Lo Specchio delle Anime.
One of
the most difficult things to think about in life is one’s regrets.
Something will happen to you, and you
will do the wrong thing,
and for years afterward you will wish
you had done something different.
[Lemony Snicket – Horseradish]
Atto II – Parte II
Ossimoro.
Dicasi Ossimoro la figura retorica che consiste nell’accostamento di
termini in antitesi fra loro. Ossimoro
poteva essere l’accostamento calda neve,
oppure dolce veleno. Meglio ancora,
ossimoro era l’accostamento Granger-Malfoy,
che al Ministro della Magia era sembrato così vincente.
«Se me l’avessi raccontato…
diciamo otto anni fa, avrei dato per scontato che qualcuno ti avesse scagliato
un Confundus, sai?» rise il mago
stravaccato sull’elegante divano stile Luigi XIV. Il velluto rosso dei cuscini si sposava
meravigliosamente col verde del suo maglione, quasi avesse scelto i suoi abiti
proprio per quel pezzo di mobilio.
«Nessun Confundus, posso assicurartelo» disse lui, con una risata secca,
osservando con cupo piacere le sfumature ramate che il suo Whisky incendiario
assumeva riflettendo le fiamme dell’enorme camino di marmo. «Shacklebolt si è
detto entusiasta, questa mattina.
Secondo il suo modesto parere, la mezzosangue
non si sarebbe certo rifiutata di collaborare con me e, unendo le nostre immense capacità, potremmo ottenere
abbastanza risposte da mettere fine a questa combutta infinita contro lui e
contro tutto il nuovo Governo».
Blaise Zabini scoppiò in una
risata assolutamente inarrestabile, ad un passo dal mettersi a piangere. Il suo
migliore amico lo fissò per tutti i tre minuti che gli servirono per smetterla
di chiocciare come una gallina e ritrovare quel minimo di dignità che gli
consentisse di rapportarsi con lui o, più in generale, con qualunque essere
umano.
«Immagino che la Granger
fosse estasiata all’idea, vero?» gli
domandò, con la voce ancora tremolante, le labbra strette per tentare invano di
contenersi. «Secondo te lo ha schiantato? Oppure è arrivata subito ad una
Maledizione Senza Perdono?».
Malfoy alzò gli occhi al
cielo, liquidando il piccolo elfo che tentava invano di fargli mangiare dei
biscottini alla cannella. Anni addietro l’avrebbe schiantato, dopo la terza
offerta, ma aveva perso interesse nella sofferenza delle creature più deboli.
- Eri tu il debole, quella volta, non è vero?
«Quando sono andato via, era
troppo sotto shock per avere delle reazioni vere e proprie. Ma il suo sguardo è
stato impagabile» ammise, con un ghigno. I suoi occhi di ghiaccio si posarono
nuovamente sul contenuto del bicchiere. «Avresti dovuto vedere la sua faccia,
Blaise. Boccheggiava come un pesciolino fuor d’acqua».
Il giovane uomo davanti a lui
si raddrizzò sul divano, fissandolo accigliato. «Da quando paragoni la Granger
ad un pesciolino?» chiese, allibito,
per poi sbuffare. «Non rispondere, non mi interessa. Chiedevo soltanto per amor
di pathos».
Draco alzò gli occhi al
cielo, incurante del commento fatto dall’amico. «Non è per questo che ti ho
chiesto di venire, lo sai» sbuffò quindi, lanciandogli uno sguardo storto, per
poi sollevare leggermente il braccio destro. Il dolore era aumentato al punto
da non farlo dormire per due notti di seguito, stava iniziando a risentirne.
Il lavoro stava iniziando a risentirne.
Blaise fece una smorfia
preoccupata, alzandosi svogliatamente dal divano e facendo segno all’altro di
raggiungerlo nell’unica poltrona vicina alla borsa da Guaritore poggiata sul
tavolino. Sembrava molto leggera, nonostante fosse piena di pozioni e scorte
medicinali di ogni tipo, legali o meno.
«Non dovresti aspettare di
raggiungere livelli critici, lo sai» lo rimproverò Zabini. «Serve sempre una
dose maggiore ed io potrei non procurarmela tanto facilmente»
Draco lo guardò sconcertato,
prima di tirare fuori il migliore fra i suoi sorrisini soddisfatti. «Amico,
contrabbandi pozioni fin dal terzo anno di Hogwarts. Negli ultimi anni le più
assurde sembrano arrivare prima nelle tue scorte che nelle farmacie».
