Lost
Light 2.0
1 - Alpha
Nominus
Parigi,
15 gennaio 2042 - 21.55
L’orario
delle visite era finito da un pezzo.
Nella
piccola bianca stanza d’ospedale, sdraiata sul letto e ancora dolorante a causa
del recente parto, una donna osservava la sua bambina nata da poche ore, inerme
tra le lenzuola della culla termica.
«Come
somigli a tuo padre…» sorrise, in direzione della
piccola figura che teneva gli occhi serrati, addormentata «Leef.»
La
madre combatté con i spasimi della ferita del cesario
per allungarsi e regalare alla bimba un bacio sulla fronte. Una fitta
particolarmente dolorosa la costrinse a sdraiarsi di nuovo.
Quando
finalmente si sentì meglio si concesse un lungo sospiro, poi torno a guardare
la bimba: una piccolissima creatura, completamente indifesa e innocente. Più la
guardava più le sembrava la cosa più bella di sempre.
Sorrise,
in fondo le dodici ore di travaglio erano valse eccome.
Alzò
lo sguardo all’orologio appeso sopra la porta; erano le dieci. Solo allora si
ricordò: quel pomeriggio degli scienziati americani avevano portato a termine
il primo esperimento di clonazione di un essere umano. Ci erano voluti dieci
anni di dibattiti, polemiche, cause legali e quanto altro può essere scatenato
da una cosa così antietica prima che infine si giungesse al fatidico giorno.
Prese
con mani traballanti il telecomando impolverato, che suo marito aveva lasciato
sul comodino di fianco al letto poco prima di uscire. Gli effetti del parto si
facevano sentire, infatti impiegò diverso tempo per riuscire a premere il tasto
REP, che permetteva di rivedere in qualsiasi momento qualsiasi trasmissione degli
ultimi mesi.
La
donna sospirò annoiata: la tecnologia se ne usciva con una nuova trovata di
giorno in giorno. La trovata di quel giorno era la clonazione.
Selezionò
il telegiornale serale. La voce dello speaker risuonò per la stanza.
“Dopo dieci anni di
interminabili proteste e posticipazioni, il primo esperimento di clonazione
umana, tenutosi oggi nei laboratori di Sunville,
nello Stato di Washington, è risultato un successo. Il primo tentativo di
clonazione umana ha dato i suoi frutti. A capo delle operazioni è stato Severin Braun, noto scienziato
tedesco che da anni lavora al progetto. La prova non ha dato del tutto i risultati
sperati, ma non sono state rilasciate ulteriori informazioni.
Il nome conferito al
soggetto è Alpha Nominus. Appena
avremo aggiornamenti ve li comunicheremo. Ed ora passiamo alle proteste sulla
nuova legge varata…”
*Click*
E
di nuovo un sospiro, stavolta leggermente irritato. La donna posò il
telecomando sul comodino, precisamente dove lo aveva trovato, poi cercò con lo
sguardo la neonata, temendo per un secondo di non trovarla più nella sua culla.
La
bambina invece stava dormendo beatamente, inconsapevole del mondo che si
scatenava fuori.
«Leef… spero che la realtà che tu vivrai sarà migliore di
quella che ho vissuto io.» la donna non era mai stata una gran chiacchierona,
ma le veniva così naturale continuare a parlare alla bimba dal nome strano;
incapace di separarsi da lei per troppo tempo, la prese tra le braccia con
delicatezza e la appoggiò al proprio petto, sistemandole il berrettino che le
copriva la testa «Imparerai che niente è
impossibile e tutto è difficile. Ma sono sicura che tu ce la farai.»
Mentre
la madre pronunciava quelle parole, in un altro continente il primo agente
dell’apocalisse apriva i suoi bellissimi occhi gialli.
***
Parigi, 19 novembre 2048 - 20.30
Leef
posò la bambola sul letto.
Era
la sua preferita: piccola, dai capelli neri, con due grandi occhi azzurri ed un
bellissimo vestito da principessa. Si chiamava Ann.
Molte
volte la bambina si era immaginata al suo posto: l’amata principessa del regno
delle fate; il suo sogno segreto era poter vivere in un castello e avere tante
persone intorno che la servissero: ma lei non le avrebbe mai trattate male, no,
no! Voleva renderle tutte felici!
Voleva
che nel mondo tutti fossero felici.
La
bambina alzò finalmente la testa dai suoi giocattoli ed aprì bene le orecchie,
notando che finalmente i genitori avevano smesso di litigare. Avevano urlato
per tutto il pomeriggio, tanto che si era rifugiata sotto il letto a
piagnucolare e farsi consolare dai peluche.
