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Autore: effe_95    23/10/2015    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
29. Non torni più indietro, Sono stanco e Puoi guardarmi negli occhi


24 Dicembre
 
Beatrice era agitata quel 24 Dicembre, giorno della Vigilia di Natale.
Quella mattina si era svegliata prestissimo nonostante avesse passato quasi tutta la notte in bianco, rannicchiata sotto il piumone aveva spostato lo sguardo ancora appannato sulla finestra semiaperta, dal quale filtrava una luce fredda e neutra.
Sospirando profondamente, aveva abbandonato il suo giaciglio caldo appoggiando i piedi protetti da calzini antiscivolo sul tappeto morbido e riscaldato, quando aveva scostato le tende per dare uno sguardo alla strada, l’aveva trovata più bianca e innevata del solito.
Aveva raggiunto la cucina con passo strascicato, la casa era silenziosa e oscura, segno che i suoi genitori stavano ancora riposando nella camera da letto.
Beatrice si trascinò con passo traballante fino al frigorifero, lo aprì ed afferrò uno dei suoi amati yogurt, uno strato di pelle d’oca le attraversò la pelle ancora calda al contatto con l’aria gelida. Si lasciò cadere malamente sul primo sgabello intorno all’isola, infilò il cucchiaino nel piccolo contenitore di plastica e prese a giocherellare distrattamente con la crema densa e bianca, poi, persa nei suoi pensieri, si ricordò che lo sgabello sul quale era seduta lo aveva occupato Enea per numerosi venerdì.
Sospirò pesantemente, oppressa da una sensazione di mancanza allo stomaco.
Quel ricordo aveva risvegliato in lei un forte desiderio di vederlo, guardò per un secondo il vasetto ancora pieno di yogurt, poi lasciò cadere malamente il cucchiaino sul ripiano dell’isola, si alzò con foga e raggiunse frettolosamente l’armadio.
Afferrò i primi vestiti che le capitarono tra le mani, si fece una doccia veloce e li indossò dopo essersi asciugata malamente, con la pelle ancora umida in alcuni punti.
Mise velocemente un jeans stretto e scolorito, una felpa un po’ vecchiotta e un paio di scarponi. Lasciò i capelli sciolti sulle spalle, non si truccò, prese solamente la borsa di pezza dove depose portafoglio, chiavi di casa, il cellulare e il regalo di Natale che aveva preso per Enea una settimana prima, infilò cappotto, sciarpa e guanti e un attimo dopo si ritrovò per strada, con i piedi sprofondati per metà nella neve e il vento gelido che le sferzava il viso arrossato dal cambio di temperatura.
Prese il cellulare e compose velocemente il numero di Lisandro, sperando vivamente di trovarlo disponibile, il telefono suonò a vuoto per qualche secondo, fino al terzo squillo.
<< Pronto? >> Era la prima volta che Beatrice lo chiamava al cellulare, Lisandro aveva una voce ancora più calda e roca del solito attraverso l’apparecchio.
<< Sono Beatrice >>
Quando ebbe pronunciato quella frase, trascorsero alcuni secondi di silenzio dal lato di Lisandro, tanto che Beatrice pensò avesse riattaccato o fosse caduta la linea.
<< E’ successo qualcosa? >> La voce di Lisandro era apprensiva quando tornò a farsi sentire.
<< No, io … voglio andare da Enea. Puoi dirmi dove abita? >>.
Seguì ancora una volta un silenzio forzato, silenzio che mise Beatrice piuttosto in imbarazzo, mentre lottava con il vento terribile che le sferzava i capelli e i sottili fiocchi di neve che le bagnavano la pelle calda.
<< Prendi la metropolitana e scendi alla quarta fermata venendo da casa tua … all’uscita, il palazzo di fronte, quello con le mattonelle rosse … >>
Mormorò lentamente Lisandro, mentre Beatrice si metteva immediatamente in moto per raggiungere la fermata che distava pochi metri da casa sua.
<< Ti ringrazio, ci sentiamo … ah, buona vigilia! >>
Replicò frettolosamente Beatrice, facendosi largo tra la gente che affollava le strade più del solito in quella giornata particolare, aveva già separato il cellulare dall’orecchio per chiudere la conversazione quando la voce di Lisandro la raggiunse da lontano.
