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Autore: Natsumi92    02/04/2016    4 recensioni
DESTIEL
Un AU nel quale Dean è un ex alcolista proprietario di una tavola calda, Sam è uno studente di legge incapace di notare il modo in cui Jessica lo guarda, e Cas? Beh, Cas mette sottosopra il mondo di Dean e forse, solo forse, gli dà un motivo per avere un po' di fede.
L'amore della durata di una vita raccontato attraverso un battito cardiaco.
Traduzione dell'opera originale "999 days from now" di Dear Collectress
Attenzione: *Major Character Death, Angst, menzione di precedenti abusi di alcol e droga e abbandono di minore*
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Jessica Moore, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo 5: BATTITO CARDIACO
 
 
GIORNO 858
 
Cas era arricciato attorno a lui per quanto fosse possibile, considerando che Dean era steso di schiena con le gambe più alte rispetto al cuore. Sapeva che Cas non stava dormendo; lo poteva capire dal suo respiro. Cas non dormiva molto quando Dean era con lui. E Dean non dormiva molto e basta.

«Jess aveva l’ecografia oggi.»

«È un maschio o una femmina?»

«Non vogliono saperlo. Quei pazzi vogliono che sia una sorpresa.»

«Tu vuoi saperlo?»

«No. Non importa.»

Gli importava. Ma Cas lasciò che la bugia scivolasse nell’oscurità.

«Hai parlato con Sam?»

«Sì.»

«Dean.»

«È ancora arrabbiato, okay? Non posso parlargli se lui non vuole farlo. Sono una persona di merda per avergli mentito per anni. Ha tutto il diritto di essere arrabbiato con me.»

«Quello che hai fatto – quello non ti rende una cattiva persona.»

«Beh, non mi rende nemmeno una brava persona.»

Cas rotolò via da Dean e si alzò dal letto. Raccolse qualche felpa (notò che quell’azione metteva in bella mostra il culo del suo amante) e ne tirò una addosso a Dean. «Vestiti.» disse prima di sparire nel corridoio.

Dean gemette e guardò l’orologio. L’1:28 del mattino. Avrebbero dovuto lavorare entrambi la mattina seguente, e svegliarsi non sarebbe stato facile com’erano abituati a fare. Si alzò comunque, e indossò la felpa che Cas gli aveva lanciato.

Cas lo caricò sulla sua auto e guidò per tutta la città, nonostante Dean protestasse continuamente sul fatto che fosse piena notte. Quando raggiunsero St. Ann, la chiesa che Cas visitava spesso, Dean si impuntò nel non voler scendere dall’auto. «Perché siamo qui?» chiese. «Perché andare in chiesa nel bel mezzo della notte? Sono certo che Dio può aspettare fino a domattina.»

Cas alzò gli occhi al cielo, una brutta abitudine che aveva preso da Sam. «So che non credi.» gli disse. «E non ti sto chiedendo di farlo. Voglio solo mostrarti qualcosa. È un mio hobby, in realtà.»

Dean obiettò ancora. Come sarebbero potuti entrare? Chi avrebbe aperto le porte della chiesa alle due del mattino?

«Ho le chiavi.» rispose Cas, spazzolandosi il trench. Naturalmente, Cas poteva indossare il trench con i pantaloni della tuta e risultare ancora sexy. Coglione.

Cas aprì la porta della chiesa e fece cenno a Dean di entrare prima di lui. Era la terza volta, dopo la morte della madre, che Dean rimetteva piede in una chiesa. E certamente non era mai stato portato in chiesa da un fidanzato prima d’ora. Attraversò la navata e si addentrò nel santuario, passando tra i banchi di legno diretto alla parte anteriore della chiesa. Somigliava a qualsiasi altra chiesa che Dean avesse mai visto in televisione. Si sedette in prima fila, aspettando che Cas lo raggiungesse. Pochi minuti dopo si avvicinò a lui, dopo aver acceso le luci. «Okay, Cas, perché siamo qui?»

«Guarda in alto.»

«Cosa? Perché?»

«Guarda.»

Dean lo fece. Non era mai stato in Italia o in Francia o in qualsiasi altro luogo dove l’arte era importante. Michelangelo. Da Vinci. Lì in quella chiesa, tra tutti i posti proprio in California, il dipinto metteva a dura prova artisti di quel calibro. Il soffitto a volta era dipinto per metà, con colori così brillanti che Dean si sentiva quasi bruciare gli occhi. Non sembrava nemmeno possibile, che un dipinto come quello poteva trovarsi in una chiesa così moderna. «L’hai dipinto tu?» chiese a Cas incredulo.

