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Autore: feffyna22    31/03/2016    4 recensioni
Seguito di Dandelion In The Spring - Dal capitolo 15b [Everlark]
Katniss è l'unica vincitrice dei 74esimi Hunger Games. Adesso è un mentore e Snow proverà a sfruttare la popolarità della ragazza. Ma Katniss ormai non è più la stessa, si è smarrita nell'arena e adesso combatte per ritrovarsi. Come si evolveranno le cose tra lei e Peeta? E la rivolta nel distretto 12?
"Not all those who wander are lost", cit. J.R.R. Tolkien
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Black Pearl'
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CAPITOLO 1b - The Carillon





Non so dove mi trovo, non riesco a svegliarmi.
Non ricordo nulla, tutto quello che c’è nella mia testa è l’immagine di questo soffitto grigio. Non ricordo nemmeno il suono della mia voce.
Non so chi sono: mi appartiene questo corpo, disteso e immobile. Ecco, sono solo fisicamente qui.
Non ho altro, non un’emozione, un pensiero, una sensazione.
Sono il Vuoto. Sono un involucro, una scatola.
Cosa sono io?
Un tempo volteggiavo, volteggiavo.
Ora nella mia testa c’è solo questo soffitto grigio.
 
“Signorina Everdeen”.
Sollevo appena la testa al suono di quel nome così familiare eppure così lontano.
“E’ ora di tornare a casa, signorina”, mi dice la grassa infermiera davanti al mio letto. Potendo ucciderla, avremmo campato almeno due mesi con tutta quella carne.
“Mh”, è tutto ciò che riesco a dire.
“Non deve preoccuparsi. Vede, nell’Arena a causa dei gas tossici e delle violente allucinazioni ha subìto alcuni danni in aree molto delicate del cervello”, a quelle parole sgrano gli occhi e provo ad alzarmi dal letto. Mi rendo conto di essere immobilizzata, delle cinghie mi stringono i polsi e le caviglie.
Digrigno i denti ed inarco la schiena, urlo.
Ricordo Gale e Cato e Finch, non ricordo molto altro, non ricordo nemmeno tutto. Ricordo che sono morti, che forse erano legati a me o forse no.
“Si calmi, la prego”, nel frattempo entrano due dottori, vorrebbero iniettarmi qualcosa nel braccio. Non vedo più nulla, anche il mio udito mi sta abbandonando.
“No! L’intervista…Fermi!”, è tutto ciò che sento.
 
Quando riapro gli occhi, ritrovo sempre il grasso cervo a fissarmi. Ha capito che la osservo come si osserva una zuppa: ha lo stesso sguardo degli scoiattoli, quando la mia freccia sta per conficcarglisi in mezzo alla fronte.
“Che mi succede?”
“Ha una leggera amnesia. I ricordi torneranno, con il tempo. Probabilmente noterà anche una lieve alterazione delle emozioni, ma anche questo dovrebbe migliorare con il tempo”
“Chi sono?”
“Sei Katniss Everdeen”
“Cos’è questo posto?”
“E’ un ospedale. Hai vinto gli Hunger Games”
Non ho idea di cosa stia parlando. E perché la baldraccona mi dà del tu?
“Hai perso tuo padre molto tempo fa, hai una madre ed una sorella, Prim. Nell’arena hai perso il tuo ragazzo, Gale. Ricordi qualcosa?”
Scuoto la testa: non ricordo nulla, nessun volto, nessun legame.
Sarebbe perfetto, se non fosse per le immagini di morte che ritornano nella mia mente.
“Guarda”, mi porge uno specchio. Resto diversi minuti in silenzio mentre esamino la mia immagine riflessa.
“Non mi riconosco”
“E’ normale, stai tranquilla”
Mi volto verso di lei e sento la prima vera emozione da quando mi sono svegliata: dolore.
Provo a riappropriarmi della mia immagine, ma non riesco a vedere me stessa in quel riflesso.
Verso sera, delusa, l’infermiera si alza ed esce dalla stanza.
Torna poco dopo, accompagnata da un uomo sulla cinquantina, i baffi ritti e i capelli di colore viola scuro, pettinati all’indietro.
“Salve Katniss, io sono il dottor Aurelius e sono qui per aiutarti”.
Sorrido appena, gli basta.
“Andrà tutto bene”, dice, ma io non gli credo.
 
