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Autore: Nene_92    29/12/2015    14 recensioni
[Interattiva - conclusa]
La Seconda Guerra Magica è finita da anni e la pace prospera sia nel mondo magico che in quello babbano. Ma una nuova minaccia si prospetta all'orizzonte: creature oscure si stanno muovendo nell'ombra, creature che il mondo magico ha sempre ignorato, anzi, dimenticato. 
Ad occuparsene è sempre stata una famiglia sola: i Grimm, discendenti di Jacob e Wilhelm, i famosi fratelli delle fiabe horror babbane, in realtà appartenenti ad una delle famiglie purosangue più antiche del mondo magico. Una famiglia di cacciatori.
Ma forse anche loro se ne sono scordati...
(per i fan di Grimm: Nick Burkhardt e co iniziano ad apparire dal capitolo 10 bis - Luna Piena --> gli episodi narrati terranno conto di ciò che è successo fino alla quarta stagione, poi si discosteranno dalla serie. In ogni caso, se ci dovessero essere possibili SPOILER avviserò capitolo per capitolo. ;) )
[ la storia fa parte della serie "Grimm" ]
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altro personaggio, Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Grimm'
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5 - Possiamo solo contare su noi stessi


Ok, eccomi di nuovo. Una sola nota prima di lasciarvi alla lettura del capitolo.

LE DOMANDE CHE FACCIO ALLA FINE SONO A RISPOSTA OBBLIGATORIA.  Chi non risponde non comparirà nel capitolo successivo. A voi la scelta.



POSSIAMO CONTARE SOLO SU NOI STESSI



Daniel aprì gli occhi e per un attimo si guardò attorno confuso. 
Non era nella sua camera e neanche nel dormitorio. Poi la realtà gli piombò addosso come un macigno. 

La sera prima non se l'era sentita di tornare nel suo dormitorio, così come ad Eleonore non andava di rimanere sola. Perciò si erano entrambi rifugiati nella camera privata della Caposcuola ed erano rimasti abbracciati sull'enorme letto finchè il sonno non li aveva colti, incapaci di realizzare veramente ciò che era successo in quella giornata. Incapaci di parlarne.
Il Tassorosso rotolò su se stesso, indirizzando lo sguardo verso il centro del letto. Pensava di trovare la sua ragazza ancora addormentata, invece la trovò già sveglia. Si perse un attimo ad osservarla. Era sdraiata supina e più della metà del suo corpo era arrotolato sotto le coperte. I lunghi capelli castani le ricadevano in ciocche disordinate su tutto il viso, mentre gli occhi verdi erano totalmente concentrati sulla lettura: tra le mani aveva un libro talmente consunto, che sembrava antico di secoli.  Le si avvicinò, posandole un delicato bacio sulla mandibola. "Cosa fai?" Le chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
Lei rispose con un sorriso leggero, staccando così gli occhi dall'oggetto della sua lettura. "Questa è una copia del diario di Jacob. Stavo cercando qualche informazione. Non ho mai sentito parlare di creature che succhiano via tutto, lasciando solo la pelle. Ma magari qualche mio antenato sì." 
Il ragazzo a quella risposta si accigliò. "Da quanto tempo è che stai leggendo quel diario?" 
"Più o meno dalle quattro. Non riuscivo a dormire." Ammise lei.
"E hai trovato qualcosa?" Chiese alla fine lui. 
La ragazza prese un lungo respiro prima di rispondere. "Purtroppo no."  Ammise alla fine. "E mio padre sembra essersi volatilizzato." Aggiunse poi.

Ricordavano entrambi bene le poche battute che si erano scambiati la Corvonero ed Harry Potter la sera prima, quando avevano ormai lasciato quasi tutti l'ufficio della Preside "Ho contattato tuo padre per chiedergli di venire ad Hogwarts con il resto della squadra Auror, ma non ha voluto. Mi dispiace Eleonore." Le aveva detto mentre lei era già sul ciglio della porta, pronta ad andarsene.
Si era voltata, guardandolo per pochi secondi, impassibile. "Se gli è stato riferito che il treno è stato attaccato da semplici dissenatori, è chiaro perchè non è venuto. Solo il vero pericolo merita la sua attenzione." Poi aveva aperto la porta con una spinta e se n'era andata, troppo abituata all'assenza dei suoi genitori per rimanere colpita dalla cosa.