<< Ma ne sei sicura Beatrice? Non torni più indietro. >>
Beatrice strinse forte l’apparecchio tra le mani, guardò attentamente le scale della fermata della metropolitana, sistemate proprio lì di fronte a lei, l’impulso di raggiungere Enea le era nato dalla sensazione di mancanza che aveva provato guardando quello sgabello, una mancanza talmente bruciante come non l’aveva mai provata.
E non avrebbe voluto provarla mai più.
<< Ma io non voglio tornare indietro >>
Beatrice sentì Lisandro sospirare pesantemente.
<< E allora vai! >>
Non se lo fece ripetere due volte, scese velocemente i gradini e prese il primo treno a disposizione. Quando giunse a destinazione il palazzo le si parò immediatamente davanti, e non fu nemmeno costretta a suonare il citofono, perché il portone era già aperto in mancanza del portiere temporaneamente in ferie.
Lisandro le aveva detto che Enea abitava al quarto piano, Beatrice era talmente agitata che fece tutte le scale a piedi, e mano a mano che saliva i gradini le mancava sempre più il coraggio, le mani erano sudaticce e tramavano, ma la destra si sollevò ugualmente per suonare al campanello quando giunse il momento.
Beatrice non aveva mai fatto nulla di tanto impulsivo in tutta la sua vita, non aveva riflettuto, non aveva pensato che magari potessero non essere in casa, potessero essere impegnati, che magari Enea non c’era, era semplicemente andata.
Era andato perché voleva vederlo assolutamente.
Ad aprire la porta di casa fu un ragazzo che non era Enea, ma che per alcuni tratti gli assomigliava. Era alto e magro, indossava una vecchia felpa verde sopra una camicia a quadrettini rossa, piuttosto sgualcita, su un fisico prestante, la tuta grigia era un po’ logora e cadente, tanto che gli si vedeva il bordo nero delle mutande.
Aveva un viso spigoloso e maturo, le labbra carnose, un naso dritto, sopracciglia sottili,  capelli castani che se ne stavano spettinati sul capo, un po’ lunghi dietro la nuca, e un paio d’occhi dal taglio sottile che scrutavano Beatrice con aria sorpresa.
<< Ehm … sono Beatrice, una compagna di classe di Enea. E’ in casa? >>
Beatrice borbottò quelle parole reggendo lo sguardo curioso del ragazzo, che sorprendentemente si appoggiò con la mano destra allo stipite della porta per sporsi in avanti e sorriderle a trentadue denti, aveva le fossette sulle guance e gli si arricciava il naso quando lo faceva.
<< Enea è sotto la doccia, vuoi aspettarlo? Io sono suo fratello Daniele >>
Beatrice provò la fortissima tentazione di fuggire, quando incontrava persone così solari ed espansive, completamente diverse da lei, quello era il suo primo pensiero.
<< Si, lo aspetto >> Mormorò stringendo forte la tracolla della borsa tra le mani, non era il momento di farsi prendere dalla codardia, Daniele si scostò dalla porta e la invitò ad entrare, continuando a mantenere sulle labbra quel sorriso eccessivamente raggiante.
Beatrice non poté fare a meno di pensare a quanto fosse diverso da quello ironico, freddo e malizioso di Enea, avevano le stesse labbra, ma due modi diversi di sorridere.
Daniele la condusse per un corridoio pieno di quadri bellissimi e numerose porte in legno chiuse, fino alla cucina più bella, ordinata e accogliente che Beatrice avesse mai visto.
<< Accomodati pure sullo sgabello. >> Disse distrattamente il ragazzo, indicando l’isola in marmo al centro della stanza, Beatrice non replicò nulla e si limitò ad obbedire, mentre Daniele si avvicinava alla credenza per prendere due bicchieri di vetro rossi e del succo di frutta dal frigorifero di ultima generazione, ricoperto di post-it, fotografie e calamite.
<< Ti piace il succo all’arancia rossa? >> Chiese lui mettendosi seduto proprio di fronte a lei, Beatrice contrasse leggermente le sopracciglia nel sentirsi così osservata, Daniele era diverso da Enea per molti aspetti, era fisicamente più grosso, aveva i capelli più scuri e gli occhi più marcati. << Si >> La sua fu una risposta piuttosto lapidaria, allungò le mani e le strinse delicatamente attorno al bicchiere che Daniele aveva spinto verso di lei, trascinandolo dalla sua parte, tuttavia non si apprestò a bere, rimase ferma con il bicchiere stretto tra le dita ghiacciate, ad osservare come il ragazzo appoggiasse un gomito sul bancone dell’isola e una guancia sulla mano per scrutarla meglio, aveva ancora il sorriso sulle labbra anche se solamente accennato.
