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Autore: PeaceS    18/03/2016    2 recensioni
Harry Jacksonville è un agente della Direzione delle "Operazioni Speciali", a cui oramai ha dedicato la sua intera esistenza; il suo irrimediabile sprezzo per le regole e l'odio profondo che gli cresce dentro quando sente anche solo nominare Mattew Morrison - uno spacciatore internazionale - lo portano a dover compiere una missione.
Diana Prince è la fidanzata secolare di Morrison. Dalla tenera età di undici anni non si è mai staccata da lui e vive oramai nella sua ombra: altezzosa, terribilmente so-tutto-io, orgogliosa e caparbia, è colei che lo porterà faccia a faccia con il suo nemico di sempre. Faccia a faccia con l'uomo che gli ha portato via tutto.
Diana Prince è il mezzo per arrivare al fine... ma come fare se, dovendo fingere d'amarla, l'amore arriva davvero?
Harry allora dovrà combattere contro l'odio del suo nemico, l'amore che prova per lei e l'ossessione che Mattew Morrison prova per l'unica donna che abbia mai amato in vita sua, scatenando così una guerra fredda quasi impossibile da combattere.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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  • A.A.

Prima di iniziare con il capitolo, mi sono ritagliata questo piccolo “angolo autrice” per scrivervi qualcosa che mi sta molto a cuore.
Sono anni oramai che scrivo – anche se “To be the bad man” è iniziata da poco – e non mi sono mai trovata in una situazione del genere; insomma, non mi sono mai preoccupata dei seguiti o delle recensioni che mi venivano fatte e per me anche solo il fatto di averne era oltre che un piacere quasi un onore.
È con le recensioni che sono cresciuta come “scrittrice” e sono stati i pareri – sia negativi che positivi – ad aiutarmi in tutto e per tutto. Oltre allo slancio e all'entusiasmo, mi smussavano e caratterizzavano nello scrivere – facendomi notare errori e bravure.
Ma ora mi trovo quasi... sola. Io vedo che “To be the bad man” viene visitata, ma non sento praticamente nessuno (né pubblicamente, né in posta privata qui su EFP e né sul mio contatto personale di Facebook). Nessuno di chi legge si è preoccupato di dirmi cosa andava bene o cosa non andava bene ed è solo questo. Nel senso che io non voglio la recensione in sé, pubblicamente, perché voglio farmi figa o altro, ma vorrei semplicemente qualcuno che dopo aver letto mi dicesse cosa gli è piaciuto o meno o che mi faccia notare solo qualche errore di battitura.
Non smetterò di pubblicare per questo, è certo, ma comunque rallenterò di molto la storia e darò priorità ad altri “progetti” miei, che posso migliorare.
E niente, ora vi lascio al capitolo.
Buona lettura!

 

 

IV –
Envy

 

 

Camille aveva l'odore della primavera.
Sì, Harry non sapeva che esatto odore avesse la primavera, ma sapeva certamente che se quest'ultima avesse avuto un odore... beh, sarebbe stato il suo.
Aveva l'odore dei fiori in sboccio, delle api quando trasportano il miele e della brezza leggera che portava con sé effluvi da ogni angolo della strada.
Camille aveva l'odore della primavera, ma gli occhi bui delle notti d'inverno.
Già, Harry non sapeva nemmeno che esatto aspetto avessero “le notti buie d'inverno”, ma era sicuro che gli occhi di Camille fossero così: spenti, freddi e profondi come eterne spirali che non avevano via d'uscita.
“Mi stai fissando”
Harry sorrise, sfiorando con il naso la linea morbida della mascella e poi quella del collo arcuato della donna – inspirando forte e carezzando con lo sguardo il seno formoso e la forma a clessidra del corpo da sirena.
“Ti sto ammirando” mugugnò, mordicchiandole il seno sinistro.
