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Autore: Socrata    01/12/2015    2 recensioni
Non era una storia come tante, come invece cercava di ripetersi ogni volta che lui tornava a tormentarla.
Lo aveva conosciuto al primo anno d'università: sostituiva il professore alle lezioni di Diritto Privato. Era osannato da tutte, ma lei lo reputava troppo innamorato di se stesso per trovarlo interessante. Eppure, fu proprio lui a chiamarla quando rifiutò il voto all'esame: era luglio del 2009.
Da allora era iniziata la loro strana relazione, fatta più di intenzioni, di parole mai dette e di delusioni che di qualcosa di reale.
Un rapporto che in bene o in male, mentre Dante era divenuto ormai professore associato, era arrivato sino alla preparazione al concorso di magistratura di Eleonora.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Ai tempi avevo da poco iniziato l’università, carica di progetti, di aspettative e di tanta voglia di fare. Non ricordo neanche quando decisi di voler fare il Pubblico Ministero, ricordo solo che ero molto piccola e non arrivavo al cruscotto della macchina, nella mia posa poco aggraziata sul sedile del passeggero.
Ero con mia madre, con la quale mi passavo poco più di 24 anni, mentre alla radio passavano De Andrè e lei cantava allegra il motivetto del ritornello.
Mamma voglio fare quello che parla tanto con il mantello nero davanti a tante persone!
… uhm… così non si capisce molto, Ele
Dai lo abbiamo visto l’altro giorno in tv!
Ah! Parli del maxi processo.. Piccola peste, vuoi fare l’avvocato????!!
Non so come si chiami, ma a piaceva quello che stava da solo e che tu hai detto combatteva per la giustizia!
ahahah Ele, quello si chiama Pubblico Ministero. Vuoi diventare un magistrato?
Se si dice magistrato, sì!”.
Era iniziata così la mia passione per il diritto e la mia vita da sempre era girata intorno al concorso di magistratura. La scelta del liceo, come migliore strumento per affrontare l’università e infine l’inizio dei corsi.
A dire il vero, il primo semestre prevedeva solo Istituzioni di diritto romano, Filosofia del diritto e Diritto Pubblico. Non mi sentivo ancora in mentalità “giurista”.
Le mie giornate erano piuttosto scadenzate tra corsi e libri, anche se per la verità non ero mai stata una studentessa da studio costante ed equilibrato. Ero sempre stata una da “studio matto e disperatissimo” a poco tempo dalla prova. In quel marasma di persone, specie a Roma dove si radunavano molti studenti fuori sede provenienti dal sud, avevo conosciuto Marco. Un ragazzo della mia età, molto in gamba ed estremamente brillante, oltre che appassionato: sebbene il suo sogno fosse semplicemente ottenere una posizione prestigiosa, entrando nell’Avvocatura dello Stato, ci trovavamo bene insieme.
Tutti trovavano che fossimo una coppia piuttosto affiatata e ben assortita: lui studioso e intellettualmente impegnato, io molto meno “ordinata” ma sufficientemente ambiziosa. Di certo, ai tempi, dovevo spiccare particolarmente rispetto alle altre mie coetanee.
Si dice che giurisprudenza sia il covo della bellezza femminile e non a torto: di ragazze molto graziose è pieno, ma onestamente mi sono sempre sembrate tutte uguali. Loro non andavano ai corsi, loro si preparavano per una sfilata di moda al centro di Milano.
Ricordo ancora la mia incapacità di integrarmi in certi meccanismi. Io andavo all’università in felpa e tuta, in fondo che senso aveva “acchittarsi” per seguire una lezione?? Dovevo essere comoda! E poi ammettiamolo, ai tempi, davvero non avevo scoperto di essere una donna: il trucco era un evento raro, i vestiti nel mio armadio erano drammaticamente pochi e dedicati a occasioni più che speciali, giacche non ne avevo ancora mai viste e i capelli erano spesso raccolti in una coda.
Reputavo, tuttavia, di avere qualcosa che la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi lì dentro non avevano: la passione.
Iniziò così il mio primo anno, seguivo le lezioni di filosofia del diritto e il professor Testa era veramente in gamba, con lui ho forse fatto veramente filosofia per la prima volta, nonostante i miei studi classici. Intervenivo spesso durante le lezioni, ero curiosa e mi ero innamorata della materia. Mi mancava la letteratura classica, a tratti sentivo giurisprudenza molto asettica rispetto alla mia natura e alla mia indole, tuttavia, quelle ore mi permettevano di rimanere fedele a me stessa.
Ovviamente si sa, ricevetti moltissimi soprannomi dai miei colleghi, i quali erano convinti che lo facessi per farmi notare dal professore. D’altronde a Roma Tre, Filosofia del diritto nel mio canale era una grana per moltissimi studenti, ma non mi sono mai curata dell’opinione altrui e non aveva senso iniziare proprio allora.
Il professor Testa, un uomo sulla sessantina, faceva sempre lezione con in bocca una pipa spenta, che puntualmente accendeva durante le pause e questo gli conferiva un’aria da nonno che racconta le favole ai propri nipotini. Credo che ci abbia lasciato una grande lezione, di cui in particolare un principio mi è rimasto sempre impresso: “il farmacon”. Non c’è cura che non sia anche un po’ veleno.
