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Autore: Pervinca95    17/03/2016    2 recensioni
The Origins è una raccolta di episodi che ha come compito quello di svelare l'origine dell'odio sorto tra David e Sarah, chiarire il rapporto che i protagonisti avevano in precedenza e permettervi di conoscerli a 360º.
Ogni one-shot qui presente è ambientata prima di "Keep Your Eyes Open".
Piccolo regalo per tutte le amanti della mia storia! Spero vi possa interessare!
*Può essere letta anche da chi non ha letto l'originale a cui fa riferimento*
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Intervista







Secondo anno del liceo





Eravamo ad ottobre. Era ormai quasi un mese che facevo parte del club di giornalismo. 
Mi piaceva un sacco stare dietro all'editoria dei giornalini scolastici o correggere le interviste effettuate dai miei colleghi. 
Avevo anche fatto amicizia con un ragazzo molto gentile e disponibile. Timothy. 
Lui era entrato nel club già dal primo anno, perciò si era offerto di farmi da mentore e di aiutarmi in ogni lavoro. 
Era piacevole trascorrere del tempo con lui. Mi faceva ridere, dimostrava sempre di essere ben educato e soprattutto sapeva ascoltare. Una caratteristica non da poco. Lo consideravo un amico importante, uno su cui poter fare affidamento in qualsiasi evenienza. 
Peccato che quel giorno fosse assente e che non potesse essere al mio fianco nell'impresa titanica che mi avevano appioppato senza scrupoli. 
Dovevo intervistare niente poppò di meno che la squadra di football. Mi chiedevo a chi sarebbe interessato leggere un articolo su quelle stupide scimmie da circo. 
Il solo pensiero che in mezzo a quegli obbrobri ci fosse Trent mi faceva venire l'ulcera. 
Purtroppo non mi ero potuta opporre alla schifosa decisione dei miei carissimi colleghi. Quella era la prima intervista che mi permettevano di fare, cos'avrei potuto controbattere? 
C'era da dire che avevano avuto davvero un fiuto infallibile. La squadra di football. Che idea geniale farmi avvicinare a Trent pur sapendo che tutto si sarebbe risolto con manate e pallonate in faccia. 
Era già noto a mezza scuola, se non a tutta, che non potevamo vederci. Non ci voleva un grande intuito a capirlo. 
Ogni volta che c'incontravamo partivano insulti, litigi, urla, prese in giro e molto altro. Non eravamo ancora arrivati alla violenza fisica, ma quel passo sarebbe stato compiuto a breve. Ci mancava davvero poco, specialmente da parte mia. 
Già una volta gli avevo mollato un pugno in piena faccia, speravo di poter replicare. Era il mio sogno nel cassetto. 
Che ragazza romantica che ero. 
Se qualcuno mi avesse chiesto qual era il mio più grande sogno, avrei esibito
un sorriso angelico ed avrei risposto con un laconico: "spaccare la faccia a Trent". 
Ebbene sì, non desideravo altro. 
Forse quel giorno avrei potuto realizzare il mio sogno. Me lo auguravo vivamente. 
<< La squadra in questo momento si trova in palestra >> m'informò Annalise, tenendo il foglio degli orari in mano. Si sistemò gli occhiali sul naso ed alzò lo sguardo. << Bastano dieci domande. >> 
Annuii distratta e mi recai alla porta. La mia pazienza si stava già diluendo per lasciar spazio alla rabbia. Ero sicura che appena avessi messo piede in quella benedetta palestra sarei stata bombardata dalle pallonate. 
<< Ah, Sarah. >> 
Voltai il capo verso Annalise e la fissai inespressiva. 
<< Sii professionale, ne va della nostra reputazione >> mi avvertì con un sorrisetto. 
Razza di cretina. Cosa credeva? Che mi sarei attaccata ai capelli di tutti i giocatori ed avrei scatenato una rissa? Per chi mi aveva presa? Sapevo essere più professionale di tutti loro messi insieme se la circostanza lo richiedeva. Non c'era certo bisogno che quella maniaca del controllo me lo ricordasse. 
Uscii dall'aula e m'incamminai per il corridoio deserto con passo deciso e testa alta. 
Ero già nervosa, ma per far tappare la bocca a quella cretina avrei mantenuto la calma ed avrei fatto le domande assegnatemi senza dar spago a nessun imbecille. 
