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Autore: Mary P_Stark    04/03/2016    2 recensioni
1803. Yorkshire. La guerra infuria, in Europa, e Napoleone Bonaparte non nasconde le sue mire nei confronti della ricca Inghilterra. Christofer Harford, figlio cadetto del Conte Spencer, viene costretto dal padre a maritarsi prima della partenza per la guerra. Le imposizioni non sono mai piaciute al rampollo di casa Spencer, che mal sopporta l'ordine, e finisce con il rendere vittima la dolce e docile Kathleen, sua moglie contro ogni aspettativa. Le privazioni della guerra e la morte prematura del conte Harford richiamano in patria un Christofer distrutto dal dolore, che si ritrova ad affrontare non solo la morte del conte, ma anche una donna che non riconosce essere sua moglie.
Perché la nuova Kathleen è forte, non si piega alle avversità e, soprattutto, sa tenere testa al marito come mai aveva fatto prima della sua partenza. Ma cosa l'ha cambiata tanto?
Christofer è deciso a scoprirlo, così come è deciso a redimersi dalle sue colpe come marito. Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte, minando la possibilità dei due coniugi di conoscersi, di instaurare un vero rapporto.
Saprà, Christofer, difendere la moglie da questo pericolo ormai alle porte e, nel suo cuore, potrà trovare spazio anche per l'amore?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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7.
 
 
 
 
 
 
L'aver trovato la porta degli appartamenti del marito chiusa a chiave, la sera precedente, non aveva sorpreso Kathleen più di tanto.

Probabilmente, Christofer si era sentito troppo stanco per sostenere un'altra notte di lunghe chiacchiere assieme a lei.

Era stato così impegnato, quel giorno, da non poter neppure condividere i pasti con loro.

Il non trovarlo neppure al tavolo della colazione, la mattina seguente, le fece però sorgere qualche sospetto.

Chieste spiegazioni alla suocera – che non le aveva saputo rispondere – la contessa si era infine risolta a raggiungere la stanza del marito.

La risatina di Wendell l’aveva seguita per quasi tutto il corridoio, ma lei non vi aveva fatto caso.

Ora, in prossimità della stanza del marito, ne vide uscire di corsa Julian, armato di bendaggi sporchi e pezzuole umide.

Aggrottando la fronte, lo bloccò in corridoio per chiedergli spiegazioni in merito.

Il valletto parve a disagio e, tergiversando, le disse brevemente che Sua Signoria non si era ancora alzato.

Detto ciò, sgattaiolò via a testa bassa e di gran carriera.

Sempre più incuriosita, Kathleen mise allora mano alla porta, trovandola a sorpresa chiusa a doppia mandata.

“Ma cosa succede?” borbottò a mezza voce, levando un pugno per bussare quietamente.

Due colpetti e, dopo alcuni istanti, una chiave venne fatta girare nella toppa. La testa di Alfred, il capo maggiordomo, ne uscì un attimo dopo.

“Julian, sei già...” iniziò col dire l'uomo, interrompendosi subito non appena si avvide della presenza della sua signora. “Oh... milady, buongiorno.”

Sgattaiolando fuori dalla stanza per poi richiudersi in fretta la porta alle spalle, l'uomo se ne stette ritto dinanzi al battente con l'aria di non saper bene cosa dire.

Sempre più confusa, Kathleen mormorò: “Buongiorno a voi, Alfred. Posso sapere se mio marito è desto? Gradirei parlare con lui.”

“Oh, ehm... Sua... Signoria è... è indisposto, al momento.”

Mai, in più di due anni, Alfred era stato così evasivo con lei, e questo la mise subito in allarme.

Aggrottando la fronte, Kathleen gli domandò: “Ha per caso un'infreddatura?”

Il rombo di un tuono fece tremare l'intera villa e la donna, vagamente sorpresa, esalò: “Cielo! Si sta scatenando l'Apocalisse, qui fuori?”

“Pare davvero un brutto temporale” ammise Alfred, avvertendo ora anche lo scroscio violento della pioggia.

Era così forte che, pur trovandosi all'interno della villa, potevano udirlo con chiarezza.

Per nulla intenzionata a farsi distrarre dal tempo, però, la contessa tornò a fronteggiare il capo maggiordomo e, con cortesia, gli domandò: “Posso entrare? Potrei essere di aiuto.”

“Ah... non credo sia necessario. Abbiamo tutto sotto controllo” si affrettò a rassicurarla l'uomo, sorridendo imbarazzato.

Il ritorno di Julian diede a Kathleen l'opportunità di capire qualcosa in più.

Non appena vide dell'allume di rocca, bendaggi nuovi e una brocca d'acqua pulita, dichiarò torva: “Da quando in qua, per un'infreddatura, si usa l'allume di rocca? La ferita di Sua Signoria è peggiorata, vero?”

Kathleen aveva notato che, in quei giorni, il claudicare del marito era peggiorato ma, scioccamente, non gliene aveva chiesto i motivi.

Avrebbe dovuto essere più accorta!

Sia Alfred che Julian non seppero cosa dire e la contessa, afferrato il vassoio dalle mani dell'incolpevole valletto, ordinò senza tanti giri di parole: “Aprite. Subito.”