"Quindi cos'hai intenzione di fare?" Chiese il Tassorosso corrugando la fronte. 
"Agire da sola." Rispose lei
 "Non c'è niente di utile qui." Spiegò chiudendo il diario di scatto. ""Se il pericolo è concreto, mio padre arriverà. Percepisce la presenza di creature oscure a miglia di distanza, le voci girano e lui sa cogliere i segni. Se non si presenta, vuol dire che sono in grado di cavarmela senza di lui." 
Daniel le passò un braccio sulla schiena, trascinandola verso di sè. "Ma tu non sarai da sola. Mai. Potrai contare su di me. Sempre."


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Jonathan affondò la faccia nella tazza piena di caffè, mentre con l'altra mano continuava a tormentarsi i capelli. 
La sua mente continuava a ripetere la frase "non è possibile". 
Se la ripeteva continuamente e costantemente da quando la professoressa Sprite era entrata nella Sala Comune, la sera prima, e aveva comunicato a tutti i Tassorosso la notizia della morte di Jo. Quella cosa non lo aveva lasciato dormire la notte. E anche in quei pochi momenti in cui era riuscito finalmente a prendere sonno, l'immagine della ragazza lo aveva tormentato nei sogni, perseguitandolo e urlandogli che era colpa sua se lei era morta. Tutta colpa sua.
L'ultimo sogno lo aveva talmente agitato che si era risvegliato urlando, svegliando a sua volta tutti i suoi compagni di dormitorio. Quindi aveva capito che non era il caso di continuare a restare lì, in quella stanza dove si sentiva soffocare, perciò si era vestito ed era uscito. 

"Hai una faccia orribile Jon." Lo riportò alla realtà la voce di Michael. 

"Perchè non ti sei visto allo specchio." Rispose lui in automatico. Non voleva parlare con nessuno. Voleva solo essere lasciato in pace. Jo era morta.

Ma Michael non desistette. Era troppo abituato al suo malumore mattutino per farci caso. E inoltre sapeva cosa stava tormentando l'amico. Michael era uno dei pochi a saperlo. 

"Jon, smettila di tormentarti." Lo prese quasi di peso e lo trascinò nel cortile, in un angolo appartato.  "N.O.N.-E'.-C.O.L.P.A.-T.U.A."  Scandì poi per bene la frase.  

"Sì invece. Avrei potuto parlarle, chiamarla nello scompartimento, magari avrei potuto farmi lanciare adosso una serie di incantesimi. Anche farmi schiantare, se necessario. Ma almeno così non sarebbe rimasta da sola. Invece che cosa ho fatto, da bravo coglione? Le ho girato le spalle e mi sono chiuso nello scompartimento con Ani, per mettere in atto quello stupidissimo scherzo. L'ho lasciata da sola e senza uno straccio di spiegazione." Sputò fuori il ragazzo tutto d'un fiato.

"Magari se tu fossi rimasto con lei piangeremmo due studenti della scuola anzichè uno." Obiettò saggiamente Michael. "Oppure sarebbe successo comunque. L'attacco è partito mentre eravamo nella carrozza dei Prefetti, ricordi? E lei comunque non sarebbe potuta venire con te." 

"E' stata colpa mia." Continuò ad insistere però Jonathan. "Sono bravo a fare l'amicone, sono bravo a progettare scherzi, ma sono un caos vivente. Non ho ordine nella mia vita, non riesco a progettare una vita di coppia normale, appena lo faccio mi sento soffocare. Ed è esattamente ciò che è successo con Jo. Le volevo bene e mi piaceva, ma non abbastanza. Mi sentivo soffocato da lei, come ogni volta in cui intraprendo una relazione. Sapevo che lei ci teneva più di me e quindi ho deciso di troncare aprofittando delle vacanze estive. Non le ho scritto, non ho risposto alle sue lettere. Sono sparito. E quando l'ho vista sul treno, ho preferito scappare."

Jonathan era diventato una sorta di fiume in piena. Una volta partito era impossibile fermarlo. E Michael non fece nulla per bloccarlo. Meglio che si sfogasse in quel momento, buttando fuori tutto, piuttosto che tenere tutto dentro. Doveva trovare il modo di farlo scendere a patti con se stesso. Jo era morta e Jon doveva farsene una ragione. 