Torn e Trent non avevano speranza. Non sarei stata al loro stupido ed infantile giochetto. 
Svoltai in un altro corridoio e scesi le scale ad alta velocità. 
<< Non si corre per le scale >> mi sgridò il professor Slow. Che andasse pure a farsi benedire, quell'impiccione con la testa grossa. Voleva farmi credere che non era mai andato di fretta in vita sua? Ipocrita col capoccione. 
Più acquistavo tranquillità e più cercavano di farmela perdere. Una congiura. 
Rallentai il passo ed aspettai che quel lombrico con una mongolfiera sul collo mi superasse, dopodiché riacquistai la mia andatura da sterminatrice. 
Ero più che intenzionata a prendere due scimmie da una parte, fare quelle benedette domande e andarmene. Il tutto nel minor tempo possibile. Meno respiravo la stessa aria di Trent, meglio stavo. 
Una volta giunta dinanzi al massiccio portone della palestra, sbuffai per distendere i nervi. Inspirai ed espirai con lenti movimenti delle braccia, sperando che quella tecnica mi aiutasse a rilassarmi. 
Strinsi l'elastico della coda di cavallo come fosse stato una di quelle fasce che i samurai si legano in fronte e scossi la testa velocemente. 
Ero pronta. Avevo raccolto tutta la pazienza. 
Spinsi il maniglione antipanico e misi piede nella palestra. 
Col foglio delle domande ben stretto al petto, sgranai gli occhi dinanzi a quel covo di scimmioni che si lanciavano palle sia coi piedi che con le mani. 
Sarebbero bastate poche parole per riassumere quell'inferno: Pearl Harbor. 
Palloni dalla forma allungata particolarmente minacciosa schizzavano come missili da una parte all'altra e si schiantavano a terra o contro le pareti. Mi meravigliavo che non rimanessero i solchi nei muri. 
Ero più che certa che se avessi beccato una di quelle bombe addosso sarei stata trascinata via. Probabilmente avrei sfondato parete dopo parete e sarei approdata in un altro paese. 
Mi chiedevo come avrei fatto ad attraversare quel campo di battaglia senza uscirne ammaccata. E se ne avessi presa una in faccia? Le alternative erano due: ne sarei rimasta segnata a vita rincretinendomi oppure avrei dovuto cercare un bravo chirurgo estetico per rifarmi il viso. 
Sospirai piuttosto spaventata dalle prospettive non proprio rosee e mi feci coraggio. 
Sarebbe stato un bagno di sangue, ma dovevo farcela. Dovevo arrivare dall'altra parte e chiedere a quel panzuto di coach di darmi cinque minuti per quella maledetta intervista. 
Avanzai tenendo lo sguardo puntato sui cavernicoli che mitragliavano l'aria. Non potevo perderne neanche uno di vista. 
Accelerai il passo con una leggera corsetta e deglutii un blocco d'ansia. 
Dio mio, quella era l'impresa più coraggiosa che avessi mai affrontato. Se fossi arrivata sana e salva dalla sponda opposta avrei gettato a terra quel foglio e lo avrei calpestato con una risata folle. 
Mi fermai di colpo per evitare di essere linciata da una pallonata. Chi cavolo era quello sgorbio che l'aveva tirata contro di me? 
Ruotai il capo con uno sguardo a dir poco omicida e squadrai ognuno di quei macachi alla ricerca del colpevole. Nel mio cervello svettava già un nome. 
Appena inquadrai quella feccia immonda scorsi un sorrisetto di sfida sulla sua faccia da schiaffi. 
Schifosissimo verme. Aveva tentato di colpirmi. 
Con la coda dell'occhio guardai la palla abbandonata a pochi metri da me. Avrei voluto sferrargli un calcio micidiale ed indirizzarla contro quel sacco d'immondizia, ma mi ero promessa che sarei stata superiore a qualsiasi giochetto. 
Dovevo mantenere la calma ed essere professionale. Alla facciaccia di Annalise la perfettina. 
M'impetii sfoggiando tutta la mia superiorità e continuai a procedere in direzione del coach. Dopo poco quel cerebroleso mi vide. Finalmente, ecchecavolo.
