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Autore: ThisisAlice    03/01/2016    6 recensioni
Jamie. Michael.
Un'alunna e un professore. Un amore proibito, vietato, ostacolato.
Due destini che si uniscono, due strade che si incontrano.
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Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Sei.


 


 

È da ieri pomeriggio che non riesco a smettere di pensare a quanto sia stato strano l'incontro con lui e quanto sia stato strano il suo comportamento. Non era mia intenzione metterlo a disagio, anzi. Volevo solo un chiarimento o un.. veramente non so neanche io bene cosa, ma per colpa della mia boccaccia non sono proprio riuscita a trattenermi. Probabilmente volevo solo capire se sono l'unica dei due a farsi tutti questi problemi mentali, visto che di concreto non c'è niente se non il poco tempo passato insieme. E invece, adesso, devo fare i conti con la realtà e con le conseguenze delle mie azioni.
Credo che tutti qui intorno si siano accorti che stamattina sono molto sovrappensiero: i mille richiami ricevuti da parte dei miei amici e dei miei professori ne sono la prova. Ma proprio non ce la faccio a non pensarci. Chissà cosa succederà tra due ore, quando lo rivedrò. Ebbene si, per mia grande fortuna oggi ho lezione con lui e non ho idea in che tipo di condizioni posso presentarmi nella sua classe.
Per la seconda volta nella mia vita ho paura. Ma non è la stessa provata quando è morta mia madre, no. Quella era paura di rimanere sola, di essere abbandonata, di essere reputata sempre come “la ragazza con solo il papà”. Questa invece è paura di come lui possa reagire, di come comportarmi. Paura di aver superato il limite, di essere stata troppo invadente. E tra le due, non so quale sia peggio. Prima almeno avevo un funto di riferimento, mio padre. Ora non so dove sbattere la testa. Non ho intenzione di rivelare niente a nessuno, almeno per il momento. E so che probabilmente sto esagerando, che non è niente di che.. ma quando si parla di me, di lui, del nostro rapporto divento strana ed è una sensazione così nuova per me e così insolita.
«Jams stai bene?» mi chiede Jake, riportandomi alla realtà. Mi accorgo solo ora di non aver prestato per nulla attenzione al discorso che stavano facendo i miei amici. Per fortuna gli altri non si sono accorti della domanda del ragazzo affianco a me, visto che sussurrava.
«Si perchè?» provo a mentire, anche se so che il mio migliore amico non ha intenzione di bersela. Il suo sguardo la dice lunga e io non posso fare a meno che lasciarmi andare sulla sedia, sotto i suoi occhi castani che ancora si ostinano a indagare imperterriti.
«Stai torturando il braccialetto da questa mattina e sei..» mi sistema una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio «..pensierosa» conclude.
«Sono solo stanca ultimamente» dico, ammettendo un po' la verità. Alla fine è vero, almeno per metà. Certo, non gli ho detto il motivo vero e proprio ma non posso uscirmene con un “sono stanca perchè mi sto accorgendo di provare qualcosa a me sconosciuto per un nostro insegnante”. Mi scambierebbe per una psicopatica e mi farebbe, quasi sicuramente, una ramanzina di due ore. E non ho proprio bisogno che anche lui mia dia contro.
«Mi dispiace, se c'è qualcosa che posso fare..» mi dice, sorridendo comprensivo. Forse ha capito di non andare oltre, ma so per certo che la questione non finirà qui.
«Lo so, grazie» rispondo dolcemente. Posso essere stronza, cinica e tutto quello che volete, ma voglio un bene dell'anima a questo ragazzo e gli credo davvero quando dice di esserci sempre per me. È la verità e me l'ha sempre dimostrato in questi anni. Gli sono davvero grata. «Sei pronto per letteratura?» chiedo, cambiando discorso e provando a riprendere contatti con il mondo reale.
«Guarda, lasciamo perdere» dice plateale lui, sbuffando sonoramente. Non posso fare a meno di ridere di fronte all'angoscia che prova, la odia davvero questa materia.
«Buongiorno ragazzi» dice entrando la signorina Mejer, con quella sua vocina fastidiosamente acuta.
«Parli del diavolo» sussurra il mio compagno di banco, facendomi scappare una risatina sommessa.
«E spunta lei» conclude al suo posto Liam, dietro di noi, facendomi letteralmente scoppiare a ridere come una completa idiota. Forse devo aver esagerato, visto che il soggetto dei nostri discorsi in questione mi lancia un'occhiata fulminante che mi fa letteralmente ammutolire. Che simpatia.

