Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    11/02/2016    5 recensioni
1803. Yorkshire. La guerra infuria, in Europa, e Napoleone Bonaparte non nasconde le sue mire nei confronti della ricca Inghilterra. Christofer Harford, figlio cadetto del Conte Spencer, viene costretto dal padre a maritarsi prima della partenza per la guerra. Le imposizioni non sono mai piaciute al rampollo di casa Spencer, che mal sopporta l'ordine, e finisce con il rendere vittima la dolce e docile Kathleen, sua moglie contro ogni aspettativa. Le privazioni della guerra e la morte prematura del conte Harford richiamano in patria un Christofer distrutto dal dolore, che si ritrova ad affrontare non solo la morte del conte, ma anche una donna che non riconosce essere sua moglie.
Perché la nuova Kathleen è forte, non si piega alle avversità e, soprattutto, sa tenere testa al marito come mai aveva fatto prima della sua partenza. Ma cosa l'ha cambiata tanto?
Christofer è deciso a scoprirlo, così come è deciso a redimersi dalle sue colpe come marito. Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte, minando la possibilità dei due coniugi di conoscersi, di instaurare un vero rapporto.
Saprà, Christofer, difendere la moglie da questo pericolo ormai alle porte e, nel suo cuore, potrà trovare spazio anche per l'amore?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
4.
 
 
 
 
Londra, 25-X-1805
 

Pioggia e neve lo accolsero al suo arrivo, assieme a un vento gelido che spirava dal Tamigi, investendo le navi alla fonda nei docks.

Gli scaricatori di porto, impegnati nel carico e scarico dei bastimenti, parevano non avvertirlo ma, più probabilmente, erano così abituati da infischiarsene.

Il mantello di lana ben stretto intorno al collo, Christofer discese con passo malfermo la passerella fino a toccare terra.

Una folata di vento si incuneò feroce sotto le falde del manto lanoso, mettendo in mostra il pesante bastone a cui il conte si reggeva con forza.

Quando il marinaio che lo accompagnava si allontanò per chiamare una carrozza per lui, Harford vi si dovette appoggiare di peso, tremando irrefrenabilmente.

Non era guarito del tutto, lo sapeva bene anche da solo e, pur se il dottore era stato ottimista sulla sua ripresa, in quel momento si sentiva solo un infermo e poco altro.

Le condizioni meteorologiche non lo aiutavano certo a vedere un futuro lieto, soprattutto quando l’occhio cadeva sulla bara in cui riposavano le spoglie mortali di Andrew.

Se il tempo non fosse migliorato, avrebbero di sicuro impiegato più di qualche giorno, per raggiungere lo Yorkshire.

Ammesso e non concesso che le strade del Nord fossero ancora percorribili, col sopraggiungere di novembre.

Quando infine vide arrivare un carrettiere e, con esso, una carrozza senza insegne guidata da un uomo di mezza età, Christofer ringraziò il marinaio per la cortesia e lo lasciò tornare sulla nave.

Atono, poi, spiegò ai due conduttori dove avrebbero dovuto recarsi, e cosa avrebbe trasportato il carro.

I due uomini espressero le loro condoglianze, ringraziando lo stesso conte per il suo impegno nella guerra contro Napoleone.

Al cenno di assenso di Christofer, entrambi lo rassicurarono circa le condizioni delle strade, ancora agibili nonostante il tempo inclemente con cui Londra lo aveva accolto.

Nell’accodarsi dunque al cocchiere per salire sulla carrozza, mormorò: “Debbo fermarmi all’ufficio della darsena per inviare un messaggero. Dopodiché, potremo partire.”

“Sì, milord, non ci sono problemi. Se preferite, posso prendere nota io di tutto, e parlare direttamente con il corriere postale” si offrì cordialmente il cocchiere, lanciando un’occhiata veloce al bastone di Chris.

Troppo stanco per impuntarsi – l’unica cosa che voleva era sedersi all’asciutto e non pensare più a niente – il conte annuì, depositando sulla sua mano una corona d’oro.

Dopo aver dettato uno scarno comunicato per la famiglia, salì infine in carrozza e lì si lasciò cadere contro i cuscini di velluto scuro, sospirando.

Quell’ambiente era pulito e salubre, privo degli odori aggressivi e violenti che, per mesi e mesi, avevano solleticato le sue narici, all’interno della nave.

Era già tanto che non stesse riportando a casa un’infestazione da pidocchi, o peggio, dopo quel passaggio diretto all’Inferno.

Passando una mano sul sedile morbido, ne studiò il tessuto lievemente consunto sui bordi, e sorrise.

Certo, l’interno non aveva i velluti damascati della carrozza degli Harford, o le sue elaborate tendine in Pizzo Sangallo, ma in quel momento non gli importò nulla.

Era un luogo comodo, in cui avrebbe potuto stare da solo con i suoi pensieri e i suoi demoni.

Quando la vettura prese il via, Christofer si calò la tuba sul viso e, con un ultimo sospiro, cercò di rilassarsi.

Tra la sosta alla darsena e il tempo impiegato per uscire da Londra, persero più o meno un paio d’ore.

Nel frattempo, Christofer pensò e ripensò a ciò che aveva consegnato alla carta pergamenata partita col corriere, così da mettere al corrente Kathleen del suo ritorno.