Non che fosse facile neanche per Michael. Jo era sempre stata una sua compagna di casa e di squadra, una cacciatrice come lui e Jon e questo aveva creato un legame forte tra i tre. Per Michael, sarebbe stato difficile anche solo allenarsi senza pensare a lei. Girarsi sulla scopa, pronto a lanciarle la pluffa e rendersi conto che lei non sarebbe stata dietro di lui, pronta ad afferrarla al volo come sempre. "Una mia compagna di casa è morta e io sto pensando al Quidditch. Sono ridicolo." Si ritrovò a pensare.

"Inconsciamente credevo di avere tempo, di farne passare un po' e poi di parlarle. Oppure che semplicemente acquisisse la cosa come un dato di fatto e che se ne facesse una ragione." Continuò imperterrito il discorso Jon, senza rendersi conto che anche Michael si era perso nei suoi pensieri. "Che tutto tornasse come prima senza che io... oh non lo so! So solo che è colpa mia!"  Ripetè per l'ennesima volta, affondando il volto nelle mani e buttandosi a sedere per terra. "Di tempo non ne ho più."
In quel momento non gli importava assolutamente di niente. 

Jo era morta
.

Non gli importava dei vestiti che indossava, che si stavano bagnando con la brina mattutina.

Jo era morta ed era colpa sua.

Non gli importava del freddo che, nonostante fossero solo i primi di settembre, già si faceva sentire. 

Jo era morta ed era solo colpa sua.

Non gli importava  del fatto che nello stesso momento Vitious stesse distribuendo gli orari in Sala Grande così come non gli importava che, se avesse continuato a restare lì, sarebbe arrivato tardi a lezione.

Solo di una cosa gli importava. Jo era morta. Ed era tutta colpa sua.  

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"Ma che cosa stai facendo? Nel libro c'è scritto 10 sanguisughe, non mosche crisopa!" Joseph bloccò con una mano Robin, prima che questa inserisse per la terza volta l'ngrediente sbagliato nella sua pozione. Quella prima mattina di lezione non stava andando bene per nessuno. Sembravano tutti avvolti in una sorta di trance.
Robin lo fissò un attimo confusa, come se non avesse realmente capito cosa lui le avesse detto. Poi aprì la mano e lasciò cadere le mosche nella pozione, che dopo un lungo sibilo e una esplosione assunse una colorazione verde brillante. 
Ancora più che il richiamo di Joseph, fu quell'esplosione a riportare la Serpeverde alla realtà. 
"Signorina Rhodes tutto bene?" La raggiunse anche la voce del professor Dalton.
"Sì, mi scusi signore. Ero distratta." Si giustificò lei, cercando di sistemare una ciocca di capelli biondo scuro dietro all'orecchio. Averli tenuti sciolti quella mattina era stata una pessima idea. Soprattutto se la lezione era quella di pozioni, se quei capelli erano di natura folti e ondulati e se la pozione era completamente sbagliata.
Il professore puntò la bacchetta verso il calderone e ne fece evanescere il contenuto. "Per questa volta passi. So che siete tutti sconvolti. Ma la prossima volta che proverà a far esplodere la mia aula le rifelerò una punizione. Sono stato chiaro?" 
"Sì professore. Mi scusi."

Era tutta mattina che Robin non prestava attenzione a ciò che faceva. Non faceva altro che ripensare alla sera prima. Era stata lei a dare l'allarme. Quando lei, Ani, Diamante e Water si erano accorte che Jo non compariva da nessuna parte si erano dirette dal primo professore disposto a dar loro ascolto. Avevano trovato un valido aiuto nel Professor Prewett, sempre attento ai bisogni dei suoi studenti. 
Ma era comunque troppo tardi. Jo era morta.