Arcuò le sopracciglia confuso ed aspettò che lo raggiungessi per dare adito ai suoi dubbi. 
<< Sei in punizione? >> mi chiese incrociando le possenti braccia sul petto. 
Nella mia scuola succedeva spesso che coloro i quali venivano messi in punizione fossero spediti in palestra per sistemare gli attrezzi o in biblioteca per catalogare i libri e risistemare quelli che venivano lasciati disordinatamente sui tavoli. 
Non erano dei castighi esemplari, ma semplicemente dei moniti affinché venisse rispettato l'ambiente scolastico. 
<< No, sono qui per un'intervista. Faccio parte del club di giornalismo >> spiegai sventolando il foglio. << Ruberò soltanto dieci minuti. >> E speravo che fossero anche meno di dieci. Concedere due minuti del mio tempo a Trent e marmaglia era già troppo. 
<< Ok. >> Annuì con vigore e si dondolò da un piede all'altro. Sembrava fosse trepidante per qualcosa. << Chiedimi pure, sono pronto. >>
Oh. 
Poverino. 
C'era stato un errore di comunicazione. Mea culpa. 
Non sapevo come dargli la notizia, sembrava così contento... Ma chi se ne fregava, avrei fatto due domande anche a lui. Al diavolo Annalise e la sua scaletta. 
Impugnai la penna e mi avvicinai al muro per poter appoggiare il foglio. Stupidamente non mi ero portata neanche una cartellina rigida su cui collocare quel pezzo di carta. 
<< Mi parli brevemente della sua carriera, dei successi ottenuti nel football e del suo ingresso in questa scuola >> improvvisai. 
Dopo dieci minuti mi resi conto che quella era stata la domanda peggiore che avessi potuto fargli. Non la smetteva più di parlare. Era un fiume in piena. 
Ogni tanto facevo vagare lo sguardo per tutto il suo massiccio corpo alla disperata ricerca di un interruttore. Se solo gli fosse accidentalmente arrivata una pallonata sul capo mezzo spelacchiato si sarebbe chetato, invece niente. La fortuna non era dalla mia parte. 
Di tutto ciò che mi aveva raccontato avevo appuntato sì e no quattro frasi. Io godevo del potere della sintesi, lui evidentemente no. 
<< Oh sì, una carriera davvero lodevole >> lo interruppi con un sorriso falsissimo. << E ora mi dica, quest'anno il suo obiettivo è vincere il torneo di football contro tutte le altre squadre scolastiche? Un sì o un no sono sufficienti. >> Annuii delle mie parole senza perdere il sorriso angelico. 
Speravo che cogliesse alla lettera la mia velata intimidazione. Volevo una risposta secca e concisa, niente racconti sui suoi preistorici tempi di gloria. 
Si batté un pugno sul petto ed assunse un'espressione da guerriero. << Porterò questa squadra in alto alle classifiche. Fosse l'ultima cosa che faccio. Loro batteranno tutte quelle femminucce spaurite ed alzeranno la coppa dei vincitori. >> Cavolo. Un bel discorso da... fanatico. Non era altro che quello. 
Ad ogni modo apprezzavo il suo sforzo di concisione. 
Scrissi alcune parole chiave del suo discorso ed infine gli sorrisi. << La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato. >> Sarebbe stato lui a dovermi ringraziare. Avevo sprecato un quarto d'ora per ascoltare la sua storia dagli albori. << Le dispiace se faccio qualche domanda alla squadra? >> Indicai le scimmie che si allenavano con una falsissima espressione d'entusiasmo. 
Avrei potuto vomitare. 
Controllò l'orologio attorno al suo imponente polso ed annuì. Che magnanima concessione dopo tutto quello che le mie delicate orecchie erano state costrette a sopportare. Non solo panzuto e logorroico, pure ingrato. 
<< Puoi andare, tanto l'allenamento era quasi finito. >>  
Andare dove? In mezzo al bombardamento per essere usata come bersaglio? Voleva scherzare? 
<< Ehm, mi scusi, non è che potrebbe chiamare qui la squadra? >> domandai con un tono amichevole. Razza d'imbecille, cosa gli costava usare quello stupido fischietto al collo per attirare l'attenzione degli scimmioni? Per cosa lo utilizzava se no? Per sforzarsi al gabinetto? 
Ero circondata da un branco d'idioti. 