«Questo è perché io, mio
caro, ho intenzione di sposare questa
mia passione per le pozioni» ammise l’altro, con un sorriso ancora più
enigmatico. Tirate fuori un paio di boccette dalla borsa, gli fece cenno di
avvicinarsi, l’ilarità quasi completamente sparita dal suo viso. «Quando ha
ricominciato a far male?».
Il biondo si strinse nelle
spalle, iniziando a sollevare la manica della camicia. Come sempre, quel
semplice gesto gli provocò delle fitte così dolorose da fargli quasi lacrimare
gli occhi. Se non avesse sopportato di peggio, nella sua giovane vita, non
avrebbe retto quelle sensazioni. Non avrebbe retto alla vista di quel simbolo.
Dove un tempo la pelle era
immacolata e bianca come il latte, da oltre otto anni viveva – perché era vivo, Draco non aveva il minimo dubbio al
riguardo – il marchio della vita che per poco non aveva rovinato tutta la sua
esistenza, quella vita che era stata scelta per lui e che, alla fine, lui si
era deciso a mettere da parte.
Il marchio nero.
Blaise emise un fischio
sconcertato, notando il serpente d’inchiostro muoversi come in agonia. La pelle
tutt’intorno sembrava ustionata, completamente
coperta di vesciche e carne viva.
«Deve farti un male
dell’Inferno. Mi chiedo ancora per quale motivo tu non sia andato al San Mungo»
sbottò il Guaritore, stringendo le labbra con disapprovazione. Le sue dita
abili sfiorarono la ferita con una delicatezza quasi incredibile, considerata
la stazza dell’uomo, ma il dolore che l’altro provò fu comunque inimmaginabile.
«Al San Mungo quelli come me
finiscono fra le mani degli inetti» sbuffò Malfoy, sospirando quando la presa
sulla ferita si allentò. «L’ultima volta che Goyle ha
provato a farsi curare un braccio rotto, ne è uscito con tre litri di sangue in
meno» spiegò, mogio, accomodandosi sulla poltrona quando cominciò a sentire le
gambe tremare. «Piuttosto, quanta di questa robaccia credi di potermi
procurare? Non ho la più pallida idea di quanto possa durare questa missione»
Blaise fece una smorfia,
iniziando a far cadere qualche goccia di pozione puzzolente sul braccio
dell’amico. «Te ne farò avere un bauletto, pomeriggio» gli disse, tutt’altro che contento. «Ripetere quanto ritengo stupido
tutto questo non ha senso, giusto?».
«Ti ripeterei soltanto di non
avere altra scelta» Draco allungò il braccio sano per afferrare la bottiglia di
Whisky sul tavolino. Bevve una lunga sorsata, nel disperato tentativo di
diminuire il male che stava provando. «Questo è il prezzo da pagare»
«Per cosa?»
«Per il rimpianto, Blaise. Per il rimpianto»
***
C’era una puzza soffocante di
erba, quel pomeriggio. Avrebbe dovuto
convincere la segretaria del dottore a lasciare la porta aperta, fra un
appuntamento e l’altro, così da far cambiare un po’ l’aria lì dentro. Alcune
persone avrebbero potuto non sopportare quella cappa.
«Sigaretta, Draco?»
«Sì, grazie»
Non che a lui importasse più di tanto, in realtà.
«Allora…» iniziò il dottore,
passandogli una sigaretta appena rollata ed una scatola di fiammiferi.
Raramente tirava fuori la bacchetta, quando c’era lui in giro. Draco non poteva
dargli tutti i torti. «Cos’è successo di nuovo, nell’ultima settimana?»
Il giovane mago sprofondò
nella poltrona, dopo aver acceso la sigaretta. Il fumo dolciastro gli fece
bruciare gli occhi, ma la terribile emicrania che l’aveva preso dopo l’incontro
con Blaise si alleviò un po’, facendogli tirare un sospiro di sollievo. Dal
tavolino accanto a lui, afferrò lo stesso libro che aveva iniziato nella scorsa
seduta, ritrovando addirittura il segnalibro – l’involucro di una caramella mou – che lui stesso vi aveva lasciato.
