mise in ginocchio e buttò le braccia al collo di Ron. Lo strinse forte, così forte da fargli mancare il fiato. Eppure era così dolce, la stretta di Hermione, quasi come se volesse cullarlo. Come se volesse, con tutta se stessa, far sì che si sentisse al sicuro. Ed era proprio così che si sentiva in quell'esatto momento. Possibile che fosse lui ad aver bisogno di sentirsi protetto?
L'aveva vista, Hermione, un attimo prima, e l'aveva trovata così indifesa.
E lui non aveva fatto nulla, non l'aveva nemmeno abbracciata.
Non l'aveva protetta.
Non credeva di aver mai provato nulla di peggiore nella propria vita.
Questo forte senso di impotenza, di inutilità, di debolezza mentale e fisica.
Così incapace.
Un singhiozzo. Un singhiozzo eruppe dalla gola di Hermione.
E fu in quel momento che anche Ron cedette, strinse gli occhi e cominciò a piangere, in silenzio»
dal terzo capitolo "Nobody said it was easy". COMPLETA 4/4
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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And tell me you love me, come back and haunt me,
Oh and I rush to the start.
Running in circles, chasing tails, 

And coming back as we are.


 

─CHAPTER FOUR─
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And tell me you love me, come back and haunt me

 

L'aria del mattino era fredda contro il suo viso. I deboli raggi del sole mattutino non avevano alcuna possibilità di riscaldarlo. Tuttavia, quell'aria pungente, lo rinfrancò e Ron non poté negare a se stesso di sentirsi leggermente meglio. Aveva riposato per circa un'oretta, senza che nessun incubo disturbasse il suo sonno e non godeva di un tale privilegio da settimane. E c'era di più: erano ventiquattro ore che non indossava il medaglione di Serpeverde, un nuovo turno sarebbe cominciato tra più di un'ora e decise di non  pensarci. 
Ogniqualvolta il suo turno giungeva al termine, provava quasi un piacere perverso a liberarsi dell'Horcrux. Ma poi si rendeva conto che sarebbe comunque toccato a Hermione o a Harry, e che quindi anche i suoi amici avrebbero dovuto sopportare dodici ore di tormenti. 
Ron si guardò attorno, erano giunti in quel posto quella mattina stessa. Senza che ci riflettesse molto, cominciò a camminare lentamente, fino a quando i suoi passi non lo condussero sulla riva di un lago non lontano dal loro accampamento. Ron stringeva tra le dita il suo Deluminatore, gli lanciò un'occhiata piuttosto scoraggiata, per l'ennesima volta, pensando a quanto alla fine si fosse rivelato inutile. Non era stato capace di dargli un senso, e forse era proprio quello il compito che Silente gli aveva affidato, probabilmente si era fidato ciecamente di lui e delle sue capacità, ma Ron pensò che forse l'aveva decisamente sopravvalutato: il Deluminatore, nelle mani di uno come lui, non era altro che uno stupido aggeggio buono solo a spegnere e a riaccendere le luci. Quella sua incapacità di rendersi utile cominciava a farlo impazzire.
Lo guardò un'ultima volta, prima di scuotere il capo e riporlo nella tasca dei jeans. 
Si avvicinò ancora di qualche passo alla riva del lago che si ergeva davanti a lui, perfettamente piatto e scintillante sotto i raggi di quel debole sole che non riusciva a percepire sulla pelle. Fece scorrere lo guardo in giro, poi inspirò profondamente l'aria pulita lasciando che quegli odori, che la natura era tanto generosa da offrirgli, penetrassero nelle narici. Nonostante si sentisse estremamente affranto, nonostante non ci fosse nulla per cui gioire e la situazione non gli permettesse di essere sereno, ammise più volte a se stesso che, senza quel freddo metallo che gli sfiorava la pelle e i vestiti, la sua mente riusciva finalmente a regalargli un pizzico di leggerezza e i suoi pensieri erano meno angoscianti del solito. Tanto per cominciare, non pensava ossessivamente alla sua famiglia. Riusciva ad avere maggior controllo di sé e dei suoi pensieri, a tal punto da riuscire a scacciare, a gestire quelli più temibili.
A volte, in quei rari momenti di ottimismo, credeva addirittura che loro, dei ragazzini contro il resto del mondo, avevano una minima possibilità di farcela. Cercava la compagnia di Hermione, e perfino la gelosia sembrava assopirsi. Ma sapeva benissimo che quelle erano sensazioni brevi, passeggere, l'Horcrux era sempre lì, in attesa. E allora la gelosia che si sforzava di reprimere, si sarebbe risvegliata e le conversazioni tra Hermione e Harry gli sarebbero sembrate di nuovo troppo lunghe, troppo intime ed importanti perché lui potesse farne parte. E nei suoi sogni sarebbero tornati prepotentemente quei due, sempre. Si abbracciavano, Harry e Hermione, e non come farebbero due semplici amici, non proprio. E poi si baciavano. 
Ron abbassò lo sguardo e si rese conto che le mani avevano cominciato a tremare, mentre affondava così forte le unghie nei palmi, fino a farsi male. Respirò profondamente, come spesso gli aveva suggerito di fare Hermione quando sentiva la rabbia montargli dentro. A volte ci riusciva, la dominava, ma il più delle volte falliva miseramente.
Adesso non indosso l'Horcrux, posso riuscire a controllarmi, ricordò a se stesso, prima di riaprire gli occhi.
Si guardò ancora attorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a distrarsi, e quando guardò ai suoi piedi, si rese conto di essere circondato da sassi di ogni forma e dimensione. Si calò e afferrò il più piatto che riuscì ad individuare. Lo osservò per un po' rigirandoselo più volte tra le mani, poi si abbassò appena, piegò leggermente il braccio, fece quel movimento del polso a lui così familiare e scagliò il sasso lontano. Questo fece tre balzi sulla superficie dell'acqua, e un sorriso soddisfatto sfuggì dalle labbra di Ron. Non l'aveva dimenticato.
Gliel'aveva insegnato Bill, quel movimento, una domenica di agosto di tantissimi anni prima. Faceva un gran caldo quel giorno alla Tana, e Ron, che allora aveva cinque anni, aveva seguito Bill in giardino. La mamma non faceva che minacciare il ragazzo dicendo che avrebbe perfino potuto pietrificarlo pur di tagliargli quegli orribili capelli che, già da sedicenne, gli sfioravano quasi le spalle. A Ron era sempre piaciuto molto Bill, aspettava con trepidazione il suo ritorno a casa quando sapeva che sarebbero cominciate le vacanze estive. Suo fratello maggiore gli aveva insegnato un mucchio di cose e spesso lo portava in giro con sé.
Quel giorno, al laghetto poco distante da casa, Bill gli aveva mostrato cosa erano capace di fare i sassi.
«I sassi saltano sull'acqua!» aveva esclamato Ron guardando prima il punto dove era sparito il sasso e poi il fratello, con ammirazione.  
«Questa è una magia, Bill?» gli aveva chiesto senza staccare gli occhi dal fratello maggiore.
«Sì, Ron, può essere una magia senza bacchetta, se vuoi» gli aveva risposto, ridacchiando e scompigliandogli i capelli.  «Vuoi imparare? Io dico che con un po' di pratica potresti diventare davvero bravo» aggiunse poi, strizzandogli l'occhio. Ricordava bene lo stupore, davvero non riusciva a capire come i sassi potessero rimbalzare sulla superficie dell'acqua, ma voleva a tutti i costi imparare. Voleva essere in grado di farlo, così poi l'avrebbe raccontato a Charlie e perfino Percy l'avrebbe ascoltato. E poi voleva tanto che la mamma lo premiasse per aver imparato una cosa nuova e difficile.
Ron non poté evitare di sorridere a quel ricordo della sua infanzia. 
Prese un altro sasso che rigirò un paio di volte tra le mani: posizione, colpetto di polso e via... cinque balzi.
Quante risate e quanti litigi con i suoi fratelli, lì, giù al laghetto? Sorrise, stavolta amaramente, ripensando a quei giorni d'agosto... lontani, certo, ma a lui sembrava proprio di aver vissuto un'altra vita. Sospirò stancamente e afferrò un altro sasso, poi un altro e un altro ancora. Quattro, cinque, sei balzi, schizzavano via sempre più veloci, sempre più lontano. Si allontanavano dalla terra ferma, dalla sicurezza, per poi sprofondare. Un po' come stava accadendo a loro tre...