«Sì,» affermò Cas. «Quando mi sono trasferito qui per la prima volta, venni in questa chiesa per caso. Il reverendo era gentile con me, e mi sono offerto di dipingere quest’affresco per lui. Ci sto lavorando da diversi anni, sin da prima che ti incontrassi.»

Dean ammirò il soffitto e non trovò nessuna parola capace di descrivere quanto fosse incredibile e meraviglioso quel dipinto. Non aveva mai visto nulla di simile? Cas lo sapeva già. Cas aveva un grande talento? Sapeva anche quello, o non dipingerebbe in una maledetta chiesa. Qualsiasi cosa gli avesse detto, sarebbe stato come polvere di intonaco accanto a quello che Cas aveva creato.

Cas prese la mano di Dean e lo portò di fronte al santuario, dietro l’altare, che era anch’esso dipinto con affreschi. «Questa è stata la prima parete che ho dipinto,» disse lui, sfiorandola con un dito. «Cosa vedi?»

«Uhm, quello sembra Gesù e, uh, una donna. Maria come si chiama?»

«No, non è Maria Maddalena.» Cas gli raccontò la storia di Gesù e della donna sanguinante, che era riuscita a raggiungere e a toccare il mantello di Gesù e quindi era guarita.[1] Dean non credeva nei miracoli, ma poteva capire perché quella storia era diventata famosa tra le persone che avevano riposto valore nella fede. Eppure Dean era sicuro che in nessun modo la fede avrebbe potuto curare il suo cuore, e non vedeva il motivo di andare in chiesa alle due del mattino per rendersene ancora più conto.

«Non è per questo che ti ho portato qui.» disse Cas. «Voglio raccontarti una storia.»

Quando Cas aveva undici anni, a sua madre fu diagnosticata la leucemia. Era stata una devota episcopale, disse Cas, e quando iniziò a morire, anche la fede di Castiel iniziò a svanire. Perché Dio avrebbe permesso ad una donna buona come sua madre di morire? Perché l’avrebbe dovuta far soffrire così tanto, se Lui era così buono e giusto? Era una cosa che Dean aveva già sentito prima, in modi diversi e da persone diverse. Le cose brutte capitano anche a persone buone, bla bla bla.

«No.» disse Cas. «La morte fa parte della vita, proprio come la nascita, le risate, o l’amore. La mia fede fu distrutta perché credevo che Dio gestisse ogni aspetto dell’universo, e che potesse impedire la morte delle persone, che è un processo che fa parte della vita stessa, perché era il suo volere. Ma questo non è quello che fa Dio.»

Mise una mano sulla parete, accanto al volto di Gesù e continuò la sua storia. Il giorno che sua madre morì, era scappato dall’ospedale ed era rimasto seduto da solo in un parco per ore. «Tu lo sai quanto ci si sente soli,» disse Cas, «quando si perde un genitore.»

Sì, lo sapeva.

«Nessuno si degnò di guardarmi, e più a lungo rimanevo seduto lì, e più mi sentivo solo.» guardò di nuovo il dipinto, e con un dito tracciò i contorni del volto di Dio. «Il dottore di mia madre mi trovò. Si sedette accanto a me. Non provò a darmi le condoglianze – sapevamo entrambi quanto fossero inutili dinanzi a così tanto dolore – ma mi disse che non ero solo, se non volevo esserlo.»

Cas si allontanò dal dipinto e guardò Dean negli occhi. Dean si accorse che gli occhi del suo amante stavano iniziando a riempirsi di lacrime, e istintivamente portò una mano sul suo volto e le raccolse.

«La prima volta che ci siamo incontrati,» disse Cas, «mi hai chiesto perché sono diventato un medico; è stato perché ho visto Dio nel volto di quell’uomo, del dottore.»

«Cas,» sospirò Dean. Si porse in avanti per premere la sua fronte contro quella dell’amante.

«Io lo vedo nel tuo volto, Dean, quando parli di Sam.»

Lì, nel bel mezzo della chiesa, davanti agli occhi di Dio o di chiunque o di qualunque cosa li stesse guardando, Dean baciò Cas.

Quando finalmente si staccarono per riprendere aria, Cas disse, «Io ho fede, Dean, grazie a te.»

 
 
GIORNO 897
 
Era giovedì, il giorno nel quale Jess chiuse Dean e Sam in macchina e se ne andò via. Era sicuro che fosse giovedì, perché Cas era in ospedale, e il giovedì era il giorno in cui Cas era sempre in ospedale. Stava diventando sempre più difficile per Dean preoccuparsi dei giorni. Le ore, i minuti, erano molto più immediati e importanti.