Camille gemette appena, arcuandosi contro di lui e ignorando il bagliore sinistro della luna – quella sera piena e luminosa, intenta ad avvolgerla per dargli modo di guardarla meglio. Era passato quasi un mese da quando non la toccava in quel modo ed Harry poteva dire che gli era mancato il calore della pelle pallida di Camille e anche le sue fusa da gatta.
“Non c'è niente da ammirare, ragazzino” soffiò lei, inclinando il capo e sospirando più forte quando le stuzzicò il capezzolo con le labbra umide.
Ragazzino. Camille lo chiamava in quel modo da quando l'aveva conosciuta anni prima – durante il suo addestramento da vera e propria recluta; lei faceva parte del Met da un bel po', oramai ed Harry non aveva potuto fare a meno di “fissarla”, come diceva lei, quando l'aveva vista per la prima volta – intenta a ridere per qualche battuta stupida di Picker.
Era sempre stata bella, Camille, nonostante avesse quaranta e passa anni e non fosse più un florido bocciolo. I capelli rossi, gli occhi castani e la pelle di porcellana erano quasi un balsamo per i suoi occhi – mentre il corpo formoso una vera e propria benedizione; non ci aveva messo molto, comunque, per presentarsi.
Si era avvicinato con il suo solito passo baldanzoso e le si era parato davanti, sorridendo a mo' di scuse: le aveva chiesto di insegnargli le basi di attacco\difesa, anche se sapeva più che bene come fare, e lei non ci aveva pensato tanto prima di accettare. Aveva risposto con un « certo, ragazzino! » trascinandolo poi al centro della stanza – dove c'erano i lettini per l'allenamento.
Prima si era fatto mettere a tappeto e poi, a tradimento, l'aveva atterrata come nessun pivello era mai riuscito a fare. Il giorno dopo si era trovato nel suo letto, aggrovigliato con lei tra le lenzuola e quasi si era sentito l'uomo più felice sulla faccia della terra.
Camille era adulta e vaccinata e sapeva cosa voleva, quando lo voleva e perché. Quasi pensava ed agiva come lui ed Harry la adorava per questo; non ci aveva messo molto nemmeno a diventare la sua unica e migliore amica: dalla sua camera da letto passavano al cinese, poi il cinema e ancora il baseball. Lei non diceva mai di no e oltre a capirlo, riusciva a farlo ridere come a volte nemmeno Dave era capace di fare.
Dave. Sì, Dave. Era entrato a far parte della loro vita due anni prima, quando allo Starbucks di fronte al Met aveva preso a pugni Harry sul naso – senza sapere di essere stato smistato nella sua stessa squadra – quando quest'ultimo gli aveva soffiato l'ultimo muffin nella credenza.
“Harry... Harry” lo richiamò Camille, guardandolo attraverso le lunga ciglia scure in modo interrogativo.
“A cosa stai pensando?” disse ancora, stringendogli con fermezza la nuca e costringendolo a ricambiare lo sguardo.
Dave era innamorato perso di Camille e solo un cieco – o la stessa Camille – non se ne sarebbe accorto. Se la mangiava con gli occhi e non perché la voleva nel proprio letto... no. Dave la guardava come di solito un cane guarda il proprio padrone dopo ore di lontananza o come un bambino una barretta di cioccolato.
A volte Harry odiava fare quei paragoni, ma era così. Dove c'era Camille si trovava Dave e questo nemmeno si accorgeva di sbavare in sua presenza; non lo faceva apposta a comportarsi da amico del cuore – forse ancora nemmeno lui stesso doveva accettare quei sentimenti – ma Harry sapeva che Dave odiava quando lui si fermava a casa della donna per la notte.
E lui si disprezzava ancor di più perché lo faceva ugualmente, quasi ignorando gli occhi feriti dell'amico e il suo comportamento schivo quando poi veniva a scoprirlo.
“A Dave”
Camille mollò la presa, quasi scottata ed Harry fece vagare le dita lungo l'addome – cerchiando l'ombelico con i polpastrelli con delicatezza; la vide inclinare il capo verso destra e fissare la finestra incavata nel cotto delle pareti.
