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Autore: effe_95    18/01/2016    3 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
35.Solo per un po’, Pensavo tu fossi triste e Egoista.


Gennaio

Sonia trovava crudele il modo in cui il tempo si stesse prendendo gioco di loro.
Non nevicava, non pioveva, non faceva freddo, il cielo era chiaro e limpido, con un pallido sole che illuminava tutto, riscaldando fugacemente i loro volti.
Era crudele che la prima giornata bella d’inverno capitasse il giorno del funerale di Margherita Serra, erano le tre del pomeriggio e fuori dalla chiesa c’era un’atmosfera quasi irreale, silenziosa, mite, troppo pacifica per il dolore sordo che le attanagliava il petto.
Per Sonia quei giorni erano stati davvero pesanti.
Non riusciva a togliersi dalla testa la reazione che aveva avuto Cristiano il giorno della notizia, lei l’aveva scosso parecchie volte cercando di richiamare la sua attenzione, ma lui non l’aveva guardata nemmeno una volta. Le aveva scostato la mano con un gesto automatico e si era messo in piedi, aveva afferrato la cartella, la giacca, il casco … e quando aveva raggiunto la porta della classe era collassato a terra.
Erano stati Aleksej e Telemaco ad afferrarlo prima che si facesse male sul serio.
Sonia era sicura di aver gridato, e che le sue gambe si erano mosse nella sua direzione senza che lei le comandasse, era da quel momento che i ricordi si facevano confusi, dopo che gli aveva messo le mani sul viso e tastato la fronte sotto lo sguardo di tutti …
Ricordava che Miki le aveva masso una mano sulla spalla, che era arrivato il professore di greco e latino, che avevano portato Cristiano da qualche altra parte.
Rabbrividì quando una folata di vento le scompigliò i capelli ricci e sfibrati, quella notte non aveva chiuso occhio, le calze le davano fastidio, non le piaceva vestire di nero, eppure non poté fare a meno di constatare che fuori da quella chiesa in marmo grigio, così grande, con i mucchietti di neve raccolti ai margini delle scale, degli edifici e sui tetti, sembrassero tanti piccole macchie nere, macchie che deturpavano il paesaggio con il loro dolore.
Non vedeva Cristiano dal giorno dell’accaduto, sapeva che in quel momento si trovava dentro l’edificio sacro, da qualche parte, forse nascosto dentro un confessionale.
Le si strinse il cuore dal dolore e dalla rabbia, la rabbia di sentirsi completamente inutile, di non poter fare nulla per la persona che amava, arrabbiata perché tutti i suoi compagni di classe erano andati al funerale e non poteva prendersela con nessuno, arrabbiata perché avrebbe tanto voluto scappare anche lei e raggiungere Cristiano in uno di quei confessionali.
Si strinse maggiormente le braccia al petto e rabbrividì di nuovo, se ne stava ferma sul portico della chiesa da un tempo che le sembrava infinito, aveva paura che muovendosi sarebbe colata come cera sciolta riversandosi ovunque, chiuse gli occhi e sospirò pesantemente.
Fu in quel momento che una mano piccola e calda le si appoggiò sulla spalla.
Sonia riusciva a percepire quel calore anche attraverso la stoffa del cappotto, voltò leggermente la testa e incrociò il viso sottile e pallido di Miki, anche lei indossava abiti scuri e i capelli sottili come spaghetti le cadevano lunghi sulle spalle.
Sonia trovò quella situazione davvero comica, loro due non si sopportavano più da anni ormai, eppure Miki sembrava aver capito tutto solo osservandola, come se quel legame profondo che le aveva unite fino ai primi anni del liceo fosse rimasto sepolto da qualche parte in mezzo a tutte le cattiverie, le urla, i litigi e le pugnalate alle spalle.
<< Sembri stanca … non hai dormito, vero? >>
La voce di Miki era pacata e calda come sempre, se fosse stato un giorno diverso, probabilmente Sonia le avrebbe scostato bruscamente la mano e avrebbe risposto con sufficienza, magari con qualche parola cattiva d’accompagnamento per ferirla, ma non era un giorno diverso.