Parlavano
di cose strane, per lei incomprensibili: l’argomento principale era la fuga,
voluta dalla mamma; in effetti quasi tutti avevano lasciato le loro case ormai,
Leef aveva perso tutte le sue amichette e smesso di andare a scuola.
Ma
nella sua ingenuità di bambina di sei anni non riusciva proprio a capire perché
tutti erano così spaventati: stava arrivando un brutto temporale, come quello
di Pasqua?
Però
le sembrava così strano… erano andati via tutti di corsa, lasciando le case
aperte e le automobili in strada, messe tutte storte contro il marciapiede. Non
era una reazione un po’ esagerata per un temporale?
In
quel momento la porta della cameretta si aprì con un cigolio di cardini e la
madre di Leef entrò a grandi falcate: aveva gli occhi rossi e gonfi.
La
bambina ebbe solo il tempo di chiedere se andava tutto bene, prima che la donna
la superasse «Andiamo via, Leef. Prendi quel che vuoi portare, niente
giocattoli troppo grandi.»
«Cosa?!»
esclamò Leef, guardandola mentre spalancava l’anta dell’armadio, per poi
uscirne una valigia che posò sul letto.
Stava
davvero facendo i bagagli!
«Fai
come ti ho detto, Leef.» ripeté la donna, con tono stavolta più duro.
Capendo
che la situazione non era delle migliori, la piccola decise di ubbidire e si
apprestò a quella che per lei era la scelta più difficile di sempre: quali
bambole portare? Senza dubbio Nathan, che era il principe di Ann. E poi…?
«Leef.»
Leef
alzò gli occhi alla madre, vedendo per un attimo se stessa adulta, solo coi
capelli un po’ più chiari. Aveva in mano Ann, sulla cui schiena c’era una
cerniera in cui Leef nascondeva ogni tanto pezzi di carta o cioccolatini,
fingendo che fossero grandi tesori. Stavolta però non vi fu nascosto nessun
dolce, ma una gemma.
Un
piccolo cristallo bluastro dalle mille venature cremisi, dall’aspetto così
mistico che Leef immaginò si trattasse di qualcosa di oltremodo prezioso.
Quando
fu sicura che la figlia avesse impresso nella memoria quell’immagine, la donna
richiuse la lampo della bambola e si chinò, spostò il letto e poi il tappeto, e
sotto questo Leef notò per la prima volta un piccolo
buco in una delle assi di legno. La madre si sfilò dal collo una catenella con
una chiave, che infilò dentro il foro: un click quasi silenzioso e l’asse fu
rimossa.
Ann
sparì nel buio del nascondiglio segreto, che fu perfettamente riportato allo
stato di prima. Mentre metteva la collana al collo della figlia, la donna disse
«Non dimenticare questo posto e questa bambola, hai capito? Quando sarà il
momento giusto, torna qui e prendi quella gemma. Adesso non possiamo portarla
con noi, ma tu non devi dimenticare, chiaro?»
La
piccola annuì, in realtà non le era per niente chiaro il senso degli
avvenimenti di quella sera, ma il suo intuito fu abbastanza pronto a suggerirle
che forse non potevano portare con loro adesso quel cristallo perché era troppo
pericoloso.
Pochi
minuti dopo erano già in macchina, pronti per partire. La grande jeep di papà
sembrava molto più buia del solito agli occhi di Leef,
che a malincuore aveva rinunciato non solo a capirci qualcosa, ma anche alla
sua bambola preferita.
«Non
possiamo proprio passare da mia madre?»
Il
papà sembrò a disagio quando rispose «Claire…
nell’ultimo notiziario hanno detto che quella zona è…»
«D’accordo,
ho capito. Andiamo. Dobbiamo mettere al sicuro Leef.» tagliò corto la madre,
quindi allacciò la propria cintura.
«Mamma,
voglio andare dalla nonna!» s’innervosì la bambina, che cominciava a sentire un
groppo alla gola «Ha detto che questo sabato mi avrebbe preparato la torta alle
fragole!»
La
mamma girò la testa verso di lei, cercando di sorriderle in maniera
rassicurante «Ci andremo domenica. Adesso allaccia la cintura e non fare i
capricci, signorina.»
L’auto
partì e Leef, come ogni volta, si mise in ginocchio sul sedile dopo aver
combattuto una estenuante lotta con la cintura, voltandosi a guardare fuori dal
lunotto.