“Harry...” lo avvertì con voce minacciosa, arricciando il naso e la bocca in modo ostinato.
Sorrise. A volte lei gli faceva tenerezza. Camille era stata così delusa dalla vita e dagli uomini che l'avevano popolata che non concedeva il beneficio del dubbio a nessuno, ritrovandosi sola e arrabbiata a quarant'anni in quell'appartamento vuoto e freddo come i suoi occhi.
“Potresti concedergli una possibilità” buttò lì, quasi divertito dalla situazione che si era venuto a creare. O forse incapace di accettare i propri pensieri e costringendosi a volgersi altrove.
“Ne abbiamo già parlato. Dave vuole, anzi no... Dave pretende qualcosa che io proprio non posso dargli” disse stizzita, arrossendo sia per la rabbia sia per il calore che le avevano procurato le dita di Harry quando le sfiorarono l'internocoscia.
“Dave vuole solo una storia seria, Camille” sospirò il ragazzo, arrivando al dolce monte di Venere con un piccolo gemito a fondo gola.
Sì, sì. Tutto per dimenticare Diana e i suoi riccioli bruni – simili a serpenti stretti attorcigliati in un abbraccio troppo intimo da guardare.
Tutto, tutto per dimenticare Diana e i suoi occhi scuri – pronti a bruciarlo, divorarlo, ucciderlo. Pronti a salvarlo, ricomporlo, riportarlo alla vita.
“Harry!
Dave è un ragazzino e merita qualcuno che sappia amarlo oltre ad aprirgli le gambe in faccia” sibilò Camille, affossando il capo nel cuscino e artigliando le lenzuola bianche quando Harry intrufolò un dito tra le grandi labbra.
Sì. sì. Tutto per dimenticare Diana e il suo profumo – che quasi gli spalancava le porte dell'Inferno... per poi trascinarlo in Paradiso contro ogni aspettativa o pensiero.
Cielo, Diana. Gli stava rovinando la vita.
Cielo, Diana. Lo stava portando irrimediabilmente in vita.
Affondò un dito tra le pieghe morbide dell'antro umido tra le gambe di Camille. La sentì gemere e quasi stiracchiarsi sul materasso, tendendosi verso le sue dita e verso di lui.
“Non puoi essere una donna da « una botta e via » per tutta la vita” replicò Harry, per poi zittirla definitivamente quando la baciò con trasporto sulla bocca. Le passò la lingua sul palato, stringendole i capelli con l'altra mano.
E Camille gli rubò il respiro – anche se solo per pochi minuti. Ribaltò le posizioni, prendendo lei il controllo e con un colpo di fianco gli fu a cavalcioni, fissandolo ora dall'alto.
Con i capelli a ricoprirle il seno e i fianchi allineati ai suoi si mosse sopra di lui – afferrandolo con decisione e penetrandosi da sola con una lentezza quasi estenuante.
La fronte di Harry s'imperlò di sudore e socchiuse gli occhi mentre Camille gli graffiava prima le spalle e poi il petto – immergendo le unghia proprio nella parte sinistra dello sterno. Dove avrebbe dovuto trovarsi il cuore.
“Questo fallo decidere a me” sibilò lei, prima di muoversi con più decisione. Harry gemette, sedendosi di scatto e stringendosela contro con così tanta forza da imprimersi contro sia carne che ossa.
Ma non il cuore, no. Quello no.
Le morse la spalla con forza e questa volta fu lei a lanciare un gridolino, serrando le gambe contro di lui e causandogli uno spasmo. Si guardarono negli occhi e Camille stiracchiò le labbra in un sorriso vittorioso – quasi orgogliosa di avergli fatto dimenticare per un attimo quello che lo affliggeva. Chi lo affliggeva.
“Strega” bisbigliò contro la sua bocca carnosa, tenendola ferma per i fianchi e muoverla a suo piacimento, prima su con dolcezza e poi giù con violenza – lacerandola, arrivando al punto di rottura e mandando entrambi su di giri.
