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Autore: WillofD_04    29/01/2016    3 recensioni
Camilla è una normale ragazza di diciassette anni che conduce una vita ordinaria e tranquilla. Almeno finché un tragico evento non sconvolgerà lei e tutta la sua famiglia. Una morte inaspettata cambierà per sempre la sua esistenza e lei all'improvviso si ritroverà sola, malata di una strana malattia e lontana da casa in una clinica specializzata insieme ad altri ragazzi "come lei". Ma Cami, come la chiamano i suoi amici, non è davvero malata. La verità è ben altra. Lei è destinata ad essere straordinaria, proprio come tutti i ragazzi che incontrerà.
Una storia di amicizia, avventura, amore, magia, drammi e crescita personale. Una storia di ragazzi ordinari in grado di fare cose fuori dal comune.
So che può sembrare la solita banale storia, ma mi impegnerò al massimo per far si che non lo sia. Quindi per favore, datele una possibilità.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camilla
 
Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui è cambiata la mia vita per sempre. Era il 15 Ottobre 2015, verso le quattro del pomeriggio. Stavo leggendo un libro sdraiata comodamente sul letto. Shantaram, un libro di millecentosettantaquattro pagine. Io ero appena a pagina quarantacinque, me lo ricordo bene. Se avessi saputo che non lo avrei finito, non lo avrei mai cominciato e non lo avrei mai odiato, in quanto parte di uno dei ricordi più brutti della mia vita. Mia madre era entrata in camera con una faccia preoccupata. Non ci avevo badato molto all’inizio perché mia mamma fa sempre l’espressione preoccupata, anche per cose di poco conto. Ma quella tutto era, meno che una cosa di poco conto.
«Tesoro...» aveva cominciato. Le mamme cominciano sempre così quando devono comunicare qualcosa di brutto. «è successa una cosa...»
A quel punto ero stata costretta a posare il libro. Lei si era seduta accanto a me e aveva cercato di mascherare il suo sguardo preoccupato con la dolcezza. Ma non era brava in queste cose, quindi il risultato era ancora più angosciante di quanto non fosse già. Sapevo che avrei dovuto cavarle le parole di bocca, mia madre non era mai stata brava in queste cose ma io odiavo i giri di parole quindi la obbligai a sputare il rospo per quanto brutto potesse essere, se non volevamo restare lì fino al tramonto.
Adesso so che è possibile. È possibile sconvolgere la vita di una persona in soli cinque minuti. Mia cugina era morta, mi aveva detto. Morta all’improvviso. Non ci potevo credere. Non ci volevo credere. Invece era tutto vero. Aspettai che mia madre uscisse e mi sedetti sul bordo del letto. Affondai il viso nelle braccia e mi misi le mani tra i capelli. Presi più respiri e scossi la testa. Non era possibile. Lei era quella buona, quella sempre sorridente. Non poteva essere morta, non lei. E invece tre giorni dopo l’avrei vista in una bara, pallida e immobile circondata da inutili e stupide corone di fiori. Avrei visto tanti volti tristi e occhi pieni di lacrime, perché lei era quella amata da tutti e non potevi non piangere al suo funerale. Non potevi non dispiacerti e non chiederti perché Dio avesse preso proprio lei. Non so per quanto tempo rimasi a fissare l’armadio di fronte al mio letto. Forse per minuti, forse per ore. Ma una cosa era certa. Non piansi. E non pensai a me. Pensai alla mia cuginetta più piccola, per cui sua sorella era un indispensabile punto di riferimento. Pensai a mia zia e a mio zio. A come potesse sembrare terribile l’idea di passare il resto della vita senza una figlia.  Mi chiesi come avrebbero fatto loro ad affrontare un tale dolore. Mi chiesi come quegli spocchiosi del collegio avessero comunicato loro la notizia. Ma se solo avessi saputo quello che sarebbe successo dopo, per quanto egoistico possa sembrare, non avrei pensato a loro. Avrei pensato a me e a come avrei fatto io.
 
