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Autore: DeaPotteriana    21/02/2016    3 recensioni
Questa fanfiction era già stata postata, ma ho deciso di riscriverla completamente, in quanto non mi sembrava...mia. Quindi questa è la Re-edizione de "L'Ultima Black".
E se Sirius Black avesse avuto una figlia?
Questa è una raccolta di avvenimenti della vita di Helena Kaitlyn Black, una vita difficile, passata nella rabbia, nel dolore e nella solitudine. Una vita passata senza genitori, con una famiglia dura e razzista e un padrino troppo buono per riuscire a gestire la figlioccia.
Questa storia narra di questo e di molto altro. Narra di un'amicizia eterna, una scuola che fa da casa e una Casa che non sembra adatta a Kait; parla di una guerra in arrivo, di lacrime trattenute a stento e di lutti strazianti. È solo una fanfiction, ma immaginate come sarebbe stata la vita della figlia di Sirius Black, se solo fosse esistita.
Non siete curiosi?
Vorrei dimostrare, in questa storia, che a volte il dolore toglie il fiato, che l'amore spesso non basta e che essere un eroe ha sempre il suo prezzo. Spero di riuscirci.
EDIT: STORIA INCOMPIUTA, NEGLI ULTIMI 2 CAPITOLI SPIEGO COME FINISCE.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, I fondatori, Il trio protagonista | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Isn't that what a great story does? Makes you feel?'
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L’Ordine della Fenice
 

Quando entrarono nell’ufficio di Moody - da fuori sentirono parole come “Signore Oscuro” e “ti ucciderò per lui” - e Silente schiantò l’ex Auror, Kait corse da Harry e lo abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo. Forse non stavano più insieme, forse tra loro c’era ormai tanto imbarazzo, ma si volevano anche molto bene e niente avrebbe cancellato quell’affetto.

“Moody…” cominciò a borbottare lui, il sangue a impiastricciargli i vestiti e i capelli.
“Non è il vero Alastor Moody,” risposero Kait e Silente in contemporanea.
Sentirono un grosso colpo provenire da un baule nell’angolo e il preside, impegnato a tenere sotto tiro l’impostore, fece cenno alla Black di aprirlo; lei eseguì, la bacchetta alta di fronte a sé in modo da essere pronta a reagire.

Il baule era stato incantato perché fosse una specie di pozzo, alla cui base due figure alzarono il viso. “Signore!” esclamò Kait.

“Sta bene,” rispose la persona più in ombra. “È quasi in ipotermia ed è controllato dalla Maledizione Imperius, ma dovrebbe cavarsela.”

Il ragazzo prese un grosso sospiro. “Ce ne saremmo dovuti rendere conto, Kay.”

Ma lei non ascoltava. Era troppo sollevata all’idea di vedere Jackson sano e salvo - vivo! - per potersi sentire in colpa. “Come…” cominciò a domandare, aiutando magicamente i due a uscire dal baule incantato. 

“Era da un po’ che avevo il dubbio,” mormorò il Grifondoro. “Stamattina, dopo l’ultimo esame MAGO, sono andato da lui per affrontarlo.”

Si rimise in piedi e aiutò Kait a sistemare una coperta sul vero Moody. “Mi stava aspettando, il bastardo. Mi ha schiantato e chiuso insieme a Malocchio… Il vero, si intende.”

“Potevi venire da me,” lo interruppe Silente.

“Non avevo abbastanza prove,” rispose Jackson, prima di chinare il capo e chiedere comunque scusa per l’impulsività e la poca fiducia.

Lui e Kait si posizionarono ai fianchi di Alastor, ancora profondamente addormentato, e alzarono le bacchette, - Everdeen la recuperò da uno scaffale - pronti a reagire al primo gesto brusco del Mangiamorte appena svegliato.

Dall’angolo opposto, Harry lanciò un’occhiata a Kait.

Per l’ennesima volta, si rese conto di averla persa - e non c’era più niente da fare per fingere il contrario.


 

Jackson e Kait accompagnarono il vero Alastor Moody in infermeria, dove il primo decise di fermarsi. “Preferisco stare un po’ con lui,” le spiegò. Si salutarono con un bacio veloce e si strinsero in un abbraccio, ringraziando Merlino per essere insieme.

“Silente ti aspetta nel suo ufficio,” li interruppe Salazar a quel punto, incitandola a cominciare a camminare. Attraversarono a passo svelto un corridoio dopo l’altro ed erano quasi arrivata a destinazione quando incontrarono - incontrò, perché Salazar non era visibile - il preside e Harry. “Oh bene,” sorrise stancamente il primo. “C’è qualcuno che vuole vedervi.”

