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Autore: effe_95    06/12/2015    4 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
32. Frammenti, Coppette di frittura di pesce e Sono pronta.


24 Dicembre

Lisandro fissava il soffitto da più di dieci minuti, e ne aveva imparato a memoria tutte le imperfezioni: la sottile linea di crepatura che accarezzava l’intonaco, una piccola bolla d’aria provocata dalla vernice e il colore leggermente ingiallito in alcuni punti.
Era steso sul letto ancora sfatto, la fodera del cuscino gli pizzicava spiacevolmente la nuca, il ticchettio della sveglia gli rimbombava nel cervello e il bordo leggermente sollevato del pantalone sulla gamba sinistra gli lasciava scoperto un pezzo di pelle che a contatto con l’aria fredda gli provocava brividi lungo tutto il resto del corpo, l’aveva abbassato già più volte con il piede sinistro, ma quello continuava a risollevarsi a contatto con il materasso e le lenzuola stropicciate. Cominciò a mordicchiarsi nervosamente le unghie ma smise immediatamente, per cominciare poi a contrarre le dita dei piedi all’interno dei calzini grigi.
Si girò sul fianco destro, immediatamente dopo sul sinistro, aggiustò la stoffa della maglietta che gli era scappata dai pantaloni, si rimise supino nuovamente, cominciò di nuovo a guardare il soffitto e …
Scattò a sedere e afferrò immediatamente il cellulare.
Lisandro sapeva che l’avrebbe trovato privo di messaggi o di chiamate, ma era proprio quell’assenza a mandarlo fuori di testa, da quando Beatrice l’aveva chiamato aveva perso tutta la tranquillità. Si mise seduto sul letto poggiando i piedi sul pavimento, poteva percepirne il freddo anche attraverso lo strato di stoffa dei calzini, passò distrattamente una mano tra i capelli corti e castani, totalmente scombinati sul ciuffo, poi non ce la fece più.
Infilò velocemente le scarpe da ginnastica, le allacciò alla bell’e meglio e sfrecciò nell’ingresso, pronto ad indossare il giubbotto, la sciarpa, il cappelli e scappare sotto casa di Enea, stava giusto per chiudersi la giacca quando la madre si accostò alla porta.
<< Dove vai? >>
Lisandro sollevò la testa di scatto, e la sciarpa arrotolata malamente attorno al collo cadde a terra attorcigliandosi silenziosamente su se stessa.
<< Ah … >> Commentò il ragazzo chinandosi immediatamente per raccoglierla << … stavo andando da Enea >> Continuò la frase stringendo tra le mani il pezzo di stoffa morbido, gli tremavano leggermente le mani, e la sicurezza che aveva avuto fino a pochi secondi prima, quello scatto repentino che non era nella sua natura, cominciò a farlo vacillare.
Lisandro non riusciva a sopportare lo sguardo della madre addosso, era l’unica persona che sapeva leggerlo meglio di un libro, e anche in quel momento, sapere di avere quegli occhi castani da cerbiatto puntati sul viso, gli faceva pizzicare le guance di imbarazzo.
<< Sei sicuro di volerlo fare? >>
Lisandro sussultò quando sentì quelle parole, Teresa Costa lo guardava con le braccia incrociate al petto, una spalla appoggiata allo stipite della porta e i capelli castani e mossi sciolti sulle spalle, l’espressione severa del viso metteva ancora più in risalto le lentiggini e la forma squadrata e diritta del naso.
<< Si … faccio presto >>. Replicò il ragazzo scostando lo sguardo, prese a risistemarsi la sciarpa attorno al collo e le diede le spalle, con la scusa di infilare anche il cappello e prendere le chiavi. Sua madre era sempre stata una donna severa, non avevano mai parlato molto, e fin da quando era stato bambino il loro rapporto era stato costruito sul silenzio, ma questo aveva fatto in modo che entrambi si capissero con un solo sguardo.
