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Autore: effe_95    04/11/2015    4 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
30. Il Tronchetto di Natale, Il posto più improbabile e Ti perdono


24 Dicembre

Zosimo era più allegro del solito quella mattina.
Quando aveva aperto gli occhi alle prime luci del giorno, era felice e pieno di buoni propositi per la giornata. Era sceso dal letto come un tornado scalciando malamente il pesante piumone rosso, aveva appoggiato un piede scalzo su uno degli spartiti di suo padre, ed era scivolato lungo disteso per terra come tutte le mattine. Si era preparato in fretta e furia facendosi una doccia gelata e aveva raggiunto la cucina pimpante, con una manica della maglietta ancora mezzo sfilata, per trovare il padre appoggiato al ripiano da lavoro, con la mano sinistra occupata da una tazza di latte caldo e l’altra, la destra, da uno spartito musicale il cui titolo spiccava al contrario attraverso la trasparenza del foglio.
Arturo Marino era un uomo di mezz’età piuttosto magro, alto e mingherlino come suo figlio, aveva folti capelli riccioluti screziati di bianco, gli occhi azzurri contornati dalle rughe e un’espressione sempre sognante sul viso.
<< Buongiorno papà! >> Commentò allegramente afferrando una briosce ancora calda dalla busta aperta sul tavolo, erano rare le volte in cui Arturo scendeva a prendere la colazione al bar sotto casa, ma la Vigilia di Natale era una tradizione.
<< ‘giorno figlio! >> Rispose l’uomo senza sollevare gli occhi dallo spartito, quella mattina indossava un pullover rosso con sopra ricamata una renna, e sotto quest’ultimo spuntava il colletto bianco di una camicia. Zosimo si mise seduto comodamente su una sedia, spargendo tutte le briciole sul tavolo ingombro di fogli, libri, tazze sporche e macchie di caffè ovunque, con una di queste si sporcò la manica della maglietta.
<< Tra un po’ devo scendere per una lezione di recupero dell’ultimo momento, tornerò per ora di pranzo >> Commentò distrattamente l’uomo, spostandosi dal ripiano per cercare qualcos’altro tra quel marasma impossibile di fogli, Zosimo tamburellò distrattamente con l’indice sul bordo di legno del tavolo.
<< Devi lavorare anche il giorno della Vigilia? >>
Domandò esitante, passando a giocare con il bordo frastagliato di uno spartito, Arturo sollevò gli occhi chiari e li posò per la prima volta sul figlio, distratto a guardare come le sue dita seguivano il filo sottile del ruvido foglio macchiato di vecchio inchiostro.
<< Si tratta solo di un paio d’ore >> Zosimo sollevò velocemente gli occhi quando sentì quella nota d’ansia nella voce del padre, Arturo non l’aveva mai detto ad alta voce, ma era sempre preoccupato di non fare il suo dovere di genitore come avrebbe dovuto.
Zosimo lo capiva bene anche senza che suo padre glielo dicesse, perciò mise su il suo miglior sorriso facendosi spuntare le fossette sulle guancie.
<< Allora ti aspetto per pranzo >>.
Le sottili labbra di Arturo si piegarono in un sorriso triste che si rispecchiava negli occhi, probabilmente non ci era cascato nemmeno un po’, ma non disse nulla, si limitò a scompigliare affettuosamente i capelli ricci e ribelli del figlio.
Qualche minuto dopo Zosimo si ritrovò da solo, seduto sulla sedia in cucina con la testa stesa sul tavolo, muovendo le dita della mano destra a ritmo dei rintocchi dell’orologio, che era andato avanti solamente di un altro minuto.
Il periodo delle feste natalizie era uno dei suoi preferiti, adorava l’atmosfera calda e accogliente che veniva a crearsi, adorava osservare il gioco di luci che l’albero di Natale creava sui vetri appannati dalla condensa, e l’odore dei biscotti appena sfornati di sua nonna, ma la sensazione di mancanza che avvertiva guardando la sedia vuota di sua madre non lo lasciava mai.
E gli faceva apparire sbagliati quei sentimenti.
Era piuttosto sovrappensiero quando qualcuno bussò gentilmente al campanello, alzò di scatto la testa dal tavolo e aggrottò le sopracciglia, raggiungendo con passo felpato il piccolo ingresso. Non aspettava nessuno in particolare quella mattina, l’unica nonna che gli era rimasta sarebbe arrivata nel primo pomeriggio per preparare la cena, e suo padre era andato via da troppo poco tempo per essere già di ritorno, rimase piuttosto sorpreso quando, accostato l’occhio allo spioncino della porta, intravide Alessandra, la cui immagine era leggermente distorta dal vetro.