«Mi è stato proposto un nuovo
lavoro. Questa volta dai piani più alti» gli disse alla fine, dopo aver fatto
un paio di tiri. Guardò l’uomo, quando lo sentì ridacchiare come una vecchia
comare, ma decise di non approfondire. Non dubitava che quel tizio avesse
problemi ben più grossi dei suoi, ma era grazie a lui se era riuscito a rifarsi
una vita, dopo la guerra.
«Da solo?» chiese quello,
allora, fissandolo con la coda dell’occhio mentre sistemava dei fogli su un
mucchietto preesistente. «Oppure ti hanno dato compagnia, questa volta?».
Draco si accigliò. «Perché me
lo chiede?»
Il dottor Crave
si strinse nelle spalle, con un’aria incurante fasulla quanto i capelli rossi
della sua segretaria. «Solitamente non tiri in ballo il tuo lavoro fin quando
non l’hai portato a termine. Ho dedotto sia cambiato qualcosa e, visto che
stimi così tanto la tua solitudine, ho optato per la compagnia forzata» spiegò,
con un sorrisino rilassato. «Ho ragione, vero?»
Dal canto suo, il giovane non
era affatto convinto di quella spiegazione, ma se la fece bastare. Non era il
medico quello in cura e non era lui a tirar fuori trenta galeoni d’oro alla
settimana. Per questo, si limitò ad un gesto vago della mano, accavallando
elegantemente le gambe. «Non mi chiede come mi sento al riguardo?»
Il dottore lo guardò da sopra
le piccole lenti rotonde, le sopracciglia così sollevate da raggiungere
l’attaccatura dei capelli. «Sembri smanioso di raccontarmelo. Come mai?»
«Perché lei mi spaventa» ammise lui, tranquillo, guardandosi le unghie
perfettamente curate della mano sinistra. «Rappresenta tutto ciò da cui sono
scappato e da cui avrei preferito continuare a scappare, nonostante non sia
possibile»
«Perché impossibile?» il
dottor Crave sembrò improvvisamente incuriosito dalle
sue parole. Fin dalla prima volta in cui si erano incontrati, Malfoy non aveva
fatto altro che sbandierare il suo essere capace di realizzare qualsiasi cosa. «Non
eri tu quello del “Impossibile è il mio
secondo nome”?» aggiunse infatti, ironico.
«Uno dei tanti, in realtà»
convenne Draco, stringendosi nelle spalle, dopo aver aspirato un altro po’ di
fumo. «Draco Impossibile Infallibile Lucius Malfoy» si vantò, nonostante fosse evidente l’ironia
nelle sue parole. C’era stato un tempo, anni addietro, in cui avrebbe creduto
ciecamente nella realtà di quegli appellativi. Ma quel tempo era passato,
cancellato da una maschera bianca riposta nel più piccolo, vecchio ed
inaccessibile baule del Manor.
«E questa infallibilità da
cosa dipenderebbe? Illuminami»
Il giovane ghignò,
raddrizzandosi leggermente sulla poltrona. «Un nomignolo che si è diffuso fra
le mie numerose amanti, prima, e poi nel mio ambiente lavorativo. Sa, io non
fallisco mai un colpo» si pavoneggiò,
prima di sospirare, sarcastico. «Naturalmente, queste persone non sapevano
nulla del mio fallimento più grande»
«L’assassinio del Preside?»
tentò l’uomo, assottigliando lo sguardo. Spesso anche lui trovava difficile
seguire il filo dei pensieri di quel giovane, che tante pene aveva avuto nel
suo passato. Da quando gli aveva raccontato l’episodio in questione – dietro un
voto infrangibile, tanto era terrorizzato – lui non aveva fatto altro che
tentare di riportarlo a galla. Solo in quel modo, infatti, credeva di poterlo
aiutare ad affrontare i suoi fantasmi.
E forse esorcizzare anche i
suoi.
«No. Ma non voglio parlarne»
Non che Malfoy collaborasse, ovviamente.
«Vuoi dirmi perché è
impossibile continuare a scappare, secondo te?» gli domandò allora, afferrando
una penna a sfera dalla scrivania vicina, scribacchiando qualcosa sul suo
taccuino. «Dopotutto, è da questo che siamo partiti. Un amante delle sfide che
si da per vinto deve avere una ragione molto più che buona, non credi anche
tu?»