<< Mio fratello mi ha parlato di te, anche se non mi ha detto il tuo nome >> Beatrice rimase piuttosto sorpresa da quelle parole, sollevò velocemente gli occhi incuriosita << Lui qui a casa ti chiama Giulietta, sei tu no? >>. Finì di domandare Daniele, per poi bere un lungo sorso di succo, sotto lo sguardo accigliato ed imbarazzato della ragazza.
<< Io invece non sapevo avesse un fratello … >> Non so niente di lui, in realtà.
Commentò Beatrice, accostando finalmente il bicchiere alla bocca per bere un sorso anche lei, Daniele ridacchiò divertito al suono di quelle parole.
<< Non andiamo propriamente d’accordo, io ed Enea ci tolleriamo. >> Commentò poggiando energicamente il bicchiere rosso sul ripiano in marmo << Lui non mi racconta mai niente, si tiene tutti i suoi segreti per se! >> Daniele assunse una tonalità lamentosa da bambino capriccioso alla fine della frase, gonfiando le guance e sgonfiandole immediatamente dopo, improvvisamente poi, si sporse in avanti verso Beatrice e le rivolse ancora una volta quel sorriso luminoso.
<< Dimmi un po’ , sei la sua ragazza vero? >>
Beatrice trovò piuttosto forzata tutta quella confidenza, spalancò immediatamente la bocca per replicare qualcosa si sensato ed intelligente, ma un frastuono improvviso lungo il corridoio li distrasse entrambi dal loro proposito.
<< Oh Dan! Hai di nuovo lasciato le tue mutande sporche su … Beatrice!? >>
Enea era entrato in cucina con un’espressione piuttosto contrariata e imbronciata, per poi bloccarsi di colpo e sbottare alla vista di Beatrice e di suo fratello seduti uno di fronte all’altra, intenti a fissarlo.
<< Sai Enea, non mi risulta di aver lasciato le mie mutande sporche su Beatrice >>.
Al commento sagace di Daniele, Beatrice si ritrovò a sorridere involontariamente, probabilmente per placare in qualche modo il battito frenetico del suo cuore agitato.
<< Davvero spiritoso. >> Lo rimbeccò Enea, per poi rivolgere un’occhiata tagliente e profonda a Beatrice, che abbassò lo sguardo arrossendo leggermente. Quello scambio di espressioni non passò inosservato agli occhi di Daniele, che incrociò le braccia al petto e si appoggiò affabilmente sullo schienale dello sgabello, scrutando prima Beatrice e poi Enea, che nel frattempo era avanzato nella cucina e si era seduto a sua volta.
<< Io e Beatrice stavamo parlando di te >> Esordì con nonchalance, facendo sussultare lei.
<< Ma davvero? >> Replicò Enea mettendo su quel suo sorriso terribilmente gelido << E che cosa stavate dicendo? >> Domandò incrociando le braccia al petto.
<< Stavo chiedendo a Beatrice se era la tua ragazza? >>
Enea sussultò leggermente e il sorriso spavaldo scompariva dalle sue labbra, Daniele mise su ancora una volta quel sorriso tremendamente birichino che Beatrice aveva cominciato ad apprezzare, e si sporse verso di lei incrociando le braccia sul marmo freddo dell’isola.
<< Allora, sei o no la sua ragazza? >>
Beatrice si ritrovò a stringere convulsamente il vetro freddo del bicchiere ancora pieno tra le dita sottili e pallide, sentiva la presenza di Enea al suo fianco come una forza schiacciante, come se la stesse spingendo senza ritegno dalla sedia, sebbene lui si trovasse ad almeno un metro di distanza.
<< Si >>
Replicò in fine con una sicurezza che non le apparteneva, mettendo su un sorriso bonario, Enea si irrigidì come un tronco d’albero sentendo quella parola.