«Oggi interroghiamo..» inizia la frase la professoressa, ma viene interrotta da qualcuno che sta bussando alla porta. Tutti noi sappiamo quanto lei si irriti se viene stoppata mentre fa lezione, perciò nessuno di noi osa fiatare dopo il suo scocciatissimo “avanti”.
La sua espressione cambia totalmente quando vede comparire il giovane professore di matematica. Il suo fascino ha colpito addirittura questa mummia della Mejer. Ma più che altro, che diamine ci fa lui qui?
Osservo ogni sua mossa, analizzo ogni sua singola parola, immagazzinandole una ad una nella mia mente. Vedo muoversi le sue labbra formando delle scuse per essere piombato così inaspettatamente, lo seguo con lo sguardo arrivare a grandi falcate vicino alla cattedra e parlare con la nostra insegnante, che annuisce alle sue parole, seppur un po' contrariata. Smetto di essere in questo mondo parallelo fatto solo di Michael Penniman e dei suoi gesti, delle sue parole dei suoi movimenti, solo quando sento la Mejer pronunciare il mio nome completo.
Sbatto velocemente le palpebre e aggrotto le sopracciglia: cosa ho fatto ora? Mi guardo intorno spaesata, ricevendo occhiate confuse da Liam e Jacob, alle quali rispondo allo stesso modo. Non ho la più pallida idea di cosa voglia da me.
Mi alzo il più lentamente possibile, andando poi verso la cattedra dove mi attendono i due professori. Mi metto lontano da Michael. È da stamattina che provo ad evitarlo e ora, lui che fa? Mi chiama addirittura in classe.
«Ho parlato con la gentilissima signorina Mejer» inizia lui, rivolto a me. Gentilissima? Ma che ruffiano. «Ha dato il permesso di farti uscire per un po', ti devo parlare di una cosa e preferirei farlo a quattr'occhi» conclude, facendomi gelare il sangue nelle vene. Di cosa vuole parlare? Di ieri pomeriggio? Degli incontri extrascolastici che facciamo? Sono mille le domande che frullano nella mia testa e tutte sono senza risposta.
Annuisco semplicemente, incapace di formulare una frase di senso compito e, dopo un cenno di Michael, lo seguo fuori dalla classe, non prima di aver lanciato un'occhiata titubante a Jake. Lui capirà. 