«Wow, sei bravo» udì la voce di Hermione alle sue spalle, prima di scagliare un altro sasso. 
«Me l'ha insegnato Bill» le disse senza voltarsi, fissando il punto in cui il sasso era appena sparito. «Molti anni fa, alla Tana...» ne afferrò un altro che scattò subito via... fece quattro balzi.            
«Tieni» disse all'improvviso, voltandosi verso Hermione e porgendogliene uno.
«Oh, no, non so farlo... non ci ho mai provato» Hermione prese ugualmente il sasso dalle mani di Ron, limitandosi a fissarlo.
«Be', provaci» disse lui con un'alzata di spalle. Lei alzò lo sguardo perplesso su Ron che le sorrise incoraggiante.
«Guarda» le disse poi, afferrando un altro sasso.  «Questa è la chiave: più piatti sono, meglio è. Ti cali leggermente così...  pieghi appena il braccio e colpetto di polso... così...» il sasso sfuggì dalla mano di Ron, accarezzò rapidamente la superficie dell'acqua... cinque balzi.
«Aspetta, ci provo» disse Hermione che subito piegò il braccio destro, assunse un'espressione concentrata, lanciò il sasso che fece un breve salto prima di affondare.
«Oh...» si strinse nelle spalle e si voltò verso Ron che la guardava accigliato. «Che c'è? Però il movimento era giusto» Ron continuava a fissarla.
«No» disse infine in tono severo e scuotendo il capo, prima di scoppiare a ridere.
«Non ridere! Te l'ho detto che non ci ho mai provato» ribatté Hermione.
«Ma non hai nemmeno provato il colpetto di polso! Hermione, tu sei geniale e tutto, ma questa è un'arte e non tutti ne sono capaci. Non ha fatto nemmeno un salto, l'hai fatto affondare direttamente» la riprese, scuotendo più volte la testa come a sottolineare la delusione.
«Un'arte! E poi l'ha fatto un balzo» borbottò Hermione, un po' irritata, un po' divertita. «Solo perché era minimo, non puoi far finta di non averlo visto» 
«Certo, che è un'arte! Dici così solo perché tu non ci riesci. E no, è affondato direttamente» insistette Ron con aria indifferente, mentre un altro sasso si liberava dalla sua mano.
«Non è vero»
«Sì che è vero» affermò ancora lui, voltandosi poi verso Hermione. Accennò un piccolo sorriso che, fu felice di vedere, Hermione ricambiò.
«Tieni» le disse poi, offrendole un sassolino, mentre con la mano libera si grattava la nuca, un po' imbarazzato. «Cerca di non farlo affondare subito stavolta, eh» aggiunse, riacquistando un tono scherzoso. Hermione prese il sasso dalle sue mani, guardandolo con aria di sfida. Ron prese ad osservarla, a braccia conserte, mentre la ragazza si concentrava per eseguire il giusto movimento. Il sasso schizzò via, fece un solo balzo.
«Uhu! Questo sì che è un salto, facciamo progressi, vedo»
«Ha-ha. Maestro, era giusto il movimento del polso stavolta?» chiese Hermione, in tono acido.
«Ancora non ci siamo! Braccio troppo molle» rispose Ron, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
«Mi insegni la nobile arte del lancio del sasso, allora» disse Hermione, esibendosi in un breve inchino.
«Sarò lieto di insegnarle, signorina Granger» acconsentì Ron, ridendo sotto i baffi.
«Bene, iniziamo daccapo» si schiarì la gola e riprese un tono fintamente altezzoso. «Allora, può cominciare scegliendo il sasso giusto» la seguì con lo sguardo, fino a quando Hermione non gli mostrò il sasso scelto.
«Ora sta attenta alla posizione... sì... e al movimento del polso...  bene... così...»
Il sasso di Hermione fece di nuovo un solo salto, questa volta più lungo. Ron prese a guardarla serioso, fino a quando Hermione non si voltò verso di lui, sbuffando.
«La smetti di guardarmi in questo modo? Sei irritante» bofonchiò lei. E ancora, nel giro di pochi minuti, a Ron venne da ridere.
«Va bene, scusa. È che mi diverte» confessò divertito, mentre Hermione alzava gli occhi al cielo. Poi Ron si avvicinò di qualche passo.
«Posso?» chiese tendendole la mano. Hermione la fissò per qualche secondo, poi senza guardarlo negli occhi, mentre le gote diventavano di un leggero color cremisi, farfugliò un debole «Sì».
Ron le prese la mano con decisione, ma senza stringere troppo. Si posizionò alle sue spalle, poggiando la mano libera sulla spalla destra di Hermione. Automaticamente si abbassò e raggiunse il viso di lei. Le sfiorò appena la guancia e avvertì i suoi ricci solleticargli il volto. Non appena il suo cervello registrò l'estrema vicinanza a Hermione, arrossì fino all'inverosimile: guance, orecchie, collo. Le era così vicino che poteva avvertire il suo respiro leggero, sentire l'odore dei suoi capelli. Era il solito profumo delicato, quello che aveva imparato a riconoscere, quello che gli faceva venir voglia di affondare le narici in quei folti ricci castani.
Chiuse gli occhi per un istante, il profumo di camomilla ebbe un effetto quasi rassicurante. Ron puntò lo sguardo sulla sua mano che stringeva il pugno di Hermione, aumentò appena la presa.
«Allora... sì... a-abbassati leggermente...» mormorò, in un filo di voce. Hermione guardava un punto non identificato del lago.
«Ora devi... piega il braccio e...»
«Colpetto di polso...» concluse per lui, in un bisbiglio, prima che il sasso si liberasse dalla stretta. 
«Due salti» disse Hermione, a voce bassa. Ron, che ancora le stringeva il polso, allontanò la mano non appena se ne rese conto.
«Va meglio?» chiese Hermione, senza guardarlo in faccia. 
Meglio così, si ritrovò a pensare Ron, o le orecchie gli sarebbero esplose da un momento all'altro. Era certo che anche Hermione fosse particolarmente imbarazzata, l'aveva percepito dalla sua voce. Eppure, come negarlo? Quel gioco di rossori, contatti, odori e respiri vicini piaceva ad entrambi... probabilmente da sempre.
«Oh... s-sì... certo» borbottò lui, distrattamente. Lei gli sorrise dolcemente, le guance arrossate... peccato che a quel Ron troppo imbarazzato, quel sorriso sfuggì. 
Hermione recuperò un nuovo sasso e dopo averlo velocemente analizzato, guardò Ron, e finalmente, per un breve istante, i loro occhi s'incrociarono. E una forza invisibile alla quale non seppe - o meglio, non volle - opporsi, fece sì che le si avvicinasse nuovamente, facendo appello a tutto l'autocontrollo di cui disponeva. Ancora si ritrovò a sfiorarle il viso... pelle contro pelle. Respiri che si incontravano per poi fondersi. E quel profumo che il più delle volte aveva la capacità quasi di stordirlo... acqua di colonia, che mischiata al suo odore naturale, creava quella fragranza unica e speciale... dolce... che avrebbe riconosciuto tra mille... la sua.
La guidò nei movimenti, senza dire una parola. Stavolta, il sasso lanciato da Hermione, accarezzò la superficie del lago per due volte prima di sprofondare.
«Ancora due» sussurrò lei. Ron annuì, osando a malapena respirare, e stavolta non si scostò da lei. Qualcosa - quel qualcosa che poté benissimo chiamare istinto -, gli diceva di restare proprio lì, di non lasciarla subito andare. Le dita di Ron erano ancora debolmente strette attorno al polso di Hermione, mentre la mano libera scivolava cauta dalla spalla per poi posarsi sul braccio di lei. Senza averlo premeditato, rispondendo ad un forte impulso, chiuse gli occhi avvicinandosi ancora di qualche centimetro fino a toccare con la sua guancia quella di lei, che poi sfiorò dolcemente. Una volta sola. 
Sentì il leggero sospiro di Hermione e un brivido gli corse lungo la schiena.
Che stai facendo?
Era come se la stesse abbracciando. Se solo avesse mosso appena il volto e si fosse avvicinato al suo viso più di quanto non lo fosse già, allora avrebbe annullato definitivamente quella brevissima distanza e avrebbe trovato le sue labbra.