 
 
Mia diletta Kathleen, mi duole informarvi della perdita prematura di vostro
fratello. Il mio cuore piange con voi in ogni istante, e le sole parole non possono
esprimere il senso di perdita che avverto a ogni respiro, a ogni battito del mio cuore.
Presto sarò con voi per piangere e ricordare insieme l’amato Andrew.

Christofer

 
Per l’ennesima volta, si chiese se non avesse detto troppo, o troppo poco, in quello scritto.

Forse, avrebbe potuto infiocchettare il tutto, aggiungere qualche verso con cui addolcire la notizia ma, alla fine, gli era parso solo sciocco e inutile.

In qualsiasi veste essa si presentasse, la morte era pur sempre morte.

Anche se abbellita di bianchi fiori o sgargianti fiocchi, essa era definitiva, senza scampo.

Nulla avrebbe potuto alleviare il dolore che sarebbe scaturito da quella missiva, … solo il tempo, forse.

A ogni modo, tutto era preferibile al presentarsi alle porte di Green Manor con la bara di Andrew, e senza aver preventivamente avvisato Kathleen della sua fine prematura.
 
***

Il profilo di Andrew si stagliava su un orizzonte gorgogliante di nubi temporalesche, alte onde spumeggianti e fulmini dall’aspetto terrificante.

La tempesta che li aveva accolti al largo delle Antille, li stava sbatacchiando come turaccioli in una vasca smossa da un bimbo pestifero.

Eppure, Andrew non aveva paura, mentre fissava cavi di sicurezza, o raccoglieva imberbi marinari per rimetterli diritti.

Nei suoi occhi brillava quella luce che solo i veri marinai accolgono a piene mani; il richiamo degli oceani, il loro canto ancestrale, simile a quello delle sirene dei miti.

Era in quei momenti, in cui Christofer tremava per l’amico.

Era in quei momenti, in cui temeva di perderlo del tutto.

Era in quei momenti, nonostante tutto, in cui sapeva di vedere il vero volto di Andrew.

Non il raffinato nobiluomo della casata di suo padre, non l’abile fiorettista o l’elegante cavaliere.

No, Andrew era nato per il mare, e quella era la sua vera casa.

Non il palazzo a York, non le splendide dimore di campagna di casa Barnes.

Quell’ammasso di assi, sartiame, sale e sangue, era ciò che lui più bramava, e Christofer lo sapeva da anni, ormai.

Non aveva mai temuto per lui, prima della partenza per la guerra, perché l’amore di Myriam gli era parso bastargli.

Si era stupito, nel venire a conoscenza della sua decisione di sposarsi, ma aveva plaudito il cielo in silenzio, per questo.

Il mare non se lo sarebbe preso, dopotutto.

Quando il Corso aveva iniziato la sua campagna di conquista, però, ogni cosa era andata a rotoli e Andrew si era offerto volontario per partire.

In barba alle strenue proteste del padre.

Non di Myriam, però. Lei, al pari di Christofer, sapeva che tipo d’uomo fosse,… sapeva chi aveva sposato, e bloccarlo avrebbe voluto dire ucciderlo lentamente.

Non subito ma, nel corso degli anni, Andrew avrebbe finito con l’odiare Myriam, e la donna questo l’aveva saputo fin dal giorno in cui aveva detto ‘sì’ di fronte a Dio.

Se si voleva amare Andrew, si doveva anche venire a patti con quel suo lato libero e senza freni.

Myriam lo aveva accettato, Christofer lo aveva accettato, Kathleen lo aveva accettato.

E ora, aggrappato a uno degli stragli della nave, con l’acqua che lo colpiva in faccia con violenza, Andrew si volse verso l’amico e urlò: “Non è la cosa più bella che tu abbia mai visto?!”

Harford si svegliò di soprassalto, il viso ricoperto di sudore e il cuore a pompargli nel petto come un martello.

Si guardò intorno confuso, non riconoscendo per un attimo gli interni della carrozza che lo stava riaccompagnando a casa.

Con il migliore amico chiuso in una cassa di pino.

“Era un sogno…” mormorò, passandosi una mano sul viso prima di scrutare al di fuori del finestrino.

Pioveva, anche se alcuni fiocchi di neve si inframmezzavano a quelle gocce prepotenti e fitte.

Sospirando, tornò a poggiare il capo contro lo schienale della panca imbottita su cui era seduto.

Non aveva badato ai rigori del viaggio, o ai luoghi che avevano toccato durante la loro risalita verso York.

Aveva osservato distratto le locande in cui avevano soggiornato per la notte, così come i paesaggi brulli, pronti per il riposo invernale.

Giorno e notte si erano alternati gli uni uguali agli altri, senza cambiamenti di nessun genere.

Un fruscio di legno riscosse Christofer dalla sua trance, mentre la voce compita del cocchiere gli giungeva dallo sportellino che l’uomo aveva aperto dalla cassetta.

Green Manor dista meno di un’ora, milord. Abbiamo i cancelli della tenuta dinanzi a noi.”

Harford assentì, ringraziando l’uomo e, quando oltrepassarono i pilastri di granito che sorreggevano gli alti cancelli bruniti, seppe di essere giunto al termine di quel tedioso viaggio.