Era importante che Dean uscisse dalla Toyota Corolla di Jess perché stava sprecando troppi minuti. E lei non si era davvero buttata dalla finestra (anche perché era febbraio e stava piovendo, quindi in realtà non importava più di tanto). Che cazzo era quello, una sorta di castigo? Aveva trentaquattro anni per amor del cielo. Per non parlare del fatto che stare chiuso in una Corolla non faceva per niente bene alle sue gambe. Se avesse avuto una spada laser avrebbe tagliato tutto e tutti a pezzettini e se ne sarebbe andato in giro solo con un sacco di spazzatura al posto dei vestiti (aveva imparato a fare la voce di Darth Vader anni prima).

Okay, forse meritava di essere stato messo in castigo. Giusto un po’. Ma la colpa era di Sam tanto quanto era sua.

Guardò la pioggia fuori dalla finestra, osservando come le gocce d’acqua si infilassero nei disegni del marciapiede di cemento. Cas una volta gli aveva detto che le gocce di pioggia vengono dalle nuvole, “goccioline di nube” le aveva chiamate, e per raggiungere le dimensioni effettive di una goccia di pioggia, queste goccioline di nube dovevano crescere almeno un milione di volte rispetto alla loro forma originale. "Se la pressione atmosferica fosse diversa, ciò non potrebbe mai verificarsi." gli aveva detto Cas, mentre erano distesi fianco a fianco sotto un cielo diverso, osservando una pioggia più lieve. "Se la combinazione degli elementi fosse stata diversa, non avremmo mai nemmeno avuto la pioggia." E se lui non avesse mai incontrato Castiel, non avrebbe mai potuto sapere queste cose.

Sam era seduto sul sedile davanti, guardando anche lui il temporale. Le tempeste in Nebraska non erano mai state così. Sam stava ripensando a quei temporali che contorcevano e trasformavano il cielo in diverse tonalità di viola, e avevano fulmini che erano come dei flash di una macchina fotografica, così brillanti e inaspettati? A Sam mancava il Nebraska? Gli mancavano i giorni nei quali c’erano solo loro due, due Winchester contro il mondo? Se fossero restati, Dean avrebbe mai guidato per tre ore fino ad Omaha per vedere il cardiologo? Avrebbe mai scoperto che il suo cuore – che diverse ex-ragazze erano sicure che non avesse – stava facendo il conto alla rovescia in ogni battito?

Jess sapeva che lui avrebbe pensato queste cose, quando aveva deciso di chiuderli in macchina?

Probabilmente sì.

Neanche a farlo di proposito, il suo cellulare e quello di Sam suonarono nello stesso momento per un messaggio da parte di quella diavolessa incinta.

Da Jess: parla. Sono passati tre mesi e sono stufa di essere la versione umana del muro di berlino 2:37 p.m.

«Noi parliamo,» protestò Dean al suo telefono, «Parliamo ogni giorno.» Jess non poteva sentirlo, ma Sam sì. «Stiamo bene.»

Sam ridacchiò. «Già, immagino che questo possa definirsi “stare bene”.»

«Che cosa vorresti dire?»

Sam si voltò per affrontare Dean, il che risultò un’impresa ardua dato che si trovavano in una mini Corolla. «Hai evitato di parlarne sin da quando hai scoperto di essere malato.» disse Sam. «E sai cosa? Fa male. Non mi piace il fatto che mio fratello non potesse dirmi cosa gli stava succedendo. Non mi piace il fatto di averlo scoperto solo quando non potevi più nasconderlo.»

Le parole di Sam erano molto simili a quelle che aveva usato quando l’aveva trovato sul pavimento del bagno ricoperto di vomito e dovette chiamare il 9-1-1 a causa di una probabile overdose. «Stavo cercando di proteggerti, Sammy.» disse Dean a suo fratello. «Non volevo che ti preoccupassi per me; non avremmo potuto fare nulla in ogni caso. Nemmeno Cas può salvarmi.»

«Non è il tuo compito quello di proteggermi.»

«È questo il punto, Sammy, è il mio compito.» Era sempre stato il suo compito, perché dal giorno in cui Mary Winchester era morta, il loro padre aveva deciso di prendere in mano una bottiglia. «Non sto dicendo di aver fatto bene o di non aver mandato tutto a puttane, ma se potessi scegliere di nuovo? Sì, farei esattamente la stessa cosa.»

Sam sospirò. Si passò le dita tra quei capelli da hippie e disse: «Sto cercando di capire, davvero. Non voglio essere arrabbiato con te. Non c’è abbastanza tempo per esserlo.»

Cosa avrebbe potuto dire Dean? Una bugia? Doveva dirgli che avevano un sacco di tempo per discutere sulla sorprendente abilità di Dean di scappare dalla merda o sull’ossessione di Sam sui libri di auto-aiuto? Sapevano entrambi che non ce n’era. «Non ho bisogno che tu capisca,» disse Dean, «Non ho bisogno che tu pianga o che tenga una veglia di preghiera tutta la notte, anche se probabilmente Cas ti chiederà di partecipare ad una veglia, prima o poi. Ho bisogno di stare insieme a te, okay? È tutto quello che voglio.»