Il giovane fissò con aria
torva il tavolino che aveva davanti ed il dottore si ritrovò a ringraziare di
avergli vietato la bacchetta. Continuando su quella strada, avrebbe fatto
saltare in aria qualcosa per il solo piacere di infastidirlo.
«Non posso scappare dal mio
passato. Tornerà sempre a farmi visita» ammise controvoglia, tornando a
stravaccarsi sulla poltrona, improvvisamente dimentico di ogni buona maniera
insegnatagli da sua madre. «Non che io possa permettermi di sperare in qualcosa
di diverso. Ho una ricordella ancorata al braccio»
sbuffò, sollevando svogliatamente il braccio destro, su cui, sotto la camicia
bianca, spiccava una fasciatura molto recente.
Newton Crave
si accigliò, improvvisamente preoccupato. «Ha ricominciato a far male? Credevo
avesse smesso, dopo l’incantesimo di cura» disse, raddrizzandosi.
La sua preoccupazione era più
che altro legata al fatto che lui stesso avesse partecipato alla preparazione
di quell’incanto, capace di far sbiadire il Marchio Oscuro con una
somministrazione regolare nell’arco di sei settimane. Tutti i pazienti –
Mangiamorte di Azkaban, Mangiamorte pentiti –
sembravano aver reagito positivamente al trattamento, arrivando alla guarigione
completa anche in tempi più brevi rispetto a quelli previsti.
Draco fece un altro tiro,
inspirando il fumo. Poi, con uno sbuffo, alzò gli occhi in quelli del suo
psicologo. «Con me non ha mai funzionato, dottore» ammise. «Il mio Marchio si è
ribellato, si è rifiutato di andare via. Ancora oggi non fa che distruggermi
dall’interno, una lotta senza fine fra ciò che sono e ciò che ero»
Il dottor Crave
lo fissò, sconvolto, per poi massaggiarsi gli occhi con pollice e indice della
mano destra. Sembrava improvvisamente stanco, deluso. Draco non sapeva se
l’ultima emozione fosse riservata a se stesso o a lui.
«Dottore?»
«Questo significa che non
sono serviti a niente» ammise alla fine, cupo, alzandosi in piedi per afferrare
una bottiglia di Rum da sopra la mensola del camino. Non si disturbò a prendere
un bicchiere, bevendo direttamente da lì. «Tutti i nostri incontri… sono stati
assolutamente inutili».
«Cosa vuole dire?»
«Voglio dire, Malfoy, che il
mio compito era quello di farti accettare te stesso, per farti andare avanti.
Ma tu…» sospirò ancora, nervoso. «Tu non sei cambiato. Ti sei semplicemente rassegnato» sbottò, guardandolo come se
gli avesse assassinato il gatto.
Gatto che, giusto per
chiarezza, adorava Draco. Anche in
quel momento, il vecchio blu di Russia – chiamato Schopenhauer, nome che Malfoy
proprio non riusciva a comprendere – si trovava fra i suoi piedi, piuttosto che
sotto la poltrona del suo padrone, dove risiedeva durante tutte le sedute. Era
una bestiola di oltre quindici anni, a detta del medico, magro come un asticello ma pigro come un bradipo. Draco sospettava che
avesse inalato così tanti fumi alternativi
da essere diventato stupido. Oppure un drogato cronico.
O magari entrambi.
«Cosa sta cercando di dirmi,
dottore?» domandò alla fine, non avendo il minimo interesse a fare il solito
giochino per indovinare cosa stesse passando per la mente di quell’uomo. «Abbiamo
solo un’ora, se vuole passarla fissandomi in cagnesco posso togliere subito il
disturbo. Mi basta andare a trovare mio padre, per questo»
Il medico digrignò i denti,
fissandolo malamente. «Tu non ti rendi proprio conto, vero?» gli domandò, con
un sibilo, per poi passarsi una mano fra i capelli e sospirare. «Bene, non
importa. Non esiste il tempo perso, solo quello speso in modo alternativo. Risolveremo tutto, in
qualche modo».
Draco inarcò le sopracciglia.
«Tempo alternativo? Ha inventato questa definizione per giustificare la
pigrizia?».