«Hai voglia di un caffè?» mi domanda lui, interrompendo quello strano e imbarazzante silenzio che si era creato tra di noi. Per quanto questa situazione sia surreale, un caffè un si rifiuta mai. Perciò annuisco, sentendo la bocca di colpo secca. Solo ora mi sto rendendo conto che siamo completamente da soli, a scuola, e che lui vuole parlarmi, di non so cosa oltretutto. E io me la sto seriamente facendo sotto.
Dopo essere arrivati alle macchinette, lo osservo mentre inserisce due monetine e prende due tazze di liquido bollente, una per me e una per lui. «Vuoi lo zucchero?» chiede gentilmente, dopo averne messo due cucchiaini dentro il suo. Sorrido.
«Sì grazie» riesco a dire finalmente dopo essermi schiarita la voce «Devo ridarti i soldi» accenno al fatto che lui mi abbia offerto il caffè senza neanche avermi fatto tirar fuori il denaro.
«Ma ti pare? Lascia perdere» dice ponendo fine alla nostra breve battaglia su chi dovesse pagare. Poi mi fa cenno con la testa di seguirlo e indica le scale che portano al secondo piano. Cammino affianco a lui e non possono non notare la differenza di altezza tra di noi. È strano come io non l'abbia notata prima, visto che tra di noi ci corrono venti centimetri buoni. Nonostante io sia alta per essere una ragazza, lui lo è sicuramente troppo nonostante sia un ragazzo.
Di colpo lo vedo abbassarsi e sedersi sulle scale, azione che imito con ancora il caffè bollente nelle mani. Per altri istanti ritorna il silenzio di prima, con lui che mi osserva. Così decido di prendere i mano la situazione. «Allora posso sapere il perchè della mia uscita?» chiedo osservandolo, mentre soffio sulla mia tazzina.
«Ah sì, giusto» si ricompone lui, abbassando lo sguardo come se fosse stato colto in flagrante. «Volevo parlarti dei tuoi disegni» dice di punto in bianco. Ok, ora sono confusa. Guardo sorpresa e incuriosita il ragazzo vicino a me, incitandolo a continuare.
«Io e la signorina Coleman siamo entrambi dell'idea che tu sia molto brava» dice sorridendo calorosamente, per poi bere un sorso del suo caffè.
«Uhm..okay. Grazie, suppongo» balbetto io. Non ho idea di dove vuole andare a parare, se mi ha fatto uscire dalla classe solo per farmi i complimenti beh, è davvero davvero insolito. Poteva benissimo dirmelo in qualche altro momento.
Lo sento ridere. È una bella sensazione. Mi rendo conto che mi piace farlo ridere, mi piace essere la causa di quel sorriso da bambino che gli si forma. Così rido anche io, a mia volta, un po' contagiata dalla sua risata cristallina, un po' rendendomi conto di quanto la mia frase risulti essere stupida.
«Fammi arrivare al punto Jamie» replica lui, non perdendo il suo sorriso genuino. Appoggio il caffè realmente interessata a quello che mi vuole dire e alzo le mani a mo' di resa, lasciando intendere di continuare. «C'è una mostra alla Courtauld Gallery e abbiamo pensato che sei una delle poche persone in questa scuola a cui potrebbe interessare» conclude, guardandomi, stavolta un po' più serio, negli occhi.
Avevo sentito parlare di questa mostra, ma per quanto volevo andarci, non ero riuscita a trovare i biglietti entro il tempo disponibile. Perciò dopo la sua proposta sono un misto tra lo stupita e il meravigliata. «Davvero?» domando per avere un'ulteriore conferma.
Michael mi sorride, mentre mi annuisce. Mi ritrovo a sorridere anche io, davvero contenta per quanto mi ha detto. «Sei contenta, a quanto pare» dice lui.
«Volevo andarci» ammetto solamente, riprendendo il caffè e bevendone un sorso «Chi sono gli altri ragazzi che vengono?» chiedo poi. Chissà, forse verrà anche Jasmine o Kevin, a loro piace moltissimo questo genere..oppure Peter o Matilde.
Lo sento tossicchiare imbarazzato, mentre mi ravvivo i capelli con una mano. Mi giro verso di lui, percependo immediatamente che c'è qualcosa che non mi ha detto. «Siamo solo noi due» sussurra, come se mi stesse confidando un segreto.
Spalanco la bocca, sorpresa più che mai. «Ma lei non è un professore di arte» realizzo, provando a convincerlo a non venire «Non dovrebbe venire, che ne so, la Coleman?» chiedo con ovvietà. In fondo sto dicendo la verità, è lei ad insegnarmi arte, non lui. Anzi, Michael non centra assolutamente niente con questo.