Aprì l’uscio di casa con un sorriso allegro sulle labbra e la sorpresa dipinta negli occhi, Alessandra se ne stava ferma sul pianerottolo in un lungo cappotto nero, con la sciarpa avvolta intorno al collo, e un pacchetto piuttosto grande tra le mani.
<< Buona Vigilia di Natale >> Disse sorridendogli.
Zosimo fece un passo indietro per farla entrare, e quando Alessandra mise piede nel piccolo ingresso, tutto il freddo che l’avvolgeva svanì a contatto con il calore della casa.
<< Non ti aspettavo! Che bella sorpresa >> Commentò allegro Zosimo, mentre sistemava il cappotto che la ragazza si era appena sfilata sull’appendi abiti. Alessandra si aggiustò distrattamente una ciocca dei suoi sottilissimi capelli dorati dietro l’orecchio e gli porse il pacchetto che aveva custodito gelosamente fino a quel momento tra le mani.
<< Sono venuta a portarti questo Tronchetto di Natale, l’ho preparato con mamma >>
Zosimo sollevò la testa piuttosto sorpreso, afferrando il dolce con una certa titubanza.
<< E ne avete fatto uno solo per me e mio padre? >>
Domandò sbirciando attraverso una fessura, avevano entrambi raggiunto la cucina e Zosimo posizionò il pacchetto sul tavolo, facendo un po’ di posto tra il disordine generale.
<< Si … ho pensato che magari non avreste avuto un dolce per stasera, così … >>
Alessandra era piuttosto imbarazzata mentre pronunciava quelle parole, Zosimo sollevò gli occhi da cerbiatto per fissarla, il principio di un sorriso allegro gli accarezzava le labbra e le fossette avevano già fatto capolinea.
<< Vogliamo aprirlo? Sono troppo curioso di vedere com’è! >>
Sbottò allegro, afferrando saldamente la mano della ragazza per trascinarla ancora più vicina a lui, il gesto fu talmente destabilizzante che Alessandra andò a sbattere con il fianco sottile e ossuto sulla gamba di Zosimo, che la incitava ad aprire il pacchetto senza mostrare segni di sorpresa o disagio.
Mentre scioglieva i laccetti che legavano il pacchetto creato con tanta cura e amore, Alessandra ripensò a quanto il tempo trascorso con quel folletto uscito da un libro di fiabe le avesse fatto bene e le scaldasse il cuore. Zosimo non era il principe azzurro sul destriero bianco che aveva sempre sognato fin da bambina, era piuttosto quel personaggio secondario, la spalla del protagonista che nessuno notava, che nessuno aveva notato a parte lei.
<< Oh, ma è meraviglioso! E’ quasi un peccato mangiarlo >>
La voce di Zosimo la riportò bruscamente alla realtà, Alessandra abbassò lo sguardo sulla scatola aperta, il dolce era in bella mostra e lui lo guardava con gli occhi scintillanti e l’espressione di un bambino estasiato ed entusiasta.
Alessandra si ritrovò a ridere senza nemmeno rendersene conto.
<< Perché ridi? >> Chiese lui leggermente sorpreso, con le guancie arrossate.
<< Perché sembri felice proprio come un bambino >>
Confessò lei, prendendo a passare ritmicamente la punta delle dita sul bordo laccato della sedia che aveva davanti, Zosimo abbassò leggermente la testa di lato come se stesse riflettendo su qualcosa, poi spostò lo sguardo sul viso da bambina di Alessandra, sugli occhi verdi, sul sorriso gentile, sulle sopracciglia sottili, e pensò che fosse proprio bella.
Forse troppo bella per uno come lui.
<< Perché ero davvero un bambino l’ultima volta che mi hanno fatto un tronchetto come questo, sai? >> Mentre parlava, Zosimo si era appoggiato con le braccia sul bordo della stessa sedia che fino a poco prima aveva sfiorato Alessandra, il suo sguardo era lontano, perso in qualche ricordo che lei non poteva vedere, ne toccare. << Evidentemente sono rimasto fermo a quel momento senza nemmeno rendermene conto … >>.