Robin era una nata babbana e aveva avuto a disposizione solo sei anni per imparare il più possibile sul mondo magico. E purtroppo tra le sue conoscenze non c'era niente che riguardasse creature che succhiavano via tutto, lasciando solo la pelle. La cosa che si avvicinava di più erano i vampiri, ma come le aveva spiegato quella mattina la sua compagna di stanza Lex, erano già stati esclusi. 
Ma a Robin questo non importava. E se ne rese conto mentre fissava il fondo vuoto del suo calderone. Non le importava che fossero stati i vampiri oppure una creatura sconosciuta della quale ancora non sapeva il nome a fare quello. 
Robin Rhodes, il 2 settembre, nell'aula di pozioni prese una decisione. A costo di passare notti insonne in biblioteca e di tartassare gli insegnanti sulla più piccola leggenda, lei avrebbe scoperto chi o cosa avesse ucciso Jo e l'avrebbe vendicata. E nessuno avrebbe potuto fermarla.


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"Hey Fede! Fede!" Urlò Francisco in mezzo al corridoio, riconoscendo la chioma della Serpeverde. "Aspetta!"
La ragazza, appena uscita dall'aula di Incantesimi insieme a Milly Halliwell, si voltò a quel richiamo, cercando di non arrossire davanti al ragazzo e di mostrarsi impassibile di fronte all'altra ragazza Grifondoro, che guardava la scena incuriosita. Cosa voleva il suo Capitano dalla Serpeverde?
"Hey!" Si limitò a rispondere in imbarazzo Federica.
"Ciao Franz!" Lo salutò allegramente Milly.
"Ah ciao Milly! Non ti avevo vista." Rispose il ragazzo con un sorriso. Poi si voltò verso Federica. "Come stai?" Le chiese in tono dolce.
Milly capì di essere di troppo e dopo un altro cenno di saluto ai due sgusciò via dal corridoio affollato, diretta verso l'aula di Trasfigurazione. 
"Le notizie a quanto pare corrono velocemente." Ironizzò la Serpeverde. "Sto bene comunque. " Aggiunse, mentre entrambi si incamminavano per il corridoio pieno di studenti. 
"Non ci posso credere che ti abbiano accusata a scatola chiusa e senza uno straccio di prova. Non gli stessi Auror che dovrebbero proteggerci!" Sputò lui pieno di rabbia. A lezione di Pozioni non aveva seguito molto, ma in compenso Eleonore lo aveva informato di quanto era accaduto la sera prima, comprese le continue, incessanti ed inconcludenti accuse che l'Auror aveva mosso nei confronti della ragazza.
"Avevano bisogno di una scusa facile per giustificare ciò che era appena accaduto. E chi meglio di una mezza vampira?" Commentò aspramente la ragazza. 

Era tutta mattina che si sorbiva delle battute da parte di alcuni suoi compagni, che le avevano affibiato i nomignoli più improbabili. Ma nessuno aveva potuto battere in cattiveria Pix, il re del caos: era sbucato nel corridoio proprio quella mattina, rovesciandole adosso un liquido colloso e rosso che sembrava sangue e urlando a più non posso "Ecco a voi la succhiasangue! Siamo tutti in pericolooooo!" Ci era voluto un incantesimo ben piazzato da parte della Preside per ripulirla completamente.

"Non sei stata tu e lo sanno tutti. In quanto a quell'Auror, gli sarebbe bastato usare un po' di quel cervello - che a quanto pare non ha - per capirlo a sua volta." Cercò di consolarla il Grifondoro, riuscendo a strapparle il primo vero sorriso della giornata. 
"Magari la pensassero tutti come te. Secondo alcuni, se sono stata trattenuta per così tanto, significa che sono comunque pericolosa. Indipendetemente dal fatto che io abbia fatto del male a qualcuno o no." Rispose lei con tono di voce stanco. Era solo la prima giornata di scuola, ma le sembrava fosse passato un secolo. E la giornata si preannunciava essere ancora piuttosto lunga.
"Hanno paura di noi perchè non siamo come loro. Questo però non significa che siamo pericolosi, ma soltanto che non ci capiscono." Poi, prima che Federica riuscisse a chiedere spiegazioni per quella frase criptica, si piegò su di lei,
afferrandole per pochi secondi la mano e dandole un bacio sulla guancia. "Ci vediamo." Le sussurrò in un orecchio prima di sparire nel corridoio, inghiottito dalla folla.

Tra le mani della ragazza era comparsa una rosa di ghiaccio sempiterno.