Era quel giorno, il giorno in cui l’amore della sua vita aveva perso tutti i riferimenti e lei non sapeva come aiutarlo, non sapeva come comportarsi.
<< No, ho provato a chiudere gli occhi, ma non riuscivo a prendere sonno >>
Miki scostò delicatamente la mano e la congiunse alla sua gemella, intrecciando le dita davanti al ventre, non si stavano guardando, avevano alcuni centimetri di distanza l’una dall’altra, erano rivolte verso l’entrata principale della chiesa, gremita di persone vestite in nero che si aggiravano per il portico come fantasmi, viste da lontano avrebbero dato l’impressione di due perfette sconosciute impegnate in una conversazione di circostanza.
<< Nessuna riuscirebbe a dormire Sonia, sapendo che l’uomo che si ama sta soffrendo e non puoi fare nulla per aiutarlo >>
Sonia non rimase troppo sorpresa da quelle parole, Miki era sempre stata una grande osservatrice, l’aveva sempre osservata in silenzio anche quando lei la trattava come una pezza, quando lei le aveva fatto talmente male che chiunque altro l’avrebbe lasciata da sola.
<< Te ne sei accorta, vero? >>
Miki aveva un sorriso accennato sulle labbra e l’espressione serena, i suoi occhi chiari erano posati su Aleksej, che se ne stava accanto al portone in legno della chiesa insieme ad Ivan, Igor, Telemaco, Oscar, Gabriele, Zosimo, Giasone, Lisandro, Romeo ed Enea.
Erano tutti vestiti di nero, non parlavano per rispetto ed erano persi nei propri pensieri.
<< Dal modo in cui l’hai toccato quando è svenuto, dal modo in cui lo guardavi >>
Commentò quasi distrattamente, Sonia infilò le mani nelle tasche del giubbotto nero che le arrivava fino alle ginocchia e rivolse un’occhiata veloce a Miki.
<< Non ho potuto farne a meno >>
I loro occhi si incrociarono per una frazione di secondo e Miki sorrise.
Sonia non sapeva se essere sollevata, Miki non conosceva tutta la storia, non sapeva come erano andate le cose tra lei e Cristiano, eppure le era bastato un gesto per capire l’essenziale, ma Sonia aveva sempre pensato che ci fosse un tempo per tutto, e quello non era il momento adatto per affrontare quel discorso, forse un giorno gliel’avrebbe raccontato.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti interminabili e una folata di vento scompose i capelli ad entrambe, era una brezza fredda e tiepida contemporaneamente.
<< Comunque non c’è nulla di male, se vuoi farlo … io ti presto la mia spalla >>
All’inizio Sonia rimase impassibile alle parole di Miki, poi gli occhi le si riempirono di lacrime senza che lei riuscisse nemmeno a rendersene conto, le lacrime le bagnarono le guance e fu scossa dai singhiozzi, e solo per quel giorno, per quei pochi minuti che precedettero la processione, decise che affidarsi al passato non fosse sbagliato.
Miki la lasciò piangere sulla sua spalla senza dire nulla, e le stette vicino per tutto il tempo della funzione funebre, erano sedute abbastanza dietro e non era possibile vedere tutto, la chiesa era ricca di persone, di quelle persone che Margherita Serra aveva conosciuto in un’altra vita, una vita in cui era stata felice.
La bara si trovava al centro della navata, di fronte l’altare, era incorniciata di rose rosse e osservandola meglio, gli occhi di Sonia incrociarono la fotografia di una donna sorridente con gli stessi occhi del figlio, a cerbiatto, scuri e profondi.
Cristiano sedeva proprio nella prima panca di fronte alla foto, ma per tutto il tempo della cerimonia se ne rimase con la testa china e lo sguardo perso nel vuoto, le mani nella tasca dei pantaloni gessati e non volse lo sguardo verso sua madre nemmeno una volta.
