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Autore: Kim WinterNight    20/02/2016    4 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Così impari, idiota.





Mi guardo attorno, è pieno di studenti impazziti, mentre un gruppo di ragazzini suona in maniera alquanto discutibili svariati successi rock e metal. Preferirei non dover ascoltare questo scempio, ma Tita mi ha nuovamente trascinato fuori, dopo che entrambe siamo uscite dal bagno.

Un po' ci siamo confidate, il che non accade spesso, almeno non per quanto mi riguarda; Tita dice che non è così terribile avere un ragazzo, che lei e Gabri stanno bene e lei non si sento assolutamente obbligata a fare qualcosa che non vuole.

Okay, ma questo cos'ha a che fare con me? Io non voglio mettermi con Checco, non esiste. Quello è pazzo se crede di avermi sconvolto così, e magari pensa pure che io sia imbarazzatissima e non abbia più il coraggio di guardarlo o di farmi vedere all'assemblea. Forse inizialmente ho reagito male, d'impulso, sono andata un po' nel pallone, ma ora è tutto passato.

Io e Tita raggiungiamo nuovamente Gabri e Giaco, i quali stanno ridendo come scimmie mentre commentano la band che sta suonando. In realtà non capisco chi abbia avuto il coraggio di farli esibire, sono un vero e proprio oltraggio all'udito e alla musica. Scommetto che Checco non lo avrebbe mai permesso, almeno in quanto a gusti musicali non posso dire nulla di male su di lui.

Io sono contrariata da svariate situazioni che si stanno svolgendo intorno a me: noto che Marianna sta nuovamente civettando con Checco, anche se si trova ad una distanza di sicurezza accettabile; la musica non è musica, il caldo è asfissiante e sembra che tutto intorno sia troppo luminoso.

Forse mi stavo abituando a quel cesso dall'odore pestilenziale, ma sento che quest'assemblea sta diventando una tortura per me, e non riesco neanche a capire perché.

Lungi da me dare soddisfazioni a chicchessia, non esiste proprio, non è da Albertina Annetta Bartolini.

Intanto il gruppo se ne va al diavolo e si preparano altri studenti che, a quanto pare, vogliono fare un live acustico. Io ho paura, ma ormai non mi importa più.

Lancio continuamente occhiate di fuoco a Checco e alla sua nuova amichetta e mi domando perché lo sto facendo.

«Albertina!» tuona una voce alla mia sinistra.

Sobbalzo. Sono così impegnata ad incenerire chiunque rientri nel mio campo visivo, che non mi sono minimamente accorta della presenza di mia madre. Non so quando sia giunta, ma mi pare sia molto interessata alla direzione su cui era puntato il mio sguardo fino a poco fa.

«Salve, prof!» ammicca Giaco, ridendosela. Lo odio quando fa così, sa quanto io detesti la mia genitrice. Perché tutti cercano di tenersela buona? Ah, già, perché è l'insegnante di matematica e, fattore non trascurabile, perché non la conoscono come la sottoscritta.

«Mi è giunta voce che tu e Checco vi siete baciati, finalmente! Aspettavo con ansia questo momento, sapevo che prima o poi avresti capito quanto è affascinante e giusto per te quel ragazzo!» squittisce Maria Vittoria, ignorando completamente il saluto del mio amico e i cenni di Tita e Gabri.

In ogni caso, impallidisco. Sento che il sangue ha improvvismente abbandonato la mia faccia, facendomi assomigliare sicuramente ad un fantasma. Non ci posso credere, questo è troppo!

«Senti un po', hai capito male...»

«Ed è proprio per questo...» mi interrompe ancora mia madre, senza degnarmi di attenzione. Sembra che stia parlando da sola e che io sia solo una decorazione in mezzo al cortile della scuola.

«Mamma...» ritento.

«Insomma, lasciami dire! È proprio per questo che ora andrò ad invitarlo a pranzo da noi, questa domenica. Voglio che si festeggi al meglio, Albertina, in modo che anche tuo padre possa conoscere il tuo uomo!» blatera.