Impiegarono poco più di mezz’ora per raggiungere la villa, sita su un colle e circondata da un boschetto di faggi secolari.

Le alte mura della villa, così come le sue ampie vetrate, erano come lui le ricordava, allo stesso modo dei giardini all’italiana ai lati della magione, ora spogli e privi di colore.

La prima neve era caduta, imbiancando ogni cosa.

La pioggia fastidiosa che li aveva accompagnati fino a qualche minuto prima, però, aveva creato un denso strato di fango, dinanzi alla breve scalinata d’entrata.

Là, sull’ampia spianata antistante i portoni di legno che si aprivano sull’interno della villa, quattro figure attendevano il suo arrivo.

Quando la carrozza si fermò, Christofer prese un gran respiro prima di guardare il pannello della porta aprirsi per lui.

I gradini vennero fatti discendere e il cocchiere gli porse una mano per aiutarlo, cui il conte dovette gioco forza appoggiarsi per non ruzzolare malamente.

Quando gli stivali furono ben saldi sul terreno infangato, Harford ringraziò con un cenno il cocchiere e scrutò il palazzo natio.

Lesto, quest’ultimo si avvicinò al carrettiere per aiutarlo a scaricare la bara dal carro e i miseri bagagli del conte.

Puntato finalmente lo sguardo in direzione dell’ingresso, il giovane riconobbe subito la madre, in gramaglie non meno della ragazza al suo fianco.

Poco più in là, tenuto per mano da un uomo alto e bruno che non riconobbe, Christofer scorse Wendell, mogio e pallido come sempre.

Impiegò qualche istante prima di riconoscere come sua moglie, la fanciulla al fianco di sua madre Whilelmina.

Kathleen appariva molto maturata, in quei due anni di lontananza.

Più snella di quanto non ricordasse, aveva però linee morbide e femminili, messe in evidenza dal vento che, inclemente, schiacciava il suo abito scuro contro il giovane corpo di donna.

La veletta stesa sul volto ne celava i segreti e le sue mani, dalle dita lunghe ed esili, erano strette in mezzi guanti di pizzo nero.

Se ne stavano distese sull’ampia gonna di velluto, leggermente tremanti nonostante l’apparente contegno.

Forse, avrebbe voluto stringerle a pugno, o rivolgerle contro il marito come vendetta per non aver difeso Andrew. Chissà.

Ma Kathleen era troppo ben educata per lasciarsi andare a simili gesti impulsivi.

L’uomo al suo fianco, lo sconosciuto, le rivolse alcune brevi parole, cui lei annuì con un cenno del capo.

Imponente, dall’ampio petto, gli scuri e mossi capelli stretti in una coda di cavallo, l’uomo aveva la mascella volitiva, oltre a zigomi alti e fieri.

Quest’ultimo fissò il conte con aria imperscrutabile, prima di abbandonare il fianco di Wendell con un sorriso di scuse.

Si mosse perciò verso Christofer con movenze fluide, raggiungendolo in poche falcate, a cui fece seguire un inchino rispettoso.

“I miei omaggi, conte Spencer. Il mio nome è William Knight, attendente di Sua Signoria la contessa. Sono stato assunto qualche settimana dopo la vostra partenza, per cui volevo presentarmi subito a voi, e porgervi le mie più sentite condoglianze” si presentò l’uomo, tornando a fissarlo con i suoi penetranti occhi color del whisky invecchiato.

Annuendo distrattamente, Christofer  mormorò: “Oh, sì, capisco. Non fa specie che non mi ricordassi di voi, mister Knight. Siate così cortese da aiutare uno storpio a salire le scale di casa propria, visto che siete qui.”

William abbozzò un sorriso e un cenno rispettoso del capo, offrendogli poi il braccio.

Dal retro della villa, nel frattempo, diversi domestici giunsero nel cortile per aiutare carrettiere e cocchiere a trasportare la bara di Andrew nel seminterrato di palazzo.

Nel tempo impiegato a risalire le poche scale di granito grigio, la cassa di pino venne condotta via, lontano dai loro occhi tristi.

Quando Christofer finalmente raggiunse la sua famiglia, prese un respiro e si scostò dal corpo imponente di William con un mesto sorriso di ringraziamento.

Finalmente dinanzi alla madre, il conte la abbracciò con il braccio libero, mormorando al suo orecchio: “Mi duole essere stato lontano nel momento del bisogno, madre.”

“L’importante è che tu ora sia qui, caro. Tutto andrà meglio, adesso” lo rassicurò la donna, minuta e fragile nel suo abbraccio.

Christofer salutò poi Wendell con una carezza sui lisci capelli rossicci, a cui lui rispose con un sorriso e una riverenza.

A quel punto, però, non trovò altre scuse per non affrontare Kathleen.

Era dunque giunto il momento.

Non poteva procrastinare oltre l’inevitabile.

Volgendosi perciò verso la moglie, Christofer cercò gli occhi di Kathleen oltre la veletta scura.

Nell’avvedersi del suo cipiglio, e della fierezza con cui affrontò la sua occhiata, ne rimase sorpreso.

Dov’era finita la ragazzina spaurita di due anni prima?