<< Allora vi lascio da soli … mi raccomando, non mi fate le cosacce sul tavolo eh?! >>
Daniele lasciò la cucina ridacchiando come una iena, mentre Enea gli tirava dietro uno dei cuscini degli sgabelli, che atterrò sul pavimento del corridoio senza produrre nemmeno un suono. La consapevolezza che fossero rimasti soli stava mandando Beatrice completamente  fuori di testa, ma era quello il momento in cui avrebbe dovuto essere forte.
Enea si voltò lentamente verso di lei, perforandola con quei suoi occhi azzurri e taglienti come una lama a volte troppo affilata.
<< Cosa sei venuta a fare qui? >> La voce era fredda, incolore, era incavolato nero e Beatrice lo sapeva, ma non si sarebbe lasciata intimorire.
<< Sono venuta a farti gli auguri per la vigilia di Natale >> Si affrettò a rispondere, stringendo maggiormente la borsa tra le mani, ormai completamente bianche a causa della mancanza di circolazione. Enea sbuffò spazientito e le rivolse un’occhiataccia.
<< Stamattina hai fatto colazione con i cereali dell’ironia o della presa per il culo?! >>
Beatrice si morse il labbro inferiore, poi si affrettò ad aprire la borsa, entrasse la busta bianca e porgerla ad Enea guardandolo negli occhi, avrebbe preferito mille volte che la prendesse in giro come faceva sempre, piuttosto che ricevere quella fredda indifferenza.
<< Questa è la prova che non scherzo. E’ il tuo regalo di Natale. Sono due biglietti per il musical di Romeo e Giulietta, lo spettacolo è per il 5 Gennaio >>
Commentò lei appoggiando la busta bianca sul ripiano di marmo, siccome Enea non aveva accennato a prenderla nemmeno per scherzo.
<< Beatrice … cosa di fai qui? E perché te ne esci con quelle cagate con mio fratello? >>
La voce di Enea non ammetteva alcuna via di scampo, non ammetteva repliche, Beatrice sospirò pesantemente, abbandonò le mani sul ventre e lo guardò negli occhi, stanca.
<< Quando mi hai baciata quella volta … eri serio? >>
Enea non sembrò sorpreso di quella domanda, si limitò ad appoggiare un gomito sul ripiano e riporre una guancia sul palmo della mano, scrutandola negli occhi.
<< No >> Ribatté immediatamente, continuando a scrutarla con quegli occhi freddi, Beatrice sentì una fitta inevitabile al petto, una fitta che conosceva piuttosto bene, strinse forte i pugni sulle gambe e cercò di trattenere le lacrime con tutte le sue forze << Però … >> Riprese a parlare improvvisamente Enea, che nel frattempo aveva abbandonato la sua posa e le si era leggermente avvicinato per scrutarla in viso << … da adesso in poi lo sarei sicuramente >>
Quelle lacrime che Beatrice stava trattenendo a forza si riversarono incontrollatamente sulle sue guance quando sentì quelle parole, non si curò nemmeno di asciugarle, sollevò le mani tremanti e le allungò con titubanza verso il viso di lui, quando le sue dita sottili e pallide si appoggiarono per la prima volta sulla pelle liscia e morbida di Enea, lui le afferrò bruscamente e fece in modo che le loro fronti si toccassero.
<< Non sono bravo in certe cose … non so come si fa, ma posso imparare Beatrice >>
Beatrice trattenne a stento un singhiozzo, era spaventata, felice …
<< Io … io … mi sono innamorata di te! >>
Sbottò singhiozzando senza ritegno, e non le importò nulla di aver messo così da parte l’orgoglio per dirglielo. Enea sorrise, e fu la prima volta che le mostrò un sorriso vero, un sorriso genuino, le lasciò le mani per passarle i pollici sulle guance bagnate e sollevarle il viso. << Anche io racchia … >>.
Con enorme sorpresa di Enea, fu Beatrice ad afferrargli nuovamente la faccia e baciarlo con foga, una foga che lui ricambiò immediatamente. Quando si separarono avevano entrambi il fiatone, Beatrice era rossa come un pomodoro, mentre Enea non sembrava per nulla turbato, si limitò a posare lo sguardo sulla busta bianca abbandonata sul tavolo.
<< Allora, ci andiamo? >> Domandò afferrando i biglietti, Beatrice annuì e si aprì in un gran sorriso, Enea sussultò, era la prima volta che la vedeva sorridere, si protese in avanti e la strinse tra le braccia, lasciandola sorpresa con gli occhi sgranati.