Ed era per quello che Lisandro sapeva di non doverla guardare negli occhi, perché sua madre avrebbe capito perfettamente che si stava innamorando, e si stava innamorando della ormai più che probabile fidanzata del suo migliore amico.
<< Lisandro … >> Lo richiamò la donna, il ragazzo chiuse gli occhi trattenendo il respiro, le chiavi erano fredde contro il palmo della mano destra << … stai attento. Dopo è davvero difficile raccogliere i pezzi … lo sai? >>
No, Lisandro non lo sapeva per nulla.
E sebbene si sentisse davvero sul precipizio di un burrone, sebbene era sicuro che finire in pezzi fosse piuttosto doloroso, non poteva fare a meno di farsi del male.
Fino all’ultimo secondo, fino all’ultimo istante, avrebbe vegliato affinché lei stesse bene.
L’aveva deciso in quel preciso istante, quando aveva capito di amarla.
<< Non farò tardi >>
Lisandro pronunciò quelle parole dando totalmente le spalle alla madre, aveva già una mano sulla maniglia della porta e tutto il suo corpo fremeva come in tormento, voglioso di scappare dalla terribile sensazioni di essere scrutato nell’anima anche in quel momento.
Teresa non sembrò replicare nulla all’apparente indifferenza del figlio per le sue parole, rimase in silenzio per un po’, per un tempo che sembrò infinito ad entrambi.
<< Lisandro … >> Lo richiamò ancora lei come era solita fare, con voce calda e calma, lasciando qualche minuto di silenzio prima di continuare la frase, come se volesse fissarsi a mente il nome del figlio, come se volesse assaporarlo affondo << … torna in tempo per il pranzo. Tuo padre ci resterà male se non pranziamo insieme nemmeno la Vigilia >>.
Lisandro fu grato con tutto il cuore a sua madre, le fu grato per non aver aggiunto altro.
Si limitò ad annuire e lasciarsi finalmente la porta di casa alle spalle, e ad ogni gradino, ogni passo che fece fino a quando si ritrovò per strada, al freddo, tra la gente e la neve, sentì come se quella catena che gli aveva stretto lo stomaco fino a pochi secondi prima si stesse improvvisamente allentando, fino a spezzasi del tutto.  
E si spezzò quando andò a sbattere direttamente contro Beatrice.
Lei stava uscendo dal portone del palazzo e lui vi stava entrando, la differenza fra i due era che Beatrice camminava lentamente, mentre Lisandro correva come un disperato.
L’impatto tra i due fu talmente violento che Beatrice venne sbalzata indietro di qualche metro e andò a sbattere contro la ringhiera delle scale, mentre Lisandro percepì chiaramente un dolore acutissimo nel fianco destro.
Quando la vista smise di essere appannata, mise a fuoco la figura rannicchiata della ragazza che aveva appena capito di amare, e che probabilmente aveva anche ucciso.
Beatrice se ne stava rannicchiata accanto alla ringhiera e si stringeva il braccio destro con un’espressione soffrente sul viso, i ricci ribelli le coprivano con alcune ciocche il viso arrossato e spigoloso, Lisandro non ci pensò due secondi a chinarsi su di lei per aiutarla.
<< Beatrice, stai bene?! >>
<< Starò meglio quando mi tirerai fuori dalla ringhiera! >>
Beatrice pronunciò quelle parole lanciando un’occhiataccia in direzione del ragazzo, al quale gli si imporporarono prepotentemente le guance prima che si decidesse ad aiutarla.
Quando si rimise in piedi, Beatrice sbuffò sonoramente, si scostò i ricci ribelli che le erano caduti sulla faccia e lisciò i vestiti leggermente spiegazzati dopo l’impatto burrascoso, poi alzò lo sguardo e lo puntò su un Lisandro piuttosto imbarazzato.
<< Ma tu … cosa ci fai qui? >>
Lisandro sapeva che quella sarebbe stata la prima domanda che gli avrebbe posto la ragazza una volta resasi conto della situazione, eppure non aveva nemmeno pensato ad una scusa plausibile durante tutto il tragitto.