Per due giorni, lui e il cervo lottano per ridarmi un poco di sanità mentale, ma senza successo. I ricordi che riesco a riportare in superficie sono orribili, crudi, cattivi. Ed io continuo a non provare assolutamente nulla, se non alcune fitte allo stomaco.
Mi mostrano molte foto e altrettanti video di persone che non ricordo. Ed è la cosa che ripeto per tutto il tempo: io-non-ricordo.
Ma quei due non mi danno ascolto e, sinceramente, non mi innervosisco nemmeno.
Il terzo giorno. Oh, il terzo giorno è stato una vera merda.
Iniziano a mostrarmi volti selezionatissimi, che dovrebbero sconvolgermi nel profondo. Non me l’hanno detto, ma è impossibile non notare con che meticolosità ordinano le foto sul tavolino.
Iniziano da mio padre, dicono che è mio padre. Mi fanno scivolare la foto tra le dita, come fosse un sottilissimo velo o una bomba pronta ad esplodere, sono carichi di entusiasmo. La osservo per diversi secondi, si aspettano che esploda in un pianto o qualcosa del genere, non lo so.
“Non mi ricordo di lui”, dico tendendo la fotografia con due dita.
Non dicono nulla, ma lo so che si stanno arrendendo.
Mi passano la foto di…mia sorella? Mamma? Gale? Gale me lo ricordo. Cioè, mi ricordo il suo sangue sulle mie dita, ricordo di aver pianto. Vedo quel momento, ma è come se stessi spiando la memoria di qualcun altro, non mi trasmette nessuna emozione.
Continuano a farmi vedere volti e immagini e interviste.
Mi auguro che abbiano altri assi nella manica.
Un'altra foto, un’altra, un’altra ancora.
Senza sosta, nemmeno mi chiedono più se ricordo qualcosa.
Così, non si accorgono subito dell’espressione sul mio viso.
“Cosa c’è, Katniss? Ricordi?”
Li guardo, mentre alcune lacrime mi rigano le guance, senza nessun controllo.
“Papà”, dico.
Il dottore si avvicina al mio letto e osserva la foto, corrugando la fronte.
L’infermiera, che intanto stava ricontrollando le altre immagini sparse sul tavolino, cerca gli occhi del dottore.
“E’ Haymitch Abernathy”, dice lui.
“E’…è vivo?”, chiedo impaziente.
“Sì, è vivo. Ma si trova nel tuo distretto. Nessuno può sostare a Capitol City per più di dieci giorni dopo la fine dei Giochi.”
“Quanto tempo è passato?”
“Due settimane. Cosa ricordi di lui?”
“Nulla”
“Ok, prova a riposare adesso”, il dottore richiama con lo sguardo l’infermiera ed escono dalla mia stanza, lasciandomi da sola, con troppe domande nella mia testa.
Ma ad una ho risposto.
Mi è chiaro adesso, che non sarà più come prima.
Non so cosa c’è stato prima, ma tutto ciò che ero non tornerà più.
L’ho capito quando ho visto la foto di mio padre. Mi sono resa conto che dovrei davvero conoscere anche tutti gli altri volti, ma non è così.
Immagino che esista un modo per recuperare certe cose importanti, ma sono piuttosto sicura che la maggior parte siano ormai perdute per me.
Sono il Vuoto. Sono un involucro, una scatola.
Sono il carillon rotto di mia mamma, ricordo solo le sue mani.
Lo caricava per farmi addormentare quando ero piccola, mi divertiva il momento in cui lo apriva e si sollevava una piccola ballerina. Volteggiava, volteggiava.
Un giorno, lo scaraventò sul pavimento e la ballerina si ruppe in mille pezzi. Anche la molla per caricare la musica si era rotta. Rimase solo quella delicata cassettina celeste. E non ci sono molte differenze tra me e lei adesso.
Cosa sono io?
Forse, un tempo volteggiavo, volteggiavo.
Ora nella mia testa c’è solo questo soffitto grigio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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