Baciala.

Il solo pensiero gli mozzò il respiro e fu travolto da una miriade di emozioni che gli accelerarono il battito cardiaco.

Baciala.

Poteva, lui voleva farlo sul serio! Non avrebbe aperto nemmeno gli occhi, così forse in questo modo avrebbe trovato il coraggio.

Baciala.

Deglutì. 
Questo è il momento giusto. È questo, non ce ne saranno altri.
Quel pensiero lo agitava, lo elettrizzava... lo rendeva debole, privo di forze. Sentiva di poter far tutto... e niente...
Ma che diamine stai facendo?

No, non poteva.
Non esiste il momento giusto per noi.
Non osò stringerla né accarezzarla. Non osò girare il volto né avvicinarlo ulteriormente. Non osò andare oltre.
Sapeva di non poterlo fare. Non in quel momento.
Trasse un respiro dopo quelli che gli parvero lunghissimi secondi di apnea. Sollevò le palpebre e allontanò il suo viso da quello di Hermione, senza però scostare le mani dal polso e dal suo braccio.
D'improvviso, il profumo dei capelli di Hermione arrivò leggero alle sue narici. Ron si chiese se fosse possibile imprimere un odore nella mente per non scordarlo mai più. Aveva imparato molto bene a conoscere il profumo di Hermione e quello dei suoi capelli e amava pensarci. Ma se non avesse potuto sentirlo mai più e l'avesse dimenticato?
Assunse un'espressione spaventata. No, non ci avrebbe pensato, non sarebbe accaduto. E quegli odori sarebbero stati suoi per sempre.

Hermione, sentì i muscoli distendersi, la tensione sciogliersi. Si rilassò, nonostante sentisse il respiro di Ron molto vicino, nonostante sentisse la sua guancia ispida toccare la sua. Lasciò che lui la stringesse delicatamente, in quel modo strano ma tutto loro. Chiuse gli occhi, mentre cominciava a rendersi conto di poter percepire un odore tanto familiare. Quel profumo che solo un anno prima aveva avvertito per la prima volta tra i vapori a spirale dell'Amortentia. Aveva fatto davvero tanta fatica ad accettare il fatto che fosse inequivocabilmente collegato al suo migliore amico.
"...A seconda di ciò che ci attrae..." no, non può essere... non può essere l'odore dei suoi capelli! Si era ripetuta almeno cento volte, quella giornata, in preda al panico. Ci aveva pensato tutta la notte, ed era arrivata alla conclusione - senza evitare di arrossire nervosamente - che... dopotutto non era improbabile che sentisse proprio l'odore di Ron, dei suoi capelli... perché in fondo lo sapeva: non poteva che essere il suo profumo. 
E perché in quel momento avrebbe dovuto agitarsi? Quel contatto la rassicurava così tanto e il suo odore era la cosa più familiare che potesse desiderare di sentire. Avrebbe voluto chiedergli di stringerla di più, avrebbe voluto dirgli che non gli importava nulla della fuga, della guerra, degli Horcrux, di quella stupida teoria sull'equilibrio da mantenere tra loro. All'improvviso le parve tutta un'emerita stronzata. Forse fra un attimo, solo un attimo, si sarebbe girata di scatto e dopo aver incrociato per un breve istante i suoi occhi chiari e rassicuranti, l'avrebbe baciato.

Sì, bacialo.

Hermione strinse gli occhi.
No.
Tutto doveva essere al proprio posto, sotto controllo.
Equilibrio. Doveva essere così, lei voleva che fosse così.
Ma non sei a scuola, Hermione, sai? Sei in un posto sperduto della Gran Bretagna, sei nel bel mezzo del nulla, altrove si combatte una guerra. La gente muore. E voi siete soli. Completamente soli.

Bacialo.

Calore umano. È quello che farebbe bene a chiunque, anche a te.