“Milady, davvero... non è il caso di preoccuparsi” biascicò ansioso Alfred, ben deciso a non scostarsi dal suo posto, pur trovandosi nella scomoda situazione di dire di no alla sua padrona.

Accigliandosi maggiormente, Kathleen fece un passo avanti, perentoria.

“Devo dedurre che non vogliate eseguire il mio ordine, Alfred?”

“Non mi sognerei mai di disobbedirvi, mia signora!” esalò l'uomo, inorridendo al solo pensiero.

“Allora, fatemi la cortesia di aprire” replicò melliflua Kathleen, sorridendo appena.

Vistosi suo malgrado costretto a obbedire, il capo maggiordomo estrasse dalla tasca dei pantaloni la pesante chiave ottonata che aveva usato per chiudere il battente.

Con un sospiro rassegnato, aprì.

La prima cosa che la contessa notò furono le tende chiuse, oltre alla relativa oscurità della stanza.

La seconda, fu un forte odore di alcool, misto all'acre aroma della legna bruciata.

Quella camera non era stata arieggiata da ore.

Accigliandosi, Kathleen entrò e, nell'allungare una mano in direzione di Alfred, mormorò: “La chiave, per favore.”

“Vostra Grazia, per pietà... non è cosa per i vostri occhi e...” tentennò l'uomo, indeciso sul da farsi.

“Non penso sia uno spettacolo più miserevole delle ferite che ho curato al lanificio, o all’orfanotrofio” precisò Kathleen, fissandolo con estrema serietà.

Alfred fu costretto ad annuire e, nel consegnarle la chiave, dichiarò scontento: “Sarò qui fuori, se avrete bisogno di me, milady.”

“Grazie, Alfred, e perdonami se ho dovuto puntare i piedi” mormorò la donna, chiudendosi la porta alle spalle.

Rammentava ancora troppo bene le dita amputate, le ferite causate dai macchinari e le lacerazioni lasciate dai colpi di bastone inferti dal vecchio padrone del lanificio.

Era certa che nulla potesse essere peggio di quello che aveva visto in quei due anni, passati a curare le ferite altrui per dimenticare le proprie.

Anche per questo, si era prodigata per cacciare il vecchio proprietario del lanificio.

Somigliava troppo alle persone che l’avevano fatta soffrire negli anni, perché potesse rimanere sulle sue terre.

Almeno questo aveva potuto farlo, oltre a trovare un degno sostituto che non facesse lavorare bambini, nelle sue linee di produzione.

Ciò che aveva scorto in quel posto era stato l'Inferno in Terra, per cui niente di quanto avrebbe visto da lì innanzi l'avrebbe spaventata.

Ugualmente, avanzò cauta nella semi oscurità della stanza, spezzata soltanto dal baluginare del fuoco nel camino.

All'esterno, i tuoni si intervallavano tra loro, apparentemente sempre più vicini e forti, con un ritmo via via crescente.

La pioggia, violenta e pesante, pareva non voler concedere tregua alla campagna.

“Alfred... siete voi?”

La voce di Christofer le giunse roca e stanca dal letto, ove i tendaggi risultarono essere completamente tirati. Le fu impossibile vedere il marito.

Poggiato che ebbe il vassoio su un basso tavolino, Kathleen iniziò a scostare le tende di velluto blu del baldacchino, mormorando: “Sono vostra moglie, Christofer.”

“Che cosa?!” gracchiò l'uomo, sgranando gli occhi e afferrando in fretta le coltri per coprirsi alla bell’e meglio.

Christofer aeva passato un'autentica notte d'inferno, a causa della gamba malandata e, per meglio riposare, aveva finito con il denudarsi.

Lasciato l'arto scoperto, Julian o Alfred avevano poi provveduto ad applicarvi impacchi freddi e caldi per allentare il gonfiore attorno alla ferita.

Il trattamento, però, non aveva sortito gli effetti voluti, e la coscia ora pulsava come se fosse stata attraversata da un branco di cavalli al galoppo.

“Cosa diavolo ci fate qui dentro?! Avevo vietato di farvi entrare!” sbraitò Christofer, furente e col volto percorso da un profuso rossore.

“E io sono entrata lo stesso” replicò candidamente lei, iniziando a rischiarare la stanza grazie a una serie di candele.

Accigliandosi quando le vide, l'uomo ringhiò: “La luce mi ferisce, donna! C'era un motivo se non erano state accese!”

“Per curarvi, devo vedere dove mettere le mani” gli fece notare lei con fastidioso candore.

“Vorrete scherzare, spero! Voi non toccherete questa maledetta ferita!” sibilò Christofer, lanciando poi un’imprecazione stizzita.

Fu del tutto inutile.

Né Julian, né tanto meno Alfred si fecero vivi e Kathleen, nel mettere mano alle tende delle finestre, le scostò con forza.

“Nessuno di loro verrà in vostro soccorso, perché ho detto loro di non farlo. Inoltre, la porta è chiusa a chiave, perciò…”

“Codardi! Aver paura di una donna che pesa la metà di loro!” sbottò Christofer, poggiandosi un braccio sugli occhi quando le imposte vennero aperte per lasciar penetrare luce e aria fresca.