<< Buona Vigilia anche a te >>
 
A Cristiano le feste non facevano né caldo né freddo.
Non ne passava una in famiglia da tantissimo tempo e non gli era mai pesato, preferiva spendere il suo tempo girovagando per la città, esattamente come aveva fatto quel giorno.
Cristiano detestava il momento del rientro a casa, perché tornare in quel luogo avrebbe significato urla, bisticci, gridare parolacce e perdere la voce per la rabbia.
Erano le ventidue e diciassette quando sospirando pesantemente Cristiano infilò le chiavi nella toppa della porta di casa e aprì, fu immediatamente investito da un fortissimo odore di alcool, si portò infastidito la mano sul naso, lasciò malamente le chiavi sul ripiano del comodino e appoggiò il cappotto sull’appendiabiti.
Gli sarebbe venuto sicuramente il mal di testa se non si fosse rinchiuso al più presto nella sua stanza, così non ci pensò nemmeno un secondo a raggiungere il corridoio che l’avrebbe condotto nel suo nido protetto, e non gli importava cosa stesse facendo sua madre o dove fosse suo padre, sfortunatamente per lui però, venne intercettato da Marta, la cameriera di casa, sulla soglia dell’ingresso.
<< Oh, oh, signor Cristiano! Signor Cristiano, sua madre … sua madre è … >>
La donna era nervosa, aveva gli occhi arrossati ed agitava convulsamente le mani nella sua direzione, Cristiano la guardò con un’ espressione piuttosto infastidita sul volto.
<< Cos’ha combinato anche stasera? >> Domandò con aria annoiata, mentre si passava distrattamente una mano tra i ricci ribelli che gli ricoprivano il capo, Marta giunse le mani intrecciate al petto e si fece un segno della croce, infastidendo ancora di più il ragazzo.
<< La signora è … è ubriaca! Sta rompendo tutto di là >>
Cristiano sospirò pesantemente e si incamminò con fare strascinato nel salotto, il luogo nel quale l’odore di alcolici era fortissimo, Marta lo seguiva come un cagnolino impaurito e terrorizzato. Trovò sua madre accovacciata sul tappeto, con la testa abbandonata sul divano e una bottiglia di vodka tra le mani, ormai vuota, indossava ancora il completo elegante che aveva messo quella mattina, ma era macchiato in vari punti, e le calze erano tutte sfilacciate e strappate. Per la stanza se ne stavano sparsi per terra numerosi oggetti rotti e frantumati, Cristiano attraversò tutto quel disordine senza curarsene nemmeno.
<< Mamma, basta così per stasera … puzzi come un cane! >>
Sbottò inginocchiandosi accanto alla donna, che aveva gli occhi chiusi e farfugliava qualcosa di incomprensibile attraverso le labbra serrate. Cristiano sospirò pesantemente e allungò una mano per strapparle la bottiglia dalle mani, ma come se l’avesse sentito lei spalancò immediatamente gli occhi castani, arrossati e cerchiati di nero a causa del trucco sciolto, e lo spintonò leggermente, allontanandolo dal suo obbiettivo.
<< Lasciamelo! >> Biascicò con voce roca, Cristiano venne investito in pieno viso dall’odore terribile di alcool ingurgitato da sua madre.
<< Oh cielo … che schifo! Dammi immediatamente questa bottiglia! >>
Sbottò infastidito, per tutta risposta la donna lo afferrò saldamente per la maglietta e lo strattonò leggermente, con una forza effimera e imbarazzante.
<< Perché … perché anche mio figlio mi tratta in questo modo?! Eh? Sei uno stronzo, proprio come tuo padre! >> Cristiano lasciò che la donna si sfogasse, gridandogli contro quelle cattiverie e piangendo come un’isterica, quella situazione non gli faceva più né caldo né freddo, aveva imparato che bastava lasciarla sfogare.
<< Marta … >> La cameriera fece un piccolo passo in avanti, ancora intimorita e piagnucolante. << … mio padre dov’è? >> Domandò Cristiano sorreggendo la madre, che nel frattempo si era aggrappata alla sua felpa piangendo come un’ossessa.
<< Nel suo studio signore ma … >> Cominciò a spiegare la cameriera, ma venne bruscamente interrotta dal grido strozzato della donna, che sollevò violentemente il braccio e colpì Cristiano proprio sulla bocca con il bordo di vetro della bottiglia, che si sporcò immediatamente di sangue.