Le mani di Sam si congiunsero davanti a lui, e lo sguardo era fisso sul cruscotto. Chiunque penserebbe che suo fratello stesse pregando, ma Dean sapeva che quella era la posa da “Ci sto pensando davvero intensamente”. «Okay.» disse Sam dopo una lunga pausa nella quale Dean aveva trattenuto il respiro.

«Okay?»

«Okay.» disse di nuovo Sam. «Staremo insieme, finché potremo farlo.»

Un brivido corse lungo la schiena di Dean. Avrebbe dovuto ringraziare Jess. Un momento. Erano ancora bloccati in auto. «Uhm, Sam? Credi che Jess ci farà uscire adesso?»

Sam si strinse nelle spalle. «È andata in missione per trovare il passeggino perfetto. Se la interrompessi ora, potrei non essere vivo per la nascita di mio figlio.»

Alcuni giorni Dean trovava difficile credere che Sam sarebbe diventato padre nel giro di quattro mesi. Una volta o due aveva provato a parlarne con Cas, sull’ironia del fatto che come un Winchester se ne andava dal mondo, ne arrivava subito un altro, ma c’erano alcune conversazioni che neanche Cas era pronto ad affrontare. «Amico, stai per diventare padre.» disse Dean. Mimò il cervello che gli esplodeva.

«Lo so. Assurdo, vero?»

«Assurdissimo.»

«Vuoi vedere un’altra cosa assurda?» Sam infilò una mano nella tasca, e tirò fuori un piccolo scatolino di velluto.

«È quello che penso che sia?»

Come era ovvio, Sam aprì lo scatolo e mostrò a Dean un semplice anello di diamanti. Era lo stesso che aveva visto sul profilo Pinterest di Sam, la settimana prima. Non che stesse cyberstalkerizzando suo fratello.

«Credi che dirà “sì”?» chiese Sam. Il tono di voce era nervoso come sembrava essere.

«Amico, sta per sparare tuo figlio fuori dal suo utero. Non fare la faccia schifata – sarai lì a tenerle la mano. Se questo non è amore, non so cosa sia.» Voleva dire a Sam di essere orgoglioso, così dannatamente orgoglioso, dell’uomo che sarebbe diventato, e invece disse, «Ora messaggia la tua ragazza e facci uscire da questa dannata macchina.»

 
 
GIORNO 899
 
Da Cas: scusami devo lavorare oggi 8:33 a.m.

A Cas: ti ho lasciato una cosa in ufficio 8:58 a.m.

Da Cas: un pastello? 11:28 a.m.

A Cas: non sono riuscito a trovarlo viola. scusa 11:30 a.m.

A Cas:  buon san valentino 11:31 a.m.

Da Cas: credevo che si usasse mandare dei fiori 11:32 a.m.

A Cas: il pastello significa di più 11:33 a.m.

Da Cas: sì è vero. 11:33 a.m.

Da Cas: ti amo anche io. 11:34 a.m.

 
GIORNO 900
 
Da Sam: ha detto sì 9:45 p.m.

Da Jess: ciao fratello. 9:47 p.m.

 
GIORNO 146 – La prima volta che Cas chiamò Dean
 
Il suo cellulare vibrò così violentemente che cadde dalla sporgenza sulla quale Dean l’aveva poggiato. Imprecò, e mise giù i suoi attrezzi mentre raccoglieva il cellulare dal pavimento.

1 chiamata persa da Cas.

Compose il numero del dottore e portò il cellulare all’orecchio, afferrando di nuovo gli attrezzi e tornando a lavorare al motore dell’Impala. Il che era più facile a dirsi che a farsi, come capì piuttosto velocemente. Quando la voce roca di Castiel rispose con un “Pronto?”, decise di abbandonare gli strumenti definitivamente.

«Ehi, Cas, mi hai chiamato?»

«Cas?»

«È un soprannome.»

«I miei fratelli usano chiamarmi “Cassie”. Non mi è mai piaciuto.»

«Okay, scusa, Castiel.»

«Puoi chiamarmi Cas. Non mi dispiace.»

«Cas. Castiel. Quello che è. Perché mi hai chiamato?»

«Oh, è il ventiquattro gennaio, vero?»

«Già. Aspetta, metto il vivavoce, così posso tornare a lavorare alla mia macchina.»

Dean rimise il suo telefono su quella sporgenza pericolosa, controllando che rimanesse in equilibrio. «Sì, il 24 gennaio, perché?»