 
Mirko
 
Aprii gli occhi. Lentamente misi a fuoco le luci al neon del soffitto dell’infermeria. Provai a muovermi, ma mi facevano male tutti i muscoli.
«No, no. Non alzarti.» fui fermato da una mano appoggiata lievemente sul mio ginocchio e solo in quel momento mi resi conto che mi fischiavano le orecchie. Guardai confuso il proprietario della voce, il Dottor Carlos Andrew Jones.
«Hai preso una bella botta. Per fortuna che hai la pelle dura. Vista l’esplosione a cui sei stato sottoposto avresti potuto benissimo perdere l’udito. Invece te la sei cavata con un semplice fastidio ai timpani e qualche graffio. Niente che qualche giorno di riposo non possa guarire.» sorrise leggermente
«Per fortuna. Dove sono gli altri? Stanno bene?» tornai per un momento all’esplosione e mi ricordai. In quel preciso momento, neanche a farlo apposta, entrò Lily. Aveva un visibile taglio sulla fronte, coperto da tanti cerotti trasparenti che le facevano da punti, il gomito sinistro fasciato e qualche escoriazione sulle gambe. Ma la cosa che più mi preoccupava erano gli occhi rossi e gonfi.
Mi si gettò praticamente addosso, sedendosi accanto a me sul bordo del lettino. Con la coda dell’occhio vidi che il dottor Carlos stava uscendo e iniziai a preoccuparmi. Lily sembrava sul punto di piangere, era agitata come non l’avevo mai vista.
«Grazie a Dio almeno tu ti sei svegliato.»
Almeno io? Che voleva dire? Cos’era successo? Iniziai a preoccuparmi.
«Cos’è successo?»
Mi guardò, con occhi totalmente vuoti e assenti e iniziò a scuotere la testa.
«Lily. Lily guardami.» la obbligai a sollevare lo sguardo poggiandole delicatamente i palmi sulle  guance «Calmati e spiegami cos’è successo.»
Si calmò, almeno apparentemente. La conoscevo bene e sapevo che dentro di lei c’era una tempesta di emozioni in corso.
«Dio, è così ingiusto.» sputò fuori con disprezzo
«Cosa è ingiusto!?» cominciavo a perdere la pazienza
«Valentina è morta.»
Rimasi spiazzato. Sapevo che l’esplosione era stata violenta ma pensavo che fossimo riusciti a salvarci tutti. Ce l’avevamo fatta, maledizione. Eravamo fuori. Avevamo recuperato tutti i chip. Porca puttana!
Ero così disorientato che feci l’unica domanda che mi venne in mente. «David come sta?»
La mia migliore amica mise una mano sopra la mia e me la strinse. Si fece coraggio e dopo aver fissato i suoi occhi ai miei cominciò a parlare.
«David è in coma.»
Quelle quattro parole bastarono per mandarmi in confusione. Rabbia, tristezza, preoccupazione, angoscia. Non sapevo cosa stavo provando. Anche Lily doveva sentirsi come me.
«Si risveglierà?»
Alzò le spalle prima che tutto il suo corpo fosse scosso da potenti singhiozzi.
La abbracciai stretta. A entrambi serviva quell’abbraccio. Non l’avevo mai vista così a pezzi, nonostante ne avesse passate tante. E io non mi ero mai sentito così perso, ora che il mio punto di riferimento era in un letto in stato vegetativo.
«La mia migliore amica è morta.» disse lei in un sussurro
«È ingiusto, lo so. Siamo rimasti noi però e noi ce la faremo. Insieme.»
«Si...» non sembrò tanto convinta
«Almeno Christian sta bene?»
«Si, anche se è a pezzi pure lui.» tirò su col naso
«Resteremo uniti e supereremo anche questo.» le accarezzai la schiena mentre mi costringevo a credere a quello che avevo appena detto.
 
 
Christian
 
Quel giorno piansi come una fontana. Il mio “capo” era in coma e la migliore amica che avessi là dentro era morta. Rimasi per ore raggomitolato nel letto a chiedermi che cosa avessimo fatto di male per meritarci questo. Che cosa avessero fatto di male David e Valentina per finire così. Ma non riuscii ad arrivare a una conclusione. Niente di quello che mi era capitato negli ultimi mesi aveva senso, in effetti.
Mi vergognai di me stesso per quanto stessi singhiozzando come un bambino. Avrei dovuto essere io quello forte, per gli altri, ma non ce la facevo. Certi giorni non ce la fai e basta ad essere forte. E proprio quel giorno decisi di abbandonarmi alla tristezza. Non fu solo un momento di disperazione per quello che era successo ai miei compagni, ma fu un vero e proprio sfogo. Con quelle lacrime lasciai andare tutti i pensieri brutti che avevo avuto da qualche mese a questa parte e quando ebbi finito mi sentii bene. Non avrei dovuto sentirmi così vista la situazione, ma ero in una sorta di quiete interiore, ero in pace con me stesso. E quel giorno, non potei fare altro se non sperare che anche Lily e Mirko si sentissero così. Sapevo di non essere affatto di conforto, ma a loro potevo donare l’unica cosa che avevo in quel momento e che non avrei mai perso. La speranza.
   
 
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