<< Beh ecco … io …. >> Si torturò le mani per pochi secondi, prima di rendersi conto che avrebbe detto la verità, perché a mentire non era poi mai stato troppo bravo << … ero preoccupato per te, avevo paura che Enea potesse ferirti e allora … sono corso qui da te >>
Gli occhi affilati e grigi come la tempesta di Beatrice lo scrutavano attentamente alla ricerca di qualcosa, la ricerca di qualcosa che Lisandro sperò non si vedesse troppo chiaramente.
Non credeva che sarebbe equivalso ad una tortura, averla lì davanti ma non poterla toccare.
Non poter nemmeno allungare una mano sulla sua spalla per accertarsi che non si fosse fatta troppo male, non poterle scostare i ricci dalla fronte perché tra di loro non vi era quella confidenza. Lisandro non credeva che avrebbe fatto talmente tanto male da non respirare.
<< Davvero? Ma io sto bene … sto bene, sul serio >>
Beatrice gli rivolse un sorriso gentile, un sorriso che aveva quell’accenno di pietà che non avrebbe mai voluto vedere, perché quel sorriso significava che avrebbe dovuto rimangiarsi tutte le promesse che si era fatto, significava che dopotutto aveva ragione sua madre, che raccogliere i pezzi di quel cuore appena andato in frantumi, sarebbe stato troppo difficile.
<< Sei … sei felice? Enea ha … >>
<< Ci prenderemo cura l’uno dell’altro per un po’ … ci proveremo >>
Lisandro si sforzò terribilmente per far si che quel sorriso stentato che gli comparve sulla faccia risultasse quanto meno credibile. Era sempre stato di carattere riservato, amava nascondersi all’ultimo banco, dietro lo zaino guardando il cielo in una giornata uggiosa e con uno dei suoi cappelli preferiti a coprirgli il viso, la barriera che lo separava dal resto del mondo, Lisandro non ricordava nemmeno quando l’avesse lasciata cadere.
<< Andrà bene, Enea è un bravo ragazzo in fondo. Si prenderà sicuramente cura di te, lui  sarà sicuramente … >> Lisandro amò ancora di più Beatrice quando gli afferrò le mani e sorrise gentilmente, risparmiandolo dalla scena penosa di continuare quel discorso che non andava da nessuna parte, e a lui non importò più quanto lei avesse capito alla fine.
<< E se poi dovesse farmi arrabbiare, adesso so da chi venire a lamentarmi >> Beatrice gli strinse un po’ più forte le mani, sorrise ancora una volta e poi lo lasciò andare, sistemandosi la giacca e la borsa a tracolla << Adesso devo andare … >>
<< Io … io vado a fare gli auguri ad Enea visto che ci sono >>
Beatrice annuì leggermente e poi si allontanò, Lisandro la seguì con lo sguardo fino a quando non la vide svoltare l’angolo del palazzo successivo, diretta verso la metropolitana.
Si sentiva completamente svuotato, mosse qualche passo verso le scale, poi si fermò sul primo gradino e si lasciò scappare un singulto, una risata strozzata che lo fece piegare in due, si portò una mano sullo stomaco e singhiozzò tra le risate, fino a quando non si lasciò cadere con le ginocchia per terra, dolorose sul marmo gelido.
Il corpo era scosso dai tremiti, si piegò completamente per terra e nascose la faccia sul pavimento, dando voce a quelle sue lacrime in lamenti singhiozzanti.
Quei frammenti erano troppi, erano sottili, erano fragili.
Lisandro non era sicuro di poterli riparare mai più.
 
 
Telemaco era piuttosto sicuro di aver sbagliato ad assecondare la richiesta di Fiorenza.
L’aveva incontrata per strada, quasi fosse una maledizione la sua, e lei gli aveva proposto di fare un giro, Telemaco era piuttosto sicuro di possedere la facoltà di dirle di no.