“Piano” espirò Camille, socchiudendo la bocca e cercando di controllare il respiro accelerato. Sarebbe anche potuta morire in quel momento, così, con le cosce aperte e la lussuria a colorarle le guance e accendergli lo sguardo.
Poteva morire anche così, assolutamente e deliziosamente persa tra il piacere e l'odio per se stessa. Persa tra la follia e la consapevolezza di essere una vigliacca di merda.
“Ma che cazz...” sbottò Harry, sobbalzando quando il suo cellulare cominciò a suonare come impazzito. Si sporse verso destra, continuando a tenerla stretta e controllò velocemente il numero prima di rispondere con un « pronto!? » tra l'urgenza e la rabbia.
« Mi dispiace disturbarti, Harry, ma c'è un problema. » la voce di Dave era dura e metallica dall'altra parte del telefono e il ragazzo scostò appena Camille da sé per accostarsi meglio.
« Cosa succede? » borbottò, burbero e sentì un sospiro rassegnato da parte della ragazza – che si tolse definitivamente dalle sue gambe e si stese dal proprio lato del letto.
« Devi venire al Met. Ci sono alcuni...cambiamenti nel piano. » bisbigliò Dave ed Harry sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Diana.
Per chiamare alle tre di notte o gli era successo qualcosa o il Capo aveva cambiato idea su quello che avrebbe dovuto fare il giorno dopo – quando si sarebbe dovuto recare da Morrison.
E lui non avrebbe permesso nessuna delle due cose. Sarebbe cascato il mondo e se l'era giurato.
« Arrivo. »

 

L'ufficio di Jhonatan Picker era un assoluto e caotico disastro; sembrava che ci fosse stata una colluttazione – con i fogli lanciati per aria, le pillole sparse in giro e gli oggetti di porcellana completamente sfracellati al suolo – e probabilmente era così. Dave e Jhon si fronteggiavano con i capelli ritti in testa, la divisa spiegazzata e gli occhi che, se fossero stati in grado di uccidere, entrambi, sarebbero morti da un bel pezzo.
“Cosa stracazzo succede, qui?” sibilò Harry, incredulo, facendo attenzione a non calpestare niente entrando nella stanza.
I due volsero il capo all'unisono verso di lui e il Capo ringhiò, furioso.
“Complimenti, Thomas – sei grande – davvero” sbraitò con la sua solita flemma ed Harry lo vide così rosso in viso che, da un momento all'altro, era sicuro sarebbe crollato per un infarto. Fulminante.
Già s'immaginava la scena: tutta Londra tappezzata di giornali con un titolone rosso fuoco che recitava « CAPO DELLA POLIZIA UCCISO DALLE SUE MIGLIORI CRELUTE » con tanto di foto del cadavere.
E di lui e Dave in manette.
“Capo... non faresti meglio a calmarti? Non hai un colorito molto sano” intervenne Camille alle sue spalle, guardando preoccupata i due sul punto di sputarsi cordialmente in faccia.
“Ci mancavi solo tu, bambola” ringhiò Jhon, usando il nomignolo che si era guadagnato la donna appena aveva messo piede al dipartimento con quel caratterino niente male.
Camille si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo per l'esasperazione: Jhon la chiamava in quel modo solo quando era particolarmente arrabbiato e ironico e lei non lo sopportava in nessuno dei due casi.
“Serio, Capo, credo che bambola abbia ragione” sogghignò Dave, quasi disgustato. Più da se stesso che dall'immagine che aveva davanti.
Si passò una mano tra i capelli castano\rossicci e si trattenne dall'urlare come un isterico lì dentro – attirando più di uno scandalo e sbattendosene alla grande.
“Smettetela, sembrate due bambini delle elementari” li zittì Harry, entrando definitivamente nell'ufficio e sbattendosi la porta alle spalle.
Calciò via quelle che avevano tutta l'aria di sembrare i posacenere preferiti del capo e si artigliò i fianchi con le dita – assumendo lo sguardo da Dittatore totalitario che più di una volta gli avevano fatto avere una missione per lui fondamentale.