<< E’ nello studio a scoparsi la sua amante! Quello stronzo, quel bastando …. >>
Cristiano si passò una mano sul labbro sanguinante, mentre Maria accorreva verso di lui ancora più spaventata e terrorizzata, lui davvero non riusciva a capacitarsi del perché quella donna non si abituasse ad una scena che si ripeteva praticamente quasi tutti i giorni.
<< Oh, signore lei sta sanguinando! >> Si lagnò la cameriera accostando un fazzolettino di stoffa estratto dal grembiule alle labbra di Cristiano, che le spostò malamente la mano.
<< Non pensare a me, occupati di lei piuttosto. Infilala sotto la doccia gelata, mettile il pigiama e sistemala a letto! >> Mormorò tirandosi in piedi, sentiva il sapore metallico del sangue in tutta la bocca e un rivolo colargli impudentemente lungo il mento, lasciò Marta da sola nel salotto mentre tirava su sua madre priva di sensi, ignorò i rumori molesti che provenivano dallo studio e aprì la porta della sua stanza.
Non vedeva l’ora di rinchiudersi lì dentro per non sentire più nulla.
Non appena si chiuse la porta alle spalle però, il silenzio tanto desiderato gli venne bruscamente strappato via dalla figura rannicchiata sul tappeto, con le ginocchia al petto, i lunghi capelli ricci e neri sparsi un po’ ovunque sulle spalle e la schiena appoggiata al letto.
Sonia non stava facendo nulla in particolare, ma non appena Cristiano mise piede nella stanza, sollevò lo sguardo e non si scompose neppure quando lo trovò sanguinante.
<< Cosa ci fai qui? >> Domandò lui atono, incrociando le braccia al petto, Sonia fece spallucce e spostò lo sguardo altrove.
<< Mi ha fatto entrare Marta un’oretta fa, si ricordava ancora di me. >>
Cristiano si passò stancamente una mano sulla faccia, quella sera aveva già perso metà della  pazienza per colpa di sua madre, non voleva che il suo malumore si riversasse su Sonia.
<< Ho pensato che … avresti passato ancora una volta la Vigilia da solo, così sono venuta a farti compagnia >> Sonia pronunciò quelle parole senza guardarlo negli occhi, stava giocando distrattamente con le dita dei piedi, nascoste da calzini grigi con dei cuoricini rosa, Cristiano si lasciò cadere a sua volta accanto a lei.
<< Non te l’ho chiesto >>
<< Lo so … abbi solo un po’ di pazienza >>
Cristiano si ritrovò a sorridere nel sentire quella frase, aveva fatto proprio un buon lavoro con Sonia, l’aveva trattata talmente male che era arrivata addirittura a pensare che lui non tollerasse nemmeno più la sua presenza, la sua insistenza.
<< So che non vuoi saperne più nulla di me, ma se non mi darai mai una spiegazione, io non potrò farmene una ragione, Cristiano >> Gli occhi verdi di Sonia, contornati da quella matita nera che li metteva terribilmente in risalto, erano sempre piaciuti a Cristiano, fin dal primo momento in cui l’aveva vista, quella sera però, li detestò profondamente.
<< Tu sei il mio più grande disastro Sonia >>
E sapeva bene che non era quella la risposta che Sonia avrebbe voluto sentire, ma dopotutto Cristiano non voleva risponderle, perché farlo, avrebbe significato lasciarla andare .
<< Ma almeno … a quei tempi … hai provato qualcosa per me? Mi hai amata un po’? >>
Cristiano piegò le labbra sporche di sangue in un sorriso stanco e incattivito allo stesso tempo, chinando leggermente la testa per guardarla negli occhi, quegli occhi verdi che lui aveva trasformato per sempre.
<< Non cercare di capirmi Sonia … non troveresti nulla, se non quello che già vedi >>
<< A me … a me basterebbe anche solo che tu me lo dicessi. Mi basterebbe. >>
Mormorò lei con voce incrinata, stringendo ancora di più le gambe al petto.
Cristiano sospirò pesantemente, chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulla spalla di Sonia.