«No, l’ho trovata quando
passato i pomeriggi in compagnia,
piuttosto che studiare per i miei esami».
Si guardarono entrambi con un
ghigno complice, stemperando ancora di più la tensione che si era creata nella
stanza. C’era così tanto testosterone, fra quelle quattro mura, da far venire
il mal di testa a qualunque animale dotato di un fiuto più affilato del
normale. Tranne per Schopenhauer, lui era ridotto troppo male per poter sentire
qualunque cosa.
«Quindi l’incantesimo su te
non ha mai fatto effetto, dico bene?» chiese lo psicologo, riaccomodandosi
sulla sua vecchia poltrona e fissando il suo paziente da sopra le piccole lenti
rotonde. Quel suo sguardo inquisitore aveva sempre infastidito l’altro, che
però era riuscito, col tempo, ad abituarsi. Il dottor Crrave
aspettò che annuisse, prima di continuare. «Certo, un caso più unico che raro.
Ha sempre funzionato. Ma tu mi sembri
tranquillo, come mai?»
Draco emise una risatina
sarcastica, sollevando appena gli occhi di ghiaccio sul suo psicologo. «Come ho
detto, niente è impossibile, per me. Non c’era modo che l’incantesimo fallisse?
Beh, io ho dovuto confermare il
contrario» disse, tornando a guardare le pagine del libro che aveva preso ma
non ancora iniziato a leggere. Aveva dimenticato di aver scelto una storia
babbana, un certo Macbeth, costretto dalla moglie ad
andare contro le più basilari regole della società per ottenere potere e fama.
Senza sapere perché, Draco
sperò che quel tipo avesse ottenuto un lieto fine.
«Non prendermi in giro,
Malfoy. Sono quattro anni che sopporto te ed il tuo insopportabile sarcasmo,
dacci un taglio» lo rimproverò l’uomo. «Non costringermi a toglierti la voce e
farti rispondere con una sola parola. Non saresti il primo» minacciò poi,
puntandogli contro il dito.
Il gatto, dalle gambe del
giovane, sgusciò via e si rifugiò sul vecchio poggiapiedi, grattando un po’ il
cuscino con le unghiette, per poi rilassarsi ed
iniziare a ronfare.
«Sa, dovrebbe farlo vedere ad
uno specialista. Non è normale che si addormenti così velocemente… sembra
morto».
«Non cambiare discorso,
ragazzo».
Draco alzò gli occhi al
cielo, sbuffando sonoramente.
«Ho una teoria» ammise
soltanto, scorrendo un altro paio di righe nel libro. «Ma non ho voglia di
parlarne adesso. Diciamo soltanto che, se ho ragione, probabilmente convivrò
con questo dolore finché l’universo non mi farà un favore e mi manderà
nell’inferno che mi merito».
Il dottore non gli staccò gli
occhi di dosso, increspando leggermente le labbra. Nei suoi occhi, Draco
riusciva a notare tutte le macchinazioni che quel suo bizzarro cervello stava
elaborando. Continuò in quel modo per almeno due minuti interi e, alla fine, si
voltò per afferrare due bicchieri dal tavolino alle sue spalle. Ne porse uno al
ragazzo e, un momento dopo, appellò una nuova bottiglia di Scotch.
«Non dirmi nulla, d’accordo»
disse alla fine, riempiendo di liquido ambrato entrambi i calici. «Se non vuoi
parlarmene, è inutile insistere. Inizieresti a mentire come sempre e perderemmo
tempo prezioso».
Il giovane si accigliò. «Rinuncia?
Davvero?» chiese, sinceramente confuso. «L’ultima volta che non ho risposto
alla sua domanda ha minacciato di mettermi il veritaserum
nello-» si fermò, abbassando gli occhi sullo Scotch che aveva già assaggiato. «Sta
cercando di avvelenarmi di nuovo? Non
avevamo detto basta a questi trucchi da Auror?» sbottò, irritato, spingendo di
alto il bicchiere.
Il dottore scoppiò in una
risata allegra, per poi alzare gli occhi al cielo. «Bevi e prova a dire una
bugia, ma posso assicurarti che stavolta non ti ho avvelenato. Voglio soltanto
andare avanti con le sedute, senza perdere tempo».