Il rombo del temporale si fece più forte, a quel punto, ma almeno il vento era calato, permettendo così a Kathleen di arieggiare la stanza del marito.

Una serie di brontolii e imprecazioni soffocati giunsero dal letto, ma lei non vi badò.

Sistemò tutto ciò che trovò in disordine e, quando ritenne che la finestra fosse rimasta aperta a sufficienza, la richiuse.

Ciò fatto, si avvicinò finalmente al letto, trovandovi un accigliato e furibondo Christofer che, potendo fronteggiarla a viso aperto, le ringhiò contro: “Ora ve ne andrete da questa stanza, e chiuderemo qui la faccenda.”

“Non ci penso minimamente. State male e...” iniziò col dire lei, allungando una mano per tastargli la fronte. “... a quanto pare, avete la febbre. Avrei dovuto essere più attenta e chiedervi come stavate, nei giorni addietro, e di questo mi scuso, ma ora porrò rimedio alla mia superficialità.”

“Non siete stata negligente, credetemi” brontolò lui, fissandola bieco. “Sono io che non vi ho detto nulla. Ora che abbiamo chiarito, andatevene!”

Imperturbabile al suo scoppio d'ira, Kathleen mise mano alle lenzuola per toglierle ma Christofer, caparbio, le afferrò a sua volta.

“Kathleen, per favore! Non indosso nulla!”

Le mani della giovane si scostarono immediatamente, come se le coltri avessero preso fuoco e, avvampando in viso, esalò: “Oh... scusate. Vedremo di porvi subito rimedio, comunque.”

Esasperato, l'uomo si passò una mano tra i capelli sparpagliati sul cuscino e, con occhio attento, la scrutò mentre ripiegava un telo di cotone più e più volte.

Dopo essersi assicurata che fosse perfetto, glielo passò e disse: “Ponetelo sulle vostre parti intime, così nessuno dei due avrà problemi.”

Christofer ripensò alle parole di Gilford, e alle fantomatiche spine di Kathleen.

Nel vederla così determinata e caparbia, sorda a qualsiasi richiesta, capì cosa intendesse dire.

Non era solo docile e gentile, ma anche ferma e dispotica come un generale, quando voleva.

E lui, a quanto pareva, era divenuto la sua vittima sacrificale.

Sistemato il telo alla meglio, avvertendo suo malgrado un profondo imbarazzo all'idea di farsi vedere praticamente nudo dalla moglie, Christofer alla fine bofonchiò: “Ho fatto. Ora potete divertirvi.”

“Non sono qui per divertirmi, ma per curarvi, è ben diverso” replicò lei, scostando con delicatezza le coltri.

Cercando di non farsi impressionare dal torace possente dell'uomo, percorso da chiara peluria sottile, e dal ventre piatto e sodo, Kathleen arricciò il naso non appena si avvide della ferita alla gamba.

Era davvero messa male.

A quanto pareva, i punti avevano fatto infezione, e del pus giallo e maleodorante fuoriusciva dal taglio slabbrato e gonfio.

La carne, all'esterno, era rossa e rigonfia e, quando la giovane la tastò con gentilezza, ne avvertì immediatamente il fuoco sottostante.

Aggrottando la fronte, mormorò: “L'avete davvero maltrattata. Perché non avete fatto venire un medico?”

“Pensavo di cavarmela da solo” brontolò lui, studiando il volto della moglie con interesse e turbamento assieme.

Fosse stata un'altra donna, sarebbe certamente svenuta di fronte a un simile spettacolo o, quanto meno, sarebbe scappata a gambe levate.

Lei, invece, non aveva battuto ciglio dinanzi alla serie di ferite più o meno recenti che lo ricoprivano in più punti.

Alla vista dello scempio sulla sua gamba, inoltre, si era contenuta egregiamente, non dimostrando alcun disgusto evidente.

“E' chiaro che vi sbagliavate” motteggiò Kathleen, volgendosi per controllare cosa vi fosse, di preciso, sul vassoio portato da Julian.

Nulla trovando di quanto cercava, si avventurò fino alla porta e lì, aperto che ebbe, ordinò ad Alfred di portarle ago e filo, dell'alcool e un coltello.

Ciò detto, domandò loro di chiamare anche William perché la raggiungesse.

Nel sentire menzionare l'arma, Christofer impallidì leggermente e, quando la vide tornare, esalò: “Volete porre fine alla mia vita, mia signora?”

“Affatto. Voglio salvarvi la gamba prima che vada in cancrena” dichiarò lei, coprendolo con un lenzuolo mentre attendevano che fosse portato il necessario.

Il conte non seppe dire se quel gesto fosse stato compiuto a suo beneficio, o per salvaguardare se stessa, ma ugualmente disse: “Grazie. Ma davvero, non dovete occuparvi di me.”

“E perché, di grazia? Siete mio marito. Io prima di tutti devo occuparmi della vostra salute” protestò lei, accomodandosi su una poltrona posta accanto al letto.