Fu tanto clemente da esaudire il mio desiderio. In poco tempo mi ritrovai una ventina di paia d'occhi addosso. 
Una situazione per nulla imbarazzante insomma. 
Quel cerebroleso ovviamente non era stato così geniale da usare il fischietto, ma aveva urlato come un fruttivendolo per dire che c'era una ragazza che voleva conoscerli. 
Che mente eccelsa. Un vero genio. E che scelta di parole azzeccata. "Conoscerli". Ovvio, io ero scesa fin lì per conoscerli in quanto loro grandissima fan. 
Ma perché non godevo di una forza sovrannaturale? Un manrovescio, a quel demente, non glielo avrei certo negato. 
<< Sono tutti tuoi >> m'informò con una pacca sulla spalla, prima di andarsene. 
Che notizia rassicurante. 
Deglutii un malloppo d'insulti ed avanzai verso quei caproni con le facce da ebeti. 
Il tanto atteso momento era arrivato. Che gioia. 
<< Chi si rivede >> mi canzonò quel deficiente di Torn, mettendosi la palla sottobraccio. << Pensavo ci conoscessimo già >> continuò con un sorriso beffardo facendo ridacchiare i suoi amici mentecatti. 
Non lo considerai neanche di striscio. Dovevo mantenere la calma ed essere professionale. 
Spiegai il foglio con le domande e mi fermai in loro prossimità. << Si tratta di un'intervista per il giornalino scolastico. Dovete solo rispondere. Pensi di farcela? >> aggiunsi rivolta a Torn. Il mio sopracciglio sollevato e la mia espressione neutra speravo gli facessero intuire la bassa considerazione che avevo di lui. 
In un contesto animale, se io fossi stata una tigre lui sarebbe stato un lombrico. 
<< Spara >> m'incitò con un cenno del capo. 
Ottimo. Il babbeo aveva capito chi dettava legge. 
Mentre osservavo l'ordine dei quesiti sul foglio, avvertii quelle scimmie avvicinarsi e disporsi attorno a me. Volevano forse imprigionarmi? Ero pronta a difendermi con le maniere forti se la situazione lo avesse richiesto. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto riempire Torn e Trent di calci nello stomaco. 
<< Allora, a quanti tornei avete partecipato finora? >> 
Alzai il capo ed osservai alcune delle facce che mi circondavano. Tutti che si guardavano in attesa che qualcuno parlasse. Probabilmente stavano attuando una collaborazione di neuroni per poter rispondere a quella complicatissima domanda. 
<< Uno, questo è il primo >> prese parola Bradly Thomson. << L'anno scorso non abbiamo partecipato perché la squadra non era ancora al completo. Mancavano le riserve. >> 
Nonostante facesse parte delle tre T mi sembrava il più sveglio del gruppetto. Meno male, possedeva un neurone in più rispetto ai suoi compagni di gioco. 
Annuii per la sua soddisfacente risposta ed in cambio ottenni un sorriso. 
Oh santo cielo. Cos'era tutta quella stucchevole gentilezza? Ovviamente un tranello. 
Da circa un mese si era sparsa la voce che io piacessi a Thomson, ma ci credevo molto poco. Ero sicura che fosse una trappola architettata dal simpaticissimo Trent. Probabilmente quell'ottuso essere demoniaco credeva che in quel modo mi sarei avvicinata al suo amico, me ne sarei infatuata e sarei rimasta a pezzi dopo aver scoperto che era tutto falso. 
Poveri illusi, con me non attaccava. Ero mille volte più scaltra di loro. 
Appoggiai il foglio sul palmo aperto e la penna sulla carta. Provai a riportare quelle parole, ma come risultato ottenni soltanto un buco nel foglio. 
Accidenti a me e alla cartellina che avevo dimenticato. Come facevo a scrivere? 
Stavo facendo la figura delle demente. 
Un paio di scarpe da ginnastica entrarono nel mio campo visivo. Sollevai la testa ed incontrai gli occhi azzurri di Thomson, sulla bocca aveva un sorriso amichevole. 
Mi diede le spalle e mi lanciò un'occhiata da sopra la spalla. << Metti il foglio sulla mia schiena. >>
Oh. Be', quello non me l'ero aspettata. 