«Buon compleanno.»

«Oh, grazie. Chi te l’ha detto?» Dean afferrò la pinza e tirò fuori le candele, una alla volta.

«Facebook.»

«Uhm, sai che potevi scrivermelo direttamente su Facebook, vero?»

«È una cosa impersonale.»

«Okay, beh ti ringrazio.»

«Non c’è di che.»

«Quindi, uh, come stai, Cas?»

«Sto bene. Come stai tu, Dean? A cosa stai lavorando?»

«Uhm, sto cambiando le candele dell’Impala.»

«Oh, si sono bruciate?»

«No, sto solo mettendo quelle di iridio. Hanno un punto più alto di fusione e conducibilità. Dovrebbero permettere a Baby di andare più veloce.» Accarezzò la fiancata dell’Impala, anche se Cas non poteva vederlo.

«Capisco. C’è qualche ragione che ti ha spinto a migliorarla?»

«Penso di portarla sulla strada aperta. Così potrei raggiungere il parco di Redwood. Ho sempre voluto vedere quelle sequoie.»

«Gli uomini più vanitosi, più sorridenti e irriverenti, davanti alle sequoie, entrano in un incantesimo fatto di meraviglia e rispetto.»

«Cosa?»

«È una citazione di Steinbeck.»

«Ovviamente.»

«Egli paragona anche lo stupore e la tranquillità che si sperimentano la prima volta che si vedono quegli alberi, all’imponenza di una cattedrale. Infatti, gli alberi spesso sono definiti come la “cattedrale di Dio”.»

Dean mise giù le pinze. «Non mi interessa quello. Solo gli alberi.»

«Oh, beh, la tribù Paiute li chiama woh-woh-nau.»

Dean scoppiò a ridere mentre prendeva la candela e il cricchetto. «Parlami dei ua-ua-nou.»

«I woh-woh-nau.»

«Cas, in futuro, atteniamoci agli sms.»

 
 
GIORNO 910
 
Da Jess: ho bisogno di te al lavoro 8:33 a.m.

Da Jess: sto insegnando qualcosa al nuovo ragazzo e ho bisogno che tu lo metta in difficoltà 8:34 a.m.

Da Jess: è un rito di passaggio 8:35 a.m.

A Jess: a che ora? 8:38 a.m.

Dean arrivò alla tavola calda un’ora dopo e zoppicò verso un tavolo in un angolo per sedersi. Era da parecchio che non vedeva Jess assumere un nuovo dipendente, e quella volta lei aveva optato per un “cliente adirato” per mettere in difficoltà lo staff. La guardò dare direttive al ragazzo che aveva assunto – una matricola del college che si chiamava Kevin Tran che aveva tutta l’aria di essere il capitano della squadra di matematica – e gli abbaiava ordini per tutta la tavola calda. Jess era più spaventosa al sesto mese di gravidanza rispetto a quella volta che Dean l’aveva vista atterrare un tizio con un pugno ben piazzato.

Povero Kevin.

Alla fine arrivarono al suo tavolo, e Jess con molta calma disse a Kevin, «Prendi il suo ordine, e non mandare tutto a puttane stavolta.» Poi sorrise dolcissimamente smielata a Dean e gli fece l’occhiolino.

Kevin giocherellò con gli angoli del suo blocchetto delle ordinazioni. «Cosapossoportarlesignore?» sbottò in una corsa frenetica fatta di consonanti e vocali.

Jess lanciò uno sguardo divertito nella sua direzione, e Dean si costrinse ad ignorarla. «Portami un’omelette greca.» rendendo la sua voce più rauca del normale, «Ma tieni i peperoni, sostituisci il cavolo nero con gli spinaci, aggiungi i funghi e aggiungi della feta extra. Vorrei anche delle frittelle di patate con cipolle e ravanelli, e una porzione di biscotti e sugo di carne, con il sugo di lato e i biscotti tagliati in quattro parti e tostati. Anche del caffè alla francese.»

Kevin stava furiosamente scarabocchiando l’ordine sul blocchetto, «Niente cavolo nero… aggiungi olive… ravanelli… biscotti…» il povero ragazzo era sopraffatto e ogni volta che Jess guardava nella sua direzione se la faceva nei pantaloni.

Jess si chinò dando un’occhiata a quello che Kevin stava scrivendo. «No, dovrebbe esserci il cavolo nero ma niente spinaci, e funghi ma niente olive.» lo corresse lei.

«Ah, giusto.» disse Kevin, «Vado a consegnare l’ordine.» girò i tacchi e si allontanò dal tavolo di Dean, finché quest’ultimo non lo richiamò.

«Ho cambiato idea.» disse Dean. «Prenderò solo un caffè.»