“Molte donne neppure si sognerebbero di esporre un simile pensiero” le fece notare lui, abbozzando un sorrisino di scherno. “E voi, prima tra tutte, dovreste essere lieta che io soffra a questo modo, invece di tentare di alleviare le mie pene.”

“Io non sono ‘molte donne’, ma vostra moglie” sbuffò Kathleen, cocciuta. “Quanto alla scempiaggine sul godere delle vostre sofferenze, beh… temo di non essere così crudele. Mi spiace, vi dovrete accontentare di una donna che
non sa vendicarsi.”

“Comincio a credere che il mio debito con voi non verrà mai saldato… siete davvero troppo buona, per un miserabile come me” ammise il marito, abbozzando una risatina.

La moglie allora si esibì in un timido sorriso, ammettendo: “Sono terrorizzata all'idea di farvi male, ma non vi lascerò solo a soffrire, quando posso esservi di aiuto. E non parlerei di debiti nei miei confronti, ma nei confronti di voi stesso.”

Lui la fissò confuso, e Kathleen si spiegò meglio, lappandosi nervosamente le labbra.

“Non so cosa vi abbia fatto cambiare idea su… su di noi, se la guerra o Andrew, ma apprezzo ciò che state tentando di fare per riparare. Vedo nei vostri occhi la battaglia che state combattendo, anche se non ne comprendo appieno la portata. Il fatto di avere una moglie, e non poter …godere del suo corpo, vi rende tutto più difficile, e…”

A quel punto, arrossì tremendamente, e si bloccò.

Christofer, allora, dichiarò: “Sarei folle a dire che non vi desidero dal punto di vista fisico, Kathleen. Ma la battaglia che sto combattendo è innanzitutto contro l’uomo che sono stato per voi, nelle prime settimane del nostro matrimonio. Quell’uomo, vorrei cancellarlo dalla vostra memoria, se non dalla mia, perché so che non è l’uomo giusto per voi. Né voglio continuare a essere quello stereotipo d’uomo.”

Sbattendo le palpebre con frenesia, come a voler scacciare le lacrime che Christofer le scorse baluginare per un attimo ai lati degli occhi, Kathleen mormorò in risposta: “So che non siete quell’uomo, anche se a volte è difficile far sovrapporre l’immagine che ho di voi – e di amico di Andrew – con quella della persona che… che mi ha…”

“Ferita? Umiliata?” terminò per lei, sospirando afflitto.

Kathleen si limitò ad annuire, e Christofer non poté che dire: “Meritate più di quei tristi ricordi e, se potrò, ve ne offrirò di nuovi.”

Lei accennò un sorriso e, nel tornare a scrutarne il suo corpo – ricoperto dal lenzuolo – Kathleen asserì: “Questo sarà sicuramente un ricordo originale, e del tutto inaspettato.”

Christofer rise e, lanciata a sua volta un’occhiata al suo corpo disteso, le disse: “Non vi siete spaventata, di fronte a ciò che avete visto...e non parlo del mio fisico prestante.”

Kathleen ridacchiò suo malgrado, arrossendo un poco, e Christofer ne fu felice. Era bello sentirla ridere, pur se l'occasione era assai infelice.

“Ho avuto modo di curare molte ferite, al lanificio, così ero... preparata” gli confidò la donna, volgendo lo sguardo quando udì bussare. “Anche se sapervi così… discinto mi… beh, non è facile, lo ammetto.”

“Sarò come una statua, per voi, lo prometto” le garantì lui, sorridendole generosamente.

La moglie annuì, pur non sentendosi del tutto sicura.

Non era facile mostrarsi impassibili di fronte al marito ma, in quel momento, doveva pensare innanzitutto alla sua salute, non al proprio imbarazzo.

Scusandosi con lui quando udì bussare alla porta, si affrettò a ritirare dalle mani del valletto di Christofer quanto lei aveva richiesto.

Nel tornare poi verso il letto, spiegò al marito: “Per quanto volenterosi, né Alfred, né tanto meno Julian sanno trattare ferite simili. Io e Mastro William, sì.”

“Perché ve ne volete occupare di persona?” le domandò lui, allungando una mano verso di lei.

Poggiato sul letto il necessario per curarlo, Kathleen lasciò che il marito le afferrasse la mano.

Con sua sorpresa, Christofer si limitò a osservarla con occhio attento, come se stesse scrutando un oggetto raro e prezioso.

“Sono così delicate... perché lasciate che tocchino simili... simili orrori?” mormorò lui, spiacente.

Sorridendogli benevola, lei replicò gentilmente: “Non sono disturbata dalle vostre ferite, se è questo che vi turba tanto, Christofer. Avevo dato per scontato che, dopo due anni di guerra, avreste potuto averne, ma questo non mi preoccupa.”

“Ne siete sicura? Non sono certo belle a vedersi, alcune” mormorò l'uomo, suo malgrado insicuro.

“Per questo non volevate che vi vedessi senza abiti addosso?” lo irrise bonariamente Kathleen. “Christofer, imparerete presto che non sono più un candido giglio, pronto a spezzarsi al minimo alito di vento.”