<< Prestami la tua spalla per stasera Sonia … prestami la tua forza solo per stasera, sono stanco >> Le lacrime che Sonia aveva nascosto caddero sulle guance senza fare alcun rumore e senza che Cristiano le vedesse, si limitò a guardarlo appoggiato alla sua spalla con le dita sospese in aria in una immaginaria e muta carezza.
<< Mi dispiace >>
Mormorò lui a labbra strette, con gli occhi chiusi.
E’ proprio perché ti ho amata troppo, che ho dovuto lasciarti andare.
Sonia sorrise amaramente.
<< Buona vigilia di Natale. >>
 
Romeo aveva sempre adorato passare il Natale in famiglia.
Adorava sentire il profumo delizioso delle innumerevoli pietanze che aveva preparato la sua Meringa, adorava osservare il caminetto elettrico creare giochi fantasiosi con le fiamme, adorava il contrasto con l’ambiente caldo, accogliente della casa e la neve che scendeva senza sosta fuori dalla finestra, e adorava il chiasso di voci che si sovrapponevano durante la cena. Romeo non poteva fare a meno di sorridere, rannicchiato sulla poltrona, con le ginocchia strette al petto e le mani nascoste dalle maniche troppo lunghe della felpa.
Aveva lo stomaco eccessivamente pieno, sentiva caldo alle guance e aveva il ciuffo decolorato tirato indietro in un codino alla samurai, per poter osservare meglio i suoi genitori e quelli di Fulvia, che passavano la Vigilia di Natale sempre a casa loro, danzare sgraziatamente sulle note di una vecchia canzone natalizia.
Romeo osservava attentamente i suoi genitori come ipnotizzato, sua madre era scalza ed era la metà di suo padre, eppure non si facevano problemi a ballare e sorridersi a vicenda.
Probabilmente Romeo non avrebbe mai sviluppato il fisico possente di suo padre, era magro, mingherlino e i vestiti gli cadevano sempre di dosso, aveva delle gambe così ossute che non ispiravano un minimo di forza a cui fare affidamento.
Una volta gliel’aveva detto anche Fulvia.
La stessa Fulvia che se ne stava seduta composta sulla sedia a rotelle accanto alla sua poltrona, Romeo le lanciò un’occhiata veloce, che lei non ricambiò perché sembrava ipnotizzata dal fuoco del camino.
Quella sera non si erano rivolti molto la parola, non avevano bisticciato come al solito perché Romeo mangiava troppo e non ingrassava, non avevano bisticciato per i regali e non avevano nemmeno condiviso la fetta di torta di Meringa come facevano sempre.
In realtà non avevano parlato poi molto da quando lui si era infuriato con lei l’ultima volta.
Romeo strinse ancora più forte le ginocchia al petto e scostò lo sguardo sul tappeto, seguendo i passi sconnessi dei piedi di sua madre, lasciandosi trasportare solo marginalmente dalle risate contagiose degli adulti, dai loro commenti sagaci e dalle continue frecciatine che si rivolgevano l’un l’altro.
<< Romeo … fammi ballare! >>
Il ragazzo trasalì quando quelle tre semplici parole raggiunsero il suo orecchio, Fulvia non aveva alzato la voce, non aveva gridato, eppure a Romeo sembrò che gli avesse appena perforato i timpani senza alcuna remore.
Quando volse lo sguardo verso Fulvia, lei lo stava fissando con la sua solita espressione eccessivamente seria, i tratti spigolosi del viso erano tesi, gli occhi azzurri e limpidi, senza ombra di trucco, fissi su di lui e ricolmi di una tristezza che a volte Romeo riusciva a stento a contenere. Stringeva convulsamente le mani sul ventre piatto, le nocche erano talmente bianche e la pelle così tesa che le si vedevano le vene verdastre al di sotto.
<< Una volta Fulvia … >> Mormorò lui scrutandola a sua volta con occhi stanchi << … una volta mi dicesti che le mie gambe non erano abbastanza forti, che non sarebbero state in grado di sorreggerti per non farti cadere >> Le labbra di Romeo si piegarono in un sorriso triste, mentre Fulvia sussultava impercettibilmente sgranando gli occhi << Perché avresti dovuto cambiare idea adesso? >>.
La domanda di Romeo cadde nel vuoto per i successivi cinque minuti, dove Fulvia tornò a volgere lo sguardo al caminetto, le mani sempre più teste e bianche, le sopracciglia aggrottate, contratte, il cuore in gola, mentre Romeo strinse talmente tanto le ginocchia al petto da farsi malissimo alle braccia.