Eppure l’aveva seguita lo stesso.
E i motivi per cui l’aveva fatto gli erano talmente noti ed ovvi che avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo, perché per quanto facesse il duro, per quanto si sforzasse di negare, ogni volta che la vedeva il cuore gli ballava prepotentemente nel petto.
E serviva a ben poco desiderare di ricacciarlo indietro.
Stavano attraversando il ponte che spaccava in due la città e separava la parte vecchia dalla parte nuova, l’asfalto solitamente scuro era completamente ricoperto da uno strato di neve alto almeno dieci centimetri, i lampioni e la ringhiera erano rivestiti da numerose lucine giallo canarino e il fiume, solitamente rumoroso e scrosciante, se ne stava silenzioso nel suo strato di ghiaccio. Affacciandosi dal parapetto, Telemaco notò che qualcuno ci aveva pattinato sopra disegnando dei cerchi concentrici o degli infiniti che si sovrapponevano uno sull’altro ripetutamente, Fiorenza si appoggiò a sua volta al parapetto e seguì il suo sguardo.
<< Quando ero bambina ci ho provato anche io sai? >>
Telemaco le lanciò uno sguardo di sbieco quando sentì la sua voce roca e calda, i capelli corti e asimmetrici di Fiorenza spuntavano in poche ciocche da sotto il cappello pesante di lana che portava sulla testa, il naso era arrossato per il freddo e le labbra screpolate si vedevano a malapena sotto il groviglio della sciarpa.
<< Davvero? >> Domandò, per poi riportare lo sguardo sul fiume.
<< Si … ma lo strato di ghiaccio non ha retto e sono caduta di sotto. Ho avuto la febbre alta per giorni, e dopo quella volta non ho mai più pattinato sul ghiaccio, nemmeno su una pista artificiale. >> Lo sguardo di Fiorenza era perso all’orizzonte, probabilmente a quei suoi ricordi da bambina che le facevano increspare le labbra in un sorriso leggermente accennato.
<< Non me l’avevi mai raccontato … >> Si limitò a commentare Telemaco, intento a fissare le sue dita rinchiuse nei guanti che giocherellavano tra di loro, spinto dal nervosismo.
<< Davvero? >> Fiorenza lo fissò con le sopracciglia aggrottate, e una nuvoletta di condensa le uscì dalle labbra appena dischiuse. << Ah, ma dopotutto … c’erano così tante cose che dovevo ancora raccontarti di me >>.
Telemaco pensò che a quel punto fosse meglio stroncare immediatamente quella conversazione, si staccò dal parapetto, le diede le spalle e riprese a camminare lentamente.
Fiorenza sospirò pesantemente prima di seguirlo, anche se si tenne sempre qualche passo indietro, guardandogli le spalle larghe fasciate dal giaccone blu.
<< Dove stiamo andando comunque? >>
Domandò luì, se ne stava leggermente incurvato e aveva le mani nelle tasche dei jeans, i capelli biondi e mossi erano un po’ lunghi dietro la nuca, e Fiorenza sentì il desiderio di accarezzarli, di passarvi attraverso le dita, come faceva una volta.
<< Nella parte vecchia della città, ci sono stata poche volte. Tu la conosci? >>
Telemaco girò leggermente la testa e le lanciò un’occhiata veloce, trafiggendola con i suoi occhi grigi come la tempesta, freddi.
<< Abbastanza … ti faccio fare un giro e poi torniamo, va bene? >>
Fiorenza pensò che alla fine fosse già qualcosa il fatto di averlo convinto a camminare con lei, prima che le cose tra di loro andassero per il verso sbagliato facevano sempre tantissime passeggiate. Andavano un po’ ovunque, una volta avevano preso in treno ed erano andati a Roma a vedere i Musei Vaticani, erano partiti la mattina presto dicendo ai genitori che avrebbero passato la giornata a studiare in biblioteca, ed erano tornati in tardo pomeriggio.