“Siamo felici che siate potuto tornare vivo, mio signore” esordì lei, la voce vellutata di una giovane donna, non più di una ragazzina inerme.

Sempre più colpito da quella creatura, che non riusciva a ricollegare alle memorie legate alla moglie, Christofer annuì mestamente al suo indirizzo.

“E io sono lieto di vedervi in salute, mia signora, pur se comprendo quanto il vostro cuore stia piangendo lacrime di sangue.”

“Eravate con lui?” chiese soltanto Kathleen, lo sguardo ancora fisso in quello del conte.

Lui annuì ancora e la giovane, lappandosi nervosamente le labbra – unico accenno al suo reale stato d’animo – mormorò: “Grazie. Sono lieta che non sia morto in solitudine. Come vi sono grata di avermelo riportato. Anche Myriam sarà felice di poter piangere lui, e non solo un ricordo.”

“Non avrei mai permesso che lo gettassero in mare” si premurò di dire Christofer, annuendo grave.

“Eravate buoni amici, lo so.”

Kathleen assentì prima di scrutare William, allungare una mano nella sua direzione e dire, all’indirizzo del conte: “Con il vostro permesso, vorrei andare da mio fratello per porgergli i miei saluti e le mie preghiere.”

L’uomo annuì semplicemente e la moglie, al braccio del suo attendente, si allontanò dopo una breve riverenza, leggera come una farfalla quanto altrettanto elegante.

Rimasto solo con la madre e il fratello – la servitù, in silenzio, li attendeva oltre la porta d’entrata – Christofer domandò: “Da dove proviene, quell’uomo? Non mi sembra sia della zona. E il suo timbro vocale… mi pare sia londinese, o sbaglio?”

Annuendo, Whilelmina affiancò il figlio maggiore mentre, con passo lento, si dirigevano verso l’entrata della villa per salutare la servitù tutta.

Con tono tranquillo, la donna mormorò la sua risposta.

“E’ un bravo giovane che fu mandato qui da Andrew stesso. Kathleen lo conosceva già, e aveva ottime referenze al seguito. Il caro Andrew ha pensato in prima persona a stipendiarlo. Mister Knight ha un vitalizio a suo nome e, quando gli è stato domandato se volesse essere annoverato tra la servitù di palazzo, ci ha detto di non avere occorrenza di nulla, se non di vitto e alloggio poiché, la cifra destinatagli dal primogenito dei Campbell, era più che sufficiente per le sue necessità.”

Sinceramente sorpreso, il conte esalò: “Andrew non mi aveva detto nulla! Chissà perché ha voluto un suo dipendente al servizio della sorella?”

“Si fidava ciecamente di lui, evidentemente” chiosò la madre, con un sorriso teso.

“Ed è evidente che non solo Andrew si fidava di quest’uomo” convenne Christofer, giungendo infine dinanzi alla servitù.

Salutando per nome ciascuno dei suoi dipendenti, Harford ebbe una parola per tutti e la servitù, nessuno escluso, espresse il suo bentornato.

Gli occhi, però, trasmisero all’uomo una generosa dose di insicurezza, mista a un sentimento generalizzato di sfiducia.

Senza lasciarsi intimorire – in fondo, non lo vedevano da due anni – Christofer si rivolse infine al suo valletto, Julian.

Battendogli una pacca sulla spalla, lo pregò di dargli una mano e il giovane, prodigo di attenzioni, lo aiutò a incamminarsi verso le scale.

La madre, a quel punto, si affrettò a scusarsi per raggiungere la nuora nel seminterrato, pur certa che William le stesse offrendo degno sostegno morale.

Wendell attese un attimo dopodiché, con un sorriso di scuse, seguì la madre, trotterellando via sulle esili gambe.

Vagamente confuso, il giovane conte si chiese cosa stesse succedendo in quella casa, che non riconosceva più come sua.

Chieste quindi informazioni al suo valletto, scoprì quanto William fosse benvoluto da tutti, e come Kathleen fosse addirittura idolatrata dal suo attendente personale.

Per non parlare della servitù tutta.

Reso ancor più curioso dalle lodi entusiastiche di Julian, Christofer si informò sull’avvenimento che aveva condotto suo padre alla morte.

Quando Julian si mostrò scevro di notizie e sì, avaro persino di sentimenti, il conte si pose mille altre domande, e tutte senza risposta.

Rimasto infine da solo, ristette per ore nel suo enorme letto solitario per riposarsi in vista della cena.

Fu solo con l’imbrunire, che trovò il coraggio di risollevarsi dalle coltri profumate di agrifoglio.

All’atto di uscire dalla sua stanza per recarsi nel salone del pranzo, scoprì con sua somma sorpresa di non dover discendere le scale per raggiungere la sala al pianterreno.

Di comune accordo con la suocera, Kathleen aveva deciso di utilizzare la piccola saletta per la colazione, che si trovava al piano delle camere da letto.

Ciò avrebbe evitato a Christofer inutili percorsi a ostacoli, lungo le impervie scale di palazzo.

Raggiunta che ebbe la stanza, illuminata a giorno grazie all’ampio lampadario, il conte vi trovò già la moglie che, prima ancora del domestico, scostò la sedia per lui.