Aveva il capo chino come un bambino appena rimproverato e Sonia non riusciva a togliergli lo sguardo di dosso, non riusciva a smettere di torturarsi le mani o stringersi il vestito.
Le sembrò tutto durare troppo, troppo fino a sentirsi completamente svuotata.
Alla fine della funzione si ritrovò nuovamente da sola a vagare per il chiosco del convento che ospitava la chiesa, dove li avevano fatti uscire per fare le condoglianze, era stata la prima volta che aveva visto il padre di Cristiano, un uomo freddo che assomigliava al figlio più di quanto le piacesse ammettere.
Cristiano non era con lui.
Eppure nessuno sembrava notarlo, nessuno sembrava farci troppo caso.
Sonia lanciò un’occhiata distratta al piccolo pozzo vuoto e barricato sistemato al centro del chiosco, sotto quest’ultimo crescevano delle rose rosse come il sangue e poco più in la …
Lo sguardo di Sonia fu inevitabilmente catturato da quella zazzera di capelli scuri e ricci che conosceva benissimo, Cristiano se ne stava seduto sotto una sorta di gazebo ricoperto di fiori accanto ad una statua della Vergine Maria, da quella distanza non era semplice scorgerlo.
I piedi si mossero da soli, Sonia attraversò lentamente il chiosco e lo raggiunse.
Cristiano era seduto un po’ scompostamente sulla panchina, aveva le gambe divaricate, le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo fisso sul selciato, non diede alcun segno di essersi accorto di lei, ma Sonia non se la prese troppo, fece un altro passo e si mise seduta anche lei sulla panchina, a parecchi centimetri di distanza da lui.
Non sapeva cosa dirgli, non sapeva come comportarsi, avrebbe tanto voluto toccarlo, abbracciarlo, stringerlo tra le braccia e vederlo piangere, lasciare che si sfogasse … ma le mani le tremavano terribilmente, e non riuscì a fare altro che stringerle attorno alla stoffa pesante del cappotto.
Le stavano pizzicando nuovamente gli occhi e le mani avevano cominciato a prudere a causa della frustrazione, fu in quel momento che Cristiano appoggiò la testa sulla sua spalla a peso morto e chiuse gli occhi. Sonia trasalì e spostò impercettibilmente lo sguardo su di lui, i capelli di Cristiano profumavano di iris, aveva le occhiaie marcate e fu in quel momento che se ne rese conto, si rese conto che non sarebbero servite le parole, che restando in silenzio aveva fatto la cosa giusta.
Che Cristiano non aveva bisogno di nient’altro.
Nient’altro che una spalla su cui riposare per un po’.
Solo per un po’.
 
A Zosimo sembrava di essere precipitato in un incubo.
Gli sembrava come se qualcuno gli avesse voluto fare uno scherzo di pessimo gusto, come se gli avessero tirato via la sedia mentre stava per sedersi, come se si fossero mangiati tutta la sua cioccolata preferita senza lasciargli nemmeno una briciola di consolazione.
Era solo uno stupido scherzo che la madre di Cristiano fosse morta lo stesso mese della sua.
Zosimo non conosceva bene Cristiano, anche se era il suo vicino di banco, loro si limitavano a stuzzicarsi, a perdere tempo durante le lezioni e quando c’era da fare una versione di gruppo si divertivano ad inventare le traduzioni più assurde.
Ma non si erano mai parlati davvero.
Zosimo non si era mai interessato veramente a lui, non gli aveva mai chiesto quale fosse il suo colore preferito, se tifasse qualche squadra di calcio, quali fossero i suoi film preferiti, se avesse mai avuto una ragazza seria tra le tante … insomma, tutte quelle cose che avrebbe dovuto domandare. A pensarci bene, Zosimo si rese conto per la prima volta di quanto fosse solo Cristiano, nella classe non aveva amici e nessuno sapeva nulla di lui, nessuno si era mai avvicinato a causa del suo carattere indifferente, della sua aria strafottente, del suo interessamento per le ragazze degli altri.