«Solo un caffè?»

«Solo un caffè.»

Kevin sembrava sul punto di piangere. «Posso farlo.» disse. E poi praticamente scappò via.

Jess crollò al tavolo, ridendo così forte che Dean pensò potesse farsela addosso.

«Oh cielo,» disse, «Non se lo dimenticherà mai per tutto il tempo che lavorerà qui. Biscotti tagliati in quattro parti e tostati? È stato impagabile.»

«Beh, era il mio obiettivo,» disse lui, «rendere tutto indimenticabile.»

Jess smise di ridere. Allungò le mani sul tavolo e prese quelle di Dean tra le sue.

«Non sarai dimenticato.» disse lei.

«Hai intenzione di costruire un altarino sacro su di me nell’orinatoio o qualcosa del genere?»

«Qualcosa del genere.» disse lei.
 
 
GIORNO 920
 
A Sammy: dovete venire in ospedale 1:29 a.m.

Da Sammy: Dean? Che succede 1:30 a.m.

A Sammy: sono Cas. Dean è stato ricoverato. Ho dimenticato il mio telefono a casa 1:32  a.m.

Da Sammy: arriviamo 1:33 a.m.

 
GIORNO 929
 
Cas prese un congedo dal lavoro. Dean non se ne lamentò.

 
GIORNO 932
 
Sam e Jess anticiparono il loro matrimonio. Dissero che volevano rendere le cose ufficiali prima della nascita del bambino. Dean sapeva che stavano mentendo.
 
 
GIORNO 962
 
Dean finalmente vide Las Vegas.

In una piccola cappella sul Las Vegas Boulevard, era accanto a suo fratello, Jo e Ellen erano in piedi al loro fianco, mentre Sam diceva “Lo voglio” alla donna migliore che avesse mai conosciuto.

Al ricevimento, che aveva pagato Cas, Dean ballò con Jessica. Lei era incinta, mentre le sue gambe erano delle dimensioni di trochi d’albero, e si muovevano lentamente e goffamente per tutta la pista da ballo. Quando si fermarono, lei lo avvolse stretto in un abbraccio e disse, «Mi prenderò cura di lui.»

Dean non ne aveva mai dubitato.

 
 
GIORNO 994
 
Dean vide la sua ultima alba mentre i paramedici lo trasportavano nell’ambulanza.

 
GIORNO 998
 
Da Ellen: io e Jo saremo lì domani 7:53 p.m.

Da Jo: se muori prima del mio arrivo non ti perdonerò mai 8:27 p.m.


 
GIORNO 999
 
Dean si svegliò con il lento e costante battito del suo cuore sul monitor. Sembrava un conto alla rovescia. E forse lo era. Sam era seduto al suo capezzale, dove era rimasto negli ultimi tre giorni, leggendo I Fratelli Karamazov per la cinquantesima volta.

«Ehi,» disse Dean. La sua voce era rauca e graffiante. «Per quanto tempo sono stato fuori uso?»

Sam mise il segnalibro e lo chiuse. Lo poggiò sul tavolino da ospedale attaccato al letto di Dean. «Diciotto ore,» disse Sam. «Ti hanno dovuto intubare. Ecco perché la tua voce suona strana.»

Gli ritornarono alla mente diversi frammenti – un suono frenetico dal cuore sul monitor, qualcuno che gridava “Codice blu” (credeva lo dicessero solo nei film), il volto pieno di panico di Sam. Non aveva mai visto Sam così spaventato prima d’ora, e Sam non aveva dormito per settantadue ore dopo aver visto L’Esorcista.

«Come ti senti adesso?» chiese Sam.

«Come morto.»

Le risate che vennero fuori sostituivano le lacrime, Dean lo sapeva. La sua battuta era stupida e inadeguata, ma valeva la pena vedere Sam sorridere. E questo lo era. L’ultimo ricordo di Sam. Lui sapeva che Sam sapeva che non l’avrebbe mai più visto fuori da quell’ospedale, e lui sapeva che Sam sapeva cosa voleva dire in realtà, quando gli chiese, «allora, i Royals, ce la faranno ai playoff quest’anno?»

Sam scosse la testa. I Royals erano un tasto dolente per i Winchester, dopo che avevano perso l’ultima World Series. Dean aveva il sospetto che Sam avesse pianto sulla spalla di Jess quella volta. Jess, ovviamente, aveva fatto baldoria alla tavola calda in onore della vittoria dei Giant, e Dean ricordò la confusione sul viso di Cas mentre Jess provava a spiegargli la superiorità della squadra della costa occidentale. Era uno dei suoi ricordi preferiti, uno che aveva aggiunto nella sua lista mentale delle cose che l’avevano sorpreso: #24 Jess che poteva nominare il vincitore di ogni World Series dal 1970.