Accomodandosi sotto gli occhi attenti di Kathleen, il cui volto ora era libero dalla veletta nera, Christofer la osservò mentre si sedeva all’altro capo del corto tavolo.

Servita direttamente da William, che pareva non abbandonarla mai, Kathleen appariva una statua, impassibile e lontana come una dea nel suo tempio.

Con un cenno del capo da parte della padrona, l’attendente svanì dietro una porticina per non ricomparire.

Qualche attimo dopo, fecero il loro ingresso la contessa madre, ancora in gramaglie non meno di Kathleen, e il fratellino, in abito scuro e con il plastron leggermente macchiato.

A prima vista, Christofer immaginò trattarsi di cioccolata e, tra sé, sorrise.

Se Wendell mangiava la cioccolata, non doveva stare male, il che era già un sollievo.

Voleva bene a quel bambino emaciato e troppo debole per il suo carattere solare, e tremava al pensiero che potesse ammalarsi e morire.

Troppe volte avevano rischiato di perderlo, e il periodo invernale era sempre la stagione peggiore, per lui.

A un suo ordine, venne servita una cena leggera in un silenzio tutto sommato rilassato, spezzato ogni tanto dalle domande di Wendell sulle navi e i combattimenti.

Christofer rispose a tutte le sue richieste, lanciando nel contempo occhiate attente all’indirizzo della moglie, a sincerarsi che quegli argomenti non la turbassero.

Notò solo dei cerchi rossi attorno ai suoi strani occhi verde-oro, oltre all’aria abbattuta e stanca.

Whilelmina, ogni tanto, domandò al figlio notizie sullo stato di Napoleone mentre, tra una portata e l’altra, i domestici ripulivano la tavola dei vassoi ormai vuoti.

Il conte si limitò a brevi notizie, tutte edulcorate dei fatti più raccapriccianti.

Dallo sguardo serioso di Kathleen, Christofer comprese però senza problemi che, ciò che lui non disse, fu tranquillamente immaginato dalla donna.

Non volle esaminare a fondo il viso della madre, poiché lo turbava l’idea che anche lei potesse sapere quanto sangue fosse corso sulle lame francesi e spagnole.

Ma Kathleen gli parve più forte, più coraggiosa, perciò più pronta a simili incubi a occhi aperti.

Non sapeva da dove gli venisse quella certezza, visto che la ricordava pavida e insicura, ma i suoi sguardi parevano quelli di una persona senza paura alcuna.

Cosa l’avesse portata a un simile cambiamento, lui non lo sapeva.

A cena terminata, Christofer si scusò con la famiglia e si ritirò per la notte, troppo stanco per il lungo viaggio e desideroso unicamente di riposare in un vero letto.

Né la madre, né tanto meno la moglie si dimostrarono in disaccordo con lui.

Wendell, con un sospiro, gli chiese solo di poter parlare ancora con lui di guerra, il giorno seguente.

Chris glielo promise, deponendo sul suo capo un bacetto prima di ritirarsi.

Ben presto, nella villa calò il silenzio.

Solo il crepitio delle fiamme teneva compagnia a Christofer, nella sua stanza solitaria.

Nel massaggiarsi la gamba dolente e pulsante, il conte si diede dell’idiota per non aver accettato il bagno che Julian gli aveva offerto prima di cena.

Se avesse lasciato che il calore dell’acqua gli ritemprasse i muscoli della gamba, a quel punto non si sarebbe trovato con un tronco al posto dell’arto ferito.

Ma era difficile accettare di aver bisogno di così tante attenzioni, alla sua età.

Ancor più dura, era venire a patti con il fatto che, dopo due anni di privazioni, la donna a cui era sposato si trovava all’altro lato della porta.

E non aveva neppure il coraggio di raggiungerla.

Quale marito avrebbe potuto essere, per lei, storpio e ferito com’era?

Quale marito avrebbe potuto essere, per lei, visto quanto era stato insensibile?

Quale marito avrebbe potuto essere, per lei, visto che non era stato in grado di salvare Andrew?

A voler essere onesti, non gli era parsa desiderosa di volere compagnia, specialmente dopo aver passato tutto il pomeriggio a piangere il fratello scomparso.

La sola idea di unirsi a lui, probabilmente, la disgustava.

Proprio in quel momento di profonda commiserazione, un ciocco ebbe la malsana idea di rotolare verso l’esterno della bocca del camino.

Con un’imprecazione, Christofer si rese conto di non aver sistemato a dovere la rete di protezione dinanzi alle fiamme.

Avrebbe dovuto lasciar fare a Julian, invece di intestardirsi a voler fare tutto da solo!

A fatica, il conte fece così scivolare fuori dal letto le gambe dolenti e, afferrato che ebbe il bastone, si levò in piedi e iniziò a camminare stentatamente sui tappeti.

La rabbia montò in lui non appena serrò la mano sul manico in argento ma, non potendo farne a meno, avanzò claudicante verso il fuoco.

A ogni passo, la gamba destra pulsò con violenza sempre maggiore finché, messo un piede in fallo a causa di una piega in un tappeto, la caduta divenne inevitabile.

Senza potersi trattenere, né aggrappare ad alcunché, Christofer ruzzolò a terra, battendo malamente il ginocchio sano prima di terminare la caduta urtando il pavimento.