Nessuno si era mai chiesto perché fosse fatto così.
E l’avevano scoperto probabilmente nel modo peggiore in assoluto.
Zosimo sospirò pesantemente, gli dava fastidio doversene andare in giro con quello smoking  nascosto solo parzialmente da un vecchio giubbotto d’aviatore che stonava con tutto il resto, ma era l’unica cosa nera che avesse e tra l’altro suo padre stava lavorando, gli toccava prendere la metropolitana.
La gente lo fissava, ma lui non ci badava troppo.
Aveva perso anche lui sua madre all’età di otto anni, un’assenza che avrebbe segnato la sua vita fino al giorno in cui avrebbe chiuso gli occhi anche lui, ma in quel momento si rese conto di una cosa, mentre se ne stava seduto su quei sedili scomodi sballottato a destra e sinistra come una pallina da ping-pong … non c’era niente di giusto in quello che era successo, ma lui aveva sempre avuto suo padre e sua nonna.
Aveva avuto un sostegno che non l’aveva fatto crollare, un sostegno che l’aveva afferrato per le braccia quando stava per cadere e l’aveva rimesso su a forza, dicendogli:” Va! Anche se le ginocchia fanno male e sono sbucciate … continua a camminare!”
Cristiano non aveva nulla, non aveva proprio nessuno.
Zosimo non conosceva Emanuele Serra, ma gli era bastato ascoltare quella telefonata terribile e fargli le condoglianze quello stesso giorno per capire che tipo fosse.
Cristiano non avrebbe avuto nulla da lui, se non una schiena voltata.
Quando Zosimo scese finalmente dalla metropolitana e si ritrovò sulla strada affollata ad un quarto d’ora da casa, fu investito da un vento gelido, si passò distrattamente una mano tra i capelli mossi e scuri e poi la infilò nuovamente nella tasca dei pantaloni.
Aveva appena svoltato l’angolo quando si accorse di Alessandra.
Se ne stava appoggiata alla parete di un vecchio negozio con la borsa stretta tra entrambe le mani e il capo chino, era distratta e giocherellava con la punta dello stivale nella neve, solo guardando più attentamente Zosimo si rese conto che stava scrivendo e cancellando in continuazione il suo nome.
<< Cosa ci fai qui tutta sola? >>
La colse talmente di sorpresa che la poveretta saltò dallo spavento e la borsa le scivolò dalle mani finendole su un piede, considerata l’espressione che le attraversò il volto, Zosimo immaginò che non fosse stata un’esperienza molto piacevole.
<< Ahi, che male … >> Borbottò Alessandra mentre si chinava a raccogliere la borsa, era imbarazzata e aveva il naso leggermente arrossato sulla punta, anche la voce era piuttosto nasale e Zosimo si rese conto che probabilmente doveva avere il raffreddore << … stavo aspettando te, comunque >> Terminò la frase aggiustandosi una ciocca di capelli.
<< Me? E come facevi a sapere che sarei passato di qui? >>
Le domandò Zosimo sorridendole allegramente, Alessandra non poté fare a meno di pensare che in quel momento sembrasse proprio un folletto, con le orecchie leggermente a punta che spuntavano tra i capelli ricci e quel sorriso birichino sulle labbra sottili.
<< Ho chiesto a mio fratello Gabriele, non sembrava entusiasta di rispondere, ma mi ha detto che avresti preso la metropolitana e che saresti sceso proprio qui >>
Zosimo si rese conto solo in quel momento che Alessandra l’aveva guardato negli occhi per tutto il tempo, non aveva abbassato lo sguardo sul suo smoking stropicciato e un po’ corto sulle caviglie, non aveva sollevato le sopracciglia alla vista dei calzini spaiati che aveva indossato e non le era venuto un conato di vomito a causa del giubbotto d’aviatore.