Alcuni suoi amici sghignazzavano e si tiravano delle gomitate. Sembrava quasi che sapessero qualcosa che a me sfuggiva. Probabilmente qualcosa che aveva a che fare con la sospetta cordialità di Thomson.
In ogni caso, il ragazzone si stava rivelando utile perciò accettai la sua offerta ed appoggiai il foglio sulla sua schiena. Mi avvicinai e scrissi rapidamente ciò che aveva detto. 
<< Quante ore vi allenate a settimana? >> Misi distanza tra me e Thomson e feci scorrere lo sguardo tra quelle teste vuote. 
Ancora una volta, prima di rispondere, era necessario che connettessero i loro cervelli. 
In quel momento mi resi conto che mancava qualcuno all'appello. 
I miei occhi saettarono da una scimmia all'altra senza risultati, dopodiché estesi il raggio visivo e lo feci rimbalzare da un punto ad un altro della palestra. 
Beccato. 
Trent se ne stava con le spalle appoggiate ad un muro poco distante da noi, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo serio puntato sulla sottoscritta. Era la prima volta che vedevo un'espressione intelligente sulla sua faccia da beota. 
Ma poi perché mi stava fissando in quel modo? Sembrava ci fosse qualcosa che lo infastidiva e che al contempo lo faceva scervellare. 
<< Sei ore. >> Voltai la testa di scatto e mi concentrai su Torn. << L'anno scorso erano quattro. Oltre alla normale ora di educazione fisica che fanno tutti, alla fine delle lezioni rimaniamo per gli allenamenti. >> 
<< Tutti i giorni o solo alcuni? >> 
Torn alzò una mano e contò con le dita. << Il lunedì, mercoledì e venerdì. Due ore ogni pomeriggio >> rispose grattandosi la nuca. Pure le pulci aveva. 
Posai il foglio sulla schiena di Thomson ed appuntai quelle informazioni. Aveva talmente tanti muscoli che la penna scivolava che era una meraviglia. Pareva di scrivere su un tavolo. 
<< Allora perché oggi vi state allenando? >> domandai corrugando la fronte. La faccenda non quadrava. Era martedì e le lezioni non erano ancora terminate sebbene mancassero pochi minuti. 
Bradly Thomson ridacchiò e girò il capo per guardarmi con la coda dell'occhio. << Il coach domani non c'è, quindi ha spostato l'allenamento alle ultime due ore di oggi. >>
<< Quindi avete saltato due lezioni >> constatai basita. Ma sì, era meglio sfornare degli scimmioni analfabeti piuttosto che far loro perdere due ore di palla avvelenata, o come cavolo si chiamava quello sport.
<< Perspicace, Anderson >> mi sfotté una voce dannatamente raccapricciante. Trent stava avanzando tra i suoi compari con un sorrisetto derisorio. 
Idiota. 
No, dovevo mantenere la calma. Non ero scesa fin lì per una rissa. 
Si accostò al suo amicone ed insistette a fissarmi con quel maledetto sorrisino da sberle. 
Feci finta di non sentire un certo prurito alle mani e spostai lo sguardo sul foglio. 
<< Quali sono i vostri obiettivi per questo torneo? >> lessi con un sonoro sbuffo. 
<< Che diavolo di domanda è? >> 
Fulminai quel sacco di letame fatiscente e strinsi una mano a pugno. << Una domanda molto semplice. Preferisci che ti faccia lo spelling? >> 
I suoi occhi si accesero di sfida. << Sì, lo gradirei. Di tutta la frase. >> 
Che immane pezzo di sterco. Voleva impedirmi di essere professionale con le sue stupide frecciatine da bimbo ottuso? Ottimo, lo avrei evitato. 
Passai in rassegna i volti degli altri giocatori e sollevai un sopracciglio. << Qualcuno un po' più sveglio che abbia capito? >> 
Tutti muti. Che branco di pecore addomesticate. Nessuno che osasse fiatare senza il permesso di quel bovino di Trent. 
<< Forse ci arrivi da sola >> mi pungolò l'essere demoniaco. << Secondo te una squadra per cosa si allena? >> 
Mi stava per uscire il fumo dalle orecchie. Ero una pentola vicina all'ebollizione. 