“Sedetevi. Entrambi” continuò, indicando con il mento le due poltrone prese pesantemente a calci e non ammettendo repliche. Non distolse lo sguardo fin quando non li vide sedersi con un broncio simile sulla bocca e incrociare le braccia al petto come due bambini appena messi in castigo.
Ebbene?” li esortò severo, simile alla sua maestra d'asilo quando invece di raffigurare i suoi genitori per un lavoretto a casa si divertiva a disegnare il suo cadavere.
Camille si avvicinò ad una delle due finestre sulla sinistra, calpestando i dossier che il capo aveva lanciato fuori dall'archivio con nonchalance e accendendosi una delle sue tanto sospirate sigarette alla menta; ignorò con caparbietà lo sguardo gelido di Dave sulla schiena e fece passare anche un poco d'aria. Era diventata più che pesante, letteralmente e non.
“Il Capo è stato informato della tua ultima missione e ci ha assolutamente vietato ogni mossa. Ha annullato tutto, Jacksonville” soffiò Jhon, passandosi una mano sulla fronte e socchiudendo gli occhi. Era distrutto.
La missione non era nemmeno iniziata e già poteva dirsi conclusa. Il Capo Superiore aveva tagliato i viveri alla sezione Operazioni Speciali e loro non potevano muoversi di un solo passo senza che questo li lanciasse fuori dalla finestra senza più un distintivo.
E Jhon ci aveva messo faccia, cuore e anima in quella missione. E Diana era in pericolo. E la sua testa stava per scoppiare da un momento all'altro.
“Ditemi che è uno scherzo” disse a voce così bassa che entrambi gli uomini dovettero sporgersi per sentire meglio. Con le dita arcuate si afferrò il viso, lasciando una scia rossastra al suo passaggio dalla fronte alle guance incavate.
“Harry...”
“DITEMI CHE È UNO SCHERZO!” urlò fuori di sé, facendo sobbalzare Camille alla finestra e Dave, che non l'aveva mai visto così... così furioso.
Espirò. Inspirò. Vedeva così rosso che sarebbe stato capace di mettere le mani alla gola di qualcuno.
“Harry...” lo richiamò Jhon, che sembrava essere invecchiato di dieci anni.
Chissà perché, ogni volta che una missione li riguardava, Jhon sembrava sempre più vecchio e stanco. Tanto stanco.
Forse perché, in un modo o nell'altro, Harry falliva sempre. Sempre.
Aveva fallito con sua madre, con Camille e addirittura con Dave. Aveva fallito con Annie – che gli era morta tra le braccia – e ora stava fallendo con Diana. Tutte le donne della sua vita erano destinate ad appassire senza che lui potesse far niente.
“Non sappiamo chi sia stato, ma oramai il danno è fatto” continuò il Capo, afferrando uno dei suoi sigari puzzolenti e accendendosene uno con espressione corrugata. E colpevole.
“Ma...?” lo esortò ansioso, sicuro che ci fosse qualcosa sotto.
“Ma si potrebbe continuare” lo accontentò Jhon – ciccando nell'unico posacenere rimasto illeso dalla loro furia. Buttò fuori il fumo e Dave si alzò di scattò dalla sua postazione, sbattendo con forza le mani sulla scrivania di mogano.
“Non se ne parla nemmeno! Lei è impazzito!” sbottò ancora, mentre Camille non capiva. Non riusciva a capire. Se c'era un modo di continuare la missione perché Dave si opponeva?
“È una follia” ripeté a voce più bassa e roca, affannando come se avesse corso miglia e miglia per niente. Perché già conosceva l'esito della questione e lo capì anche Camille un minuto più tardi, quando Jhon riprese parola.
“Dovresti continuare la missione da solo, senza alcun aiuto. Solo, senza Thomas che ti controlli o aiuti via auricolare. Solo, senza nessuno pronto ad entrare in azione in caso Morrison capisse qualcosa.