E io mi sento sprofondare, mi sento veramente male e non ce la faccio più, vorrei poter essere autolesionista, depressa, stupida, sorda... vorrei essere un sacco di cose e non esserne nessuna, eppure devo stare qui a sentire le sue cazzate, con la voglia di afferrare Giaco – che intanto sghignazza al mio fianco, divertito dalla scena –, baciarlo e poi lanciarlo addosso a quella donna orribile e gridare: «Ehi, stronza, lui è il mio uomo!». Solo per avere la soddisfazione di vedere quel sorrisetto compiaciuto dalle sue labbra, fingerei di amare follemente anche quel reietto di Mauro.

Invece sto zitta e la fisso basita, senza neanche aprire la bocca nel tentativo di contraddirla.

«Anzi, figlia mia, vieni con me: annunciamo insieme la bella notizia a Checco!» grida, che sembra in preda al demonio e io vorrei essere un esorcista per farla tacere.

«Crede che sia la cosa giusta, prof?» cerca di intervenire Tita. Io amo Tita, è veramente un'amica, la migliore che si possa desiderare. Lei sa che le sue parole sono totalmente inutili, ma comunque prova ad aiutarmi. È formidabile.

«Ma certo! Su, Albertina, alzati da quella sedia e vieni con me!» mi ordina, come se fosse un generale dell'esercito.

Giuro, non lo so, proprio non lo so perché cazzo la sto assecondando, eppure la sto fottutamente assecondando: mi sono alzata, ora sto camminando appresso a lei come un cane bastonato, mentre qualcosa di simile all'umiliazione mi brucia nel petto.

Checco, non appena vede mia madre, si apre in un largo e luminoso sorriso, le va subito incontro e proprio in quel momento un ragazzino lagnoso comincia a cantare una canzone accompagnato dal suono di una chitarra acustica scordatissima.

«Caro, carissimo Checco! Sono così felice che tu e la mia disgraziata figlia vi siate fidanzati, sono certa che sia la cosa più sensata per lei. Sai, è molto ribelle, ingestibile, indomabile quasi... ma tu, tu sei la persona giusta per lei!» esordisce la pazza, schioccando due baci sulle guance del suo ex alunno.

L'espressione di Checco cambia leggermente, nei suoi occhi passa un lampo di confusione per un nanosecondo – me ne accorgo solo perché non faccio che fissarlo, maledizione! Poi tutto torna noramle, lui sembra completamente a suo agio e annuisce amabilmente mentre Maria Vittoria non fa che blaterare cose che neanche sto ascoltando.

Vorrei dirgli che mi dispiace, ma non è così: improvvisamente, dentro me si sta facendo strada una sensazione familiare e meravigliosa, sulla lingua sento quella punta di soddisfazione che solo la vendetta sa farmi provare. Quando vinco una sfida è la stessa cosa: mi sento sempre molto orgogliosa di me stessa, l'autostima sale alle stelle e un senso di onnipotenza mi avvolge, scaldandomi l'anima.

E adesso ho capito, ho capito che per la prima volta nella mia vita devo essere estremamente grata a mia madre. Lei, con la sua stupida ingenuità e con il desiderio latente di vedermi accoppiata con un maschio, mi ha procurato una meravigliosa occasione per prendermi la mia bella vendetta nei confronti di quello stronzo di Checco.

Lei non lo conosce veramente, non sa che lui mi ha baciato per poi dirmi delle cose orribili, ma ora come ora non avrebbe potuto fare di meglio. L'idiota è talmente idiota che non ha messo in conto il fatto che mia madre insegna nel mio liceo, che sarebbe stata presente all'assemblea e avrebbe saputo del nostro bacio. Ma, cosa più grave, neanche lui conosce bene Maria Vittoria: non sa – o meglio, non sapeva finora – che lei non aspettava altro, fin dal primo giorno in cui lui è ricomparso, presentandosi a scuola come tecnico del suono per l'assemblea musicale di fine anno.

Non appena l'ha visto accanto a me, nella sua mente si è formata la scabrosa trama di un harmony di quart'ordine ed ecco che, secondo i suoi piani, finalmente il suo sogno a luci rosse si sta realizzando.

Stupido Checco, ben ti sta. Vieni pure a pranzo da noi, ora sei ufficialmente il mio partner – e, soprattutto, agli occhi di mia madre, il mio amante – e non puoi assolutamente tirarti indietro, perché Maria Vittoria ti stima e tu non osi deluderla.

Quanto è bella la vita, cazzo.