Silente aprì la porta dell’ufficio e li fece entrare - appoggiato alla scrivania, l’espressione preoccupata, stava Sirius. Scattò in avanti nel momento stesso in cui li vide e li abbracciò, uno per lato.

Dal fuoco del camino, intanto, arrivò anche Remus, a cui Kait quasi si lanciò addosso. 

Fecero accomodare Harry su una sedia, perché stava perdendo tanto sangue e cominciava a barcollare, e i due Malandrini vollero conoscere l’intera storia. Così Silente cominciò a raccontare, fermandosi solo per domandare a Harry di spiegare l’accaduto una volta toccata la Passaporta.

“Credo che questo possa aspettare,” intervenne Sirius e Kait non disse nulla, decisa a non litigare con il padre. Se quello che Potter affermava era vero, però, non c’era tempo da perdere, perché Voldemort era tornato e ogni secondo diventava più forte.

Ascoltarono il racconto di Harry in silenzio, Sirius a stringergli forte la spalla mentre Kait, più lontana, appoggiava l’intero peso su Remus. L’uomo, di rimando, le accarezzava i capelli e la schiena, rassicurandola con la propria semplice presenza.

Fu solo dopo un’ora che Silente diede loro il permesso di andare. Harry avrebbe passato la notte in infermeria e Sirius, già pronto a tornare cane, si mostrò deciso a stare al suo fianco. Anche Kait era poco intenzionata ad allontanarsi e quindi Remus anche, visto che mai avrebbe lasciato la figlioccia dopo una tale nottata.

“Un’ultima cosa,” li fermò Silente facendo cenno a Harry di aspettare fuori dalla porta, preferendo che non sentisse. Troppo stordito dagli avvenimenti della serata, Potter eseguì senza porre domande.

“Devo parlare con voi due,” esordì il preside indicando Sirius e Remus, “ma soprattutto con lei,” e indicò Kait.

“Dopo ciò che è successo stanotte, sembra inevitabile affermare che… Voldemort è tornato.”

Venne interrotto dalla McGrannitt, che entrò nell’ufficio silenziosa come un gatto e gli si posizionò al fianco. “Nei tempi bui che verranno,” continuò l’uomo, “avremo bisogno di validi combattenti, persone che non si facciano fermare dalla paura, ma la usino per reagire al meglio. Maghi e streghe uniti per contrastare la minaccia di Voldemort.”

La McGrannitt, che aveva capito dove sarebbe andato a parare, sussultò e sgranò lo sguardo. “È troppo piccola! Ha appena finito il quarto anno…”

“È ciò di cui abbiamo bisogno. Fidati di me, Minerva. Alastor l’ha allenata bene.”

Remus e Sirius, arrivati alla stessa conclusione della professoressa, si lanciarono un’occhiata preoccupata, mentre la donna ribatteva.

“L’ultima volta non ero favorevole a dei diciassettenni, figuriamoci se ora lo posso essere per una ragazzina di quattordici…”

E Kait, senza volere, la corresse con un “a settembre sedici”. La McGrannitt, poco impressionata, continuò a sbraitare. “Non mi interessa! È troppo piccola!”

“Troppo piccola per cosa?” sbottò allora la Black.
“Per combattere,” rispose Remus. “Perché è di questo che si tratta, vero?”

Silente annuì. “Non le affideremmo niente di troppo eccessivo. Mi rendo conto che…”

“No,” lo interruppe il mannaro. “Non esiste.”

“È una mia scelta,” esclamò la figlioccia. “Se voglio combattere non vedo perché qualcuno me lo debba impedire.”

“E tu lo vuoi?” domandarono Sirius e Silente al tempo stesso. Il primo era immerso nei suoi pensieri, ma non sembrava troppo contrario all’idea.

“Stai scherzando?!” urlò Remus nel vedere Kait annuire. “Non esiste che si faccia ammazzare solo perché pensiate sia pronta per…”

“Ha il diritto di combattere per ciò in cui crede,” alzò la voce Sirius, cercando di superare il volume dell’altro. “E comunque io sono il padre, io decido se può o meno scegliere per sé,” si impuntò.

Incapace di ribattere, Remus tacque.

“Quindi cosa mi dici?” domandò Silente, lo sguardo fisso sull’Unità.

“Accetto.”

Si scambiarono una stretta di mano.

“Benvenuta nell’Ordine della Fenice.”


 

“Caramell è un vero idiota.”

Kait, che stava sciogliendo i lacci degli anfibi, annuì.
“Andrebbe tolto di mezzo. Abbiamo bisogno di un Ministro vero, non uno così,” continuò Jackson e si voltò verso le scale. “Credo farò una doccia e poi andrò a dormire,” la avvisò. Le diede un bacio a fior di labbra e le sorrise. “Raggiungimi quando vuoi.”