Solo, con un registratore ben nascosto nel culo e la fortuna sfacciata che nessuno si accorga che stiamo infrangendo miliardi di regole e mandando a morte certa te” mormorò, abbassando la testa colpevole sul « te ».
No, no. Camille spalancò la bocca e gli occhi, girando la testa di scatto su Jhon come una iena. “Non puoi. È follia pura!” sibilò, gettando stizzita il mozzicone della sigaretta dalla finestra. Gli puntò il dito contro e fece un passo avanti, pronto a mangiarselo con la testa davanti, quando Harry li interruppe.
“Lo farò” disse solo, lanciando un'occhiata commiserevole ai presenti nella stanza e andandosene a passo di carica – deciso e determinato.
Sì, era vero. Aveva fallito con sua madre, con Camille e addirittura con Dave... ma non con Diana, no. No. Non l'avrebbe permesso.
Né ora né mai.

♥ ♥ ♥

 

La Morrison e co. era l'unica delle aziende di Morrison ad essere perfettamente, assolutamente e deliziosamente legale. Non c'era un solo e unico cavillo a cui la polizia potesse aggrapparsi ed era gestita unicamente da Diana Prince – che con gli affari ci sapeva proprio fare, in barba ai bigotti convinti che la donna non fosse capace di gestire un azienda; sembrava proprio che la Morrison e co. fosse stata creata apposta per lei... così innamorata del proprio uomo da non rendersi conto che in effetti era proprio così.
Quell'azienda era l'unica che permettesse a Morrison di coprire in parte il suo traffico monetario lecito senza che suscitasse scalpore o troppe attenzioni da parte dei poliziotti ed era proprio grazie a Diana se ancora non era finito dietro le sbarre per riciclaggio di denaro sporco. Aveva un porto sicuro dove far passare qualche suo affare losco, le telefonate indesiderate e alcuni sbocchi dove appioppare gli acquisti all'estero ed era stato minuzioso su ogni singolo dettaglio che la riguardasse.
Non aveva lasciato nulla al caso, nemmeno la costruzione completamente atipica per essere ad Hidden street; se gli altri edifici si accostavano ad uno stile vittoriano e le villette a quello georgiano, lui aveva eretto un palazzo di cinque piani completamente in acciaio – dove immense finestre lasciavano intravedere gli uffici interni.
Harry Jacksonville si bloccò proprio dall'altro lato della strada, fissando pensieroso l'ultimo piano, dove sapeva che si trovava Diana... che sperava con tutta se stessa in una sua venuta; non era mai stato un uomo che si vantava delle proprie conquiste o che si illudesse facilmente, ma poteva giurarci che era così.
Diana stava pregando, anche se non era la tipica donna che lo facesse. Aveva una paura folle che lui non li raggiungesse e che Matt perdesse completamente il lume della ragione; era riuscito ad ingannarlo con la storia del « cugino », ed Harry si chiedeva ancora come, ma la sua favoletta non avrebbe affatto retto se lui non si fosse presentato lì.
Sorrise. Il pensiero che lei avesse bisogno di lui un po' gli faceva bene, anche se non era per giusta causa o come desiderava veramente – ma in quel momento gli andava bene. Era bello.
E patetico. Bello e patetico.
Si avviò verso l'entrata, bloccandosi contro le porte girevoli e lasciando che le telecamere lo individuassero: tentennarono un infinito minuto, dove lui cercò di non fracassare tutto e finalmente le porte si sbloccarono; entrò nell'atrio principale vuoto, come la portineria dei palazzi popolari alle periferie di Londra e si bloccò proprio al centro.
Il bancone sulla sinistra era d'acciaio e la postazione avvolta da vetro antiproiettile: le luci al neon traballarono sulla sua testa quando il ticchettio di un paio di tacchi a spillo lo raggiunsero – facendogli voltare la testa alla propria destra.
“Harry? Harry Prince?”