A Fiorenza sembrava passato un secolo da quel giorno, e spesso si domandava se Telemaco le ricordasse quelle cose, o se avesse trasformato quei ricordi, rendendoli freddi come i suoi occhi. A volte faceva ancora fatica a trattenere le mani, a non sfiorarlo, a non prendergli un braccio per sorreggersi, a non arruffargli i ricci biondi, a non pizzicargli il naso, a non prenderlo in giro … erano talmente tante le cose che avrebbe dovuto imparare a non fare.
La parte vecchia della città era un dedalo di strade antiche, con le case popolari che affacciavano sulle strade, la chiesa antica che svettava nella piazza, un grosso campanile e portici che fungevano da galleria per i numerosi negozi. Stavano camminando già da ore ormai, e lanciando uno sguardo all’orologio Fiorenza aveva notato che erano già le due del pomeriggio, e che quello era stato molto più che un semplice “giro”.   
<< Ehi … >> Lo richiamò lei afferrandolo per una manica del giaccone, Telemaco le rivolse uno sguardo distratto << … sono le due, forse dovremmo … >>
<< Oh, ma tu guarda un po’! >> La interruppe bruscamente lui, Fiorenza rimase piuttosto sorpresa da quella reazione eccessiva e improvvisa, Telemaco si era avvicinato ad uno dei negozietti della galleria, uno che vendeva coppette di frittura di pesce fatta sul momento e ancora calda << Qui fanno la migliore della città sai? Ne prendiamo due? >>.
Non le lasciò nemmeno il tempo di replicare che si avvicinò al bancone, Fiorenza aspettò pazientemente che lui le porgesse la sua coppa e quando la ebbe tra le mani, un calore piacevole le attraversò le dita scaldandole, il profumo era invitante.
<< Allora, ti piacciono? >> Le domandò lui dopo un po’, Fiorenza annuì e gli sorrise.
Telemaco distolse lo sguardo dal quel viso arrossato, da quelle labbra screpolate impasticciate di sale e da quegli occhi luminosi.
<< Tu l’hai già finito, ne vuoi uno? >> Domandò lei allungandogli la sua coppetta ancora mezza piena, Telemaco allungò una mano e afferrò un anello di calamaro ancora caldo.
<< Suppongo che adesso tocchi a me raccontare qualcosa … >> Commentò distrattamente mentre riprendeva a camminare, passando accanto ad un negozio che vendeva addobbi natalizi, sfiorò causalmente con il braccio una pallina di natale che produsse un suono tintinnante, Fiorenza ne rimase incantata << … quando ero bambino, mio padre mi portava sempre qui nel periodo natalizio. Questa pallina di natale è speciale per me … è unita ad un richiamo degli angeli, per questo produce questo suono bellissimo … >>
Le ultime parole Telemaco sembrò sussurrarle, mentre accarezzava delicatamente la pallina di vetro che stringeva tra le mani, Fiorenza si avvicinò curiosa e scrutò la sfera di vetro, al cui interno ne pendeva una più piccola d’argento con il profilo di un angelo elegantemente ricamato sopra con dell’oro fine.
<< Vi serve aiuto ragazzi? >>
Fiorenza aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma un’anziana signora, probabilmente la proprietaria del negozio, si era avvicinata con un sorriso gentile sulle labbra e l’aveva fermata inconsapevolmente. Telemaco le allungò la pallina di vetro.
<< Prendiamo questa >> La donna sorrise e afferrò la pallina con le sue mani rugose e tremanti, ma stranamente rassicuranti.
<< Un ottima scelta, la impacchettiamo? >>
Telemaco annuì distrattamente, scrutando la donna compiere il suo lavoro con le sopracciglia aggrottate e gli occhi grigi scuri e temporaleschi.
Quando lasciarono il negozio, percorrendo la strada a ritroso, Telemaco le allungò il pacchetto e Fiorenza lo prese con mani tremanti.