<< Chi te lo preparò? >>
Alla domanda di Alessandra, gettata fuori quasi con impeto, Zosimo reclinò la testa, spostò lo sguardo su di lei e le fece un sorriso a trentadue denti, un sorriso intriso di una tristezza che Alessandra non gli aveva mai visto prima di allora.
<< Mia madre … avevo otto anni, era proprio il giorno della Vigilia se non ricordo male. Aveva male dappertutto e non riusciva più a stare in piedi come un tempo, ma si alzò lo stesso e stette sveglia tutta la sera per prepararmi quel Tronchetto. >> Zosimo continuava a tenere gli occhi puntati in quelli di Alessandra, che lo ascoltava senza battere ciglio, senza traccia di quella pietà che lui aveva temuto di scorgervi. << Se n’è andata un mese dopo >>.
Calò il silenzio per qualche minuto, Alessandra spostò lo sguardo sul tronchetto che aveva preparato il giorno precedente insieme alla mamma e si ritrovò a sorridere.
<< So … che magari non sarà buono come quello della tua mamma, ma se ti fa piacere, da adesso in poi te lo preparerò io … per tutti gli anni che verranno … >>
Nel pronunciare quelle parole aveva abbassato leggermente gli occhi, ma fu costretta a rialzarli immediatamente quando Zosimo le afferrò saldamente la mano.
<< Vuoi vederla? >>
E non aspettò nemmeno una risposta che la trascinò per un piccolo e stretto corridoio fino alla sua stanza, un posto stretto e caotico, il letto era ancora sfatto e il povero piumone malamente scalciato via giaceva a terra tra spartiti e vestiti.
Zosimo si fermò solamente quando si ritrovarono di fronte ad una mensola, Alessandra notò che era spoglia, ad eccezione di una foto bella grande, accompagnata ai lati da due candele accese e consumate.
Emilia Marino era una bella donna, Alessandra non poté fare a meno di notare quanto quel sorriso che le regalava dalla foto fosse simile a quello di Zosimo, aveva un viso rotondo e pieno, le labbra sottili e le fossette allo stesso identico posto del figlio. I capelli ricci, corti e neri come il carbone le incorniciavano il viso, e le sopracciglia doppie e folte marcavano gli occhi da cerbiatto marroni, profondi ed espressivi come quelli del ragazzo che le piaceva.
<< Ti assomiglia … >> Si ritrovò a mormorare, senza poter staccare gli occhi da quel sorriso.
<< Vero? >> Mormorò Zosimo, che nella foga della corsa, quando l’aveva trascinata nella stanza, le aveva afferrato la mano e non accennava affatto a lasciargliela.
<< Piacere di conoscerla signora >>
Bisbigliò Alessandra congiungendo le mani in posizione da preghiera, e guardando quel sorriso radioso, le sembrò quasi che Emilia le stesse rispondendo.
<< Comunque … credo che potrebbe andarmi bene anche il tuo Tronchetto, a patto che gli anni che verranno siamo molti >>.
Alessandra si girò a guardarlo, e fu come se qualcuno le avesse strizzato lo stomaco quando si accorse che il sorriso di Emilia glielo stava restituendo Zosimo.
<< Cercherò di fare del mio meglio >> Mormorò, girandosi nuovamente verso la fotografia con le mani giunte e lo sguardo sereno.
Zosimo la osservò e congiunse anche lui le mani, concentrandosi sulla madre.
<< Buona Vigilia di Natale mamma >>
<< Buona Vigilia di Natale signora >>
Mormorarono insieme, chiudendo gli occhi in una muta preghiera.
 
Aleksej adorava sentire la neve fredda sciogliersi sulla sua pelle calda.
Fin da quando era bambino aveva sempre avuto un rapporto speciale con il gelo, il freddo e la neve, in famiglia dichiaravano tutti che questa passione era dovuta al fatto che fosse nato in Russia, ma Aleksej non pensava fosse davvero quello il motivo, dopotutto, quel paese l’aveva lasciato all’età di nemmeno tre anni.
A lui piaceva pensare che fosse a causa di suo padre e di sua madre, quella biologica, che ce l’avesse nel sangue da sempre.
E anche quel pomeriggio, con lo sguardo volto al cielo già scuro, carico di stelle e macchiato di nuvole, non poteva fare a meno di assaporare quei piccoli fiocchi candidi che si posavano delicati sulla sua faccia scoperta. Se ne stava seduto sul bordo di una panchina, appoggiando i piedi lì dove in realtà avrebbe dovuto poggiarci il fondoschiena, aveva le mani nascoste nelle tasche del giubbotto sbottonato e i capelli biondi leggermente inumiditi dal freddo.