Il professore era solito tenere dei convegni, anche con professori di materie molto più rilevanti nell’ambito del percorso formativo di uno studente: tutti lo tenevano in grande considerazione, e la sua pacatezza diffondeva un senso di beatitudine, il che spingeva molti studenti, anche più grandi e meno stupidi dei miei coetanei che vedevano in filosofia del diritto una materia del tutto marginale, a stare attorno alla sua figura nella speranza di imparare a gestire il tempo e la vita, con la sua stessa serenità.
Un giorno ero a lezione, mi reputavo soddisfatta della giornata trascorsa in aula come sempre, quando il professor Testa attirò la nostra attenzione, parlandoci di un convegno che si sarebbe tenuto in settimana “sull’arte dell’esprimersi”. Appresi velocemente il luogo e l’ora dell’incontro e come era forse fin tropo prevedibile da parte mia, mi presentai al convegno avida di sapere.
Guardai la commissione che avrebbe relazionato: c’era il professor Testa che serenamente rideva con un collega, quello che poi avrei appreso essere il professore di Teoria Generale del diritto e alla sua sinistra c’era un ragazzo, la targhetta sotto di lui diceva “Prof. Lupo. Diritto privato”. Lo guardai incuriosita, era decisamente molto giovane per essere un professore, ma non mi soffermai troppo sulla sua figura.
Stavo aspettando l’inizio della discussione e decisi di mettermi comoda, ero la sola del mio corso a partecipare a quel convegno, ma mi resi conto che attorno a me c’era una discreta percentuale di ragazze più grandi e di signorine vestite in tailleur che ammiravano estasiate la cattedra. A quanto pare non ero l’unica a subire il fascino del professor Testa.
Il convegno finalmente iniziò, ma lo spazio dedicato a filosofia non era poi molto, così disinteressata ascoltai anche il resto: “È importante che i ragazzi, all’inizio del loro percorso formativo, imparino a relazionarsi con il linguaggio giuridico, un linguaggio tecnico e difficile. In particolar modo, il diritto privato non lascia scampo a chi non sa dedicarsi allo studio delle parole o si approccia superficialmente alla materia giuridica.
Reputo che il professor Testa stia facendo un ottimo lavoro con le matricole che al prossimo semestre dovranno affrontare il diritto privato e mi auguro che seguano vivamente i suoi consigli…
Allora qualcuno di sensato in questa università c’era!
Finalmente il convegno terminò e io mi avvinai al professor Testa che ovviamente mi aveva visto tra l’utenza e mi aveva sorriso, ormai avevamo spesso un confronto sebbene io non potessi paragonarmi a lui, avevo comunque una buona preparazione classica che mi permetteva di seguirlo e fare osservazioni e dare spunti durante la lezione.
Il professore stava parlavano con gli altri membri della commissione, mi avvinai piuttosto timida. Lui mi vide e mi sorrise bonariamente:
Le è piaciuto il convegno?
Moltissimo professore, ho trovato particolarmente interessante il passaggio dell’Antigone..
Lui si aprì in una risata contagiosa e i suoi vicini si girarono tutti nella nostra direzione, mentre io volevo sprofondare, ma il peggio doveva ancora arrivare.
Signori, vi presento una delle studentesse più brillanti che abbia conosciuto!
A quel punto, presa in contropiede visto che il professore non aveva mai accennato a nulla del genere, divenni rossa come un peperone finché incontrai degli occhi color nocciola:
Beh, è davvero raro sentir parlare di uno studente in questo modo dal professore!”. Era il ragazzo che era seduto dietro alla targhetta “Prof. Lupo”: mi sorrise dolcemente e mi presi qualche secondo per osservarlo.
Era bello, decisamente, non di quella bellezza da tv, ma di quella derivante dalla sicurezza da sé, dalla propria indipendenza e sicuramente da un buon aiuto da parte di Madre Natura.
 Aveva i capelli scuri e gli occhi color nocciola, le labbra carnose e una statura media, vestiva con un completo blu che gli donava perfettamente e teneva le braccia incrociate per sorreggere un plico di fogli che supposi fossero appunti per la relazione appena tenuta.
Distolsi lo sguardo dal suo così penetrante e presi coscienza del perché quel convegno era pieno di ragazze: il professor Testa non c’entrava nulla. Erano lì per lui. Lui che non aveva un nome ma che di certo non poteva essere un professore, sicuramente si era trovato ad effettuare una sostituzione.
Rimasi nell’aula ancora per qualche minuto prima di andarmene, e quando mi girai per guardarmi indietro un’ultima volta, lo vidi sorridere affabile a delle colleghe e alle ragazze radunate attorno a lui. Di certo sapeva l’ascendente che aveva sulle donne e lo sapeva usare. Non credo avrebbe mai notato una come me, in tuta, senza un filo di trucco e sempre di corsa, però quel desiderio di conoscerlo nacque in me ma si spense con la stessa naturalezza del tramonto del sole ogni giorno, il giorno dopo mi ero già dimenticata di averlo incontrato.
 
Finché non arrivò il secondo semestre, da lì iniziò tutto.
   
 
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