“Oh, me ne sono avveduto. Cavalcate Zeus come un provetto fantino, per non parlare di quel bestione che avete acquistato!” ironizzò lui, vedendola arrossire per diretta conseguenza. “Grazie per esservi presa cura del mio Zeus, fra le altre cose. Sono sicuro che avete fatto un ottimo lavoro.”

“Si sentiva solo” sussurrò lei.

“E voi?”

Kathleen non rispose, ma annuì debolmente.

Un quieto bussare alla porta interruppe le mille domande che il marito avrebbe voluto porle e, quando vide entrare William, il consueto senso di fastidio sorse a increspargli il viso.

Con un breve inchino formale, l'uomo avanzò a grandi passi in direzione del letto e, dopo aver dato un'occhiata frettolosa alla ferita, domandò: “Come intendete procedere, milady?”

“La ferita è infetta e va riaperta e, per fare questo, dovrò inciderla” spiegò a entrambi gli uomini, scusandosi con lo sguardo con Christofer per il dolore che, sicuramente, avrebbe patito. “Voi dovrete tenerlo fermo, William, altrimenti rischierò di causare molti più danni, vista la posizione in cui si trova la piaga.”

Il conte ironizzò caustico.

“Vi sarei grata se non mi eviraste, moglie mia, pur se vi capirei, se quella lama sbagliasse inavvertitamente percorso. Vorrei avere tanti figli da voi, se mi fosse possibile.”

Lei si limitò a esibire un sorriso sbarazzino, anche se il suo parlare di figli la riscaldò per un attimo. “Vedrò di non sbagliare.”

Christofer si lasciò andare a un sospiro tremulo mentre William, poggiate le mani sui suoi avambracci, mormorò: “Vi chiedo scusa fin d'ora, milord.”

“Non ve ne farò una colpa, ma voi non ascoltatemi, se imprecherò contro la vostra persona a più riprese” ironizzò Christofer, vedendo giungere in loro aiuto anche Marcus, uno dei domestici, e Percy, il mastro ferraio. “Oh... a quanto pare, sapevate cosa vi aspettava.”

“Avevo già ipotizzato cosa volesse da me Sua Signoria, e visto quanto siete forte, milord, temevo che da solo avrei potuto fare ben poco” ammise William, con un sogghigno.

Kathleen sorrise ai due nuovi venuti e ordinò loro di bloccare il marito alle caviglie, mentre lei avrebbe pensato a riaprire la ferita.

“Mi sento come un uomo pronto per il patibolo, mia cara, perciò siate lesta e fate ciò che deve essere fatto. Per quanto mi sarà possibile, rimarrò fermo” celiò il conte, lanciando uno sguardo accorato a Kathleen, che gli sorrise sicura.

“Non vi deluderò” mormorò lei, afferrando il coltello con mano ferma.

Ciò che seguì fu, per Christofer, prova dura e di somma sofferenza.

Urlò, quando il dolore fu così cocente da non concedergli scampo.

Si dimenò il meno possibile, pur mettendo a dura prova i tre uomini giunti per tenerlo bloccato ma, in tutto quel caos a stento controllato, Kathleen fu esemplare.

Incise la ferita, rapida e precisa e, con mano ferma, deterse la carne dal pus fino a far riapparire la carne rossa e sana del muscolo.

Tamponò il sangue espulso senza mai dare segno di cedimento, il tutto sotto gli sguardi ammirati dei quattro uomini.

Dopo aver inzuppato il filo di seta nell'alcool, iniziò a ricucire il tutto, muovendosi con competenza fino a riunire le labbra della ferita.

Ciò fatto, applicò dell'allume di rocca e fasciò la gamba e, solo a lavoro ultimato, mormorò roca: “Potete lasciarlo andare.”

I tre uomini, madidi di sudore non meno del conte, che appariva pallido e sfiancato, si allontanarono dal letto per andarsene ma, sulla porta, William le domandò: “Avete ancora bisogno di me, milady?”

Era chiaro cosa vi fosse sottinteso in quelle parole.

Christofer avrebbe avuto bisogno di spugnature, a quel punto.

Kathleen, però, non volle tirarsi indietro e, scosso il capo, congedò l'attendente ordinando che nessuno li disturbasse.

Rimasti finalmente soli, Kathleen emise un sospiro tremulo e, crollando sulla poltrona, si lasciò andare a un breve scoppio di pianto, silenzioso quanto straziante.

Il marito, pur distrutto da quell'immane prova, trovò la forza di esalare: “Kathleen, no, non piangete.”

Lei annuì nervosamente, tergendosi il viso con le mani come avrebbe fatto una bambina.

Fu in quel momento che Christofer rammentò un particolare non da poco: la moglie aveva solo diciotto anni!

A cosa l'aveva costretta?

“Kathleen, vi prego...” ansò lui, cercando a fatica di mettersi a sedere.

Subito, la giovane balzò dalla sedia per impedirgli qualsiasi movimento e, gentile quanto irremovibile, lo sospinse nuovamente verso il materasso.

“Non dovete muovervi. Ora mi passa, davvero.”