Harry ringraziò il fatto che Hidden street fosse abbastanza lontana dal Met – e che lì nemmeno i cani lo conoscessero – e annuì. Judie Cassedie sorrise, indicando con un braccio l'ascensore sul rialzo di marmo traslucido e invitandolo a seguirla per raggiungere l'ufficio del « Signor Morrison », detto con un tono così zuccheroso che Harry, appena lei gli diede le spalle, finse di infilarsi due dita in gola.
Chissà Diana cosa pensava dei capelli rosso fuoco di Judie e dalla scollatura prorompente della camicetta madida. Chissà se sapeva che il suo sacro fidanzato se la scopava appena poteva – nell'appartamento che aveva a Oxford street.
“Il Capo l'aspetta” disse quando le porte dell'ascensore si aprirono, precedendolo lungo il corridoio asettico e pieno di porte bianche. Una sola era aperta e si trovava in fondo, illuminando appena lo spazio circostante.
Ogni passo era un battito mancato e le viscere di Harry diventarono una poltiglia fastidiosa quando furono ad un solo metro dall'ufficio; si massaggiò lo sterno senza dare nell'occhio e guardò per un solo attimo il soffitto – sogghignando nell'immaginare la faccia di sua madre se dal suo paradiso lo stava guardando. Una tirata d'orecchi e una strigliata con i fiocchi non glieli avrebbe tolti nessuno... e Dave l'avrebbe amata per quello, ne era sicuro.
“Buona giornata, signor Prince” lo salutò Judie, facendogli l'occhiolino e sospingendolo leggermente nella stanza per chiudendosi la porta alle spalle.
Per trovarsi nella casa del diavolo la luce si sprecava in quell'ufficio troppo vuoto e impersonale per essere di una persona dalla personalità espansiva e vivace come quella di Diana; fissò prima le piastrelle lucide e poi i muri bianchi – cercando di prendere tempo e non spostare subito gli occhi su di lei, mentre il suo odore, invece, lo raggiungeva senza preamboli e quasi lo uccideva. Lei era troppo lontana da lui per poterla sentire così vividamente, ma era prepotente e lo asfissiava. Era prepotente e lo adorava.
“Buongiorno” esordì Harry con il tono disinteressato che gli avevano insegnato durante l'addestramento da recluta.

  1. regola dell'agente: fingere. Fingere fino alla morte.
  2. regola dell'agente: assecondare. Assecondare il nemico sempre. Sempre.
  3. regola dell'agente: Ascoltare, riformulare e inventare – in questo esatto e preciso ordine.
Nonostante fosse sempre stata una testa calda ad Harry piacevano così tanto quelle lezioni – se poi ci si metteva poi l'obiettivo di incastrare o uccidere Morrison – che ne era uscito quasi con il massimo dei voti. E fu con quello spirito che finalmente posò gli occhi sul suo nemico.
Mattew poteva anche fingersi un agnello pasquale davanti agli occhi della sua ragazza, ma Harry conosceva bene il suo vero volto. Quello che usava per uccidere le proprie vittime.
Lui aveva visto quegli occhi grigi diventare neri per la rabbia e i suoi capelli biondi tingersi di rosso per le ferite che si divertiva a infierire quando finalmente otteneva quello che voleva; Harry non si era mai lasciato ingannare dal viso angelico o i modi da galantuomo. No, lui gli aveva letto dentro e quasi ci era sguazzato nel luridume che nascondeva all'interno.
“Oh, ma guarda chi è venuto!
Ti stavamo aspettando con ansia, cuginetto la voce di Matt era tagliente e per un attimo, un solo e singolo attimo, Harry desiderò spifferargli tutto. Dirgli che sì – e anche più di una volta – aveva baciato la sua perfetta ed esclusiva fidanzata.
Al diavolo il piano, Diana e la sua stessa vita. Harry voleva cancellare quel sorriso beffardo dalla bocca di quel bastardo e vederlo esalare l'ultimo respiro sotto di sé. A mani nude. Con le unghia e con i denti.
