Si
avvicinò lentamente, come se
quei pochi centimetri fossero in realtà immensi kilometri.
Sul pavimento
vecchio e polveroso qualcosa brillava opaco, riflettendo timidamente i
raggi
vermigli della luna. Riusciva a scorgerne solo un frammento di metallo
argentato, poiché il resto era completamente immerso nelle
tenebre. Si morse un
labbro. Una parte del suo cervello le chiedeva cosa stesse aspettando a
raccogliere l’oggetto, mentre l’altra la fermava:
non era suo, non erano affari
che la riguardavano, probabilmente era solo uno stupido aggeggio che
aveva
perso l’angelo volando via.
Già, l’angelo, Aion, il suo capo.
Che cosa strana, l’aveva desiderata lì
così ardemente da trasportarla fin lì
contro la sua volontà, o meglio annientando la sua
volontà, e ora... l’aveva
abbandonata senza dire più di una frase, senza spiegarle
nulla!
Si sentiva offesa. E umiliata. Le
sue guance si tinsero di rosso acceso pensando a quanto in quel momento
probabilmente Aion stava ridendo di lei.
Ora risoluta, si chinò e raccolse
l’oggetto da terra, lasciando un’orma di pulito al
suo posto. Era una chiave.
Una grossa e pesante chiave, forgiata con argento puro. Nella sua
semplicità,
era stupenda. Era lunga il doppio del palmo della sua mano e una delle
due
estremità terminava con un grande anello, a cui era annodato
un fiocco di seta
rosso fuoco.
Rigirò la chiave misteriosa tra le
mani e trattenne il respiro non appena la vide: su un lato
dell’argento era
inciso un nome, quattro semplici lettere.
Alba.
Sobbalzò e la chiave le cadde di
mano, andando a coprire nuovamente il vuoto di pulito sul pavimento.
Com’era
possibile? C’era il suo nome inciso lassù. Il suo
ed era sicura ora che non
fosse più un caso. Il figlio di Satana l’aveva
voluta lì e le aveva consegnato
una chiave destinata a lei, ma perchè? Cosa doveva aprire? E
dove?
Si appoggiò alla balconata. Da quel
lato della stanza, opposto rispetto a dove si era affacciata prima, non
si
vedeva la luna ma solo una sconfinata distesa di blu scuro. Solo una
stella
brillava nel cielo, nera come il carbone, dai riflessi argentati. Alba
sapeva
che nessun umano poteva scorgerla così nascosta e camuffata,
ma solo lei in
quel momento poteva ammirarla.
Aduial, la stella degli angeli
neri, la salutava.
Sorrise e chiuse gli occhi. Uno
scricchiolio, poi due e un altro ancora. Sinistri rumori di... qualcosa
che
crolla. Un pezzo di staccionata si staccò dal pavimento
precipitando nel vuoto
e, prima che Alba potesse rendersene conto, metà
dell’intera balconata lo
seguì. La ragazza aprì gli occhi, il viso
sferzato dal vento forte e freddo.
Stava precipitando. Era così presa dai suoi pensieri, dalla
stella, dalla
chiava, da tutta quella stranezza, che non se ne era nemmeno accorta,
né aveva
fatto attenzione!
Ci volle solo un millesimo di
secondo prima che si accorgesse della gravità della
situazione ed evocasse le
proprie ali: due splendide ali piumate nere come la notte, lunghe e
forti,
apparvero sulla sua schiena. Le sbatté con vigore, per
contrastare la forza di
gravità la stava calamitando precipitosamente al suolo.
Finalmente, riuscì a
raddrizzarsi e a fermarsi a mezz’aria, ormai soltanto a un
paio di metri dallo
schianto. La balconata, o meglio i suoi resti, toccò il
suolo in un boato che
non prometteva nulla di buono. Alzò lo sguardo. Il tetto a
punta senza quasi
più sostegno si stava pericolosamente inclinando a sinistra,
finché precipitò,
staccandosi completamente. Era uno spettacolo fantastico e orribile
nello
stesso momento: la torre si stava disfando pezzo per pezzo, come se
fosse stata
bombardata alla base. Ancora una volta, Alba era immobile, incapace di
fare o
pensare qualcosa, affascinata e nello stesso tempo preoccupata per la
scena a
cui stava assistendo.
-Aaaaaaaaahhh
Un urlo soffocato
uscì dalle sue labbra quando
un macigno le colpì prima la testa, poi la spalla e infine
l’ala sinistra,
piegandola malamente. Precipitò, incapace di fermarsi.