«Ehm, sì» ammette titubante lui «Ma oggi proprio non poteva, così come gli altri ragazzi che avevamo scelto» spiega lui, per poi proseguire senza lasciare che io ribatta «Compiti in classe».
Annuisco, incapace di fare altro. Non ho intenzione di rinunciare a questa mostra e se questo vuol dire passare due ore con lui, beh, va bene. «Uhm.. okay» dico, perciò.
«Sei sicura?» dice piuttosto stupito. Forse si aspettava una risposta diversa, visto la nostra ultima conversazione di ieri. Ma comunque lo vedo aprirsi in uno dei suoi sorrisi che ti tolgono il fiato, mentre annuisco più o meno convinta. Alla fine è solo una galleria, no?
«Bene. Passo a prenderti o ci vediamo là?» mi chiede Michael, con sempre un non so che di incerto nella voce. Realizzo che non sono l'unica a sentirsi impacciata, nonostante avessi fortemente creduto di essere la sola tra i due. E invece persino un ragazzo, o meglio, un uomo di venticinque anni può trovarsi in difficoltà.
«Vediamoci fuori dalla galleria» sputo fuori, forse un po' troppo velocemente. Provo a rimediare con un sorrisino, non vorrei che pensasse che non mi piace la sua compagnia, anzi tutt'altro. È che non voglio che qualcuno pensi male, e già il fatto che andiamo completamente da soli non fa che peggiorare le cose.
Annuisce alle mie parole, ricambiando con un sorriso più grande, uno di quelli che ti abbaglia all'istante, uno di quelli da custodire gelosamente nella propria memoria. «16:30 davanti all'entrata?» domanda, allora.
Annuisco convinta, questa volta «Perfetto» gli dico, alzandomi per buttare il caffè ormai finito. Allungo la mano, cercando di prendere anche la sua tazza vuota, ma Michael, con un balzo repentino, si alza e mi sfila la mia dalle mani, per poi superarmi e andare verso il cestino. Rimango a fissare sbalordita il punto dove era seduto prima, per poi girarmi divertita. «Ehi» lo ammonisco ridendo «Per una volta che ero gentile» esclamo, continuando a ridere.
Ride anche lui, contagiato -credo- dalla mia risata o dalla mia battuta. Anche se in realtà non era affatto una battuta. «Credo che sia meglio che ti riporti in classe, altrimenti Aline ucciderà sia me che te» borbotta, riferendosi quasi più a se stesso che a me.
«Aline?» chiedo ancora più divertita.
«La Mejer» spiega lui, semplicemente, scrollando le spalle con noncuranza. Mantiene il suo solito sorrisetto sulle labbra. E io con lui.
«La Mejer ha un nome?» domando ironicamente, fingendomi veramente sorpresa e scioccata. Mentre lo dico, mi fermo di botto e poggio una mano sul suo braccio, facendogli arrestare la sua camminata verso la mia classe di letteratura.
Mi scocca uno sguardo di ammonimento, ma nonostante ciò continua a sorridere divertito, restando al gioco. «A quanto pare sì! Chi l'avrebbe mai detto?» esclama platealmente lui, prolungando la scenetta. Rido alle sue parole, senza curarmi del fatto che stiamo -più o meno- prendendo in giro una sua collega e che ci stiamo comportando come due ragazzi normali, non più come un'alunna e un professore. E per quando mi renda conto che questo sia sbagliato, che tra di noi deve esserci il giusto distacco professionale, non mi interessa. Neanche un po'.
Dopo pochi attimi, fatti solamente delle nostre risate e delle nostre battutine ironiche, siamo giunti a destinazione. L'aula di letteratura, dove quel demonio di Aline starà sicuramente interrogando qualcuno. Sbuffo sonoramente. Non vorrei lasciare Michael, mi trovo bene con lui. Ma più che altro non voglio sorbirmi un'altra ora della Mejer.
«Ci vediamo alle 16:30 quindi, okay?» si assicura, ancora una volta il mio bel professore di algebra. Annuisco alle sue parole, sorridendo sinceramente. Alla fine non è male per niente passare un pomeriggio con lui, senza libri o senza formule di matematica.
«A dopo allora» mi saluta lui, mentre mi sistema dietro l'orecchio la stessa ciocca ribelle che mi aveva precedentemente aggiustato Jake. Inutile dire che sono incapace di formulare una frase con un soggetto, un predicato e che so, anche un complemento. Faccio 'si' con la testa, non avendo la capacità di fare altro.
Mi lascia un ultimo sorriso, sta volta un po' divertito, e se ne va. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non svolta l'angolo, probabilmente sta andando verso la sala professori.
«Merda» mi lascio andare. 









 

  
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