«Ti ricordi la figurina di Nolan Ryan del 1978 che papà ti regalò per il tuo ottavo compleanno?»

Dean la ricordava.

«Amavi quella figurina,» disse Sam, con voce malinconica. «La tenevi sotto chiave, non me la facevi mai toccare, anche se valeva a malapena 25$.»

Dean aveva davvero amato quella figurina, e quando aveva tredici anni aveva fatto di tutto per convincere il tipo del banco dei pegni che valesse 28$, e non 25$, il che era appena sufficiente per comprare a Sam il suo guanto da baseball preferito per Natale.

«Scrivesti male Babbo Natale.» disse Sam.

L’ortografia era sempre stato il punto debole di Dean.

«Ho ancora quel guanto.» disse Sam. «L’ho tenuto. Ho sempre pensato che mi portasse fortuna perché me l’hai regalato tu.»

«Avevi bisogno di tutta la fortuna del mondo.» lo schernì Dean. «Eri un esterno sinistro di merda.»

«Lo so.»

Forse nessuno dei due Winchester era in grado di dire “grazie” in quelle parole, ma Dean conosceva Sam abbastanza da sapere che suo fratello gli stava dicendo: grazie per esserci stato quando papà non c’era.

Jess a volte diceva a Dean che invidiava la capacità che aveva di comunicare con suo marito – porca puttana, Sammy era un uomo sposato – senza parlare. “Cazzo è come vedere gli X-man”, avrebbe detto lei, “tipo, davvero, qualche volta usate le parole come noi comuni mortali.” Jess non si sarebbe più dovuta preoccupare di quello.

«Sam,» disse Dean. «Dov’è Jess?»

Sam sorrise, ed era il sorriso più triste che Dean avesse mai visto. «Sta per partorire.» disse.

Era più che ovvio. Era proprio da Jess partorire un bambino mentre lui stava per morire. «Passami il tuo telefono,» disse Dean.

«Non dovresti usare il cellulare in ospedale.» protestò Sam.

«Va tutto bene. Vado a letto col dottore.»

Sam gli consegnò il telefono senza protestare ulteriormente.

A Jo: scusa, ragazzina -D 2:48 p.m.

A Ellen: grazie -D 2:48 p.m.

A Jess: la tavola calda è di tua proprietà. Ho depositato tutta la documentazione. Sarà meglio che tu dia al bambino il mio nome 2:49 p.m.

«Vai.» disse a Sam. «Lei ha bisogno di te.»

«Anche tu.»

Sempre.

«Sam, ti prometto che nella prossima vita potrai farmi da mammina tutte le volte che vorrai.»

Ed ecco la Faccia da Stronzo, un’ultima volta.

«Ma in questo momento,» continuò Dean, «Hai una moglie che ha bisogno di te e anche un bambino tra poco. Non osare mancare. Non osare.» Non c’era bisogno che aggiungesse, “Non osare diventare come papà”.

Sam allungò la mano e strinse quella di Dean. «Tornerò e tu potrai conoscere il tuo nipotino o la tua nipotina.»

«Aspetterò qui.»

Entrambi sapevano fosse una bugia. Sam esitò quando raggiunse la porta, la sua lealtà era divisa tra suo fratello e suo moglie. «Vai,» ripetè Dean.

Il monitor cardiaco continuò col suo beep. Dean era solo. Sam era con Jess. Jess stava per avere un bambino. Ellen e Jo erano sull’aereo, partite dal Nebraska. E Cas? Cas era tornato a casa a dormire un po’, aveva detto Sam. Aveva ancora il telefono di Sam. Poteva chiamare Cas, per farlo arrivare prima, per passare un po’ più di tempo con lui. Qualche minuto in più? Qualche secondo in più?

Non voleva che i suoi minuti con Cas avessero come sottofondo i beep del monitor cardiaco. Non voleva nessun ricordo di Cas che non sorrideva, o che indossava un camice bianco invece che il trench beige, o di Cas che gli diceva addio. Non sapeva se Cas avesse pianto alla fine; non sapeva se avesse avuto un po’ di fiato per dirgli addio.

In che modo doveva morire? Non esisteva nessuna guida su questo, nessun tutorial su Youtube. Doveva essere da solo? Avrebbe dovuto trovare delle stronzate da dire sul letto di morte? Come doveva lasciare Sam e Jess e Cas? Come poteva andarsene senza combattere ancora, senza combattere un po’ più duramente?

Come cazzo fa una persona a morire, comunque?

La camera d’ospedale aveva un’orribile color crema di burro. Sembrava una vecchia meringa. Poteva quasi piangere di fronte alla cazzo di ironia del fatto che stava per morire in una camera che somigliava proprio al dolce che gli piaceva di meno.