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"Voi due mi fate paura." Commentò Brian stiracchiandosi e sistemandosi meglio sulla poltrona della Sala Comune.
Page si voltò verso di lui sogghignando. Era da circa un'ora che lei e Micah stavano costruendo e poi demolendo un'ipotesi dietro l'altra, raccogliendo indizi e unendo i ricordi di cui disponevano per cercare di ricostruire quanto successo sul treno. "Dobbiamo agire finchè i ricordi sono freschi Brian. Non c'è altro modo."
"Ma la realtà è volubile purtroppo. Metti dieci persone nella stessa stanza e chiedi loro di raccontare cosa sta succedendo per un breve periodo di tempo. Avrai dieci versioni diverse della realtà. Perchè ognuno di noi la percepisce in maniera differente." Si aggregò Micah.
"E quindi volete lavorare voi al posto degli Auror?" Chiese Brian interessato.
"No, ma la Preside stamattina ci ha comunicato che durante questa settimana dovremo andare tutti a gruppi per raccontare agli Auror ciò che abbiamo visto. Tantovale che inziamo noi a lavorare su queste cose." 
Spiegò Page.
E ogni minimo indizio potrebbe essere fondamentale." Concluse la frase per lei Micah.
"Ma procedendo ad analizzare in questo modo i vostri ricordi non rischiate di arrivare là con un'immagine della realtà falsata?" Insistette Brian arrivando al limite della poltrona e perdendo tutto il suo interesse a mettersi comodo. "Nel senso..." Provò a spiegarsi.
"Nel senso che provando a costruire una realtà già tracciata finiremmo per fornire agli Auror un falso ricordo inconsapevole?" Completò Micah per lui.
"Beh sì." Ammise Brian. Non si era neanche meravigliato del fatto che l'altro ragazzo aveva intuito i suoi pensieri al volo. Se tutti coloro che avevano contatti con il mondo babbano avevano risoprannominato il ragazzo Sherlock, un motivo c'era.
"Sì, il rischio c'è. Ma anche presentarsi là con molti ricordi confusi potrebbe portare fuori pista e far perdere tempo a chi deve indagare." Spiegò Page.
"Decidere questo dovrebbe sempre essere compito degli Auror. So che al momento c'è dell'astio nei loro confronti - accusare una ragazza in quel modo è stata una carognata - ma... andiamo! C'è Harry Potter a capo delle indagini! Ha ucciso Voldemort! E se non ci si può fidare più di lui... allora di chi possiamo fidarci?" Obiettò saggiamente Brian. Non aveva nulla contro le azioni portate avanti dalla coppia. Erano due ragazzi pieni di intelligenza e acume e sicuramente sapevano ciò che stavano facendo. Ma in quei due giorni Brian aveva visto i muri della sua realtà crollare sotto la totale incertezza. Quattro morti, tra cui una sua compagna, e nessuno che sapesse cosa o chi le avesse provocate. 

E lui non sapeva che cosa fare.
 Come reagire.

Osservare gli altri e scambiarsi opinioni era un modo come un altro per riorganizzare le idee .

Micah e Page si scambiarono uno sguardo. Bastò quello per intendersi. Era così da molto tempo ormai. Due anni. 
"Ci fidiamo di Harry Potter. Ma ci fidiamo molto di più di noi stessi. Possiamo contare l'uno sull'altro. Sempre. E se un gruppetto di Corvonero fa delle indagini per conto proprio... beh, che male potrà mai derivarne?" 


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"Possiamo contare solo su noi stessi Mikey." Il ragazzo biondo si voltò verso il fratello.
Nonostante l'ora tarda e il coprifuoco, entrambi i gemelli Hamato si trovavano dove non dovevano essere, ovvero in cima alla torre di astronomia. 
Era stato Raphael a chiedere a Michelangelo di ritrovarsi lì quella sera.
"Cosa intendi?" Chiese incuriosito. Non era tipico del comportamento di Raphael attirare il gemello in una situazione scomoda e di sicuro per chiamarlo la prima sera in disparte lassù il motivo era serio.
"Hanno ucciso Jo e hanno accusato dell'omicidio Fede. Un mezzo lupo e un mezzo vampiro. Quanto pensi che ci metteranno ad incastrare anche noi in qualche modo?"  Lo provocò il serpeverde. 