Naturalmente, Draco non si
fidò. C’era una foto di Newton Crave nei sotterranei,
lo stesso Piton aveva spesso confermato quanto
quell’uomo fosse stato d’esempio per i veri
Serpeverde: studente modello, Prefetto e pure Caposcuola, senza mai perdere
fascino o il primato nella vita sociale di Hogwarts.
Mantenendo lo sguardo
corrucciato, sorseggiò ancora un po’ di liquore, per poi guardare il medico
negli occhi. «Io ritengo che lei sia un grande mago ed un gentiluomo
impeccabile… è vero, non mi ha avvelenato» constatò, mentre l’altro gli
lanciava un’occhiataccia. «Ma io ancora non mi spiego per quale motivo ha
deciso di lasciar perdere. Non è da lei» assottigliò lo sguardo. «Cos’è,
l’andropausa sta iniziando a colpire? Crisi di mezz’età che lo rende meno
paziente? Oppure ha un appuntamento galante con qualcuna delle sue prostitute e vuole raggiungerla prima?
Le fa un buon prezzo?».
Se lo scopo del giovane era
quello di provocare l’altro, non sarebbe servito un genio per comprendere che non
l’avesse avuta vinta. Il dottore si limitò ad inarcare le sopracciglia, con un
ghignò compiaciuto, e bevve d’un colpo tutto il contenuto del bicchiere. «Posso
giurare di non aver mai pagato per avere compagnia. Di solito sono loro a
pagare me»
Il giovane rise, gettando il
capo indietro. «Mi sta dicendo di aver fatto la prostituta, dottore?».
L’uomo si strinse nelle
spalle, noncurante. «Mi annoiavo facilmente, da giovane. Ed ho mantenuto gusti
costosi anche dopo esser stato cacciato di casa».
«Dottore!»
Crave alzò le mani, arretrando contro lo schienale della poltrona. «Ero una
sgualdrina d’alta società, solo le migliori signore purosangue potevano
permettersi il sottoscritto».
Dopo quell’affermazione,
entrambi restarono in silenzio per qualche istante, squadrandosi a vicenda.
Infine, fu il dottore stesso a cedere, con un sospiro.
«Tu e questa tua nuova
collega… quando inizierete?» domandò, accavallando le gambe elegantemente.
«Venerdì inizieremo il
programma, abbiamo una visita da fare. Dovremo girare un bel po’ per trovare la
soluzione giusta» rispose il giovane, con un ghigno. «Una parte di me è
terrorizzata all’idea, l’altra, invece, non vede l’ora».
«Come mai?»
«Ah, dottore… ho passato i
sei anni della mia formazione scolastica a tentare di infastidire quella donna.
Immagini la faccia che potrebbe fare, dall’alto della sua carriera al
Ministero, scoprendo di essere lei la
mia assistente e non l’opposto» si
pavoneggiò, con un ghigno sardonico.
«Potrebbe anche metterti i
bastoni fra le ruote, non credi?»
Draco si strinse nelle
spalle, con l’aria soddisfatta di un gatto accanto ad una ciotola di latte. «Potrebbe,
ma sarà troppo impegnata a tentare di non uccidermi».
*** *** *** ***
»Marnie’s Corner
Bentrovati, voi che avete aspettato una settimana, e benvenuti, voi che siete
appena giunti!
Come
avevo preannunciato, anche questo è un po’ un capitolo di passaggio, ma con più
informazioni.
Prima
di tutto: sorpresa! Crave è lo psicologo di entrambi! Non è curioso?
Vi
assicuro che lui adora questa cosa.
Punti
importanti:
» La
citazione è di Lemony Snicket,
autore che io adoro. Il fatto che
riguardi il rimpianto non merita spiegazioni, credo. Malfoy rimpiange il suo
passato e questo sembra influire sul suo presente.
» Crave è un Guaritore a dir poco geniale. Ha partecipato a questa cura, ma nessuno ospedale riesce a
tollerarlo. Diciamo pure che si considera uno spirito libero.
»
Blaise Zabini è un Medimago ad un passo dal
concludere gli studi. Draco chiama lui perché i pregiudizi verso quelli come
lui sono troppo forti per garantirgli un’assistenza adeguata.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri
pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei
avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Grazir ancora a
chiunque leggerà,
-Marnie