Aleksej aveva sempre adorato quel parco perché era straripante di ricordi.
Lì aveva conosciuto Claudia e l’aveva trascinata da suo padre, senza nemmeno sapere che si conoscessero e si fossero già amati, lì aveva trascorso i pomeriggi nella sua infanzia tra un gelato e l’altro con zia Iliana e zio Francesco, insieme ai suoi fratelli e ai suoi cugini, ed era in quello stesso parco che aveva conosciuto Miki quando andava alle medie.
La stessa Miki che stava aspettando su quella panchina, a sette anni di distanza dal loro primo incontro in una tiepida mattina di Settembre appena inoltrato.
Era ancora immerso nei suoi pensieri e aveva ancora gli occhi rivolti al cielo quando due mani affusolate e ghiacciate gli si strinsero saldamente intorno al petto.
Aleksej chiuse lentamente gli occhi e assaporò l’odore di iris e miele di Miki, che aveva appoggiato il mento sulla sua spalla e fatto in modo che le loro guancie si toccassero, il caldo della pelle morbida di lei contro il freddo della pelle ispida e ruvida di lui.
<< Cosa sta facendo il mio incosciente uomo delle nevi? >>
Mormorò lei ad un centimetro del suo orecchio, Aleksej ridacchiò divertito quando lei glielo mordicchiò affettuosamente e poi ci soffiò dentro.
<< Sta aspettando la sua bella >> Replicò con la voce roca, gli occhi ancora chiusi, le labbra carnose piegate in un bel sorriso, il capo ancora reclinato verso il cielo e le lentiggini ancora più visibili del solito sulla pelle pallida e nivea.
<< E chi può mai essere così incosciente da raggiungerti sul tuo castello di ghiaccio, attraverso una tormenta di neve, sulla cima della montagna più remota … >>
Mentre pronunciava quelle parole, la stretta di Miki si fece ancora più solida e robusta, e alcuni dei suoi capelli stuzzicarono la pelle di Aleksej lì dove andarono a posarsi delicatamente.
<< Qualcuno che sicuramente mi ama moltissimo … >>
Mormorò lui aprendo finalmente gli occhi, ancora specchiati nel cielo nero e macchiato di nuvole, la luna faceva la sua apparizione tra quest’ultime, un sottilissimo spicchio quasi evanescente.
<< Sicuramente … >>
Rimasero in silenzio per un po’, cullati dal sapore di quelle parole, mentre i colori sgargianti delle luci che avvolgevano gli alberi sempreverdi del parco si mischiavano senza sosta con la neve e i fiocchi, i bambini correvano e giocavano a rincorrersi e gli adulti passeggiavano lentamente, chiacchierando.
<< Questo è il tuo regalo >> Mormorò ad un certo punto Aleksej, abbassando finalmente la testa e tirando dalla tasca destra della giacca un pacchetto piccolo e quadrato.
Miki sciolse delicatamente l’abbraccio e fece il giro per ritrovarsi davanti a lui, che aveva il regalo posizionato sul palmo della mano, Aleksej notò che era emozionata, gli occhi chiari senza trucco scrutavano il pacchetto con interesse e le mani affusolate lo presero tremanti.
Aleksej aspettò con pazienza che Miki lo scartasse appoggiando i gomiti sulle ginocchia e le mani sulle guancie, distolse lo sguardo arrossendo quando gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
<< Ma questo … >>  Miki stava guardando un piccolo anello d’argento con una pietra rossa al centro, la memoria la riportò indietro di qualche settimana, a quando lei e Aleksej stavano attraversando una strada e l’aveva notato, era entrata nel negozio con la grande aspettativa di comprarlo, per poi scoprire che costava troppo << … Aleksej, ma questo era troppo anche per te! >> Mormorò lei asciugandosi frettolosamente il viso bagnato.
<< In effetti ho dato fondo a tutti i miei risparmi, ma se sei felice, non ne me importa poi tanto >> Disse lui senza guardarla negli occhi, ancora con la faccia appoggiata sui palmi delle mani e le guancie rosse dall’imbarazzo, Miki sapeva che Aleksej mostrava difficilmente le proprie emozioni, lo faceva così raramente che momenti come quelli erano preziosi.