“Avrei dovuto impedirvi di farlo, anche a costo di farvi caricare su una spalla da Mastro William, e farvi condurre fuori di qui” ammise lui, con triste ironia.

A Kathleen sfuggì una risatina nervosa, replicando: “Non l'avrebbe mai fatto.”

“Accetta solo i vostri ordini?” volle sapere Christofer.

“Andrew gli ordinò di proteggermi, e di fare solo quello che desideravo, perciò sì, prende ordini solo da me” assentì la giovane, ora più calma. “Mi spiace di avervi fatto soffrire così tanto.”

“Siete stata bravissima, altro che storie!” sbottò lui, sorprendendola un poco. “Il cerusico di bordo avreste dovuto essere voi!”

Lei lo ringraziò per quello strano complimento, carezzandogli il viso punteggiato di barba e, nel mordersi pensosa il labbro inferiore, asserì: “Ora dovrei farvi delle spugnature.”

“Chiamate Julian. Può farlo lui. Avete già dovuto subire traumi a sufficienza, per oggi” scosse il capo il marito, ben sapendo quanto, quella vicinanza forzata, dovesse pesarle.

Il tremore lieve alle mani ne era un chiaro indizio.

“Desidero... desidero farlo io, se posso” dissentì lei. “So che è meschino ma,... siete del tutto inerme, ora, e io...”

“Vi è più facile starmi accanto. Avete meno paura di me” ipotizzò il marito, annuendo brevemente.

“Non desidero passare il resto dei miei giorni lontano da voi, Christofer. Sarebbe una convivenza orrenda per entrambi e, visto che sono io ad avere un problema con... con ...”

Si bloccò un momento ma, alla fine, ammise: “... con i contatti intimi, da qualche parte devo pur cominciare.”

Il marito si esibì in un sorrisino malizioso, sussurrando: “Pensate davvero di essere l'unica ad avere dei problemi?”

Quell'uscita la spiazzò, asciugando del tutto le lacrime nei suoi occhi.

“In che senso, prego?”

“Direi che i fatti valgono più di mille parole” ghignò Christofer. “La sola idea che voi possiate prendervi cura di me così intimamente mi eccita, lo ammetto, e certe parti del mio corpo lo ammettono più di altre.”

Kathleen non si arrischiò a controllare, avvampando semplicemente in viso e, portandosi una mano alla bocca per soffocare una risatina, esalò: “E io che pensavo foste inerme!”

“Oh, credetemi, lo sono! Ma lui pare non risentire del mio attuale stato di prostrazione” ringhiò Christofer, lanciando un'occhiata malevola ai propri lombi, ancora coperti dal pesante lenzuolo che avevano applicato all'inizio di quell'assurda vicenda. “Però sono felice, nonostante tutto.”

“E di cosa?”

“Siete qui, in camera mia, e io sono praticamente nudo accanto a voi. Non mi sembra abbiate paura di me, indipendentemente dal fatto che io non sia in grado di muovere un dito, o meno” le fece notare lui, vagamente soddisfatto.

Lei parve notare quel particolare solo in quel momento e, annuendo con un sorrisino, asserì: “Volete farvi male nuovamente, per mettermi a mio agio?”

“Direi di no. Vi dovrete accontentare di questa volta, per avermi alla vostra totale mercé. Ma, come inizio per farmi perdonare da voi, mi sembra buono.”

“Mi accontenterò” assentì lei, prendendo finalmente in mano la spugna per ripulirlo dal sudore.
 
***

Guardarlo riposare era rilassante.

Dopo le lunghe ore passate in camera per curarlo e ripulirlo, Kathleen era uscita il tempo necessario per permettere alle cameriere di cambiare le lenzuola, e a Christofer di indossare una camicia da notte.

Nel frattempo, aveva ordinato un pasto leggero per entrambi e aveva rassicurato Whilelmina e Wendell sulle condizioni di salute di Christofer.

Aiutata da Gwen, aveva indossato un altro abito – il suo, si era sporcato in più punti – e, tra commenti più o meno ironici, aveva pranzato con il marito fino a vederlo crollare privo di forze.

Il temporale infuriava ancora, all’esterno, ma a lei poco interessava.

Ben presto sarebbe giunta la neve e, dopo la neve, la primavera sarebbe tornata a riscaldare quelle terre.

Il tempo trascorreva inesorabile, senza curarsi di niente e di nessuno e, presto o tardi, lei avrebbe dimenticato paura e dolore.

O almeno così sperava.

Desiderava con tutta se stessa non avere più timore delle altre persone e, più di tutto, agognava a non aver più paura del tocco di Christofer.

Era stato traumatico accettare che il giovane che, per lungo tempo, aveva sempre ammirato come un cavaliere dalla scintillante armatura, non si era comportato con lei come aveva sperato.

La prima notte di nozze era stata traumatica e, a volte, ancora la ricordava nei suoi incubi.

Le sue mani l’avevano toccata nel buio della stanza e, con sua somma sorpresa, lui non l’aveva spogliata.

L’aveva presa frettolosamente, procurandole dolore e, con gli occhi iniettati di sangue e di rabbia livida, l’aveva lasciata sola per andare a ubriacarsi.