Così, spinta dalla mia nuova convinzione, comincio ad appoggiare pienamente le parole di mia madre, così quel cafone impara. Lui è un altro che non sa con chi ha a che fare, alla fin fine Albertina Annetta Bartolini vince sempre.

«Ma sì, vieni a pranzo da noi Checco! A papà farà piacere conoscerti» concordo con la pazza, sorridendogli con rinnovata convinzione.

Così impari, idiota.

«Ehm... sì, perché no? Non c'è problema, mi farebbe piacere...» farfuglia lui, messo alle strette.

Lo so, si sente veramente braccato, specialmente da mia madre che è un predatore nato, sa il fatto suo e in questo caso non potrei stimarla più di così.

«Allora è deciso! Ti aspettiamo domenica per mezzogiorno, ci conto!» pigola la scellerata, baciandolo nuovamente su entrambe le guance. Poi accampa una scusa – scommetterei entrambi i polmoni che lo sta facendo per lasciarci soli – e torna verso l'edificio scolastico, tutta impettita come al solito.

A quel punto è il mio momento, lo sento: sento che prima di uscire di scena, devo infierire, infliggergli il colpo di grazie e poi lasciarlo lì, come il decerebrato che è.

Allora lo guardo, sbatto le ciglia in pieno stile Marianna, poi mormoro: «Anche io ci conto, dolcezza, non mancare».

E me ne torno dai miei amici, con un senso di soddisfazione che non si può spiegare, non si può descrivere a parole.

Sono queste le occasioni in cui sento di amarmi.


Domenica arriva presto. La scuola è finita, sono veramente contenta, al settimo cielo. Non c'è niente di meglio del dolce far nulla, nessuno può capirmi.

La più scarsa comprensione la ricevo da Maria Vittoria, che dalle sette di questa mattina non fa altro che sfaccendare per casa, coinvolgendo anche la sottoscritta nelle sue follie esistenziali. Mi ha buttato giù dal letto con un grido animalesco e ora mi sento tanto Cenerentola in attesa del suo Principe, ma solo per il fatto che sto strofinando pavimenti da tempo incalcolabile.

Se pochi giorni fa ho amato Maria Vittoria, ora me ne pento con tutta me stessa: non avevo pensato alla sua mania per l'ordine e la pulizia, specialmente nel momento in cui è certa che stia per arrivare un ospite. Se l'ospite è da lei ritenuto importante, sembra di vivere una vera e propria rivoluzione industriale. Santa pazienza.

Quando Checco arriva, lei e mio padre gli vanno incontro, mentre io finisco per seguirli controvoglia. Devo capire che sto vivendo una vendetta, quel cretino si merita tutto questo, è stato lui a dare inizio alla messinscena che ancora stiamo vivendo.

Il pranzo è uno scempio, almeno per lui: i miei gli fanno un sacco di domande – mio padre perché non lo conosce, mia madre perché è semplicemente se stessa e non sa stare zitta – e io me la godo, mi va proprio di lusso perché non devo far altro che ammiccare ogni tanto e lasciargli qualche carezza sul braccio, facendo credere a tutti che io non voglia assolutamente che i miei lo mettano in imbarazzo.

Quando arriviamo al caffè, noto che Checco è sfinito, ma scommetto che i miei genitori non se ne accorgono affatto.

«Allora, Albertina, vuoi mostrare a Checco la tua stanza? Vi lasciamo andare, così potete stare un po' da soli» dice mia madre, strizzandomi l'occhio. Non può farlo, ma sono pronta a giurare che si sfregherebbe le mani colma di soddisfazione, se solo Checco non fosse presente.

A questo punto vorrei evitare di darle retta, ma ormai sono con le mani in pasta e quindi... impasto.

«Ma certo, grazie mamma! Dai, Checco, andiamo» lo esorto, ridacchiando come fanno tutte le ragazzine stupidamente innamorate. Sono un'attrice nata, dovrei fare un pensierino ad un'eventuale carriera in campo teatrale/cinematografico.

Ci alziamo dal divano e io, per rendere ancor più credibile il teatrino, lo prendo per mano e lo conduco verso camera mia.

Una volta fuori dal salotto, lo lascio andare immediatamente, non ho nessuna intenzione di dimostrargli qualcosa che non esiste.

Giunti in cima alle scale, gli indico la porta della mia stanza e lo osservo con un sorrisetto.

E ora?

  
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