Kait sorrise e si tirò in piedi; al contrario dell’altro, però, non aveva intenzione di andare a letto. Era ancora troppo poco rilassata per poter anche solo pensare di prendere sonno.

Erano entrati nell’Ordine con la fine della scuola, ma non avevano cominciato davvero le missioni o le ronde; Moody - quello vero - insisteva per far affrontare loro alcuni allenamenti, prima, giusto per essere sicuro che Crouch non li avesse rammolliti. Al termine del decimo allenamento, diceva, avrebbero ottenuto i turni della ronda. Niente di difficile, comunque, ma un primo passo.
Ancora persa nei propri pensieri, Kait decise di dirigersi in cucina, dove avrebbe potuto farsi una tisana, e notò con la coda dell’occhio Kreacher pulire un angolo della casa. Sirius aveva dato Grimmauld Place all’Ordine e l’elfo non ne era stato molto contento, ragion per cui Kait continuava a regalargli piccoli oggetti, in modo che quei gesti gentili lo facessero sentire un po’ meglio.

“Padrona non entra in cucina per favore,” la fermò Kreacher. 

“E perché non dovrei?” domandò la ragazza in risposta. Aveva appena finito di parlare che sentì due voci dai toni concitati provenire proprio da quella stanza. Scacciò l’elfo e si sistemò dietro la porta, a origliare.

“Lei è mia figlia!” stava urlando Sirius. “E credo abbia il diritto di scegliere se combattere o meno.”

Prese un respiro e riprese con più enfasi. “Io sono suo padre!”

E allora comportati come tale!

Kait sobbalzò, riconoscendo la voce di Remus. Stavano litigando per lei… Perché era entrata nell’Ordine.

“Rem, stai fuori da questa storia.”

“Non posso! Perché, se lo facessi, Kaitlyn rimarrebbe sola! O mi stai dicendo che sei abbastanza, per lei? Che riusciresti a gestirla, a crescerla, a darle dei limiti e ad aiutarla… Mi stai dicendo che ce la potresti fare?!”

“Sì,” sbottò Sirius. “È mia figlia e…”

“Lo è solo per quanto riguarda il sangue. Lei è sempre stata accanto a me. Se qualcuno ha il diritto di farsi chiamare padre, da lei, quello sono io!”

Fuori!” urlò Sirius con più rabbia e disperazione Kait gli avesse mai sentito nella voce. “Mi hai sentito, Remus? Fuori da qui!”

Bene!” gridò di rimando il mannaro, la stessa intensità. “Ma Kait viene con me!”

“Non ci provare, lei resta qui!”

“Ho io la sua custodia,” sbottò Remus. Dalla voce sembrava allo stremo delle forze.

Kait era pronta a un “lasciamola scegliere” a cui mai e poi mai avrebbe risposto, quando sentì il suono di un singhiozzo. “È il minimo che possa fare, Rem,” sussurrò Sirius, rendendo difficile origliare alla figlia. “Se le negassi ciò che vuole, cosa mi resterebbe?” domandò con voce spenta.

“Lo capisco, Sir,” rispose l’amico, riacquistando pian piano la calma, “ma se non poniamo dei limiti si farà ammazzare.”

“Chi sono io, per fermarla?” continuò Black imperterrito. “In più, non posso essere così ipocrita. Noi avevamo solo un anno in più di lei, quando abbiamo cominciato a combattere.”

“Sì, e vedi com’è finita.”

“È addestrata. E comunque se non avessi voluto farla combattere non avresti dovuto portarla da Alastor fin dal principio.”

Remus sospirò e Kait lo immaginò abbassare lo sguardo, stremato. “Abbiamo entrambi commesso degli errori,” ammise l’uomo. “Ma non voglio vederla morire.”

Sirius sbuffò una mezza risata. “Perché, io sì? Eppure… Più ci penso e più credo che lasciarla combattere sia la scelta giusta. Ha perso tanto, troppo. E solo perché non era in grado di reagire.”

“Pensi che lottare per i suoi ideali la farà sentire meglio?”

“Lo spero. E se dovesse morire…” e la voce di Sirius si spezzò, “sarà in un posto migliore. Con loro.”

“Quindi ti arrendi?!”

Kait si allontanò dalla porta, decisa a non ascoltare una parola di più. Si concesse una lunga doccia e quando, di nuovo asciutta, si infilò sotto le coperte al fianco di Jackson, desiderò di poter dormire senza sognare. Desiderò, per una volta, di essere in pace.

 

 

 



 

  
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