Bacialo.

Hermione sentì la gola seccarsi, il battito cardiaco aumentare. Gli occhi le bruciavano, lacrime lottavano per liberarsi dalla prigionia.
No, non è questo il momento giusto. Non posso farlo.
E se... e se non avessi mai più la possibilità di avvertire quel calore umano? Il suo calore? Forse dovrei...


Bacialo.

Si morse il labbro inferiore. Improvvisamente, nella sua mente lampeggiò il nome di Harry e, ancora, la parola equilibrio... e tutti quei stramaledetti validi motivi che impedivano ad entrambi di appartenersi per davvero.
Il lungo respiro di Ron, la ridestò dai suoi pensieri. Lui sciolse la presa dal suo polso, e piano, ma con decisione, le sfiorò il braccio. Ron sentì la pelle di Hermione rabbrividire sotto quella carezza.
Hermione si sentì all'istante come vuota. In un attimo, non c'era più Ron a stringerla e quel po' di calore, era già andato via. Qualcosa dentro di lei lottava per uscire, avrebbe voluto gridargli: "Non mi lasciare". Ma l'unica cosa che riuscì a liberarsi, fu una lacrima bruciante che scivolò lungo una guancia accesa, ebbe vita breve perché Hermione subito la scacciò via.
Che cosa diamine stavi facendo?