Staccai il foglio dalla schiena di Thomson e m'impettii con fare di superiorità. << Lascia che ti spieghi come funziona un'intervista >> pronunciai facendo ruotare la penna tra le dita. << Io faccio le domande, tu rispondi. >> 
Forse era un meccanismo troppo difficile per essere compreso dal suo unico neurone solitario. 
Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorrisino sghembo. Appena iniziò ad avanzare lentamente verso di me, vidi alcuni suoi amici ridacchiare e guardarmi come se fossi stata una povera sfigata. Il che, neanche a dirlo, contribuiva a farmi salire il sangue al cervello. 
<< Lascia che ti dia qualche delucidazione in merito >> sussurrò Trent con un tono altamente irrisorio. Si fermò ad un passo dal mio viso ed arcuò la schiena per conficcare il suo sguardo nel mio. << Tu fai le domande, io decido a cosa rispondere >> soffiò, una vena canzonatoria nella voce. 
La mia mano stava per partire per stamparsi sul suo viso. Ci mancava davvero poco. Ero più che prossima all'esaurimento nervoso. 
Professionalità. Professionalità. 
Non dovevo stare al suo giochetto. 
Sollevai un sopracciglio, sorpassai quel cretino e raggiunsi Thomson. << Mi puoi prestare un attimo la schiena? >> domandai senza avere la pazienza di attendere una risposta. 
Gli appiccicai il foglio addosso ed impugnai la penna come fosse stato un coltello. << La squadra... non ha... obiettivi >> sillabai mentre lo scrivevo. Il deficiente voleva sfidarmi? Ottimo, sarebbe venuto fuori un bell'articolo. 
Prima che finissi di fare il gambino all'ultima lettera, il pezzo di carta mi venne tolto barbaramente da sotto le dita. 
Mi voltai di scatto, livida di rabbia, e scagliai il mio truce sguardo su Trent. << Ridammelo subito >> ordinai avanzando verso di lui. 
Si rigirava il foglio tra le mani con un sorrisino beffardo. Appena giunsi a pochi centimetri dal suo corpo, sollevai una mano per riprendere possesso di ciò che mi apparteneva. 
Quella feccia purulenta fece rapidamente scattare il braccio in alto. << Vieni a prendertelo >> mi sfidò con un cenno del capo. 
I suoi amici scimmioni, ad eccezione di Thomson, scoppiarono a ridere come se non avessero mai visto niente di più esilarante. I miei nervi ne stavano risentendo parecchio, sentivo la vena sulla fronte pulsare. 
Giunta al limite della sopportazione, strinsi i pugni e scaraventai gli occhi su ognuno di quei naufragati neuronali. << Vi consiglio d'incamminarvi allo spogliatoio. L'intervista per voi è finita >> sibilai minacciosa. << Avete dieci secondi di tempo per sparire dalla mia vista >> aggiunsi vedendo che nessuno muoveva un passo. Tutti mi fissavano ammutoliti, chi sghignazzando chi serio. Quel branco d'idioti aveva ovviamente bisogno di tempo per comprendere il senso della mia intimidazione. 
Speravo ci mettessero poco perché a breve mi sarei scatenata in tutta la mia furia. Non ci tenevo a fare troppe vittime. Trent era più che sufficiente.
<< E perché dovremmo obbedire? >> osò controbattere Torn, incrociando le braccia sul petto. 
Il mio sguardo divenne più tagliente di una lama. << Perché se ci tieni alla tua... >>
<< Andate >> comandò il capo scimmione. Era talmente maleducato che non era stato capace di farmi finire la frase. 
Ad ogni modo sembrava avesse pronunciato la parolina magica. Due minuti più tardi la palestra era vuota, quelle pustole si erano defilate tra schiamazzi e risate. 
Idioti, non sapevano far altro che ridere. 
I miei occhi schizzarono nuovamente su Trent, ancora col braccio alzato ed il foglio penzoloni. 
<< Ridammelo >> soffiai con una calma letale. 
<< Te lo devi guadagnare >> contrattaccò. Il suo maledetto sorriso impertinente riaffiorò prepotentemente. 
<< Non devo guadagnarmi un bel niente. È mio. >>
<< Non più. >>
Lo odiavo. Cavolo, se lo odiavo. Non possedeva un briciolo di umanità. Era stato messo al mondo per dannare la vita altrui, in particolare la mia. 