Certo, non si era aspettata da lui l’amore sdolcinato che aveva letto sui libri, ma neppure quella totale mancanza di partecipazione.

I loro amplessi, da quel momento in poi, erano sempre stati brevi, avvolti dall’oscurità e, il più delle volte, l’avevano lasciata insoddisfatta, preda di un desiderio lasciato a metà.

Christofer era stato più delicato, dopo quella prima notte, facendole immaginare mondi diversi da quelli che aveva visitato quella sventurata prima volta.

Solo, non l’aveva mai accompagnata in quelle lande, e se n’era sempre andato dalla sua stanza con un borbottio e il corpo contratto.

I suoi sogni di bambina si erano infranti contro la dura realtà e, quando lui era infine partito, lei aveva quasi provato sollievo.

Lo scoprirsi incinta le aveva restituito un po’ di gioia; almeno, quel bambino l’avrebbe amata, e lei avrebbe amato lui fin dal profondo dell’anima.

Ma anche quel sogno era durato ben poco e, quando si era ritrovata a letto e percorsa da dolori così forti da desiderare solo la morte, aveva odiato suo marito.

All’odio era poi seguita la paura, paura di rimanere sola, paura di non poter avere una seconda possibilità… paura di dover accettare che Christofer fosse un mostro.

Non l’uomo che aveva pensato che fosse, o che Andrew aveva pensato che fosse.

Aveva inviato al marito quella lettera carica di panico e speranza per comprendere quanto si fosse sbagliata, e la risposta del marito l’aveva un poco rincuorata.

La sua scrittura stentata, quelle parole goffe… Kathleen aveva letto in esse un uomo in pena per lei, ma non in grado di dimostrare quanto.

Questo, l’aveva aiutata a guarire.

Non era un uomo perfetto come aveva pensato nella sua infatuazione giovanile, ma neppure un mostro.

Aveva dimostrato di avere pregi e difetti come tutti e, come tutti, di poter sbagliare.

Con quei pensieri, aveva pensato di scrivere al marito per rincuorarlo e per dirgli quanto, le sue parole, l’avessero aiutata.

Il conte però, aveva inferto il colpo finale al suo animo di fanciulla.

Quando era riemersa da quell’Inferno crudele, non le era occorso molto per comprendere di essere cambiata.

Non le sarebbe servito a nulla attendere che altri la salvassero, che la proteggessero perché, a parte William, nessuno avrebbe potuto contrastare il male che la circondava.

Non aveva desiderato per il suo meschino aggressore ciò che poi era avvenuto, ma la sua prolungata malattia le aveva permesso di eliminare ciò che lei aveva sempre odiato.

Poco per volta, si era presa sulle spalle l’intero governo di Green Manor e, un giorno dopo l’altro, aveva conquistato la fiducia dei fittavoli e della servitù tutta.

Si era fatta coraggio in più di un’occasione, spesso e volentieri cancellando dall’equazione il particolare non indifferente del suo essere donna.

Grazie a William, infine, aveva imparato a difendersi e a controllare rabbia e paura.

Le lettere piene di speranza che avrebbe voluto inviare al marito, però, erano rimaste nel suo cassetto dei ricordi, dimenticate ma non cancellate.

La morte del conte era stata quasi una liberazione, per lei e, pur se le era spiaciuto per Whilelmina, non aveva trovato la forza di piangerlo.

La notizia del ritorno di Christofer e della scomparsa di Andrew, avevano però minato l’equilibrio raggiunto con tanta fatica, e tutto era quasi crollato su sé stesso.

William l’aveva sostenuta, aiutata, protetta dai suoi stessi demoni.

Rivedere Christofer era stato difficile, ma aveva trovato in lui un uomo nuovo, più maturo e consapevole, provato da un dolore simile al suo.

Il suo amore infantile, che l’aveva spinta a cercarlo con lo sguardo a ogni sua visita, era ormai scomparso da tempo, ma le aveva fatto comunque piacere rivederlo.

Scoprirlo disposto a darle tempo e spazio, per riprendersi dagli orrori che il padre le aveva fatto passare, poi, l’aveva fatta sperare in un futuro sereno per entrambi.

E quelle lettere piene di speranza erano riemerse dalla sua memoria, rammentandole quanto fosse bello credere in un futuro più roseo.

Poi questa prova, questo incontro con un destino che pensava di non dover ancora affrontare.

Si era sentita ribollire il sangue ad averlo immobile sotto il suo tocco, inerme e senza possibilità di fuga.

Immagini del suo passato si erano inframmezzate al presente e, pur non volendo, aveva desiderato in parte infierire su di lui, pur avendo ammesso il contrario, con il marito.

La vista di tutte quelle cicatrici, però, e del dolore che sapevano sollevare sfiorandole semplicemente, l’aveva fatta desistere.

Non sapeva se qualche entità divina avesse previsto di punire a quel modo Christofer per gli errori commessi, ma dubitava vi fosse bisogno di vendetta, a quel punto.

Inoltre, se così fosse stato, perché uccidere Andrew? Lui era stata la persona più buona e generosa che avesse mai camminato per il mondo!