Si voltò lentamente verso di lui decisa a trovare il suo sguardo.
Ron osservava quegli occhi stanchi e spenti, contornati da occhiaie profonde. Si chiese se gli occhi di Hermione sarebbero mai tornati sorridenti, luminosi. Eppure, anche così, riuscivano a scaldarlo, ad ogni modo... e lui continuò a scrutarli per un tempo che parve incalcolabile.
Cosa cercassero l'uno negli occhi dell'altra, non avrebbero saputo nemmeno spiegarlo. L'imbarazzo era palpabile, ma importava davvero qualcosa? Quel filo invisibile sembrava deciso a tenere uniti quegli occhi così diversi che non facevano altro che cercarsi con insistenza da giorni, settimane, mesi... anni.
Ron era come incantato dal calore che gli trasmetteva lo sguardo di Hermione.
Che scoppiasse una guerra qui, proprio in questo istante, io non riuscirei a guardare comunque oltre... Pensò scioccamente e quel pensiero lo fece arrossire di colpo. Devo sembrarle proprio stupido, si disse, continuando comunque a fissarla, senza batter ciglio.
La mano di Ron sembrava sul punto di scattare per raggiungere il viso di Hermione... ma il ragazzo parve ripensarci e tutto quello che fece fu distogliere a malincuore lo sguardo, mentre la gola cominciava a bruciargli.
Sembrava non essere mai il momento giusto quando si trattava di loro due, che erano diventati così pazienti. Sapevano entrambi che se fossero andati oltre, se si fossero lasciati trasportare, sarebbe stato sbagliato, dannoso, da egoisti.
E loro due avevano fatto un maledetto patto. Loro due, i migliori amici di Harry Potter, dovevano pensare al loro migliore amico, prima di qualsiasi altra cosa. L'avevano promesso.
E poi c'era quella stramaledetta guerra che li terrorizzava a morte.
È così ingiusto!, pensò Ron, arrabbiato, con lo sguardo incrinato dalla stanchezza. Si voltò verso Hermione che, con le mani nascoste nelle tasche della felpa teneva lo sguardo fisso sul lago, dandogli le spalle.
Cosa abbiamo fatto di così... sbagliato... di così... male... da non poter stare insieme?
Si sorprese di quel pensiero, avvertì una morsa stringergli il petto.
Lo vorrei anch'io. Ma ora no. Ora è sbagliato.
Sembravano dirsi i loro occhi ogniqualvolta, speranzosi, si incontravano... per poi cambiare direzione, sconfitti.
Riflettiamo, Ron!, lo avrebbe ammonito Hermione, con un filo di voce tremante, non del tutto convinta di quella sua stupida teoria.
Anche tu non vuoi che sia così, Hermione.
Avrebbe voluto gridarle Ron. Ma non gliel'aveva mai detto e mai l'avrebbe fatto.
Solo che a dispetto di ciò che le loro menti suggerivano, a dispetto delle promesse, dei patti, delle riflessioni, c'erano i loro cuori che dicevano tutt'altro. C'erano i loro occhi che continuavano a cercarsi, ostinati, così come le loro mani che continuavano a tremare prima di ogni carezza o prima di toccarsi. C'erano quei brividi e quei rossori. C'era quella voglia costante di cercarsi semplicemente perché non potevano fare a meno l'uno dell'altra.
Ron si rese conto di essere rimasto lì, a fissare Hermione con la fronte corrucciata per tutto quel tempo. Solo quando quest'ultima si sedette a gambe incrociate sulla riva del lago, Ron si ridestò dai suoi pensieri e la raggiunse, imitandola.
«Mi sa che presto avremo una nuova sfidante ai nostri tornei alla Tana» le disse all'improvviso, un po' per rompere il silenzio e un po' per smorzare l'imbarazzo che sembrava essersi creato tra loro. Un debole sorriso riaffiorò dalle labbra di Hermione che teneva lo sguardo rivolto al lago.
«Ora che mi ci fai pensare, Fred mi deve una rivincita. L'ultima volta mi ha battuto per un pelo» disse pensoso e fissando un filo d'erba. «Ma quell'imbroglione continuava a fuggire ultimamente. Qualsiasi scusa pur di non sfidarmi. Ah, ci scommetto che ha paura che lo stracci davanti a tutti, quel codardo. Ma vedrà quando tornerò a casa... vedrà...» aggiunse poi, strappando con un po' troppa forza una manciata d'erba. All'improvviso si sentì sopraffare da uno strano senso di rabbia e sconforto. Non sapeva nemmeno cosa lo facesse parlare in quel modo, perché dicesse quelle cose... come se fossero tornati a casa l'indomani... come se volesse comunque mentire a se stesso...
«Scommetto che lui non ha il colpetto di polso come te l'ha insegnato Bill» disse Hermione, e il modo in cui lo disse, guardandolo con quel sorriso triste ma sincero, acquietò quello strano miscuglio di emozioni.
«Sapevo che avresti imparato in fretta» le rispose, abbozzando un sorriso. «Be', almeno la teoria» aggiunse sghignazzando piano, mentre Hermione gli mollava un buffetto sul braccio. 
«Mi manca, sai?» bisbigliò Ron, tornando di colpo serio e dedicando tutta la sua attenzione ad uno stelo d'erba. «La mia famiglia, intendo»
Non avvertì disagio, ma non poté evitare di chiedersi da dove venisse quel coraggio, quella voglia di aprirsi. Erano passate così tante settimane da aver perso il conto,  settimane che cominciavano a trasformarsi in mesi, e lui non una sola volta aveva espresso un pensiero simile. Eppure la preoccupazione era tanta, la mancanza dei suoi genitori, dei suoi fratelli la sentiva ogni ora, ogni minuto di ogni giorno. Ma aveva anche imparato che, con Hermione, il più delle volte, parlare poteva diventare improvvisamente facile, quasi naturale. Doveva solo trovare il coraggio.
Lei non rispose subito, ma Ron poté avvertire addosso il suo sguardo. Sentì automaticamente il calore propagarsi dal collo fino al viso, e mantenne gli occhi fissi a terra.
«Anche a me manca la mia» sussurrò tristemente lei, un minuto più tardi. «Sempre»
Ron lasciò perdere l'erba, il terreno e i sassolini, di colpo alzò lo sguardo su di lei. Aveva il volto ancora arrossato, ma vinse ogni imbarazzo.
«Come hai fatto, Hermione?»
C'era un filo di impazienza misto ad ammirazione nella sua voce.
«Cosa?» chiese Hermione, guardandolo a sua volta, incuriosita.
«A... a trovare il coraggio per... per far sì che andassero lontano e...» Ron si bloccò non appena vide, d'un tratto, il viso della ragazza impallidire più di quanto non lo fosse già. «Scusa» farfugliò subito, imbarazzato, riportando l'attenzione ai suoi piedi. «Io non... scusami...»
Passarono parecchi minuti durante i quali i due ragazzi pensarono bene di evitarsi, tanto che erano presi dai loro pensieri. Ron fu il primo a rompere il silenzio che cominciava a pesare.
«Non avrei dovuto» disse, schiarendosi la voce. «Io pensavo solo che... che sei stata molto coraggiosa e ti ammiro per questo» 
Ancora Ron avvertì gli occhi di Hermione che lo osservavano ma, arrossendo, fece finta di niente. Sentì un senso di angoscia, come una forte ondata che partiva dal petto, che per liberarsi aveva bisogno di trasformarsi in parole. E così, per liberare questo fiume in piena, cominciò a parlare.
«Io non ho fatto nulla per loro... quello stupido demone in soffitta a cosa servirà?» fece una smorfia disgustata, roteando gli occhi. «E se li scoprissero? E se l'avessero già fatto? Sarebbe solo colpa mia, li metterei ancor di più nei guai. E se avessero bisogno di un aiuto? Io me ne sto qua a far niente. E cosa gli farebbero, se li scoprissero? Li arresterebbero? Li torturerebbero? Li consegnerebbero a Tu-Sai-Chi? Voglio dire, traditori del proprio sangue e tutta quella porcheria lì, io...» 
Aveva cominciato a parlare e ora si lasciò prendere dal panico mentre la mente era impegnata a mostrargli scene terribili. Scosse la testa prendendosela tra le mani, quando la liberò fece un altro profondo respiro col tentativo di calmarsi.
«Me ne sono andato» disse, fu un bisbiglio pieno di frustrazione. «Me ne sono andato e basta. Li ho lasciati... e non ho avuto nemmeno il coraggio di parlare con la mamma perché... non volevo mentirle. Capisci? Avrei dovuto mentire invece, per tranquillizzarla! Lei era lì che quasi mi... implorava... avrei dovuto rassicurarla, almeno! Ma io niente... Perché sono uno stupido vigliacco. Un debole, ecco cosa sono in realtà. Avrei dovuto farlo. Avrei dovuto parlarle» si passò nervosamente una mano tremante tra i capelli. «Probabilmente mi odierà, se mai riuscissi a tornare a casa... non mi sorprenderebbe, sai? Anzi, probabilmente mi odia già. Avrei dovuto farlo... avrei dovuto parlarle... almeno per l'ultima volta...» 
Il suo volto si rabbuiò di colpo, mentre un macigno si posava sullo stomaco. La gola secca gli impedì di deglutire.
Realizzò che quei pensieri l'avevano sopraffatto nonostante non portasse l'Horcrux con sé. Non era riuscito a gestirli stavolta. Forse qualcosa stava cambiando in lui e il solo pensiero lo spaventava.
«Ron»
Hermione parlò dopo molti minuti di silenzio, il suo tono apparve dolce e deciso, e questo convinse il ragazzo ad allontanare le mani dal viso.
«È tua madre» proseguì Hermione, sforzandosi di impostare lo stesso tono risoluto, ma le parole tremarono appena. «Lei non potrebbe mai odiarti, come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Lei... lei aspetta solo di... be', aspetta solo di riaverti, come... come ogni mamma farebbe...»
Questa volta la voce di Hermione vacillò sul serio, Ron se ne accorse.
Che stupido. Lui ce li aveva dei genitori che lo pensavano, e come avrebbero potuto odiarlo? Come poteva pensare questo di loro?
Si vergognò profondamente di quel pensiero. Raccolse un po' di coraggio e alzò lo sguardo in cerca degli occhi tormentati di Hermione.
C'era qualcuno che si preoccupava, che pensava a lui. Qualcuno che lo aspettava. Ma, a Hermione, chi ci pensava? 
Un dolore profondo, tagliente, gli strinse il petto, e proprio mentre guardava gli occhi di Hermione, in profondità, si sentì piccolo e vuoto.
Impulsivamente, come se non potesse fare nient'altro, come se non ci fosse nient'altro attorno a lui, se non la ragazza seduta al suo fianco, allungò il braccio in direzione del ginocchio di Hermione per raggiungere la sua mano, poggiata proprio lì, che le sue dita sfiorarono delicatamente.
«Loro stanno bene» disse semplicemente Ron, con voce roca e lo sguardo serio, sincero ancora fisso in quello di Hermione. 
Lei, dopo un istante di smarrimento, gli sorrise con gratitudine, intanto che la mano di Ron si posava sulla sua fino a coprirla interamente. 
Ron si rese conto di sentirsi tremendamente stanco e mentalmente abbattuto. Avrebbe desiderato spegnere ogni tipo di pensiero, che questo tentasse di uscire o che semplicemente restasse in un angolo della sua mente pronto ad ossessionarlo. Avrebbe desiderato abbandonarsi ad un sonno profondo, senza sogni. Sparire, annullarsi.
Passò una buona mezzora, durante la quale la mano di Hermione rimase stretta in quella di Ron.
Fu proprio lui, che ancora non riusciva a tenere a bada nessuno di quegli strani e tormentati pensieri, a prender parola. Aveva una strana e gran voglia di parlarne.
«Hermione?» la chiamò, con lo sguardo fermo a terra.
«Dimmi» 
Si chiese come facesse a percepire ogni volta il suo sguardo concentrato su di lui... e se avesse mai trovato il coraggio di parlarle guardandola per davvero negli occhi. Nel silenzio che li circondava, Ron poté avvertire il respiro regolare di Hermione, in attesa.
«Se tutta la mia famiglia rimane uccisa, io cosa...»
«Ron...» tentò Hermione, inclinando la testa per cercare i suoi occhi.
«No, aspetta» la fermò Ron, sospirando stancamente. «Non riesco a cancellare il pensiero che possa accadere qualcosa di terribile. Vedi, ci penso pure adesso che non ho quello stupido medaglione. Non posso escludere una cosa del genere» proseguì, con la voce che si ridusse ad un sussurro angosciato. «È un maledetto pensiero fisso: ogni notte, ogni dannato giorno, è lì. Io... io mi chiedo come mi sentirei se accadesse qualcosa... a tutti loro... o anche ad uno solo di loro. Immagina la sensazione... tu sei qui, consapevole della tua impotenza, della tua lontananza, della tua codardia... non puoi fare nulla - non hai fatto nulla - per proteggerli. Come mi sentirei?» Ron teneva ancora gli occhi bassi, come se si vergognasse, e sembrava che la voce potesse sfumare da un momento all'altro. 
«Vorrei solo che nessuno facesse parte dell'Ordine» continuò, si sentiva distrutto. «Vorrei che non ci fossero dentro fino al collo. E pensare che, fino a qualche mese fa, mi rendeva orgoglioso il fatto che la mia famiglia fosse veramente d'aiuto... che ricoprisse un ruolo importante in questa maledetta guerra» una smorfia che doveva essere un sorriso triste gli disegnò le labbra per un istante. «Adesso odio questa realtà. La odio. Vorrei che si facessero da parte, vorrei che si facessero gli affari loro, che scappassero, che si nascondessero» 
Ron cominciò a torturarsi le mani e a osservarsele con uno sguardo quasi furioso. «Vorrei che mandassero a cagare Silente e tutto l'Ordine... non m'interessa... vorrei che lo facessero, vorrei che si proteggessero e basta»
Percepì la collera crescere dentro di lui. Si chiese di nuovo perché non riuscisse a tenere a bada quei pensieri; e se fosse improvvisamente esploso nonostante non stesse indossando l'Horcrux in quel momento? Davanti a Hermione poi, ancora una volta. Ma lui non voleva che questo accadesse. E desiderò ardentemente starsene da solo. Eppure rimase lì, si concesse ancora qualche secondo per calmarsi, sentiva che se avesse anche solo provato ad alzarsi, le gambe avrebbero ceduto.
«Mi restano solo gli incubi. Nient'altro. E vorrei che non fosse così per sempre» 
Disse flebilmente. Gli si formò un nodo alla gola non appena un nuovo pensiero prese forma nella sua mente: tra le cose che più temeva, c'era il fatto che quegli incubi - incubi che spesso gli facevano compagnia quando durante i suoi turni il sonno aveva la meglio - potessero trasformarsi in realtà... e così l'avrebbero tormentato per davvero ogni giorno della sua vita.
Strinse forte gli occhi, ancora rivolti al terreno, come se questo bastasse a scacciare via quel pensiero, a cancellarlo. Ma non ne fu capace, il senso di frustrazione crebbe. E di colpo, quasi per assurdo, una nuova sensazione fece capolino nella sua testa: si sentì sopraffare dal rimorso per quello che aveva detto. 
«Sono un egoista» mormorò, forse più a se stesso che a Hermione, che ancora non aveva detto una parola. «Loro non farebbero mai nulla di simile. Mai. Sono lì fuori a combattere... per una giusta causa... combattono per il bene, per il futuro... forse anche per me... mentre io sono qui a piagnucolare e a desiderare che si nascondessero come dei topi di fogna, per salvarsi la pelle. Desidero questo solo perché, se riuscissi a sopravvivere, non credo che potrei mai sopportare il dolore di una perdita. Capisci? È un pensiero egoistico» disse tutto d'un fiato, mentre sentiva gli occhi inumidirsi.
«Ma loro non sono questo!» aggiunse scuotendo il capo. «Forse questo è esattamente quello che farei io: scappare, nascondersi come solo i vigliacchi sanno. Ma loro non sono come me, loro so-» 
«Adesso basta» intervenne Hermione. Ron inizialmente fu sorpreso, ma poi sollevò la testa e la vide: lo sguardo duro, deciso. La fissò con quegli occhi chiari, ormai sempre più spesso privi di quella luce che rendeva il suo sguardo infantile, spensierato.
«Smettila di parlare in questo modo di te stesso. Io... io non te lo permetto» 
La voce di Hermione era seria, gli occhi le brillavano di una luce triste. Ron li scrutò attentamente, rapito, si chiese se avessero ceduto al pianto.
«È una bella situazione del... cavolo» sbottò Hermione, sfilando la propria mano da quella di Ron, per poi posizionarsi in ginocchio di fronte a lui. «Ma mai - mai - ho pensato che tu ti fossi comportato da codardo o da egoista. Nemmeno i tuoi pensieri lo sono. Anzi, sono più che legittimi»
Il ragazzo, come scottato da quelle parole, distolse immediatamente lo sguardo.
«Hai capito?» 
Sì, aveva capito, ma crederci era un'altra cosa... e lui sentiva di non avere più forza per credere.
«
È chiaro?» Hermione quasi urlò. «Guardami, Ron» 
Ma lui non mosse la testa di un centimetro, sentiva gli occhi bruciare. Poi il gesto improvviso di Hermione lo stordì: lei gli prese il volto tra le mani sollevandogli la testa, costringendolo finalmente a guardarla dritto negli occhi. Fu un duro scontro e Ron si rese conto che in realtà non aspettava altro che quel momento. Le piccole mani di Hermione erano calde e sentiva la pelle morbida dei suoi palmi sulle sue guance fredde e ruvide. Quel contatto lo fece tremare appena.
«Neanche un maledetto Horcrux può cambiarti così tanto» gli sussurrò con veemenza, con un'espressione talmente decisa da sembrare arrabbiata. «Puoi essere tante cose, Ron, ma di certo non sei un codardo egoista. Hai capito?» 
Ron non rispose, non fece alcun cenno, si limitò a fissare stupito Hermione che aveva il respiro un po' affannato e gli occhi pieni di lacrime. Ma non piangeva. 
Sentiva il calore delle sue mani che ancora gli circondavano il viso, adesso non più tanto freddo.
Poi qualcosa nello sguardo di Ron, fece improvvisamente addolcire l'espressione dura della ragazza.
Con entrambi i pollici, Hermione gli sfiorò le occhiaie scure e profonde. Ne tracciò il contorno una, due, tre volte. Ron pensò che doveva avere un aspetto davvero orribile, ma non gli importava nulla. Non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Hermione, non riusciva a non pensare a quanto gli piacesse il modo in cui lo stava toccando e guardando. Non riusciva a non pensare a quanto lei gli piacesse in quel momento. 
«Scusami»
Il bisbiglio di Hermione lo distrasse da quei pensieri, ma non le staccò mai gli occhi di dosso.
«Non avrei voluto essere così... dura» disse sottovoce Hermione, allontanando le mani dal suo viso e sistemandosi a gambe incrociate.
Ron, dopo un breve attimo di smarrimento, scosse il capo.
«Non è successo nulla» disse soltanto, ma avrebbe voluto chiederle di dimenticare tutto, ogni cosa e di continuare ad accarezzarlo ancora e ancora. 
«Voglio che tu capisca che il coraggio sta proprio nelle scelte» riprese Hermione, seria. «La mia non è stata una scelta facile come non lo è stata la tua. Tu hai scelto Harry... perché Harry ha bisogno di te più di chiunque altro. Ed è stata la scelta più coraggiosa che avresti mai potuto fare.  Non pensare nemmeno per un secondo di aver agito con viltà. Non esiste. E poi, in ogni caso, avresti fatto una scelta coraggiosa» qui Hermione si fermò e gli fece un sorriso mesto accompagnato da un sospiro. «So che essere all'oscuro di tutto ti distrugge dentro... lo so... ma se la caveranno. Noi la nostra missione ce l'abbiamo e ci impegneremo a portarla avanti... lo faremo per loro, Ron, per la tua famiglia... e per tantissima altra gente...» 
Ron continuò a mantenere lo sguardo fisso in quello di Hermione durante tutto il discorso. Improvvisamente si sentì male: non credeva veramente alle parole di Hermione. Non credeva più nella loro missione. Non credeva in Harry. Non credeva nemmeno in una singola, misera possibilità. Non credeva in se stesso più di quanto non avesse mai fatto in vita sua, non credeva nelle sue scelte. Non credeva più in niente. Voleva arrendersi. Mollare tutto e arrendersi definitivamente.
Avrebbe preferito rimanere impassibile davanti alle parole di Hermione, avrebbe voluto non provare niente. Invece qualcosa era lì, a serrargli il petto, impedendogli quasi di respirare. Ebbe la conferma di quanto in realtà fosse debole.
Annuì impercettibilmente, con gli occhi agganciati ai suoi.
Lei gli sorrise, lieve.
Lui si sentì uno sporco bugiardo.
Debole e bugiardo.
Hermione distolse lo sguardo, e Ron, nonostante si vergognasse come un ladro, continuò a fissarla. Ma mai gli sfiorò l'idea di dirgli tutto quello che in realtà gli passava per la testa.
Per almeno una quindicina di minuti nessuno dei due parlò. Il cinguettio degli uccelli riempì dolcemente l'aria, mentre i due ragazzi, ancora seduti l'uno accanto all'altra, erano impegnati a strappare le erbacce, giocherellare con i sassi... a pensare e pensare. Ad un certo punto, Ron guardò il suo orologio da polso un po' ammaccato, rendendosi conto che mancava mezzora all'inizio del suo turno. Altre dodici ore con l'Horcrux al collo. Una tortura che non sembrava non avere una fine.
Il panico lo invase, cominciò improvvisamente a sudar freddo.
«Ho paura»
Il suo sussurro improvviso fu talmente leggero che se non ci fosse stato un simile silenzio Hermione non l'avrebbe sentito. Quelle sue stesse parole lo sorpresero e gli fecero sgranare gli occhi per un breve istante. Hermione voltò la testa verso di lui, in completo silenzio, e Ron vide calare un'ombra sul suo volto pallido e smagrito, coperto da un velo di tristezza.
Si guardarono per un attimo, poi Hermione disse piano:
«Anch'io» 
E come se spinto dalla solita forza invisibile che, inevitabilmente, lo avvicinava sempre ad Hermione, Ron si sporse verso di lei e la circondò con le braccia, stringendola leggermente a sé. Cosa avrebbe voluto esattamente dirle con quel gesto del tutto impulsivo, proprio non lo sapeva. Forse avrebbe voluto scusarsi per tutti gli errori commessi e per quelli che ancora avrebbe commesso. Forse avrebbe voluto scusarsi per averle mentito un attimo prima... e in quello stesso momento. O forse avrebbe semplicemente voluto stringerla per paura di perderla... o per la paura di perdersi.
Ron serrò gli occhi, il mento sulla spalla di Hermione, le mani che le sfioravano la schiena e i capelli.
Le parole di lei riecheggiarono nella sua testa: "Neanche un maledetto Horcrux può cambiarti così tanto", gli aveva detto. E gliel'aveva detto con una tale sicurezza, una tale rabbia da lasciarlo spiazzato.
Paura.
Ron non era riuscito a nascondere quel pensiero che aveva oscurato il volto di Hermione. Era proprio quella la sua paura, la paura di essere già cambiato. Cambiato nel peggiore dei modi, come se qualcosa si fosse rotto dentro di lui. Come se quell'Horcrux non avesse fatto altro che distruggere la parte più intima e profonda di se stesso, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Fino ad annientare quello che lui era veramente. Si vergognava dei suoi pensieri più profondi, che da tempo erano diventati così crudeli, così sospettosi, soprattutto nei confronti di Harry. E quando non riusciva a respingerli, a cancellarli definitivamente, perché lui, l'Horcrux, glielo impediva, si chiedeva se fosse stato già contaminato, segnato per sempre. Certe volte arrivava perfino ad odiare. Lui che non pensava si potesse odiare così tanto.
Sentì uno strano e vago malessere proprio al centro del petto. Stava trattenendo il fiato.
Lanciò un altro sguardo all'orologio. Mancavano quindici minuti.
Hermione si mosse, allontanandosi lentamente da lui, che liberò la stretta.
In quell'istante, guardandola, senza però incontrare i suoi occhi, avrebbe desiderato avere la forza e il coraggio di confessarle tante cose, di dirle di cosa lui esattamente aveva paura. Se solo mezzora prima aveva trovato quasi naturale dar voce ai suoi pensieri, ora gli parve la cosa più complessa e sbagliata del mondo. Non l'avrebbe fatto. Sapeva che non l'avrebbe mai fatto.
Ad un certo punto, vide Hermione avvicinarsi lentamente a lui, ben presto sentì il suo respiro accarezzargli il volto. Percepì un brivido attraversargli la schiena quando gli posò un bacio all'angolo della bocca. Leggero, veloce, delicato. Un contatto che durò un attimo, un attimo che gli sconvolse completamente la mente, che gli fece tremare il cuore.
Poi Hermione si alzò di scatto e quando gli offrì la mano, Ron l'afferrò dopo alcuni secondi di esitazione. Fece scorrere lo sguardo sul suo viso, rosso per l'imbarazzo, resistendo all'impulso di accarezzarlo, di baciarlo. Quando poi i loro occhi si incrociarono, Ron vide in quelli di Hermione una tristezza mai vista prima. Una tristezza che lo spaventò. Gli fece pensare che quasi avrebbe preferito vederla piangere. Cercò di dire qualcosa, ma tutto quello che sentiva era quel dolore persistente al petto, e quando Hermione si voltò per raggiungere la tenda, si sentì sprofondare nel vuoto. Ancora più giù.
Guardò l'orologio. Mancavano cinque minuti. Harry avrebbe potuto finalmente liberarsi del medaglione.
Ron sapeva che il suo turno sarebbe cominciato nel peggiore dei modi, sentiva già quell'aria pesante gravargli addosso. Non aveva mai avuto un presentimento peggiore.
Pensò al momento in cui aveva abbracciato Hermione, al suo bacio.
E sapeva che qualsiasi bacio, abbraccio o carezza, qualsiasi attenzione o parola, avrebbero potuto essere le ultime... in qualsiasi momento. Forse persino quello avrebbe potuto essere l'ultimo momento.
L'ultimo abbraccio.
L'ultimo bacio.
Con il terrore che gli si leggeva in volto, che sentiva crescere dentro di sé fino ad opprimerlo, mentre le gambe cominciavano a tremare, si diresse verso l'accampamento, con la consapevolezza che le sue stesse paure l'avrebbero soffocato ancora.




