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Autore: _odietamo_    01/12/2015    10 recensioni
|Fanfitction Interattiva|Iscrizioni Aperte|
~Nei settantacinquesimi anni dei giochi vi è stata un'edizione, un'edizione folle, un'edizione dimenticata~
~Io volevo solo morire, mi hai lasciata viva~
"-Un’arena, ventiquattro tributi, ventiquattro disturbi mentali diversi, due tutor, nessuna regola. Tutti vincono, tutti perdono, compresi voi…- spiegò brevemente lo stratega, i suoi occhi scintillavano di sadismo- I punti bonus, se uno di voi muore il vostro assassino verrà automaticamente salvato… Se voi restate vivi fino alla fine verrete liberati dalla clinica…-
-Vinciamo in ogni caso…- ribattè interessata l’azzurra- Liberi per sempre da questa merdaccia-"
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Haymitch Abernathy, Nuovo personaggio, Presidente Snow, Tributi di Fanfiction Interattive, Tributi edizioni passate
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Folle.
Che bello esser folle,
viver la morte e aspettare la vita
.
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Normal People

Scare Me
 

Capitolo 1


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Un rumore sordo strappò brutalmente dalle braccia di Morfeo Charlotte, la quale sobbalzò spaventata voltandosi con fare felino, scoprendo i denti irritata, scrutando irata il suo fastidioso compagno di stanza, o meglio il suo coinquilino abusivo.
-Ci hanno dato un fottuto piano, un intero piano, e tu continui a rimanere nella mia dannatissima stanza- sibilò coprendosi con il lenzuolo mentre Aaron ghignava malizioso, facendo scorrere lascivo lo sguardo sul corpo tonico della compagna.
-Buon giorno anche a te, raggio di sole- ribattè con fare innocente- Questo stupido telecomando non va-
L’azzurra l’osservò scettica, sapendo che la maggior parte delle sue frasi erano tutte bugie, dopotutto cosa si poteva aspettare da un bugiardo patologico? Nulla, niente di più che qualche notte come la precedente e forse un alleato nell’arena.
-Non mi piace l’idea di dover non solo allenare ventiquattro schizzati, ma anche ucciderli tutti- borbottò accoccolandosi contro il suo petto- Odio questa fottuta nazione-
Aaron inarcò le sopracciglia, accarezzandole distratto la nuca- Ieri avevi detto di avere un piano no?-
-Beh, insomma, la parola piano è esagerata… Diciamo che voglio dimostrare a tutti che noi siamo come tutti gli altri, non dei malati mentali… Dove cazzo sono le mie sigarette? Non te le sarai mica fumate?-
Il castano le allungò un pacchetto di Chesterfeild, unica marca di tabacco ancora in produzione, accendendogliene una premuroso.
-Non tocco i giocattoli altrui, così come non voglio che vengano toccati i miei, siamo intesti?-
Di tutta risposta la ragazza si limitò a fare lunghi tiri dalla sigaretta- Non sedurrò nessun tributo, o almeno, nessun tributo maschile, lo sai che ho un debole per le ragazze più giovani-
-Sei tremenda- rise l’altro stampandole un bacio sul collo, spostando gli occhi sul mega schermo posto avanti a loro- Guarda, iniziano le mietiture-
Silenzio totale, nemmeno una mosca volò, Charlotte ebbe l’impressione che tutta Panem attendesse in trepida attesa l’inizio di quei giochi che, di certo, nessuno avrebbe mai dimenticato.
 
 
La neve cadeva morbida nel distretto cinque, gelida, ma spettacolare, Kaori si rispecchiava in quel manto bianco, su quella superficie gelata, sottile, ma dura.
Un tremante passo avanti, un altro un po’ più deciso, una piroetta. Il gioco era fatto. I suoi disordinati capelli biondi sfuggivano dal vecchio cappello nero, sorrise felice.
In lontananza due infermiere del manicomio scrutavano quell’esile angelo danzare sul ghiaccio, acquistando sempre più sicurezza e velocità. Era uno dei rari momenti un cui Kaori abbandonava quel malandato manicomio per respirare un po’ d’aria fresca. Lorna, il capo reparto, sospirò affranta, quella poteva essere l’ultima occasione, per Kaori, di pattinare sul ghiaccio. Prima di morire.
Nessuno si preoccupava di quella ragazza magra e irascibile, tutti davano per scontato la sua morte per mancata nutrizione nel giro di quell’anno, la triste storia di un’anoressica non interessava più a nessuno. Non a quelli che un tempo erano stati suoi amici né alla sua famiglia medio-borghese, troppo occupata a presenziare a noiosi brunch con il sindaco.
Kaori si fermò per un istante, volgendo lo sguardo verso quella vecchia struttura, da una delle finestre dell’ultimo piano penzolavano due gambe sottili, coperte da dei malconci pantaloni. Sigaretta in mano, sguardo vacuo. Tate scrutava il paesaggio distratto facendo lunghi tiri dalla sua sigaretta rubata. Nei suoi occhi azzurri si leggeva il nulla.
-Sicuro di volerti offrire?- nemmeno quella voce perentoria e dura lo fece voltare. Non provava alcun sentimento. Era vuoto.
-Mhmh…- rispose facendo dondolare le gambe, canticchiando le note d’una vecchia canzone.
Lo psichiatra sospirò affranto, sistemandosi gli occhiali sul naso- Conviene che ti vada a cambiare, allora-
Tate tornò nella stanza, buttando a terra la cicca, uscendo da quell’asettica e spoglia stanza.
 