Agguantai un suo bicipite e mi alzai sulle punte per tendere con le dita a quel benedetto foglio. Mi sentivo un koala appeso al tronco di un albero. 
Avevo appena scaricato tutta la dignità nel gabinetto. 
<< Dai, ci sei quasi. Un altro saltino >> mi sfotté quell'essere spregevole con un tono falsamente cordiale. << Che vita difficile quella dei nani. Scommetto che al supermercato chiami sempre qualcuno per farti prendere le cose dal terzo scaffale. >> Che pezzo di cacca colossale. 
Il terzo scaffale era tra i più bassi, più precisamente tra quelli rasoterra. 
Gli strappai il foglio di mano e mi ritrassi infervorata. << Davvero divertente, Trent. Ogni giorno mi dimostri di essere un orfano mentale >> sputai secca. << Ed ora abbi la decenza di rispondere a qualche domanda o potrei decidere di scrivere l'articolo secondo il mio gusto personale. So fare brutta pubblicità gratuitamente. >> Sfoderai un sorrisetto di scherno e puntai lo sguardo sui quesiti. << Dunque, quando sei entrato a far parte della squadra? >> 
Incrociò le braccia sul petto. << Lo sanno tutti. >> 
Piegai il foglio, lo posai sul palmo aperto ed appoggiai sopra la penna. << Lo sanno... tutti... tranne... lui >> dissi scrivendolo. Si rifiutava di rispondere? Perfetto, avrei dato sfogo alla fantasia. 
<< Carino che tu inventi ciò che, poverina, non capisci >> asserì con un tono canzonatorio. << Perché non appoggi il foglio per terra? Saresti più vicina al tuo livello di altezza. >> 
Sbuffai lentamente dal naso. Ero prossima all'esplosione. Mi sentivo un container di benzina vicino ad una fiamma. 
Lo perforai con lo sguardo. << Credi di essere spiritoso? >> 
<< Lascio giudicare agli altri. >> Scrollò le spalle e mostrò la sua solita espressione da schiaffi. 
<< Te lo dico io, allora >> sbottai. Stesi le braccia lungo il corpo e mi protesi in avanti col busto. << Non sei affatto spiritoso. Sei solo un cerebroleso con un ego infinito che crede di poter fare quel che cavolo gli pare con chi gli pare. Il fatto che tu ti porti dietro quel branco di scimmie ammaestrate denota quanto tu, da solo, non sia altro che un lombrico. >> Al diavolo la professionalità. Ero arrivata al limite della sopportazione. 
Sollevò un sopracciglio. << Un lombrico a capo di un branco di scimmie? Che cosa insolita. >> 
Avrei voluto sbattere i piedi per terra e subito dopo azzannarlo alla giugulare. Bastava che respirasse per darmi sui nervi. Se poi apriva bocca per dare adito a quelle cretinate, mi scoppiava la vena sulla fronte.
Ridussi gli occhi a due fessure. << Intendevo in senso figurato, ma da un mentecatto del tuo calibro cosa dovevo aspettarmi? >> 
<< C'è altro? >> domandò, le labbra stirate in un mezzo sorriso derisorio. 
Sembrava che ciò che gli avevo urlato fino ad un attimo prima fosse soltanto un gioco per lui.
<< Con te gli insulti non sono mai abbastanza >> sputai. << Stimoli molto la mia fantasia. >> 
Il suo sorrisetto si allargò.
Trasportò un braccio sotto la maglietta sportiva ed inclinò il capo. Per qualche stupido motivo i miei occhi furono calamitati dalla zona di pelle che aveva scoperto con quel gesto. Ebbi soltanto il tempo di scorgere due linee che conducevano verso l'orlo dei pantaloncini, dopodiché mi riscossi da quell'orribile distrazione e risollevai la testa di scatto. 
<< Perché non metti in pratica ciò che ha formulato la tua fantasia, allora? >> mi sfidò, lo sguardo dritto nel mio. Il tono beffardo non lo abbandonava mai. Era il suo marchio di fabbrica. 
Gli puntai un indice contro con risoluzione. << Puoi giurarci. Avrò tutte le occasioni per riempirti dei miei originali insulti. Ogni giorno me ne dai motivo. >> 
Razza d'idiota. Non c'era certo bisogno che mi spronasse lui ad insultarlo. Avevo circa un miliardo di ragioni per farlo. 