“Pensavi davvero che non sarei venuto? Non mi sarei mai fatto scappare l'occasione di passare altro tempo con la mia cuginetta” cinguettò Harry, perfido – sorridendo tutto zuccheroso allo sguardo sconvolto di Diana e quello gelido di Matt.
“E dire che non vi somigliate proprio” soffiò Morrison, alzandosi dalla poltrona di pelle dov'era seduto e avanzando qualche passo verso di lui; si fermò a due metri di distanza e con le mani nelle tasche del suo costoso abito lo fissò, inclinando il capo.
Un ciuffo biondissimo gli sfiorò lo sguardo ed Harry si trovò sotto esame. Quelle lastre di ghiaccio lo sondavano – cercando di leggergli nella testa, nel cuore e nell'anima; il ragazzo dai capelli neri sorrise, mostrando una schiera di denti bianchi e facendo spallucce come se si trovasse a proprio agio in quella situazione.
“Diana assomiglia molto di più allo zio e alla sua cara nonna Toscana. Direi che di simile abbiamo solo il temperamento testardo e l'ottimo gusto per il vino di classe” surclassò Harry, sorridendo sfacciatamente proprio a lei – che scosse il capo, divertita.
“Sì, conosco molto bene questo tipo di temperamento in Diana” e anche Matt si sciolse – tendendogli la mano affabile e stringendogliela con forza.
Ma voleva ucciderlo, lo sentiva nell'aria che gli si incastrava nei polmoni, nei battiti accelerati del cuore e gli occhi simili a due stalattiti.
Voleva ucciderlo anche quando Diana gli buttò le braccia al collo, stringendoselo contro; affondò il viso nella sua spalla e artigliò le dita sulla maglia a maniche corte che si era infilato quella mattina di fretta e furia.
Era così ansioso di vederla da non essersi applicato minimamente nemmeno sui capelli sconvolti e la cera da fare schifo – quindi ricambiò l'abbraccio annusando estasiato il suo profumo. E capì che tutta quell'ansia, il pericolo che aveva corso per trovarsi lì e le liti furiose con gli altri erano valse pienamente la pena.
“Proprio un bel quadretto familiare” disse Matt con un sorriso forzato, incrociando le braccia al petto e osservandoli in modo obliquo.
Voleva ucciderlo ed Harry sapeva che la cosa non si era conclusa lì, affatto, e che si sarebbe dovuto aspettare qualsiasi cosa in qualsiasi momento.
“Non vorrei proprio essere l'artefice di una divisione forzata tra due cugini così uniti...” continuò e dal tono entrambi capirono che quella testolina bionda stava architettando qualcosa. Qualcosa che non sarebbe piaciuta a nessuno dei due.
“Proprio per questo motivo, questa sera, sei invitato al The Ivy per una cena informale tra di noi – giusto per ricordare i vecchi tempi” stoccò alla fine, rilassato e padrone di sé.
Diana gli strinse un braccio così forte da stordirlo ed Harry sbiancò. Parlare dei vecchi tempi. Quale vecchi tempi?
“Oh, certo che sì” accettò prima che quello riaprisse la bocca e gli domandasse se si sentiva bene.
Cazzo, cazzo, cazzo. Parlare dei vecchi tempi. I vecchi, memorabili e inesistenti tempi.
“Non vedo l'ora” sussurrò Matt, dandogli le spalle per tornare a sedersi.
Harry capì che così era stato liquidato e riuscì a cogliere solamente lo sguardo allarmato di Diana quando il ragazzo – di nuovo accomodato – gli sorrise con fare sbrigativo.
“Stasera alle otto in punto, allora” e Jacksonville dovette battere ritirata.
Era nei guai ed erano guai seri quella volta. E non poteva nemmeno correre al Met, perché sicuramente quel bastardo di Morrison gli avrebbe messo qualcuno alle calcagna quel pomeriggio.
Doveva trovare una soluzione e anche alla svelta se non voleva ritrovarsi letteralmente e non nella merda.
   
 
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