Il bastone rotolò lontano, andando a sbattere contro la porta che comunicava con la stanza di Kathleen.

Un’imprecazione seguì la caduta rovinosa.

Passandosi le mani sugli occhi strizzati per il dolore, il conte picchiò subito dopo i pugni sul pavimento freddo, dandosi più e più volte dell’idiota.

Fu solo il clic di una porta aperta in tutta fretta, a bloccare il suo fiume di imprecazioni.

Sorpreso e sgomento, fissò a occhi spalancati la figura nivea di Kathleen che, in camicia da notte e armata di candela, si affacciò sulla sua stanza.

La lunga chioma di capelli biondo-castani, che le scivolava in onde sinuose fin oltre i fianchi, pareva un morbido e caldo mantello, sulle sue esili spalle.

Christofer ne rimase suo malgrado ammaliato.

“Oh, mio Dio! Ma cosa state facendo lì a terra?!” esalò Kathleen, entrando di corsa e abbandonando la candela su un cassettone.

Inginocchiatasi in fretta al suo fianco, lo sguardo intenso a percorrerlo in fretta alla ricerca di ferite evidenti, la moglie aggiunse: “Avreste dovuto chiamare Julian, invece di avventurarvi da solo per la stanza semi buia.”

Ben conscio della propria incoscienza, Christofer si appoggiò su un gomito per mettersi seduto e, aggrottando la fronte, borbottò: “Ne sono cosciente, signora, ma non volevo svegliare il mio valletto per un semplice ceppo irrispettoso.”

Lanciato uno sguardo al fuoco, Kathleen fu lesta ad afferrare un alare per sistemare il ciocco incriminato.

Sistemata poi la rete metallica dinanzi al fuoco, aggiunse un paio di legni e si volse nuovamente verso il marito.

“Dovrei sgridare Julian per aver lasciato così incustodito il fuoco.”

“Non è sua la colpa, ma mia” replicò il conte, aggrottando la fronte. “L’ho… dimenticato.”

Levando un sopracciglio con aria evidentemente accigliata, la donna brontolò: “E per quale recondito motivo vi siete messo a giocare con il fuoco, mio signore? Non è cosa che dovrebbe spettare a voi.”

“Perché ne avevo voglia” protestò Christofer, accalorandosi.

E da quando Kathleen aveva il coraggio di rabberciarlo? O anche solo di parlargli con quel tono?

Chi era quella volpe scatenata che tutti sostenevano essere sua moglie? Lui non la ricordava affatto così!

Avvolto un braccio sotto le ampie spalle del marito, la fanciulla fece forza sulle gambe e ordinò torva: “Coraggio, vediamo di levarci da questo freddo pavimento, prima che le vostre condizioni peggiorino.”

“Sono capacissimo di alzarmi con le mie sole forze, moglie” protestò nervosamente l’uomo, pur dovendo ammettere tra sé che il suo aiuto gli era più che necessario.

Lei lo fissò scettica e, tenendolo fermamente sotto un’ascella, il braccio ben saldo dietro di lui, lo accompagnò fino al letto.

Quando fu sicura che fosse ben ancorato al baldacchino, corse a prendere il bastone da terra.

Christofer si prese il tempo di volgersi verso di lei e fu a quel punto che, complice il fuoco vispo nel camino, scorse il corpo longilineo e femminile della moglie attraverso il candore della camicia da notte.

Subitaneo quanto indesiderato, il sangue gli corse ai lombi e, un istante dopo, Harford si diede dell’idiota e dello screanzato.

Vile corpo traditore!

Non appena Kathleen fu di ritorno, lui la afferrò al polso per sorreggersi, per trattenere se stesso e le proprie voglie di uomo, ma la moglie male interpretò il gesto.

Lo scostò di malagrazia, quasi rendendo vano il suo salvataggio e, furiosa, sibilò: “Comportatevi da gentiluomo e non da zotico, per l’amor di Dio! Non sono una sciacquetta da sbattere su un letto per la vostra soddisfazione!”

“Come, prego?!” sbottò Christofer, già pronto a rabberciarla per essere stato ripreso per una cosa che aveva evitato di commettere.

Kathleen lo aggirò con passo sdegnato e, dopo aver appoggiato il bastone contro il suo comodino, lo fronteggiò a viso aperto.

“Il fatto che voi siate mio marito, non vi da il diritto di afferrarmi a un braccio per imporvi su di me. Mai più mi concederò a un uomo come se fossi un oggetto e basta. Neppure a voi!”

Detto ciò, se ne tornò nelle sue stanze sbattendo sonoramente la porta.

Rimasto solo a contemplare il vuoto della sua stanza, Christofer non poté che lasciarsi sfuggire un’imprecazione.

Come diavolo era riuscito a sbagliare, pur volendo fare la cosa giusta? Come, in nome di Dio?!
 
***

La mattina non portò consiglio, e una pioggia fitta e scrosciante lo svegliò di soprassalto, tamburellando violenta contro le imposte chiuse.

Julian si presentò di buon’ora, aprendo la sua stanza al nuovo, uggioso giorno.

Lavatosi e sbarbatosi, si fece aiutare con gli abiti e, con minuziosa attenzione, legò i capelli in una coda di cavallo per apparire il più ordinato possibile.