<< Perché? >> Domandò lei con un filo di voce, Fiorenza sapeva che avrebbe dovuto essere felice, ma stranamente non ci riusciva, sentiva come una stretta al petto.
<< Consideralo come un … regalo d’addio, come una conclusione positiva, vedi un po’ tu >>
<< Ma io … >> Bastò che Telemaco scuotesse un po’ più energicamente la testa perché le parole le morissero in bocca, il ragazzo infilò le mani nelle tasche dei jeans e guardò altrove.
<< Buona Vigilia di Natale Fiorenza >> La ragazza strinse forte il cartoccio ormai vuoto nella mano destra e si morse il labbro inferiore, non poteva essere davvero un addio.
Non c’era nulla di positivo in quella conclusione.
<< Buona Vigilia anche a te … >>
 
Oscar non poté fare a meno di pensare che quel tepore fosse proprio piacevole.
E poi Catena era incredibilmente morbida e calda, Oscar aveva appena scoperto che gli piaceva osservarla mentre dormiva. Gli piaceva la sensazione della sua guancia calda appoggiata sul petto, dei capelli scuri e setosi che gli solleticavano il collo, gli piaceva sentire il suo seno schiacciato sullo stomaco e la sensazione delle loro gambe intrecciate.
Molto spesso si chiedeva se avesse davvero meritato di incontrare una persona come lei.
Allungò distrattamente le dita e le sfiorò delicatamente il contorno scoperto della spalla, lì dove il pesante maglione di lana era leggermente scivolato, la pelle di Catena era pallida e sensibile, non appena Oscar vi posò sopra i polpastrelli, delle piccole macchie rosse la deturparono, per poi scomparire velocemente come erano apparse.
<< Che cosa stai facendo? >>
La voce sussurrata di Catena lo riscosse dai suoi pensieri, Oscar le accarezzò delicatamente i capelli e incrociò i suoi intensi occhi azzurri, ancora leggermente impastati dal sonno, ma limpidi e riposati, ridenti. Oscar non poté fare a meno di chiedersi come fossero i suoi di occhi in quel momento, se ancora persi nei ricordi, o abbastanza limpidi da risultare quanto meno un minimo sinceri.
<< Cercavo di capire perché la tua pelle fosse così pallida. Dimmi, tua madre è Biancaneve per caso? >> Catena ridacchiò alle parole del fidanzato, e si tirò leggermente in su per guardarlo negli occhi, Oscar sentì il cuore accelerare freneticamente nel petto a quella visione, erano rare le volte in cui la ragazza non portava gli occhiali e poteva leggere nei suoi occhi limpidi ed estremamente sinceri, Oscar vi si rifletteva come in uno specchio.
<< Sciocco … a cosa stavi pensando sul serio? >>
Oscar sospirò pesantemente, aveva sospettato che non ci sarebbe cascata minimamente, si tirò a sedere ed entrambi si ritrovarono inginocchiati sul letto, uno di fronte all’altra.
<< Io … davvero, non … >>
<< Oscar >>
Il rimprovero di Catena era stato gentile, Oscar deglutì rumorosamente, e solo in seguito trovò il coraggio di sollevare gli occhi e fissarli nei suoi.
<< Stavo pensando che con Giulia … non mi sono mai sentito davvero tranquillo>> Mormorò infine, sospirando fortemente, Catena gli prese delicatamente le mani e gli regalò uno di quei suoi sorrisi caldi, gentili e tristi, quei sorrisi che erano proprio come lei << La serenità che ho con te … con lei non l’avevo affatto, mi arrabbiavo spesso, ero costantemente preso dall’ansia che fuggisse, e volevo a tutti i costi che fosse mia e solo mia, io … io mi sento quasi sollevato che lei non ci sia più e questo … questo mi fa ribrezzo, io …. >>
Mano a mano che la conversazione era andata avanti, il respiro di Oscar si era fatto sempre più irregolare, e lui aveva cominciato a stringere convulsamente le mani, senza rendersi conto che in quel modo avrebbe fatto male anche a Catena.