Era
così tetro… la loro via di solito era piena di
bambini che giocavano in strada con le biciclette e a palla, mentre le madri si
riunivano nel giardino della loro vicina.
Invece
ora non c’era nessuno, le macchine giacevano abbandonate disordinatamente,
alcune case avevano porte e finestre
aperte. Sembrava tutto desolato…
«Mamma… non torneremo mai più qui, vero?» chiese la bambina,
colta da un’improvvisa consapevolezza.
Dal
sedile anteriore, la madre della bambina riuscì a parlare solo dopo un lungo
silenzio «No, tesoro…»
Leef
alzò lo sguardo per osservare un’ultima volta casa sua, mentre questa spariva in
fondo alla via, tra altre abitazioni. Sentì gli occhi pizzicarle, ma prima di
avere il tempo di mettersi a piangere, qualcosa fermò per un attimo il suo
cuore.
Un’ombra
nera attraversò la strada, rapida come un lampo, avvicinandosi finché gli occhi
celesti della bambina non incontrarono due cavità gialle affamate. Leef urlò e
si gettò indietro.
Sentì
sua madre urlare «Marc, frena!» e la macchina sbandò in maniera violenta.
Poi
solo fu un botto, un urlo non umano, puzza di sangue, un dolore fortissimo alla
testa.
***
Parigi, 10 dicembre 2070 - 22.02
La
porta si aprì con il solito, nostalgico fischio di cardini vecchi. Al di là di
essa, si rivelò davanti ai suoi occhi un mondo così lontano nel tempo che
credeva d’averlo sognato, non vissuto.
Era
tutto uguale a come era stato lasciato: i giocattoli al loro posto, il letto
perfettamente in ordine, senza neanche una piega sul piumone azzurro, i
peluche, i libri, le penne, persino il disegno sulla scrivania che aveva fatto
poco prima di fuggire.
Era
tutto uguale, solo molto impolverato.
Fatto
il suo ingresso, la ragazza si mostrò alla tenue luce biancastra che filtrava
dalle persiane semichiuse.
I
lunghi capelli neri le scivolavano sulle spalle, la pelle chiarissima - quasi
spettrale, come di qualcuno che vive sotto terra e che non vede mai il sole – era
coperta da un’uniforme nera che si confondeva facilmente col buio; si mosse
lenta nella stanza, reprimendo l’istinto di piangere.
Quanto
le era mancata la sua cameretta.
«Sono
a casa…» mormorò, concedendosi un sorriso.
Si
soffermò su ogni particolare, fissando tutto tra l’ammaliato e il confuso. Come
poteva essere tutto così perfetto? Possibile che niente fosse entrato in quei
vent’anni? O forse loro non avevano
sentito l’odore di esseri umani e quindi si erano fermati?
Qualunque
fosse la ragione, era felice in quel quadro famigliare.
Si
avvicinò al letto, lo stesso letto che l’aveva riscaldata in lunghe notti
d’inverno; vi posò una mano sopra, lasciandosi attraversare da un turbine di
emozioni.
Ricordava
che si trovava lì, sotto l’asse segreta. Seguendo i gesti di sua madre, che
aveva stampato a fuoco nella memoria, ripeté meticolosamente il procedimento:
il letto, poi il tappeto, poi la chiave – la portava appesa alla collana -,
infine lo scompartimento segreto.
E
infine sorrise: eccola, Ann. La prese con delicatezza tra le mani: come le era
mancata, la principessa di un regno lontano…
Il
rumore di passi risuonò nel corridoio, mentre la ragazza si asciugava
velocemente una lacrima ribelle. Voltandosi, incontrò un paio di occhi verde
acceso.
Un
uomo avanzò nel buio con passo fermo, seguendo con espressione preoccupata i
movimenti di lei; nonostante il viso gentile e lo sbarazzino ciuffo bruno che
gli dava qualche anno in meno, la spada che gli pendeva da un lato della
cintura e la magnum calibro 45 che pendeva dall’alto gli davano un aspetto
abbastanza minaccioso.
Una
volta che le fu davanti, le mise una mano sulla spalla «Leef, tutto bene?»
Lei
annuì subito «Sì.» poi, abbozzando un sorriso, sollevò la bambola «Questa è
Ann. Salutala.»
«…
Eh?» fece lui, curioso, stando allo scherzo «Vuoi dirmi che la grande missione
supersegreta era recuperare una bambola?»
«Esattamente.