Quando Cas entrò pochi minuti dopo, Dean ricordò la prima volta che l’aveva visto, quando aveva pensato che il Dr. Novak somigliasse solo ad un altro cazzone in camice bianco. Come si era sbagliato, cazzo si era assolutamente sbagliato su di lui.

Cas infranse circa dieci regolamenti dell’ospedale quando salì sul piccolo letto e si rannicchiò accanto a Dean. Faceva male, faceva così male avere Cas premuto addosso, cazzo, ma non si dovrebbe morire comodi, almeno? Tra l’altro, stava per morire e rivolse un silenzioso “vaffanculo” all’interior designer dell’ospedale, anche se sarebbe morto guardando il volto di Castiel invece che delle putride pareti colorate.

«Hai paura?» gli chiese Cas.

«No.» Non più. Probabilmente avrebbe dovuto averne, ma invece era contento di essere con Cas. Era fottutamente egoista a volere Cas al suo fianco fino alla fine, ma, ehi, almeno non se ne sarebbe pentito il mattino successivo.

«M… mi mancherai.» il tremore della voce di Cas fece eco nel monitor cardiaco.

Cazzo, era quello, vero? Con Sam non aveva avuto bisogno di parole. Ma Cas? Cas meritava un addio e molto altro ancora. Cas si meritava una vita di felicità e di cuccioli e di unicorni color arcobaleno. «La prossima volta che ci vedremo,» gli disse Dean, «avremo molto più tempo. Te lo prometto. Molto altro ancora. Anche se dovrò prendere a calci in culo San Pietro per farlo succedere.»

Cas strinse ancora di più le braccia attorno a Dean, come se potesse tenerlo con sé più a lungo. «Sarai un pessimo ospite celeste lassù.»

Dean sorrise, e sapeva che era l’ultima volta. «Beh, non sono le ali a rendere tale un angelo.» Mise la mano di Castiel sopra il suo cuore. Era arrivato il momento della confessione smielata alla Nicholas Sparks. «Non mi pento di nulla, Cas. Non rimpiango niente.» Se non fosse stato per questo stupido cuore malato, non avrebbe mai incontrato Cas.

Cas si chinò e baciò il petto di Dean, proprio accanto al punto in cui era attaccato il monito cardiaco, e disse, «Non mi pento di averti incontrato, o di averti amato, mi dispiace solo che mi mancherai. Che non vedrai crescere il figlio di Sam. Che non potrò più svegliarmi accanto a te.»

Dean ripensò al sorriso di Jess quando aveva sentito il calcio del bambino per la prima volta, e al bagliore negli occhi di Sam quando aveva detto “Lo voglio”, e alla chiesa nella quale Cas aveva passato molto tempo a dipingere. Non sapeva se ci fosse davvero qualcosa, o qualcuno, lassù, che era responsabile della sua vita, o della sua morte, ma forse Cas aveva ragione, aveva ragione nel dire che ci fosse altro in serbo per loro. «Non credo che questa sia la fine.» disse Dean. Con grande sforzo portò la mano di Castiel alle labbra e la baciò. «Se c’è una cosa in cui credo,» disse, «È che ci rivedremo di nuovo.»

Rimasero in silenzio, e l’unico suono nella stanza era il continuo beep da parte del monitor cardiaco. Il respiro di Cas era intervallato da singhiozzi lievi, e Dean lottò per mantenersi costante. Combattè, lottò per sentire le braccia di Castiel attorno al suo corpo ancora per un altro minuto. Solo uno.

Beep.

La felicità di Sam quando Dean gli diede quel guanto da baseball.

Beep.

Lo sguardo infuriato sul volto di Jo poco prima che gli desse uno schiaffo per averla baciata.

Beep.

Le lacrime di Ellen quando Dean finì la riabilitazione.

Beep.

Il modo in cui Jess guardava Sam.

Beep.

Il modo in cui Sam si illuminò quando sentì il calcio di suo figlio.

Beep.

Le mani di Cas mentre dipingeva.

Beep.

Cas.

Il monitor cardiaco fece beep. Beep. Beep.

E poi non lo fece più.
 
 



Nota della traduttrice col cuore spezzato:  Non so come ho fatto a rileggerlo per correggerlo, ma, dio, sono a pezzi. Ragazzi non piangevo così per una fanfic da T&S, porca pupetta. Vi carico questo capitolo a mezzanotte, perché sì, non vedo l'ora che voi lo leggiate, così da poter condividere il dolore con me. Ci sentiamo domani o dopodomani, per l'epilogo (capitolo 6). Un bacio.


 [1] Vi consiglio questo video dove Benigni spiega bene questa parabola
   
 
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