No, Dio e i Santi non c’entravano nulla.

Erano solo gli orrori della guerra e della stupidità umana, che il marito portava sulla sua carne martoriata.

Lei aveva sperimentato un altro genere di guerra, tutto qui.

Ed era sopravvissuta.

Entrambi lo erano e, con le loro ferite, avrebbero convissuto.

Il crepitare violento di un fulmine la fece sobbalzare sulla poltrona e, all’esterno, un abete crollò al suolo, divelto dalla furia di una saetta piombata al suolo.

Spaventata suo malgrado da quella violenza, Kathleen fece per raggiungere una delle finestre per scorgere gli eventuali danni causati ma, a trattenerla sul posto, pensò Christofer.

Risvegliatosi di colpo, gli occhi sgranati e vitrei, l’uomo gridò roco: “Andrew, no!”

Le mani ad artiglio levate dinanzi a lui, sembrò voler afferrare qualcosa, o qualcuno, e Kathleen si affrettò a raggiungerlo, sedendosi sul bordo del letto per chetarlo.

“Christofer, calmatevi, è solo un incubo!” lo richiamò lei, cercando di afferrare quelle mani tremanti e fredde.

Lui le strinse, portandosele al petto e, con gli occhi serrati, esalò di sollievo: “Andrew, meno male…”

Sgranando gli occhi, la moglie si rese conto che stava ancora sognando e, con voce carezzevole, mormorò: “Christofer… sono Kathleen… svegliatevi.”

Il suo nome parve risvegliarlo del tutto perché, quando la donna tornò a incrociare il suo sguardo color del ghiaccio, il marito era nuovamente in sé.

Allontanando le sue mani come se si fosse ustionato, esalò contrito: “Kathleen… scusate, io… non volevo, davvero…”

“Ssst, state tranquillo. Non avete fatto nulla di male” lo rassicurò, carezzandogli una guancia prima di rendersi conto di un particolare.

Christofer stava piangendo.

Mordendosi il labbro inferiore, lei sussurrò spiacente: “Oh, Christofer… mi spiace così tanto!”

Reclinando il capo, lui si limitò a mormorare: “Non dovrei assillarvi con i miei incubi. Avete già fatto troppo, per me.”

No, non era davvero il cavaliere con l’armatura scintillante dei suoi sogni di bambina.

Era un uomo orgoglioso, fiero, cocciuto, ma anche tenero, che sapeva riconoscere i propri errori e, con tutto il cuore, cercava di porvi rimedio.

Era un uomo che piangeva la morte dell’amico fraterno, e non si vergognava di mostrare alla moglie le proprie lacrime.

Quello era un uomo che poteva apprezzare. Che avrebbe potuto imparare ad amare.

Quello, era suo marito.

Carezzandogli il viso, Kathleen asserì convinta: “Portiamo nel cuore le medesime cicatrici, Christofer. E’ inutile che tentiamo di farle guarire in solitudine, perché è impossibile.”

Ciò detto, allargò le braccia per attirarlo a sé e l’uomo, stringendola quasi fosse fatta di porcellana, poggiò il capo contro la sua spalla e pianse in silenzio al pari di lei.

Il temporale scemò lentamente all’orizzonte, facendo eco al loro pianto e, quando anche l’ultimo tuono fu scomparso, Kathleen si scostò dal corpo ora più tranquillo del marito.

Aiutatolo a sdraiarsi, gli sorrise e mormorò: “Cercate di riposare.”

“Solo se lo farete anche voi, Kathleen” le propose, trattenendo nella sua una mano della moglie.

Lei annuì e il marito, sotto il suo sguardo attento, le baciò delicatamente il dorso della mano candida.

“Pregherò perché possiate avere solo bei sogni.”

La moglie si allontanò con un sorriso e, in silenzio, sparì oltre la porta che conduceva nelle sue stanze.

Nessuno dei due rammentò i rispettivi sogni, ma neppure ebbero incubi, per la prima volta da settimane.








Note: la testardaggine di Christofer lo ha portato a spingere la moglie a misure estreme, per curarlo e, pur se questo gli ha procurato un dolore lancinante, gli ha anche permesso di chiarirsi ulteriormente con Kathleen e, al tempo stesso, ha permesso a lei di chiarirsi con se stessa.
Il desiderio di Kathleen di vendicarsi si è scontrato contro la realtà dei fatti. Ha visto in suo marito non solo la persona che ha distrutto i suoi sogni di fanciulla, ma anche un uomo divorato da un dolore profondo e un rimorso quasi tangibile con mano.
Ha compreso quanto sia vero e forte il desiderio di Christofer di riscattarsi ai suoi occhi, e ha toccato con mano quanto, la morte di Andrew, pesi ancora su di lui.
Sì, Christofer non è il principe azzurro, ma un uomo con pregi e difetti, e che le ha dimostrato non solo di poter migliorare, ma di poter diventare qualcuno di importante, veramente importante nel suo mondo.
Resta solo da capire che ruolo avrà William, in tutto questo.
Grazie per avermi seguita fino a qui e, se volete, fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!
  
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