Osserva bene, Lance, questo non è uno spettacolo che capita tutti i giorni…» lei girò la bambola di pezza, mostrandone la
cerniera sulla schiena. Con un unico movimento secco la tirò giù, ed una luce
azzurra irradiò la stanza: la gemma preziosa era ancora lì, non sarebbe potuta
essere altrove «Ti presento il nostro nuovo amico, che salverà l’umanità
dall’estinzione. Il suo nome è cristallo
di Berg.»
In
quell’esatto momento, Leef e Lance si concessero il
peccato più grande che un essere umano del loro tempo poteva fare: sperare.
«Improvvisamente
sento di aver fatto bene a urlare addosso a Mason per
accompagnarti.» disse infine lui, ponendo una mano su quella della compagna
«Sei stata eccezionale, Leef. Alla faccia di quelli che davano questa missione
per disperata. Ma ora è meglio andare.»
«Sì,
andiamo a sbattere il nostro successo in faccia a Mason.»
annuì lei; oh come si sentiva fiera di sé.
Si
premurò di richiudere in fretta il giocattolo e riporlo nella borsa a tracolla
dell’uomo. Mentre si preparava a far di nuovo strada, però, il rumore di una
porta sfondata fece sobbalzare entrambi.
«Merda!
Perché devono essere così ostinati?» imprecò a denti stretti Leef, cercando
aiuto nello sguardo di Lance «Io sono solo una scienziata, sei tu il
cacciatore!»
«Appunto
per questo dovresti usare il cervello per farti venire qualche idea, io so
usare solo i muscoli!» no, Lance sapeva difendersi bene all’occasione.
La
mise subito dietro di sé, restando in silenzio. Passi leggeri risuonavano per
il corridoio, nel silenzio del mondo. Si avvicinava, ma era uno solo.
Gestibile.
«Nascondiamoci.»
fu l’ordine.
Leef
si sentì imbarazzata dalla prevedibile scelta del nascondiglio: sotto il letto.
Forse, in quanto scienziata, avrebbe davvero dovuto sfornare qualche idea
apocalittica e geniale.
Si
acquattò contro il muro per far spazio a Lance, ma con sua sorpresa il
cacciatore non la seguì, anzi si appiattì tra la porta e il muro, coperto dalla
libreria; l’ultima cosa che vide, prima che il bruno sparisse nel buio, fu la
sua pistola venir estratta dalla fondina.
Anche
Leef corse istintivamente con la mano all’arma che aveva tenuto fino a quel
momento sulle spalle: un fucile.
Serrò
gli occhi: la paura le scorreva nelle vene, più veloce anche del sangue. Non
era proprio fatta per il campo di battaglia, lei, anche se ci finiva sempre in
mezzo. Si disse che doveva essere forte: per se stessa, per Lance, per tutta la
gente della Nemesi e per l’umanità intera. Doveva portare il cristallo di Berg ai laboratori.
L’ennesimo
scricchiolio di cardini la fece raggelare; strinse la presa sulla canna del
fucile, abbassando la testa per sbirciare.
L’ospite
entrò con passo felpato, silenzioso. Non era umano, nessun uomo sano di mente
avrebbe provato a definirlo tale.
Due
steli lunghi e neri, duri come il diamante, formavano le gambe; un corpo nudo, completamente
fatto da ossa e organi esposti e pulsanti, lunghi artigli al posto delle dita.
Un invenzione dell’uomo fatta a sua immagine, come l’uomo stesso era fatto a
immagine di dio. Ma l’uomo non era infallibile, e la sua tracotanza lo aveva
portato a creare un mostro.
Il
suo verso si espanse e rimbombò nella stanza: un sibilo rabbioso, fastidioso
alle orecchie umane. Egli era una delle creature perfette, la nuova razza
dominante: gli Alpha Nominus.
Leef strinse i denti fino a farsi male, trattenendo la paura che
le scivolava addosso come sudore freddo.
La
porta si richiuse di botto addosso alla creatura, spinta da Lance, che infine
uscì allo scoperto per fracassare di proiettili il nemico.
Quest’ultimo
rilasciò un urlo abominevole, accasciandosi mentre una delle braccia si
staccava dal resto del corpo, decomponendosi velocemente.
Non
lasciandosi suggestionare, Lance abbatté ogni munizione sul mostro, finché non
gli fece saltare tutti gli arti e infine la testa stessa, sulla quale si
potevano distinguere solo gli occhi di un giallo intenso, freddi e immobili ma
vivi.
L’Alpha
Nominus si accasciò a terra, lamentandosi per il dolore.