Quando infine raggiunse la saletta della colazione, a un paio di stanze di distanza dalla sua, vi trovò a sorpresa sua madre e sua moglie, nonostante l’ora antelucana.

Wendell se ne stava accanto alle finestre, impegnato a mordicchiare un panetto dolce.

“Buongiorno, mie signore, … fratello. Siete mattinieri, a quanto pare” asserì il conte, con tono neutro.

“Buongiorno a te, figliolo” mormorò la madre, sorseggiando del succo d’uva. “Io e Kathleen siamo solite levarci poco dopo l’alba… Wendell, invece, era ansioso di parlare di nuovo con te.”

Vagamente sorpreso – era insolito che una dama si presentasse prima di mezzogiorno, al cospetto del suo signore – Christofer si accomodò a fatica, digerendo quell’informazione insolita.

Un domestico si affrettò a servirgli uova strapazzate e bacon.

“Siete davvero encomiabili, non c’è che dire.”

“La mattina ha l’oro in bocca” chiosò serafica Kathleen, imburrandosi un panino dolce.

Il conte studiò di sfuggita il viso della moglie per comprenderne l’umore.

Contrariamente alla notte precedente, in cui i suoi sentimenti erano scaturiti come uno scoppio di bomba, quella mattina pareva ermetica quanto fredda.

“Senza Kathleen e Wendell, non so come avrei potuto sopportare queste settimane di lutto” asserì Whilelmina, sorridendo grata alla nuora, che rispose con un sorriso altrettanto sincero e diretto.

Parevano andare d’amore e d’accordo.

Wendell, tornando nei pressi del tavolo, diede un bacetto sulla guancia alla madre e, un po’ goffo, si sedette accanto a Kathleen, che sorrise amorevole al cognato.

“Siete come una madre, per me, non avrei mai lasciato che soffriste in solitudine” replicò cortese Kathleen, allungando una mano per sfiorare quella della suocera.

La donna accentuò il suo sorriso e Christofer, in dovere di dire qualcosa di carino, commentò: “Siete stata fortunata, madre, ad avere avuto Kathleen e Wendell al vostro fianco.”

“E’ una ragazza così cara e dolce!” assentì Whilelmina. “E Wendell mi ha confortata molto.”

Dolce?, ripeté tra sé l’uomo, ripensando alla volpe che lo aveva aggredito verbalmente la notte scorsa.

Il bacio di una baionetta gli sarebbe parso più appetibile.

A onor del vero, però, andava detto che la moglie doveva ricordare – di lui – solo episodi nefasti, perciò non faceva specie che avesse frainteso la sua stretta.

Lo sguardo gli corse immediatamente alla mano destra della moglie, che lui aveva afferrato con forza solo poche ore addietro.

Il mezzo guanto nero, però, non gli permise di comprendere se, la sua manovra ben poco ortodossa, avesse lasciato strascichi.

Avrebbe dovuto attendere di rimanere solo con la moglie per sincerarsene e, eventualmente, per chiedere perdono per i suoi modi sgarbati, pur se involontari.

“Mamma ha detto che, subito dopo le festività natalizie, dovrò tornare in collegio. E’ proprio necessario, fratello?” intervenne Wendell, mogio.

Sorridendo comprensivo al fratello – sapeva cosa volesse dire essere un figlio cadetto – Christofer asserì: “Credo che, almeno per quest’anno, tutto debba svolgersi così come i nostri genitori hanno stabilito. L’anno prossimo, potremo decidere di prenderti dei precettori privati, se lo desideri.”

“Va bene” assentì il fratello, gratificandolo di un sorriso.

Un quieto bussare alla porta prevenne qualsiasi altro commento da parte di Christofer.

Nel vedere William fare capolino – un pesante mantello al suo braccio, mentre un altro ne copriva le ampie spalle – il conte lo fissò dubbioso.

“Signorie vostre, buongiorno e scusate l’interruzione. Milady, la carrozza è pronta come ordinato, e così pure le spoglie di vostro fratello.”

“Molto bene, partiamo subito” assentì lesta Kathleen, levandosi dal tavolo senza neppure terminare la colazione, peraltro molto leggera.

Con una riverenza appena accennata, la giovane uscì assieme al suo attendente che, premuroso, le avvolse le esili spalle con il mantello prima di uscire dalla stanza.

Rimasto solo assieme alla madre e al fratello, l’uomo si volse in cerca di spiegazioni e Whilelmina, con un mesto sospiro, dichiarò: “Porterà Andrew alla casa del padre, perché venga tumulato nella cappella di famiglia.”

“Avrei potuto accompagnarla” si premurò di dire Christofer, vagamente piccato per non essere stato minimamente informato della cosa.

La madre scosse il capo, imbarazzata.

“E’ meglio di no, Christofer. Quando abbiamo saputo della morte di Andrew, abbiamo avvisato il barone Barnes, e lui non è stato esattamente lieto di sapere che tu, al contrario, ti eri salvato. Vederti, potrebbe farlo soffrire troppo.”

Memore delle parole dell’amico, il conte ribatté torvo: “Non mi sembra che lasciar andare Kathleen sola da suo padre, sia più sicuro. Il barone non ha mai avuto molto a cuore la figlia, da quel che so.”