Qualche ora dopo, nella piazza innevata, il palazzo di Giustizia venne illuminato ed addobbato ad arte, una donna dagli eccentrici capelli color giallo limone sorrise.
-Salve! Sono Lana Murray, benvenuti ai sessantanovesimi giochi! Possa la fortuna essere sempre a vostro favore!-
Applausi? Non ce ne furono, il silenzio di tomba suonò strano persino ai matti, che si guardavano intorno circospetti. Sorridendo alla morte.
-Bene, emh, sì… Vediamo chi sarà la nostra fortunata svampitella!- esclamò con poco tatto la donna, dirigendosi verso la prima urna- Kaori Sanchéz!-
Lorna, s’irrigidì, osservando dei pacificatori cercarla tra la folla, tentando di trascinarla sul palco. La telecamera fece la panoramica della piazza. Aveva smesso di nevicare.
-Lasciatemi! So camminare- un urlo composto, serioso, glaciale zittì tutti gli spettatori. Una ragazza dai lunghi e disordinati capelli biondi si fece strada, il sorriso dalle labbra di Lana svanì, capendo all’istante la malattia mentale della ragazza. Questa tirò su il cappuccio della sua fedele felpa nera, fissando con sguardo imperioso la capitolina, occhi viola, da gatto. Era incredibilmente bella, nonostante tutto, aveva il suo fascino.
-Bene tesoro, vuoi dire qualcosa?-
-Non sono malata, trentacinque è il peso perfetto, tesoro- rispose l’altra sarcastica, volgendo lo sguardo lontano, con aria distante.
Lana tacque, visibilmente a disagio, per poi ricomporsi subito dopo.
-Passiamo al nostro giovane uo…-
-Mi offro volontario come tributo!- una voce roca, vuota, dannatamente inespressiva e anonima fece sobbalzare Kaori, la quale socchiuse gli occhi cercando qualcuno tra il pubblico.
Non poteva essere lui, non poteva essere così stupido. Strinse i pugni vedendo quel ragazzo magro vestito in modo troppo leggero in confronto al tempaccio di quei giorni salì sul palco, squadrando la ragazza perplesso.
-Qualche problema cicciona?-
-Fottiti- sibilò l’altra rabbiosa, ma i suoi occhi la tradivano.
-Come ti chiami caro?- domandò la donna lievemente inorridita da tale linguaggio.
-Tate, Tate Hoult-
-I fortunati tributi del distretto cinque! Kaori e Tate!- tirò su le loro braccia, l’anoressica represse un gemito di dolore, la stretta era troppo forte per il suo polso sottile. Tate lanciò un’occhiata di sottecchi all’amica, ghignando malizioso.
Sarebbero stati dei giochi molto interessanti.
 
Il vento fresco sferzava quei corti e sbarazzini capelli mori, appartenenti a quella figura slanciata. Per il distretto quattro quella brezza non era insolita in quel periodo pre-invernale.
Onoskelis sospirò, udendo le grida gioiose di quei ragazzi, quei matti lasciati in libertà.
-Skels! Muoviti!- Jake, un biondino psicotico, la scosse, dirigendosi in riva al mare, oltre gli scogli.
C’era una particolare tradizione, per l’ultimo dei distretti favoriti, ovvero il bagno prima della mietitura, cosa a cui tutti loro non avevano mai preso parte. Eccetto quell’anno.
Si sentiva un’ipocrita, Onoskelis, troppo sbagliata per essere normale, troppo giusta per esser folle. Non si era opposta, anni prima, alla sua ingiusta reclusione poiché sapeva che essa l’avrebbe tratta in salvo dalla mietitura. Si era creduta tanto intelligente, tanto brava. Dopo anni aveva imparato a fare la matta, era una maschera che portava fin troppo bene. E così Onoskelis Keehl, la cui colpa era d’amare una donna e d’avere un padre conservatore, si trovò letteralmente fottuta. Per l’ennesima volta.
Sospirò, sfilando i suoi jeans logori, buttando a terra la sua sudicia canotta, rimanendo con solo l’intimo addosso, esibendo il suo fisico sinuoso e snello. Fece un passo, un altro, corse, ferendosi i piedi scalzi, corse in direzione del mare.
Andrà tutto bene si disse determinata, tuffandosi in acqua, smettendo di pensare.
 
-Kesh… Ti sei calmato?- Hitoshi socchiuse la porta, illuminando rompendo l’oscurità della stanza, su un malandato letto un ragazzo giaceva supino. I disordinati capelli mori gli coprivano il volto e, tra questi, un ciuffo rosso si distingueva.
Sì, Takeshi si era calmato, decisamente. Altrimenti in quel momento avrebbe sicuramente lanciato qualcosa addosso al fratello maggiore, con l’intento di ferirlo violentemente.
-Sakura e Michelle ti hanno preparato la tinta… Vuoi dare una rivitalizzata a quel rosso slavato?-
-Voglio starmene solo- un sussurro flebile, una voce roca, impastata dal dolore.
Hitoshi sospirò, spalancando la porta, dirigendosi con passo misurato alle persiane, illuminando la camera del fratello.
-Come vuoi… Tra poco il pranzo sarà pronto, se hai fame scendi-
Takeshi Grimaldi non mangiava, non quel giorno, non l’anniversario della sua condanna a morte.
Il moro si sedette levando lo sguardo prima alla libreria, traboccante di libri, poi alla parete, stracolma di disegni. Un foglio in particolare catturò la sua attenzione, un ritratto accennato d’un ragazzo, gli angoli bruciati, come quell’angelo ai giochi.
Prima o poi dovremmo incontrarci di nuovo pensò accarezzando distrattamente un piccolo gatto nero, accoccolatogli accanto, io sono morto da molto più tempo di lui.
Silenzio, silenzio infranto dal suo respiro, un qualcosa di immaginario, il sospiro d’un morto.
Si alzò di scatto, uscendo da quella casa, correndo verso il lago. Voleva rivederlo, prima di sparire totalmente.
 
Bagno prima della mietitura? Fatto. Saluti strappalacrime ai cari prima dell’inevitabile? Fatto. Registrazioni? Fatte. Discorso del sindaco? Okay, ora tocca a me. Serena Morello ripetè velocemente gli step basici in quel distretto così prestigioso. Lisciò il suo semplice tallieur azzurro, assicurandosi di essere perfetta per le telecamere. Era eccitata, quell’anno, sarebbe stata davvero un’edizione interessante.  Nel suo piccolo sperava addirittura che ci fossero dei volontari in quel distretto favorito.
-Benvenuti! Questi sono i sessantanovesimi Hunger Games! Chi sarà la nostra fortunata ragazza?...- strillava, la donna, per farsi ascoltare da quei pazzi che di sentirla proprio non ne avevano voglia- Per favore! Un minimo di rispetto per chi sta solo facendo il proprio lavoro!- aggiunse frustrata, senza venire minimamente considerata.
Paonazza, si avvicinò pigramente alla boccia, pescando un biglietto a caso.
-Emh… Questo nome… è impronunciabile!- la donna si rivolse perplessa al sindaco, il quale sbiancò leggendo il biglietto- Qualche problema? Sindaco Keehl?-
L’uomo si ricompose, nonostante i suoi freddi occhi azzurri fossero stravolti.
-Si legge Onoskelis Purah Keehl-
Nella zona delle ragazze una di loro si bloccò, voltandosi in direzione del palco, sentendo il respiro mancarle. I suoi capelli erano tenuti in un taglio maschile, così come il suo abbigliamento, gli occhi erano identici a quelli del sindaco. Serena si sentì un’idiota.
Onoskelis salì sul palco, il suo sguardo vagava per quella caotica piazza, superando le transenne, fissandosi su una ragazza dalla pelle abbronzata, i capelli rossi. La sua fidanzata.
-Bene, passiamo ora al giovane uomo- proseguì totalmente indifferente la capitolina che aveva già addirittura pescato il biglietto- Emh… T… Tek.. Takeshi? Si dice così? Takeshi Grimaldi?-
Calò il silenzio, nella piazza, principalmente per due motivi,  sia perché tutti conoscevano la tragedia della famiglia Grimaldi, in special modo i problemi che quel ragazzo aveva causato al fratello, fin troppo generoso e indulgente, ma più di tutto perché anche i matti avevano rispetto per i morti ed era quello Takeshi. Un morto vivente troppo legato alla vita.
Il ragazzo salì sul palco sotto lo sguardo allibito di tutti, in lontananza s’udì il pianto di una bambina.
-Perfetto! Signori e signore: i tributi dal distretto 4! Takeshi Grimaldi e… On… Onqualcosa Keehl!-
 
Il distretto tre, a differenza del precedente situato molto più a Nord, era pervaso da un venticello freddo, ma sopportabile. Tiffany non poteva essere più felice, l’inverno le metteva tristezza. Odiava la pioggia, il clima cupo.
Insomma, diciamo che le cose che Tiffany non odiava erano davvero poche.
I fiori di campo, quella ragazza li amava, passava ore ed ore ad intrecciarli, a strapparli dal terreno per farne delle bellissime coroncine.
Fiori destinati a morire, li chiamava, come lei: una rosa appena sbocciata eppure già sgualcita. Sospirò mentre qualcosa le sfiorava una guancia. Delle labbra morbide, un profumo dolcissimo.
-Sei sicura di volerti offrire?-  Ariana accanto a lei le stava baciando dolcemente il viso, il collo, i capelli. Era così dolce e bella, così innocente eppure così folle.
Dopotutto erano un’istrionica ed una borderline, si erano trovate.
-è la mia occasione per dimostrare a tutti quanto la povera e pazza Tiffany sia forte- sussurrò la ragazza sorridente- e per una volta avrò tutti gli sguardi puntati addosso-
-Tesoro, tutti ti guardano sempre e comunque… Sei così bella-
Non voleva che la sua fidanzata andasse a morire, perché di un suicidio si trattava, di una stupidissima fame patologica di attenzioni. Ariana era appena rinata, con Tiffany, non voleva tornare a essere sola.
-Comunque zitta e stringimi…- ordinò poi  la ragazza rannicchiandosi contro il petto della compagna, cercando protezione, cercando conforto in quel vecchio e malcurato giardino, lontano dalla recinzione, lontano dalla loro casa.
-Ricordi? Portami ovunque, ma che sia lontano, lontano da casa mia- canticchiò Tiffany, cercando di  tirare su di morale la compagna.
-Dove obbedire è lecito, ribellarsi è cortesia…*- concluse l’altra sospirando- Ti amo Winston, ti amo da impazzire-
Tiffany sorrise, sentendo quello stupido soprannome, annuì solamente ribadendo, per l’ennesima volta, che il vero gioiello tra i due era Ariana.
Per l’ennesima volta la borderline non ricevette risposta a quelle due parole, per lei così importanti, per l’ennesima volta si sentì morire un po’ di più.
Ma dopotutto può un’istrionica amare qualcuno all’infuori di se stessa?
 
L’ennesimo urlo agghiacciante squarciò il silenzio in quella vecchia e malandata stanza poco illuminata. Faceva caldo, appurò Julian constatando anche i suoi nuovi sensori per la termoregolazione facevano il loro lavoro, e anche bene. I suoi freddi occhi azzurri squadrarono apatico quel corpo carbonizzato di fronte a sé, non potè fare a meno di sentirsi soddisfatto, di tale risultato. Evidentemente il potenziamento dell’Elettroide era andato a buon fine.
-Tre minuti e dieci secondi…- sussurrò il ragazzo annusando l’aria, aspirando quel piacevole odore di pelle bruciata, che avrebbe disgustato chiunque all’infuori di lui, o di un sadico.
Julian Whitemore non era un sadico o, meglio, non ancora.
L’avevano definito sociopatico, maniaco del controllo, i più forbiti, mentre gli altri si limitavano ad etichettarlo matto o disadattato, ma nessuno l’aveva mai chiamato sadico.
L’amore di Julian in quello spettacolo non era quel corpo, che aveva sofferto un dolore atroce, in quei pochi  minuti, no l’amore di Julian andava a quel piccolo aggeggio elettronico, capace di compiere tale gesto. L’amore per la scienza e l’innovazione. 
Tutto era andato secondo i suoi piani, come al solito, tutto era così dannatamente prevedibile.
Un rumore squillante, dannatamente fastidioso, il ragazzo alzò i suoi gelidi occhi azzurri in direzione della sveglia. Era ora di prepararsi.
Era ora che tutti i suoi piani venissero improvvisamente scombinati.
 
-Benvenuti! Benvenuti cari!...- Audrey Nichols, giovane venticinquenne terribilmente goffa, si fermò interdetta- Emh… Il microfono è spento?-
Il sindaco, così come Beetee, il mentore del distretto tre, la fissarono come si guarda una bambina di cinque anni.
-Certo che è spento, metà dei ragazzi si sta ancora registrando- spiegò glaciale il vincitore, alzando gli occhi al cielo, facendo diventare viola d’imbarazzo la donna, già terribilmente a disagio.
Il distretto tre quell’anno era davvero spettacolare, il clima era splendido e il Palazzo di giustizia, illuminato dal fioco sole, dava alla piazza un’aria medievale d’altri tempi, l’opposto della moderna Capitol City.
Passò circa una mezz’ora, quando la sbadata Audrey iniziò il suo inutile sproloquio, che altro non era che una condanna a morte.
-Vi do il benvenuto ai giochi! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!- ripetè l’insulso mantra la donna sfilando distratta un biglietto dalla prima boccia- La giovane donna è… Ops, questa è l’urna con i nomi maschili… Emh, il giovane uomo che parteciperà ai giochi è Julian Whitemore!-
I pacificatori si avvicinarono ad un ragazzo moro, dal fisico slanciato ed allenato, il quale si ribellò all’invadente stretta degli uomini.
-Toccatemi un'altra volta e ve ne pentirete- sibilò minaccioso- So camminare da solo-
Durante il breve tragitto Julian si guardò attorno con aria di superiorità, disprezzando la gente oltre le transenne, odiando dal profondo della sua anima quella donna troppo eccentrica sul palco, maledicendo il presidente, probabilmente seduto su una comoda poltrona, a godersi lo spettacolo. Osservò la piazza, o meglio, i recinti dove solitamente gli anni prima stracolmavano di ragazzi e ragazze.
I pazzi nel distretto tre sembravano essere di meno, o forse i medici avevano un concetto più ampio di normalità.
-Bene! Ora passiamo alla nostra fanciulla-
-Oh cara! Non ce ne è bisogno! Ci sono io!- una voce cristallina, acuta, fin troppo, fece voltare tutti i presenti in direzione di una diciottenne dai lunghi capelli rossi e una corona di fiori in testa che avanzò decisa verso il palco con passo leggero, quasi danzando. Julian inarcò le sopracciglia scettico, desiderando ardentemente testare un suo elettroide addosso quella ragazzina troppo stupida.
-Sono Tiffany Vause! Winston per tutti! Sai che il rosa ti dona proprio?- esclamò sul palco la ragazza, facendo arrossire nuovamente Audrey- Umh, ma tu sei Jules! Andavamo alla scuola pubblica assieme prima che mi espellessero!-
-Sono Julian- sibilò il ragazzo incrociando i suoi freddi occhi azzurri con quelli smeraldini di lei, così caldi, così profondi.
Era davvero bella, Tiffany, con i suoi capelli rossi e le labbra carnose incurvate in quel dolce sorriso-Okay, mi piace molto più di Jules!-
-Emh, sì, procediamo- tagliò corto Audrey- I nostri tributi! Julian e Tiffany!-
 
La neve infuriava, nel distretto dodici, sembrava decisa ad esprimere tutto il suo disappunto, per quei folli giochi, la rabbia, e l’odio si riversava in quell’odiosa precipitazione, abituale nel più povero e misero dei distretti.
Nella parte più remota e dimenticata della regione, in una malconcia casa poco curata, una malinconica musica si diffondeva, una musica che pareva tentare di dare il ritmo a quell’indisciplinata neve, una soave voce l’accompagnava melodiosa, profonda, quasi disperata.
-Everytime you kissed me, i  trembled like a child. Gathering the roses, we sang for the hope- una ragazza con dei disordinati capelli biondi, raccolti in una disordinata treccia, teneva l’unico occhio scoperto socchiuso, abbandonandosi totalmente a quella melodia, a lei ormai familiare. Sorrideva appena, una lunga cicatrice sulla guancia deturpava quel viso angelico, puro e innocente. Un volto ingannevole, un perfetto specchio. Non era ciò che non sembrava.- Your very voice is in my heartbeat. Sweeter than my dream. We were there, in everlasting bloom**-
Sembrava fragile e debole, quella ragazza bionda, così ribelle, così diversa da tutte le altre, in quell distretto sventurato. Le sue mani affusolate si muovevano sicure sulla tastiera di quel malandato pianoforte, mezzo scordato.
-Diventi sempre più brava, sorellina- una voce bassa, ma allegra, fece sobbalzare la ragazza, la quale si volto irritata in direzione del suo interlocutore.
-Lo sai che non mi piace essere ascoltata mentre canto, Joker.-ribattè caustica la ragazza, distogliendo lo sguardo turbata, sentendosi come se qualcuno avesse violato il suo privato e perfetto mondo.
-Scusa sorellina- rispose il fratello, o meglio, quello che lei chiamava fratello- Solo che sei fottutamente brava e, inoltre, Raven ti sta aspettando al piano di sotto-
Sorrise, la biondina, un ghigno appena accennato le si dipinse sul volto, quella prematura visita di Raven mattutina era un buon segno, il loro piccolo attentato alla casa del Capo Pacificatore era andato a buon fine.
Da quanti anni ormai andava avanti quella sua propaganda? Uno? Due? Con il tempo si erano entrambi impratichiti, capitava raramente che venissero scoperti, o che qualcosa andasse storto nei loro contorti piani.
-Bene. Digli di salire- esordì imperiosa, sfilandosi il pigiama malandato, cambiandosi rapidamente.
-Oggi ricordati il pranzo di famiglia, è la tradizione della mietitura- fece l’uomo uscendo- Poi passa da  Xerxes, stanotte è stato peggio del solito e chiedeva insistentemente di sentire la sua sorellina suonare “Lacie” o “Statice”-
-Quando avrò voglia di sentire i suoi discorsi del cazzo e tutti quei complimenti di merda ci andrò- tagliò corto l’altra, cercando di sembrare indifferente, in realtà il legame con i suoi fratelli era molto più elevato, contando la sua diagnosi schizoide, ma non le piaceva mostrarsi dolce, o smielata. Non lo era.
Lacie Panthomhive era l’opposto. Una psicopatica iperattiva, o meglio  una stronza acida e bastarda, ma le andava bene così. Lacie viveva bene con quella maschera. Si ritrovava.
La porta cigolò e fece la sua apparizione un ragazzo con dei disordinati capelli scuri.
-Ciao Raven.-
 
-Ciao raggio di sole, ho una buona notizia e una cattiva- Raven si passò una mano tra i capelli, lasciandosi cadere sul malconcio letto dell’amica, venendo seguito a ruota dalla ragazza.
-Sentiamo, cosa si sono inventati quelle merdacce secche?- sputò acida la bionda, appoggiandosi sui gomiti- Tra l’altro oggi pranziamo tutti assieme, quindi, notizia sensazionale, ci sarà qualcosa di commestibile a tavola, ti unisci a noi?-
Raven sorrise sarcastico, socchiudendo un poco gli occhi- Non rifiuto mai cibo gratis, lo sai. Comunque l’attentato è andato a buon fine, il boss si sarà preso un bello spavento, ma dal Forno mi è giunta voce che stanno aumentando i controlli, dobbiamo depistarli-
La ragazza contrasse le labbra in una smorfia, assumendo un espressione assorta- Potremmo colpire un luogo pubblico, tipo nel Giacimento, quest’azione li confonderà un bel po’-
-Probabile, pronta per la nostra prima mietitura?-
Era un difetto di Raven, quello di parlare al plurale, ma a Lacie non dava fastidio, le piaceva. Il loro legame, il loro amore platonico era così saldo, che non li si poteva considerare singolarmente. Non c’era Raven senza Lacie, non c’era Lacie senza Raven, se uno dei due si feriva anche l’altro sentiva del male. Come due personaggi di qualche vecchio romanzo o di un film. Inseparabili.
La ragazza fece scorrere distratta la mano sul volto dell’amico, sfiorandogli con un dito la cicatrice sotto l’occhio sinistro, il corpo di Raven ne era pieno, Lacie avrebbe passato ore a contemplare i segni di tutta quella sofferenza, di tutto quel dolore così simile e diverso dal suo. Raven, in compenso avrebbe seguito l’amica fino all’inferno, pur di rimanerle accanto, avrebbe lottato con lei fino alla fine, si sarebbe fatto uccidere per lei. Per quella ragazza così strana, così fuori posto, che ormai era la sua famiglia.
 
Haymitch Abernathy sedeva in dispare, una fiaschetta argentea in mano e i profondi occhi grigi lucidi, ma vitrei, come persi in un qualche altro mondo.
-Haymitch, tutto okay?- Effie Trinket, sul palco, aveva smesso di prestare attenzione al sindaco, intento a riassumere la storia dei giochi, ora osservava il mentore con aria preoccupata- Sembri messo peggio del solito.-
L’uomo si passò una mano tra i disordinati capelli mori, sospirando pesantemente, quasi sconsolato, borbottando solo un- Spero che Charlotte e quell’altra sappiano cosa fare, almeno loro erano in salvo, ora li condannano al patibolo-
Effie sorrise mite, rilassando le spalle- Caro capisco le tue riserve su Charlotte, non è facile fidarsi di una sociopatica, ma Atwood mi sembra una ragazza, anzi una donna, responsabile e terribilmente intelligente, avranno di sicuro un piano, inoltre c’è Finnick che la controlla, finchè quei due piccioncini stanno assieme è tutto okay- le ultime affermazioni vennero susseguito da un sospiro, sapeva essere terribilmente romantica.
-Pff, solo perché se la scopa non vuol dire che la sappia gestire, è più matta di tutti quei ragazzi in piazza-
-Ecco a voi, direttamente da Capitol City, Effie Trinket!-
La donna si alzò senza più degnare di uno sguardo il mentore, dirigendosi ancheggiando al microfono.
-Salve ragazzi! Benvenuti ai sessantanovesimi Hunger Games! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!- trillò con tono palesemente fasullo- Quest’anno sorteggiamo prima il nostro giovane guerriero!-
Raggiunse la prima boccia, mentre, tra il pubblico, Raven incrociò lo sguardo lontano di Lacie, la quale si stava mordendo un labbro ossessivamente, in ansia.
-Ciel Panthomhive!- lesse poi mentre la telecamera faceva una panoramica della piazza.
Per un breve istante ci fu il silenzio, che mise a disagio la capitolina- Emh…-
-Mi offro volontario come tributo!- urlarono due voci all’unisono, una maschile, una femminile.
Altro silenzio, ora la cinepresa inquadrava due ragazzi, un diciottenne moro, con dei brillanti occhi azzurri e, sotto tutta quella stoffa, un corpo sfregiato da innumerevoli cicatrici e una ragazza bionda, con una benda sull’occhio destro che nascondeva chissà quali segreti e sentimenti.
Una schizoide e un autolesionista.
-Emh, salite sul palco- esordì incerta Effie, facendo un cenno con le mani- Così potete presentarvi-
Haymitch inarcò le sopracciglia, in tutti quegli anni non vi era mai stata l’ombra di un volontario, ora ce ne erano addirittura due.
-Sono Raven James Night- si presentò apatico il ragazzo, attendendo pazientemente la scenata dell’amica.
-Io mi chiamo Lacie Panthomhive-sibilò l’altra- Raven scendi da questo fottutissimo palco-
-Fino a prova contraria non sei mia madre, dato che hai tre anni in meno di me, decido io cosa fare della mia vita-
Lacie fu tentata di prenderlo a schiaffi, di urlargli contro, fu tentata di ucciderlo, ma resistette. Aveva salvato la vita al suo adorato fratello minore. Insieme potevano farcela, a uscirne vivi.
-Il linguaggio cara! Calmiamo gli spiriti!- sbottò Effie inorridita mentre qualcuno alle sue spalle ridacchiava. Maledetto Haymitch lo maledì la donna- I fortunati tributi del dodicesimo distretto: Lacie Panthomhive e Raven Night!-
 
-Andrà tutto bene Kuno, è la sua prima mietitura e probabilmente, dato che non verrà estratta sarà anche l’ultima- Sunrise sorrise mite, scostandosi dagli occhi i suoi lunghi e ordinati capelli biondi- E nemmeno tu verrai estratto, ne sono certa-
Il ragazzo, in tutta risposta, scrollò le spalle osservando distratto il paesaggio innevato. Sedevano, i due, su una malandata panchina nella piazza principale, osservando i bambini più piccoli giocare e i pacificatori ultimare i preparativi per la mietitura che sarebbe avvenuta qualche ora dopo.
-Piccioncini vi state scambiando un ultimo bacio d’addio?!- un gruppo di ragazzi dall’altra parte della piazza li salutò, tra le risate generali, facendo non solo avvampare la ragazza, ma irritare immensamente il giovane Kuno.
Non si amavano, i due, proprio per nulla, erano troppo diversi, troppo giovani per saperne qualcosa dell’amore. Eppure erano promessi sposi, il loro destino era segnato dal volere altrui.
Nonostante questo, per Kuno, Sunrise rimaneva la figura più vicina ad un’amica, sebbene a volte non la sopportasse.
-Non lo so, ho una brutta sensazione- ribattè il ragazzo infossandosi nel cappuccio del giubbotto- A proposito di Amy, chissà dove si è cacciata-
 
-Ancora una canzone! Ancora una canzone!- una voce squillante, quasi flautata, squarciava il silenzio in quel malandato parco abbandonato, ove, per le losche figure che lo abitavano, era ancora notte fonda.
-Shh! Amy se urli in questo modo sveglierai tutti!- Figaro non potè fare a meno di sorridere a quei molesti incitamenti che la ragazzina continuava a fare, nonostante le numerose ammonizioni.
-Daai! Ti prego! Un’ultima canzone!- la bruna gli afferrò un braccio iniziando a scuotere il povero ragazzo insistentemente, facendolo cedere.
Dopotutto, come si può dire di no a una così dolce bambina? Perché in fondo Amy era quello, una dodicenne con la mentalità di una delle elementari, nella sua semplicità, nella sua spontaneità c’era qualcosa di più, ormai tutti lo avevano capito, c’era qualcosa di folle, di patologico. Ma Figaro le voleva bene ugualmente, ormai si era affezionato, ormai era diventata la sua migliore amica e non poteva abbandonarla, come facevano tutti.
-Se suoni ancora due canzoni ti faccio giocare con il mio nuovo peluche!- continuò Amy estraendo dalla sua borsa rosa un morbido pupazzo con le sembianze di un piccolo cagnolino- è il cucciolo della Signora Paffy! Me l’ha fatto Kuno ieri!-
Sentendo pronunciare quel nome Figaro s’irrigidì, stringendo con violenza il violino che aveva tra le mani. Non gli era mai piaciuto, Kuno, non gli piacevano le morbose attenzioni che riservava alla sorellastra, per lui non erano normali, c’era qualcosa di più. Per questo, quell’anno, aveva colto l’occasione dei giochi speciali, nominandolo in quanto pazzo.
-è molto carino- sibilò prendendolo tra le mani- Però non avevi detto che la Signora Paffy preferiva i gatti?-
Amy aggrottò le sopracciglia confusa, mentre cercava di ricordare- Paffy ama tutti gli animali, me lo diceva la mamma da piccola!-
Figaro alzò gli occhi al cielo quando due figure in lontananza catturarono la sua attenzione, erano un ragazzo e una ragazza, dannatamente familiari.
Lei era bionda, magra, terribilmente sensuale, lui cupo, con dei disordinati capelli nero pece e la pelle pallida. Totalmente diverso da Amy, eppure così simile.
-Fratellone!- strillò la diretta interessata correndogli incontro saltellando, nel giro di mezzo secondo gli era già saltata addosso.
-Immaginavo di trovarti qui- sussurrò Kuno stringendola a sé- Dobbiamo andare a casa-
Figaro strinse i denti, cercando di sorridere mentre salutava l’amica.
Ancora qualche ora si disse ancora qualche ora e sarai alla capitale.
 
-Johanna smettila di fare la bambina viziata e rimettiti le scarpe- Mia Cortèz si passò una mano tra i capelli laccati frustrata, sospirando stancamente- Per una volta cerca di non dare spettacolo-
La vincitrice, di tutta risposta rise sprezzante, lanciando le famigerate scarpe, delle Louboutin tacco venti, nel bel mezzo della piazza ove i ragazzi non erano ancora entrati.
-Dare spettacolo? Io? Vogliamo parlare della troiettina che ha vinto l’anno scorso? Quella si fa vedere mezza nuda per Panem e poi sono io l’esibizionista!- sputò Johanna incrociando le braccia al petto- Non mi piace quest’idea dell’edizione speciale, Charlotte e la puttanella hanno avuto un’idea del cavolo-
Mia sussultò inorridita, osservandola con sguardo furioso- Nemmeno a me piace l’idea di condividere un alloggio alla capitale con due matti, ma non per questo faccio scenate! Aaron non è la puttanella di Charlotte, smettila di essere così volgare.-
Non mi riferivo ad Aaron, ma a quella bastarda che vi fotterà tutti pensò Johanna ghignando per poi limitarsi a sbuffare- Inizia il discorso del sindaco, ti conviene ascoltare, idiota-
Silenzio totale, il sindaco Sharp tenne un breve sproloquio sull’origine dei giochi, per poi passare la parola alla capitolina.
-Benvenuti ai sessantanovesimi Hunger Games! Iniziamo subito a sorteggiare la nostra fortunata ragazza- detto questo pescò un foglietto dall’urna- Amy Densmith!-
-Uuuh che bello! Sono io!- una voce flautata sovrastò le altre e una dodicenne si staccò dal gruppo, i suoi lunghi capelli bruni erano stati arricciati, indossava un grazioso abito lilla, in mano stringeva una bambola di pezza- Dove devo andare?-
Mia sorrise intenerita mentre Johanna dietro di lei  urlava- Stai andando a morire alla capitale idiota!-
La ragazza sgranò gli occhi, assumendo un’espressione imbronciata- Non ci voglio andare, non mi piace Capitol City-
L’accompagnatrice la ignorò, lasciandola piagnucolare, fece per riprendere il discorso quando venne nuovamente interrotta.
-Mi offro volontario come tributo!-
Un ragazzo alto, con il fisico asciutto, raggiunse di corsa il palco, affannato, stringendo a sé la ragazzina.
- Va  tutto bene Amy- sussurrò per poi presentarsi- Sono Kuno Densmith-
-Mi gioco la mia Chanel nuova che siete fratelli!- esclamò entusiasta Mia sorridendo.
-Fratellastri- specificarono all’unisono.
-Perfetto! Ecco i nostri tributi! Kuno e Amy Densmith!-
 
*Lo Stato Sociale
**”Lacie” una canzone chiamata come il personaggio xD
 
 
Angolino Autrice
Buonsalve a tutti! Eccomi con la prima parte delle mietiture.
Come vedrete le iscrizioni sono ancora aperte, ma ho voluto
Iniziare subito a pubblicare, dovrei essere puntuale xD
Invito a chi non ha ancora inviato le schede ad affrettarsi a farlo
Qua sotto metterò i posti ancora disponibili
E i presta volto dei personaggi già apparsi ^^ alcuni non sono proprio
Perfetti, ma ho fatto del mio meglio :3
Alla prossima,
Gwoww
 
Posti Disponibili:
 
Distretto 8:
Ragazzo Libero
Distretto 9:
Ragazza Libera
Ragazzo Libero
Distretto 10:
Ragazza Libera
Distretto 11:
Ragazzo Libero
 
 
 
Charlotte Smith
 
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Aaron Hamilton
 
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Tiffany Vause
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Julian Whitemore
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Onoskelis Keehl
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Takeshi Grimaldi
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Kaori Sanchèz
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Tate Hoult
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Amy Densmith
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Kuno Densmith
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Lacie Panthomhive
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Raven Night

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