Sia lui che Michelangelo erano stati morsi da un lupo mannaro a quattro anni, come forma di vendetta nei confronti della loro madre, che aveva rifiutato le sue advance. Ed erano stati i figli a pagarne le conseguenze. Erano sopravvissuti, certo, ma a che prezzo?

"Quindi secondo te non è stato un caso? L'uccisione di Jo intendo." Sussurrò il Grifondoro guardando suo fratello dritto negli occhi.
Raph fece un respiro profondo prima di dargli una risposta. "Io non lo so se è stato un caso oppure no. Ma collego ciò che vedo. E per il momento noi sembriamo meno al sicuro di altri. Io posso contare su di te e tu su di me. Non abbiamo nessun altro." 

"Quindi dici che non siamo al sicuro neanche qua, ad Hogwarts?" Chiese Michelangelo dopo qualche minuto di silenzio. Lui si fidava dei professori. E le mura del Castello per lui erano una seconda casa. Pensare di non essere al sicuro neanche lì per lui era qualcosa di inconcepibile. Ma a pensarci bene, anche casa sua, che nei primi quattro anni di vita aveva considerato il posto più bello, pacifico e sicuro al mondo, si era rivelata essere un posto dove il male poteva arrivare.

Raphael fissò il fratello per qualche istante prima di rispondere. Era iperprotettivo nei suoi confronti e il suo intento era metterlo in guardia, non spaventarlo. "Ad Hogwarts siamo al sicuro esattamente come in qualsiasi altro luogo. E' più protetta, certo, ma anche per questo è più soggetta ad attacchi. Dobbiamo essere forti e guardarci le spalle l'un l'altro. Jo era molto forte e non è servito, però lei era da sola. Ma tu no. Non ti devi preoccupare: tu non sei solo, tu hai me. Finchè ci sarò io, non permetterò a nessuno di farti del male."

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Caro Chris. 
solo ieri mattina mi hai lasciato gioiosa davanti al treno in partenza per Hogwarts. 
Solo ieri mattina, eppure a me sembrano passati secoli anzichè meno di 48 ore. 
Ciò che sto per dirti non avrei mai voluto scrivertelo per lettera, ma preferisco che tu lo sappia da me piuttosto che leggerlo per caso in un giornale e preoccuparti per nulla. Io sono viva e sto bene. Ma altrettanto non si può dire per quattro persone: l'autista del treno, il macchinista, la signora del carrello e Jo, una mia compagna di casa. Il treno per Hogwarts è stato attaccato. Inizialmente sembravano semplici dissenatori e li abbiamo cacciati facilmente. 
Ti ricordi di Eleonore vero? La mia migliore amica. E' stata la prima a realizzare cosa stava succedendo e a reagire. Probabilmente se non fosse stato per lei, le vittime non sarebbero state solo quattro ma molte di più. Saremmo stati colpiti anche dai dissenatori oltre che... da loro.
Uso il termine "loro" perchè non so di cosa si tratti. Creature oscure, così oscure che hanno risucchiato la vita di quelle quattro persone completamente. Di loro non è rimasto nulla, solo pelle. Niente sangue, niente ossa. 
Non lo so cosa stia accadendo Chris. 
Non lo so io, non lo sanno gli insegnanti e non lo sanno gli Auror. O non avrebbero accusato di tutto ciò una mezza vampira, che era chiaro come il sole che non  avrebbe potuto fare in alcun modo tutto questo. 
E ammetto di avere paura. Paura come non ne ho mai avuta. 
Spero solo che la prima gita ad Hogsmeade arrivi presto, in modo da poterti riabbracciare. 
Ti amo.

Lex

"E così la migliore amica della Grimm ha paura." Sibilò una voce maschile, appallottolando la lettera dopo averla letta ad alta voce.
"Come l'hai avuta?" Rispose una voce sempre maschile, ma molto più profonda.
"Non è stato difficile. Ho intercettato il gufo." Rispose il primo, lanciando il foglio di carta nel fuoco.
Il sorriso sul volto del secondo si allargò, anche se era difficile notarlo, a causa del cappuccio che gli copriva parzialmente il viso. "Ha paura... e fa bene."

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Eccomi qua! La domanda di questa settimana è: qual è la più grande paura dei vostri personaggi?
Alla prossima! ;)


  
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