<< Andiamo a prendere una cioccolata calda, allora? >>
Zosimo cominciò a camminare ancora prima che Alessandra avesse dato una risposta, ma quando le passò accanto la ragazza lo afferrò per la manica del cappotto e tirò leggermente per richiamare la sua attenzione.
<< Ti ha dato fastidio che io sia venuta? Ti ho disturbato? >>
Zosimo corrugò le sopracciglia nel sentire quelle parole, non gli era mai nemmeno passata per la mente l’idea che Alessandra potesse dargli fastidio, in realtà, quando l’aveva vista, il terribile nodo che gli stringeva lo stomaco si era leggermente allentato fino a scomparire del tutto quando lei aveva aperto bocca.
Alessandra era stata per lui come una ciambella di salvataggio dal mare dei suoi pensieri.
<< Certo che no … perché lo pensi? >>
Zosimo notò che Alessandra non faceva che torturarsi i pollici e le mani come se fosse terribilmente nervosa, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
<< Io … io sono venuta qui perché pensavo tu fossi triste, perché credevo che avresti pensato al passato, e non volevo, non volevo che ti rattristasti >>
Alessandra confessò quelle parole con la testa china e le gote imporporate di rosso, fu la prima volta in vita sua che Zosimo non riuscì a trovare subito le parole che gli servivano, rimase leggermente spiazzato, con il vento freddo che gli sferzava i capelli, i viandanti che passavano ignari di tutto a fissare quella ragazzina che aveva troppa cura di lui.
Zosimo non era abituato a tutte quelle attenzioni.
Non era abituato al fatto che qualcuno si preoccupasse per lui, non riusciva a capire perché Alessandra, bella e radiosa, piena di vita, solare, fosse scesa di casa e avesse fatto tutta quella strada solamente perché aveva sospettato che per lui quella situazione sarebbe stata come piombare nuovamente in un incubo, come cadere inevitabilmente nella spirale del passato.
Non riusciva a capire perché avesse fatto tutta quella strada solamente perché lui non fosse triste. Il folletto sospirò pesantemente e si grattò la nuca imbarazzato.
<< Sai Alessandra … >> Cominciò a parlare, e la bionda sollevò lo sguardo ancora imbarazzata << … hai fatto bene a credere che avrei pensato al passato … perché l’ho fatto davvero tanto oggi >> Smise di grattarsi la nuca e allungò le mani affusolate per afferrare quelle fredde e tremanti di Alessandra << E se tu non fossi arrivata adesso, all’improvviso, proprio come un raggio di sole … probabilmente avrei pensato talmente tanto che la testa mi sarebbe scoppiata per colpa dei brutti pensieri >> Alessandra spalancò leggermente le labbra e sollevò le sopracciglia, in un accenno di sorpresa, Zosimo trovò carino quel gesto e si ritrovò a sorridere involontariamente << Grazie >>
<< P- perché mi ringrazi? >> Domandò lei ancora più imbarazzata, mentre scioglieva con nervosismo la stretta delle loro mani, Zosimo ridacchiò divertito e infilò gli arti congelati nelle tasche del suo giubbotto d’aviatore.
<< Perché non mi piace essere triste, ho promesso alla mamma che avrei sorriso sempre >>
Il rossore sulle gote di Alessandra si disperse lentamente quando Zosimo pronunciò quelle parole, i loro occhi si scontrarono quasi per caso, il verde più brillante contro il marrone più intenso, erano colori talmente diversi che in un certo senso si completavano.
<< E’ ancora valida la proposta della cioccolata calda? >> Chiese lei con un sorriso.
<< Come la vuoi? Conosco un negozio che le fa in tutti i modi possibili! >>
 
Romeo si sentiva piuttosto fiacco quel pomeriggio.
Aveva deciso di fare la strada per tornare a casa tutta a piedi, e sebbene la chiesa non fosse troppo lontana ci aveva impiegato un’ora buona.