A
quel punto, fattasi forza, Leef uscì lesta dal suo nascondiglio ed afferrò per
un braccio Lance, per poi trascinarlo verso il balcone.
«Di
qua!» urlò, indicando il piano di sotto. Erano al primo piano, un salto di circa
quattro metri.
«Ci
sono altri metodi per farmi dimostrare quanto sono atletico!» l’uomo atletico non si fece aspettare; salì
sulla ringhiera e si buttò giù, cercando di mantenere una posizione adatta per
cadere in piedi… così non fu, e si schiantò a terra
in una maniera così poco atletica che
Leef si chiese se fosse morto. Quando lo vide rialzarsi, massaggiandosi le
braccia, tirò un sospiro di sollievo.
«Spero
tu sappia almeno prendermi al volo…» lo rimbeccò,
sarcastica. Uno scambio di occhiatacce.
Non
perse ulteriore tempo, non sentendo alcun suono dalla stanza. Probabilmente l’Alpha Nominus si stava già
rigenerando.
Con
un salto mediocre, la giovane scienziata si buttò giù; il vento freddo le
sfregava il volto e, stretta contro il petto, sentiva l’energia irradiata dal
cristallo dentro la bambola.
Nel
giro di pochi secondi, le braccia forti di Lance l’accolsero.
Quando
riaprì gli occhi, trovò il suo volto sorridente e spavaldo «Ammettilo, pensavi
che ti avrei fatta cadere.» scherzò lui, quindi riprese a correre, con la
ragazza ancora tra le braccia.
Ma
Leef non era affatto una persona in grado di scherzare, dunque replicò acidamente
«Sarebbe stata la fine dell’ingloriosa carriera del grande cacciatore di teste Lancelot Langford.»
In
breve raggiunsero la moto con cui erano venuti, con la quale si diedero a una
fuga spericolata per le vie di Parigi.
Proprio
mentre sparivano oltre un incrocio, dalla finestra della casa un immondo essere
nero uscì alla luce della luna, sfoggiando le sue nuovissime braccia, una sola,
acuminata gamba e un orrendo viso nero su cui due occhi freddi e gialli seguivano
i due fuggitivi.
Se
ne sarebbe ricordato, di quei due.
Note dell’autrice:
Ciao a tutti e buone feste! Come si dice, anno
nuovo vita nuova, per cui ho deciso di terminare finalmente la revisione di
questa storia e pubblicarla. Lasciate che vi racconti un po’ di più su Lost Light…
Fu pubblicata nel 2008, scritta semplicemente per
ingannare il tempo tra un capitolo e l’altro della long che avevo in corso all’epoca.
A distanza di anni una mia collega mi ha annunciato tutta contenta di averla
letta e trovata carina, al che mi sono sentita crollare il mondo sotto i piedi,
al ricordo di come scrivevo male nel 2008.
Dunque ho deciso di farne una revisione… che è durata mesi e mesi. Ho cambiato il titolo
(da qui il 2.0), i nomi dei personaggi, gli eventi e riscritto alcuni capitoli
che, a mio parere (sebbene io ammetta di essere autocritica a livelli distruttivi),
erano assolutamente illeggibili. Il risultato è…
accettabile. Adesso per lo meno è leggibile, lol.
Vi dico subito di non aspettarvi una storia di
eccezionale qualità, ma qualcosa di carino con cui passare un po’ di tempo. Se
volete una lettura impegnata scritta da me, vi rimando alla mia ultima long, Twisted Mind.
Lost Light 2.0 conta 5 capitoli, tutti
già rivisti e pronti per essere pubblicati. Ne pubblicherò uno ogni due
settimane, il mercoledì. Dunque tranquilli, non correte il rischio
di vedere la storia lasciata incompiuta.
Spero che qualcuno abbia voglia di dare una
chance a questo racconto: non sarà dei migliori che ho scritto, ma sicuramente
ci sono affezionata ^_^
Dato che siamo nella sezione romantico…
non so se qualcuno si ricorda ancora di me, ma sì, sono quella brutta persona
che scrisse What colour
is the snow? ormai tre
anni orsono. Avete notato il richiamo a Ann e Nathan
in questo capitolo?
Qualcuno ancora mi chiede del sequel, in realtà
prequel, di Snow. Se state leggendo queste righe, date un’occhiata alla mia bio
sulla pagina autore, dove ne parlo approfonditamente.
Buon Natale e buon anno nuovo a tuttiiiii!
Sely.