<< Perché ho pensato che non mi importa. Perché se proprio dovrò cadere … almeno cadrò con te >>. Romeo chiuse automaticamente gli occhi quando sentì quelle parole, Fulvia non lo stava guardando e lui non stava guardando lei.
<< Ma ti faresti parecchio male, no? >>
Mormorò Romeo, con lo sguardo fisso sul movimento lento e sconnesso dei genitori di Fulvia, ma la mente altrove, presente lì dove si trovavano, uno accanto all’altra.
<< Non sono sicura che tu lo permetteresti >>
Romeo si ritrovò a sorridere automaticamente quando Fulvia pronunciò quelle parole con un pizzico di disapprovazione nella voce, aggrottando maggiormente le sottili sopracciglia quasi del tutto inesistenti. Lasciò andare finalmente la stretta intorno alle sue ginocchia e si tirò in piedi, per poi mettersi proprio davanti la ragazza con le braccia allungate verso di lei.
<< Proviamo allora? >>
Fulvia scostò lo sguardo prima sulle sue mani tese e poi sul suo viso rilassato e leggermente arrossato dal calore del caminetto e della stanza, la canzone natalizia che stavano ballando i loro genitori era cambiata da un pezzo, ma i quattro continuavano a confabulare tra di loro, senza badare ai loro figli poco distanti. Lo sguardo accigliato di Fulvia che aveva avuto fino a quel momento si rilassò lentamente quando si ritrovò ad annuire e ad afferrare con tutta la forza di cui era capace le braccia di Romeo, saldamente strette alle sue.
Fulvia rimase piuttosto sorpresa quando Romeo la sollevò dalla sedia a rotella con una semplicità unica, sentiva il suo corpo cedere inevitabilmente alla forza di gravità e perdere forza lì nelle gambe, ma Romeo non le permise di cadere.
Con un’agilità che non gli sembrava propria, infilò i piedi sotto quelli di Fulvia, la strinse forte per la vita e le posizionò le braccia dietro il collo, collo al quale la ragazza si aggrappò con tutte le forze di cui era a disposizione.
<< Hai visto? Adesso puoi guardarmi negli occhi >>
Mormorò Romeo ridacchiando leggermente, Fulvia percepì un principio di affaticamento nella sua voce, ma non disse nulla, limitandosi a guardarlo negli occhi ridenti e lievemente piegati in sottili rughe agli angoli. Non si era nemmeno resa conto che Romeo aveva preso ad oscillare, imitando una sorta di movimento tipico del ballo lento, e a Fulvia non importò affatto che non si stessero muovendo troppo, le bastava restare con Romeo.
<< Buona Vigilia di Natale >> Bisbigliò stringendosi ancora di più a lui e nascondendo la faccia sulla sua spalla, Romeo sorrise leggermente.
<< Buona Vigilia anche a te >>


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Effe_95

Buonasera a tutti :)
Sono tremendamente in ritardo lo so, ma a mia difesa voglio dire che questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere ed è lungo il doppio di quanto sono solita scrivere.
Quindi, per questo piccolo relago, spero mi perdoniate.
Allora, come avevo accennato nel precedente capitolo, comincia da qui la lunga serie di capitoli
( cinque con quest'ultimo compreso ), incentrati sul giorno della Vigilia di Natale, e questo è anche il motivo per cui accanto a Dicembre c'è scritta la data, sarà l'unico caso in cui specificherò il giorno esatto. Come avrete notato questo momento rappresenterà un punto di svolta per tutti, non necessariamente positivo, ma significativo.
Abbiamo cominciato con Enea e Beatrice, e qui lascio commentare voi ;), Cristiano e Sonia, in una situazione particolare, ma spero che quella parte sia riuscita a chiarirvi ancora di più i loro personaggi e con Romeo e Fulvia. 
Posso già anticiparvi da adesso chi troveremo nel prossimo capitolo, ovvero: Alessandra e Zosimo, Gabriele e Katerina, ed Aleksej e Miki. 
Spero il capitolo vi sia piaciuto, grazie mille come sempre di cuore a tutti voi.
Risponderò alle recensioni il prima possibile.
Alla prossima spero. 


 
  
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