Ci aveva messo così tanto perché aveva perso tempo durante il tragitto, perché si era messo a rimuginare su tantissime cose contemporaneamente e aveva rallentato il passo, perché era scivolato su un mucchietto di neve andando a sbattere contro un muretto imbrattando tutti i jeans scuri e perché gli faceva malissimo la caviglia.
Il sole era già calato da un pezzo quando raggiunse il cortile del suo palazzo, faceva talmente freddo che il respiro fuoriusciva in volute bianche e non sentiva più le dita delle mani né quelle dei piedi, il viso era un pezzo di ghiaccio e i capelli se ne stavano ritti come se si fossero congelati fino alla radice.
Aveva appena sfilato le chiavi del portone dalla giacca quando gli occhi incrociarono la familiare sedia a rotelle che aveva portato a spasso tantissime volte.
Fulvia se ne stava imbacuccata in un piumino pesante rosso come il fuoco, i corti capelli biondi erano nascosti da un berretto con i pon-pon e metà della faccia era sepolta in una sciarpa fatta a mano di lana, ma nonostante tutta quella protezione Romeo si accorse immediatamente che stava morendo di freddo.
<< Ma cosa ci fai qui da sola?! >>
Le domandò immediatamente in maniera apprensiva, mentre la raggiungeva con passo affrettato rischiando seriamente di rompersi l’osso del collo scivolando su una lastra di ghiaccio traditrice creatasi sulle mattonelle del cortile. Prima che potesse raggiungerla però venne brutalmente colpito sulla spalla destra da una palla di neve, ci mise un po’ a capire che era stata Fulvia a tirargliela, e che l’aveva fabbricata con della neve afferrata dal muretto più vicino, custodendola tra le mani per tutto il tempo.
<< Non ti azzardare a venirmi vicino, hai capito?! Altrimenti ti ammazzo! >>
Sbraitò la bionda alzando il tono di voce come mai aveva fatto, di solito Romeo capiva immediatamente quando Fulvia era arrabbiata per finta, quando faceva un po’ di scena, ed era piuttosto sicuro che in quel momento non si trattasse di uno di quei casi.
Fulvia era davvero furiosa con lui.
<< Che significa? Cos’ho fatto?! >>
Domandò Romeo piuttosto sbigottito, bloccato a metà strada con un piede sulla lastra di ghiaccio e l’altro sul pavimento sicuro, osservandola meglio si accorse che la ragazza aveva gli occhi arrossati dal pianto e che il cellulare giaceva sulle sue gambe inermi, come se lo avesse usato spesso.
<< Cos’hai fatto?! Saresti dovuto tornare a casa più di un’ora fa! Non hai la minima idea della paura che mi sono presa, dell’ansia che ho provato per tutto questo tempo. Ho detto a mia nonna che mi avevi chiamato dicendomi di scendere da te, l’ho fatto per non farla preoccupare e perché non allarmasse i tuoi genitori, ma ti giuro Romeo io … >>
Romeo interruppe bruscamente la tirata minacciosa e carica d’angoscia di Fulvia facendo diversi passi avanti proprio verso di lei, si sentiva terribilmente in colpa, in colpa per aver dimenticato di riaccendere il cellulare quando era finita la cerimonia funebre.
In colpa perché Fulvia l’aveva aspettato al freddo per un’ora intera.
In colpa perché l’aveva costretta a mentire per aiutarlo con i suoi genitori.
<< E sei scesa da sola? >> Le domandò con la voce incrinata dal rimorso.
Fulvia si passò rabbiosamente una mano sul viso bagnato e ghiacciato e annuì rudemente.
<< Nonna mi ha accompagnato fino all’ascensore, ma me la sono cavata da sola per arrivare fin qui … certo, ho sbattuto parecchie volte con i piedi, ma non importa! Io … non desideravo altro che vederti comparire da quella porta per tirare un sospiro di sollievo e sapere che stavi bene … maledizione! >> Romeo si morse immediatamente il labbro inferiore nel sentire quelle parole e con tre brevi passi mise fine alla distanza che ancora li separava.