<< Piuttosto! >> Sbottò all’improvviso il ragazzo, sciogliendo quella posizione rigida e girandosi bruscamente verso di lei, le prese il pacchetto, sfilò l’anello e le afferrò con rudezza la mano << Perché non lo indossi, invece di piangere? >>
E dette quelle parole le infilò l’anello all’anulare della mano sinistra.
Miki lo lasciò fare senza dire una parola, e non disse nulla nemmeno quando lui continuò a tenerle stretta la mano, si limitò ad estrarre un pacchetto dalla lunga borsa di pezza che portava a tracolla, con i ricami di vari fiori stampati sopra.
<< Questo è per te >> Aleksej guardò il suo regalo con un’espressione indecifrabile, gli occhi azzurri e taglienti erano posati sulla carta da regalo con gli orsacchiotti di Natale dipinti sopra, lo afferrò con la mano sinistra e lo appoggiò sulle ginocchia, così da scartalo mentre continuava a stringerle le dita con la destra.
Quando la carta venne completamente via, Aleksej si ritrovò davanti l’ultima edizione di un libro che stava cercando disperatamente e non aveva trovato da nessuna parte.
<< Dove l’hai … tu … come … >>
Miki si ritrovò a ridacchiare di fronte il balbettio uscito dalle labbra del fidanzato, Aleksej aveva ancora le guancie arrossate, un po’ per il freddo un po’ per l’imbarazzo, e gli occhi prima freddi e silenziosi furono attraversati da un’intensa dose di emozioni.
<< Sono stata fortunata Alješa, l’ho trovato su una bancarella sotto un mucchio di altri libri vecchi e polverosi. Sai … credo proprio che sia stato qualcuno a guidarmi … >>
<< A guidarti proprio verso il posto più improbabile dove trovarlo eh? >>
Miki sorrise, si sporse in avanti e gli lasciò un bacio sulla fronte, fra i capelli biondi.
<< Dopotutto … non è stato qualcuno a guidarmi in questo parco, il posto più improbabile di tutti, tanti anni fa, per incontrare te? >>
Aleksej posizionò il libro sulle gambe in modo tale che non cadesse, appoggiò la fronte su quella di Miki e le prese il viso tra le mani.
<< E credi davvero che sia stato un bene per te? Lo sai, io … >>
Miki non gli permise di continuare la frase perché appoggiò le labbra su quelle di lui.
<< Buona Vigilia di Natale >> Gli mormorò ad un centimetro dalle sue labbra.
Aleksej sospirò pesantemente, accennò un piccolo sorriso e le accarezzò i capelli.
<< Buona Vigilia anche a te >>
 
Gabriele aveva assolutamente bisogno di respirare.
Quando raggiunse la cucina vuota e silenziosa, non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Il suo bisogno di restare da solo non era assolutamente dettato dal fastidio di stare con tutta la sua famiglia al completo, era piuttosto la necessità assoluta di staccare la spina.
Di lasciare che il suo cervello si spegnesse il più a lungo possibile.
Quando si lasciò cadere sulla sedia, di fronte ad un tavolo ingombro di piatti, pentole e padelle sporche, le voci dei suoi parenti lo raggiunsero lontane, attutite dai numerosi muri che li dividevano, erano come un ronzio di sottofondo.
La voce allegra e spensierata di suo cugino Andrea, la risata roca di Francesco, quella lieve di Pavel, li aveva lasciati tutti nel salotto con la scusa di dover andare in bagno.
E dopotutto si era anche risparmiato l’ennesima partita a tombola, tanto vinceva sempre nonna Luna e lui non faceva nemmeno un ambo.
Distrattamente, spostò lo sguardo sul polso sinistro, coperto dal lungo pullover che indossava, sollevò leggermente la manica e diede uno sguardo al braccialetto d’argento, con la scritta “Do ut des” che scintillava, lo indossava da qualche giorno e non aveva il coraggio di disfarsene. Era stato bravo a fingere per tutta la sera che la cosa non mi importasse granché, era stato bravo ad ignorarla e sorridere con tutti, ad essere sempre lo stesso.
Era stato bravo perché tutto sommato per gli altri non era cambiato nulla.
Abbandonò la testa sul tavolo e chiuse gli occhi, i capelli del ciuffo gli finirono immediatamente negli occhi ma non li spostò, dopotutto se lo meritava quel dolore.