<< Oscar, basta >> Sussurrò delicatamente lei, accarezzandogli con i pollici le mani grandi e calde, ancora scosse dai tremiti << Se è quello che pensi non puoi farci nulla, se è quello che provi non cambierà  nulla, nemmeno se tu lo negassi con tutto te stesso, perché equivarrebbe ad una bugia …. Oscar … >> Catena riuscì a liberarsi le mani e le appoggiò sul viso spigoloso del ragazzo, incatenando quegli occhi castani da cerbiatto nei suoi << … ci è concesso sbagliare ogni tanto no? >> Oscar sorrise tristemente quando sentì quelle parole, sollevò le mani e prese ad accarezzarle lievemente i polsi scoperti, disegnando dei cerchi concentrici lì dove sporgeva l’osso.
<< Non lo so … ma con te di sicuro non ho sbagliato, sai? >>
<< Oscar … credo che sia arrivato il momento di darti il mio regalo … >>
Oscar aggrottò le sopracciglia quando sentì quelle parole, aveva chiesto tantissime volte a Catena di non regalargli nulla per Natale, che non aveva bisogno di nient’altro se non di lei, ma con sua grande sorpresa, la ragazza si limitò ad afferrargli le mani e sorridere.
<< Sono pronta >>
<< Catena ma cosa … Oh … >>
Oscar arrossì quando Catena si sfilò il maglione restando in canottiera, aveva le guance imporporate, ma continuava a fissarlo negli occhi, con i capelli che le ricadevano come una cascata sulle spalle, sulla schiena, sul contorno del seno leggermente visibile …
Oscar distolse lo sguardo e fece un passetto indietro.
<< Non … Catena non scherzare! E’ una cosa da cui non si torna indietro, io …. >>
<< Oscar, ma perché dovrei voler tornare indietro? Indietro da cosa? >>
<< Ascolta io … io non me lo perdonerei mai se poi dovessi pentirti! E non posso vivere con altri sensi di colpa >>
La voce di Oscar era talmente incrinata che Catena ebbe come la sensazione che si stesse per spezzare, allungò le braccia e appoggiò le mani sulle spalle del fidanzato, rassicurandolo con un sorriso.
<< Oscar … ci ho pensato così a lungo in questi giorni che non ho più né timore, né paura, né ripensamenti. Non proverai i sensi di colpa per qualcosa che non hai scelto tu, non proverai i sensi di colpa per una mia decisione, non proverai i sensi di colpa perché ci saremo amati >>
Oscar fu travolto da un calore intenso allo stomaco, afferrò le mani di Catena e la baciò con una foga tale che caddero entrambi indietro sul materasso, si guardarono negli occhi, poi lui allungò una mano e gliela poggiò all’altezza del cuore, sotto la gola.
<< Ricorderò questo momento per il resto della mia vita … ne terrò cura per sempre >>
<< Anche io … >>
<< Buona Vigilia di Natale, Catena >>
<< Buona Vigilia di Natale, Oscar >>


______________________
Effe_95

Buonasera :)
Nel caso ve lo stesse chiedendo, si sono viva xD
Scusatemi sul serio, ma tra università, malattie e impegni vari non sono riuscita a finire prima il capitolo. Allora, è stata una vera fatica concluderlo, ho lasciato queste tre "coppie" per ultime proprio perchè sapevo sarebbe stato faticoso, ma spero di non aver fatto un lavoro troppo penoso.
Questo è l'ultimo capitolo dedicato al 24 Dicembre, il prossimo sarà sul capodanno, dove i ragazzi compariranno tutti insieme e poi si passerà direttamente a Gennaio.
Come avevo accennato, non per tutti la Vigilia di Natale sarebbe stata perfetta, come nel caso di Lisandro, Fiorenza e Telemaco. Per quanto riguarda la parte di Oscar e Catena spero vi sia piaciuta.
Grazie mille a tutti come sempre, alla prossima.
 
  
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