«Lascia qui l'Horcrux» ordinò Harry.
Ron si tolse la catena e gettò il medaglione su una sedia. Si rivolse a Hermione.
«Tu cosa fai?»
«Cosa vuoi dire?»
«Resti o cosa?»
«Io...» Era a pezzi. «Sì... sì, io resto, Ron, avevamo detto che saremmo andati con Harry, che l'avremmo aiutato...»
«Capito. Scegli lui».
«Ron, no... ti prego... torna indietro, torna indietro!»
Era bloccata dal suo stesso Sortilegio Scudo; quando l'ebbe rimosso, Ron era già corso via nella notte. Harry rimase immobile, in silenzio, ad ascoltarla singhiozzare e chiamare Ron tra gli alberi.
Dopo un po' lei tornò, i capelli zuppi incollati al volto.
«E'... an-an-andato! Si è Smaterializzato!»
Si gettò su una sedia, si raggomitolò e pianse.

(Harry Potter e i Doni della Morte, pag. 287, capitolo 15) 




Angolo dell'autrice:

Innanzitutto, vorrei chiedere scusa a chi stava seguendo questa storia e si è tanto impegnato per lasciarmi bellissime recensioni. Tre mesi e mezzo di assenza sono davvero troppi, me ne rendo conto... mi sento così in colpa. Purtroppo quest'ultimo non è stato un bel periodo per me e, insomma, mi sono un po' allontanata dalla scrittura. So che ho detto più volte che in realtà i capitoli di questa breve storia avevano bisogno solo di una revisione prima di essere pubblicati, ed era vero... quest'ultimo capitolo, come gli altri, era pronto. Solo che è successo che una sera ho aperto il documento, ho letto il capitolo e l'ho sentito totalmente estraneo e... nulla, mi sono... ehm... più o meno innervosita (?) e così di colpo ho deciso di cancellarlo e di ricominciare. Non lo sentivo per niente mio, come se l'avesse scritto un'altra persona... forse perché è stato scritto tempo fa... non lo so, non ne ho idea, so solo che, in qualche modo, la cosa mi infastidiva. Il lavoro che c'è dietro questa nuova versione - che sento decisamente più mia - è stato difficile ed impegnativo (ma manco avessi scritto la tesi (?) però va be', ditemi che mi capite, lol). Sentivo il bisogno di dover scavare ancora nella parte più profonda della mente e del cuore di Ron, mi sono impegnata, io voglio dar giustizia a questo personaggio complesso nella sua semplicità (?). Ma questo scavare si è rivelato molto più complicato del previsto, senza contare che il mio umore altalenante non è stato proprio d'aiuto... ed ecco perché sono tornata dopo più di tre mesi. Scrivevo, leggevo e rileggevo, cancellavo e riscrivevo di continuo e avevo sempre l'impressione che Ron non risultasse abbastanza credibile, che fosse incoerente col personaggio originale, che i suoi stessi pensieri fossero incoerenti o non abbastanza forti da "motivare" il suo abbandono... che, insomma, era più o meno quello che avrei voluto dimostrare con questa storia. Ho avuto molti dubbi persino sul momento spensierato che condividono Ron e Hermione, non volevo che i due personaggi apparissero forzati, spero di averli resi al meglio. Adoro quella scena, così tanto da andarmela a riguardare ogni tanto su youtube o tra le scene cancellate presenti nei dvd quasi tutte le volte che finisco di vedere la prima parte di the deathly hallows (rinfrescatevi la memoria e fangirlate come si deve: https://www.youtube.com/watch?v=8l33qmYT968 - c'è anche un Rupert Grint che supera i livelli di gnoccaggine/?/  -). Inoltre, io volevo che si passasse dalla spensieratezza ai pensieri più tormentati... spero che questo passaggio risulti naturale. 
Bene, quindi questo breve progetto è giunto al termine. Nel complesso, come vi è sembrato? Spero di avervi lasciato qualcosa e spero con tutto il cuore di non avervi deluso con quest'ultimo capitolo.
Un enorme, sentito grazie a Francesca (Frava), Veronica (donny93), Chiara (HP_dream), Lucrezia (happy ending), per le splendide recensioni - che quasi mi hanno tolto il fiato - che hanno dedicato al terzo capitolo, grazie per aver seguito questa storia. Boh, siete fantastiche. E, da twitter, grazie infinite ad una delle mie favs, @PergamenaNuova che, non solo è stata dietro a tutti i capitoli, ma mi ha sempre lasciato il suo pensiero tramite tweet. Grazie, grazie a tutti. Anche a te che stai leggendo, che sei arrivata fin qui, perché l'hai scoperta ora, o perché l'hai inserita tra le seguite e attendevi... GRAZIE.
Ora datemi due secondi per il momento Consigli per gli acquisti. *musichetta della gomma, se avete visto inside out potete capirmi anche se questa cosa non ha senso ma va be' (?)*
Vi consiglio, ancora una volta, l'ultima storia avvincente di Frava che trovate qui: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3123823&i=1 (e anche la sua long che non è conclusa, per cui non è troppo tardi per cominciare... e ne vale la pena, assicurato).
E poi c'è questa Romione di happy ending che ho riletto ultimamente e che mi ha sciolto di nuovo il cuore: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3062906&i=1.
Non so quando tornerò a pubblicare altre storie su questo profilo, dipende da molte cose //umore, esami//... ma sono sicura che non lascerò perdere i Romione per ancora mooolto tempo, per cui GIURO che ci tornerò.
Bene, credo di aver finito, è sicuramente l'angolo autrice più... ampio... che abbia mai scritto (?) perché io-sono-una-noioooosa!
A presto streghe e maghi!

Peace, love and Romione
fino alla fine dei tempi!


 

 

   
 
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