Aveva lasciato andare Katerina perché cinque anni di differenza erano tanti a quell’età, perché se n’era reso conto quel giorno al supermercato, e sebbene la frase di quella commessa fosse stata fuori posto ed eccessivamente esagerata, il concetto di fondo non cambiava.
Rimase piuttosto scioccato quando qualcuno accese la luce della stanza.
Spalancò immediatamente gli occhi e sollevò la testa, sperando vivamente che non si trattasse di sua nonna Luna, che lo capiva sempre con un solo sguardo, ma quando si rese conto di chi avesse compiuto quel gesto, cambiò frettolosamente idea.
Katerina era rimasta ferma immobile sulla soglia, con ancora la mano appoggiata sull’interruttore abbassato, le labbra carnose erano leggermente spalancate, mentre gli occhi grigi, allungati da una matita nera, lo fissavano sbigottiti.
Cercò in tutti i modi, ci provò davvero ad indurire lo sguardo, ma quando incrociò gli occhi verdi ed arrossati di Gabriele, quando seguì il profilo di quei lineamenti aspri, non poté fare a meno di sentire una stretta alla bocca dello stomaco.
<< Che c’è, non ti senti bene? >> Domandò facendo finta di nulla, mentre entrava finalmente nella cucina, Gabriele strinse forte le mani a pugno davanti a se sul tavolo, le nocche erano bianche per lo sforzo.
Si stavano dando entrambi le spalle in quel momento, lui seduto a far nulla su quella sedia, lei con le mani sotto l’acqua del lavandino, fingendo di prendere un bicchiere per bere.
<< No … sto bene, avevo solo bisogno di silenzio >>
Katerina non replicò nulla alle parole mormorate di Gabriele, si limitò ad asciugare le mani spinta da un irrefrenabile desiderio di scappare, prima che si precipitasse da lui per stringerlo, ma quando gli passò accanto, fu Gabriele a non sapersi controllare.
L’afferrò per la vita e la trasse a se, seppellendo la faccia nel suo ventre.
<< Ehi Katja … mi dispiace davvero molto di averti ferita >>
Katerina sentì tutto il corpo cedere istintivamente al tocco delle mani di Gabriele e al calore del suo respiro così a contatto con la sua pelle, chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo.
<< Non avrei dovuto illuderti in quel modo >> Quelle parole la gelarono sul colpo, provò l’impulso irrefrenabile di scostarlo bruscamente e gridargli contro, fregandosene di quello che avrebbero potuto dire gli altri, gettandogli in faccia le lacrime che aveva versato tutta la notte per colpa sua, e l’avrebbe anche fatto se lo sguardo non le fosse ricaduto sul braccialetto che un tempo era stato suo, e in quel momento adornava il polso del ragazzo.
Gabriele non se ne accorse, aveva ancora lo sguardo seppellito nel ventre di lei e non ricordava di non essersi abbassato la manica del pullover quando era entrata.
Guardando quel braccialetto, Katerina capì molto più di quanto avesse fatto in precedenza.
<< Ti perdono … ma lasciami andare adesso >>
E con tutta la forza di cui era capace scostò le mani di Gabriele dai suoi fianchi e lasciò la cucina, nascondendosi immediatamente fuori la porta, appoggiandosi sulla parete per riprendere fiato.
Gabriele rimase con le braccia sospese, il profumo di cocco nelle narici e una fitta nel petto.
<< Buona Vigilia di Natale … >> Mormorò a mezza voce.
Katerina chiuse gli occhi quando sentì quelle parole sussurrate.
Buona Vigilia anche a te …


_________________________

Effe_95

Buongiorno :)
Eccomi ritornata, sono viva!
Scusatemi davvero, questa volta ci ho messo tantissimo, ma la settimana prossiva avrei una prova intercorso terribile e tra l'altro il capitolo è stato proprio difficile da scrivere.
Comunque, spero che vi sia piaciuto perchè ci ho messo l'anima.
So che magari la parte di Gabriele e Katerina non è proprio il massimo, ma è tutto scritto tra le righe e tra l'altro avevo accennato che non per tutti questo momento sarebbe stato decisivo positivamente.
Grazie mille come sempre per l'appoggio, il sostegno e le vostre bellissime parole.
Nel prossimo capitolo troviamo: Italia ed Ivan, Zoe e Igor, Giasone e Muriel :)
Alla prossima.
 
 
 
 
  
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