Sghignazzò spudoratamente e s'incamminò verso la porta che conduceva allo spogliatoio. Boccheggiai spiazzata dalla sua maleducazione. 
Come si permetteva di superarmi ed andarsene? 
Inferocita come un bue a cui hanno pestato una zampa per dispetto, lo rincorsi e lo strattonai per un braccio. << Non ho finito con le domande. Dove credi di scappare? >>  
Girò la testa e mi rivolse uno sguardo di sufficienza. << Ho finito io. Vuoi costringermi a restare? >> Gli angoli della sua bocca s'incresparono beffardi. << Questa non è un'intervista, ma un sequestro di persona. Complimenti alla professionalità. >>
Avrei voluto avere quattro mani per prenderlo a schiaffi ripetutamente. Non c'era davvero niente che in quel momento desiderassi di più. 
<< Cosa ne vuoi sapere tu di professionalità? >> sbraitai su tutte le furie. << Avevi un semplicissimo compito: rispondere a delle domande. Immagino che un solo neurone non ce la facesse >> dichiarai sprezzante. << Comunque non m'importa nulla, farò con... >>
<< A me sembra che t'importi parecchio >> ribatté sfrontato. 
Avanzai di un passo, lo sguardo minaccioso conficcato nel suo. << Stavo finendo di parlare >> sibilai. Odiavo essere interrotta. Era una delle cose che mi mandava più in bestia assieme a Trent. 
Quel bubbone umano mi osservava divertito, poi d'un tratto le sue palpebre si abbassarono e gli occhi si appoggiarono sulle mie labbra. << E quindi? >> mi stuzzicò alzando un sopracciglio. Il suo sguardo tornò nel mio. 
Per circa cinque secondi lo fissai con tutto l'odio che covavo nei suoi confronti, dopodiché misi in tasca il foglio con un colpo secco. << Va' al diavolo. >> 
Gli diedi le spalle e m'incamminai risoluta verso il portone. 
Era un maledettissimo cretino, non potevo perderci altro tempo. Ne avevo sprecato già abbastanza. 
<< Mi stai spezzando il cuore, Anderson >> mi canzonò dietro con una risatina malevola. 
Dio solo sapeva quanto avrei voluto fare inversione e correre a staccargli la testa. Mi sarei tolta una soddisfazione. 
In tutta risposta gli mostrai il dito medio senza arrestare il mio passo combattivo. 
Ero stata fin troppo fine. Quell'essere nauseabondo si meritava molto peggio.
Spinsi il maniglione antipanico con forza e sgusciai fuori dalla palestra. 
Divorai metro dopo metro con una furia crescente fino a giungere nell'aula assegnata al club di giornalismo. 
Annalise si voltò a guardarmi confusa. Evidentemente la mia faccia parlava da sé. 
<< È successo qualcosa? >> domandò con una punta di rimprovero nella voce. Cosa diamine voleva quella deficiente? 
Percorsi i pochi passi che mi dividevano dalla sua scrivania e ci schiaffai sopra il foglio. << Ecco le informazioni che ti servivano. >> 
Guardò quel pezzo di carta con diffidenza, come se sospettasse che avessi fatto un pessimo lavoro. << Mancano delle risposte >> constatò stringendo gli occhi. << Ed alcune non credo siano fedeli alla verità. >>
<< Sono le risposte che andrai a procurarti da sola >> dichiarai decisa. << Io abbandono questo club. >>
Non le diedi il tempo di sparare qualche stupido giudizio da odiosa so-tutto-io. Mi fiondai alla porta ed uscii sbattendomela alle spalle. 
Ne avevo fin sopra i capelli di tutta quella gente idiota. Volevo solo tornarmene a casa a lanciare maledizioni a Trent. 
Quello schifosissimo pezzo di sterco me l'avrebbe pagata. Era tutta colpa sua se avevo abbandonato il club. Era colpa sua per tutto ciò che mi andava storto. 
Non vedevo l'ora che arrivasse il quarto anno, così me ne sarei andata da quella patetica scuola e non l'avrei più rivisto per tutta la vita. 
Dovevamo stare divisi. Eravamo due poli opposti senza punto d'incontro. 
Io il ghiaccio, lui il fuoco.

































  
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