La raggiunse e si inginocchiò di fronte a lei, senza fregarsene del gelo che penetrava nei pantaloni, dei brividi di freddo o dell’umido della neve che impregnava la stoffa, si mise in ginocchio per guardarla negli occhi e appoggiò le braccia sui manici della sedia a rotelle.
Fulvia non lo cacciò, né lo colpì come si sarebbe aspettato.
<< Non sai … non sai quanto mi sia sentita frustrata di essere bloccata qui! Su questa sedia, non sai quanto avrei voluto tirarmi in piedi, far funzionare queste gambe e correre ovunque per cercarti. E invece non ho potuto fare altro che arrivare fin qui, con qualche livido in più senza poter fare un altro passo … non sai quanto … >>
Romeo la strinse talmente forte tra le braccia che Fulvia non trovò più il fiato per continuare, non stava piangendo mentre pronunciava quelle parole, era una rassegnazione muta e sorda che le aveva pervaso la voce, una rassegnazione che Romeo non aveva mai potuto tollerare.
<< Mi dispiace, mi dispiace tantissimo, non lo farò mai più te lo giuro. Starò attento, non lo permetterò più, davvero io … >>
<< Romeo … >> Lo interruppe immediatamente lei, con una voce talmente bassa che lui fu costretto a sciogliere l’abbraccio per guardarla negli occhi chiari come il cielo << … vedi? E’ per questo motivo che io non posso darti speranze … è per questo motivo che io non vado bene per te, però … >> Continuò a dire prima che lui potesse aprire bocca per ribattere, Romeo era tonato ad inginocchiarsi di fronte a lei, e il suo viso era all’altezza giusta perché lei potesse posarvi sopra le sue mani fasciate dai guanti bagnati di neve << … posso fare un po’ l’egoista? Per una volta, posso essere egoista? Posso essere egoista per tutta la vita? >>
Romeo non replicò nulla, rimase in silenzio mentre Fulvia abbassava il viso e appoggiava le labbra sottili e gelide sulle sue, in un bacio casto che crebbe d’intensità mano a mano che si rendevano conto di quello che stava succedendo.
Quel giorno Romeo aveva assistito al funerale della mamma di un suo compagno di classe, di un ragazzo che aveva sempre detestato e con cui non aveva fatto altro che erigere un muro costruito sulla base del “buon viso a cattivo gioco”.
Quel giorno aveva visto per la prima volta l’anima che si celava dietro quel ragazzo, l’anima di una persona sola che non aveva nulla.
E mai come quel giorno aveva capito quanto fosse preziosa quella creatura che stringeva ancora tra le braccia.
Quanto fosse preziosa per lui, anche se non “funzionava bene”, volendo usare le parole che la stessa Fulvia gli aveva ripetuto tante volte, non gli importava che fosse così, non gli importava in quel momento quanto sarebbe potuto essere difficile.
Non voleva diventare come Cristiano.
Non avrebbe più dato per scontato le cose che aveva.
Non l’avrebbe fatto mai più.
<< Puoi essere egoista, io non ti dirò niente >>


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Effe_95

Buongiorno a tutti :)
Vi chiedo scusa per il ritardo, il capitolo era pronto da tempo, dovevo solo correggerlo, ma la settimana scorsa ho avuto un esame da preaparare e così la cosa si è protratta.
Comunque, è stato un capitolo difficile da scrivere per me, soprattutto la prima parte.
Spero vivamente di essere riuscita a trattare l'argomento con tutta la delicatezza di cui fossi capace, spero di non essere stata inrispettosa e superficiale, spero che attraverso Sonia si sia capito quello che volevo far trasparire.
Difficile da scrivere è stata anche la parte di Romeo, finalmente i nostri due ragazzi si sono baciati.
Fulvia ha aperto maggiormente il suo cuore, ma l'ha fatto del tutto?
Grazie mille come sempre per il vostro supporto, le vostre fantastiche recensioni e la vostra pazienza. 
Alla prossima spero :)
 
 
  
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