“Mister Knight baderà a lei egregiamente” liquidò la faccenda la madre, ripulendosi la bocca con il tovagliolo di bianco cotone.

“Mastro William è bravissimo! Mi ha anche insegnato a correggere i miei errori di postura sul pony! E’ davvero un cavallerizzo eccezionale. E’ un peccato che non sia un nobile, perché cavalca davvero bene” aggiunse Wendell, sorseggiando del latte caldo.

Aggrottando la fronte, Christofer borbottò: “A quanto pare, basta William Knight a questa famiglia.”

Whilelmina poggiò il tovagliolo con aplomb impeccabile, ma i suoi occhi parlarono per lei, e non fu bello ciò che il conte vi vide.

Levandosi lentamente da tavola, si limitò a dire: “Troverai ben poche persone, qui a Green Manor, scontente di lui.”

Con un breve saluto, anche la donna lo abbandonò, lasciandolo con il solo Wendell a terminare il suo pasto.

Sbuffando debolmente, Christofer lasciò perdere la madre e cancellò temporaneamente anche la moglie dalle sue preoccupazioni più urgenti.

Non aveva tempo né voglia di comprendere le bizze di quelle due donne, visto che tutto il patrimonio di famiglia era caduto sulle sue spalle.

Immaginava soltanto la sfilza di documenti rimasti in attesa che lui li visionasse.

Che lui aprisse quelle porte e varcasse le soglie di quella nuova vita, di quel nuovo peso da portare sulle spalle.

Scusandosi con il fratellino, e promettendogli che avrebbero parlato nel primo pomeriggio, abbandonò a sua volta la saletta e si inerpicò lungo le scale per raggiungere lo studio del padre.

Con passo incerto e infelice si diresse a sud, verso l’ala di palazzo ove si trovava lo studio.

Quando lo raggiunse e ne aprì le porte, però, lo sconcerto e la confusione balenarono sul suo viso con la velocità del fulmine.

Nessun incartamento ricopriva la scrivania di palissandro.

Tutto era ordinatamente impilato su un fianco, apparentemente già catalogato, controllato o stilato.

Quando Christofer raggiunse quel numero imprecisato di documenti, fu sorpreso di trovarvi anche appunti su appunti, stilati con grafia eccellente. E femminile.

Sua madre?

Afferrato a caso uno dei fogli di appunti, lo studiò con attenzione e, dopo qualche breve istante, scosse il capo.

No, quella non era la scrittura della madre.

Quello sfarfallare elegante e fluido, apparteneva a una sola persona; Kathleen.

Accomodatosi alla scrivania, prese gli incartamenti uno dopo l’altro, studiandoli con attenzione sempre crescente.
Quando poi si avvide dell’ordine con cui tutto era stato sistemato, ebbe di che stupirsi ulteriormente.

Non solo sua moglie si era occupata della tenuta nell’ultimo anno, in apparenza, con efficienza e meticolosità.

Aveva anche già predisposto la suddivisione ai loro mezzadri delle derrate  alimentari per l’inverno.

Sfogliando i vari incartamenti, scoprì alcuni documenti riguardanti il lanificio, e se ne stupì ulteriormente.

A quanto pareva, il vecchio proprietario aveva venduto circa otto mesi addietro a un nuovo affittuario, e diversi bambini lì impiegati erano stati redistribuiti ad altro incarico.

Non poté che compiacersene in segreto.

Non era mai stato d’accordo con l’utilizzo degli infanti all’interno delle fabbriche, ma suo padre non se ne era mai interessato.

A lui era sempre bastato ricevere il pagamento degli affitti dei terreni da parte degli imprenditori locali, indipendentemente dal loro metodo di lavoro.

Non che in Parlamento la pensassero diversamente, se era per questo.

A quanto pareva, Kathleen era riuscita laddove in molti avevano fallito.

Come, però?

Levando lo sguardo per scrutare oltre le finestre, che si affacciavano sulla vallata brulla, Christofer si chiese quante cose fossero cambiate, in quei due anni di lontananza.

E quanto ancora, della giovane moglie, avrebbe scoperto.

Quali misteri celava, quella strana creatura?







Note: Christofer è infine tornato a casa con il suo mesto accompagnatore e, nel rivedere la moglie, si rende conto di non riconoscerla. Quella non è la ragazza insicura che ha lasciato, ma una donna forte e di carattere che, suo malgrado, lo mette a disagio, facendogli capire una volta di più quanto, ora, lui sia fuori posto.
La sua disabilità motoria lo rende insicuro, iniziando a fargli comprendere cosa voglia dire essere inermi di fronte al destino. Un bell'insegnamento, per Christofer, che cerca di mettere in pratica quando sceglie di allontanare la moglie dai propri desideri di uomo.
Nel farlo, però, combina un pasticcio, perché Kathleen male interpreta i suoi gesti, lei giustamente restia a fidarsi di lui.
A qualcun altro, va la fiducia di Kathleen, a Mastro William, che scatena in Christofer un'insolita quanto imprevista gelosia. Che si senta minacciato nel suo stesso territorio? Forse.
Di sicuro, William gli riserverà più di una sorpresa, in futuro.
E ora, ve lo presento, assieme al piccolo Wendell, che Christofer tanto ama.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark