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Autore: Edgewig    29/05/2016    0 recensioni
PRESENTE: Samir è muto, un'ombra che appare solo quando necessario e che caccia tutti coloro che secondo lui hanno perso il diritto di essere trattati da uomini. Estremamente abile, non riesce a provare pietà, spinto dall'insaziabile e distorto desiderio di rettitudine che guida le sue mosse, lungo un cammino che lo porterà a indagare fino in fondo l'essere umano e le sue atrocità. PASSATO: Samir è un bambino di tredici anni, denutrito, ingenuo, sottomesso ai colpi di una giovane orfana quando Adam Selvig e Lianor Sitwell, due rinomate cappe nere, vanno a prelevare entrambi nella casa famiglia di Riverdook. Ciò che attende il ragazzo è un percorso tortuoso, fitto di disciplina, rigidità, una filosofia di vita che gli entrerà fin nelle ossa e lo porterà a mutare radicalmente le sue idee e capacità. Divenendo una delle più temute cappe nere in circolazione.
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO 15 – LO SFREGIATO
 
Passato
La mattina successiva alla conversazione che il giovane aveva intrattenuto con Erik si rivelò una delle più pesanti dell’anno. Complice, probabilmente, il fatto Samir non avesse praticamente chiuso occhio, tra dolore e pensieri. Dopo la classica e abbondante prima colazione, alle sei del mattino, Selvig impegnò il suo protetto con degli esercizi prettamente incentrati sull’acquisizione di un buon equilibrio. Qualcosa che a Samir decisamente mancava.
«Da oggi rinforziamo quelle gambe secche. E così sarà finchè non riacquisterai completo uso delle mani.» Dispose perentorio Selvig, una volta sedutosi su uno sgabello di legno fuori le camerate dei protetti e visto Samir posizionarsi davanti a lui, in attesa di disposizioni.
«Quello…?» Samir adocchiò un secchio di legno che l’uomo aveva posto accanto allo sgabello ma la sua occhiata non piacque, come sempre.
«Niente domande.» lo interruppe immediatamente lui, sbuffando e portando una mano dentro il secchio. «Parli troppo ragazzino.» aggiunse lui con un filo di irritazione. «Solleva la gamba sinistra e resta in equilibrio. E bada…» si interruppe, soffermandosi su quell’avvertimento, in modo Samir se lo stampasse bene in mente. «Farai un giro di campo in più per ogni volta che poggerai il piede.» concluse, guardandolo seriamente e con espressione appena appena interrogativa. Samir stava per aprir bocca ma qualcosa lo fermò sul nascere, limitandolo a fargli chinare la testa in segno d’accondiscendenza. «Hai capito.» Adam quasi si  sorprese di quel muto assenso. «Alza.» lo incitò, tirando su la man destra, mentre con la sinistra estraeva dal secchio quella che sembrava a prima vista una semplice, banale pallina di cuoio. Il ragazzino sollevò la gamba sinistra, come gli era stato imposto, e cominciò subito a barcollare, non riuscendo a star bene in equilibrio. Strinse i denti, le labbra ebbero un sussulto, forse scosse dal presentimento il corpo stesse per fallire. Alla fine ebbe la meglio. Si bloccò, distribuì meglio il suo peso, allargando un po’ le braccia e respirando un po’ più lentamente, pienamente concentrato su ciò che aveva da fare. «Non piegare il ginocchio.» lo ammonì Selvig, notando come il peso del corpo stava gravando sulla gamba a tal punto da suggerirle un lieve piegamento. Samir si scosse, rapido forzò per tendere la gamba al limite delle sue possibilità, emulando una piccola statua di legno. «Continua.» annuì Adam, tenendo sotto controllo i sottili spasmi muscolari che intravedeva sotto la pelle nera del sedicenne, vestito solo con un paio di pantaloni corti e una maglia smanicata. «Fermo.» Il suo ultimo ordine, prima che il braccio sinistro si piegasse verso il retro e che, con uno scatto repentino, lanciasse la pallina di cuoio all’indirizzo di Samir, colpendolo al piede sinistro, penzoloni per aria.
«Uh!» Il ragazzo venne percorso da un tremito. La pallina si era rivelata più pesante di quanto immaginasse e il piede era stato storto abbastanza vigorosamente da fargli perdere concentrazione ed equilibrio. Tutto in un attimo. Samir poggiò a terra il piede ma senza perder tempo e senza guardare Selvig negli occhi tornò subito a sollevarlo per aria. «Uno.» sussurrò Adam, sbuffando e afferrando un’altra pallina dal secchio. Senza preoccuparsi dell’espressione del suo protetto, che tradiva una certa insofferenza innanzi quell’esercizio appena agli albori. «Due.» Affermò secco l’uomo, una volta lanciata un’altra pallina, colpito Samir al petto e vistolo poggiar i piedi e indietreggiare. La cappa nera scosse il capo ma evitò di commentare, passando meccanicamente al proseguo dell’allenamento. Colta di mano la terza pallina andò a caricare il braccio sinistro e ad effettuare una piccola finta alla volta del ragazzo. Quest’ultimo sembrò temere quella sfera, inizialmente, ma alla fine mantenne l’equilibrio, senza incepparsi, senza deludere, per una volta, chi lo stava attentamente osservando.
All’arrivo effettivo della sfera, però, venne colpito dritto in testa e nonostante i suoi sforzi non ci fu verso di rimanere rigido e impassibile. Poggiò a terra il piè mancino e chinò il busto, massaggiandosi vigorosamente il ginocchio che fino a quel momento aveva a stento retto il suo peso. «Già stanco?» chiese retoricamente e con una punta di sarcasmo Selvig, lasciando al ragazzo solo due secondi per riprendere fiato. «Sull’altra gamba. Avanti.» lo spronò, vedendolo espirare a fondo e scapicollarsi per mettersi subito nella posizione suggerita. Selvig, d’altro canto, odiava quando faceva il furbo e si prendeva un po’ di tempo prima di rispettare la sua parola. «Fermo.» sibilò, nel momento in cui afferrò due palline, e non più solo una, dal secchio. Una venne deposta nella mano destra, l’altra rimase nella sinistra, sotto lo sguardo apparentemente serio e concentrato di Samir, i cui pensieri ruotavano attorno alla paura di essere colpito nuovamente e con più forza di quanto volesse sopportare. I lanci di Selvig furono quasi simultanei: prima la pallina destra, che colpì il bersaglio dritto nell’addome, poi la pallina sinistra, che invece lo colpì alla spalla destra, rischiando fortemente di destabilizzarlo. Il giovane si ripiegò in direzione del colpo, strinse i denti, i pugni, cercando di irrigidire la schiena per rimanere in posizione ma anche stavolta fu tutto vano. Cadde a terra. «Quattro.» scosse il capo Adam, continuando a segnalare i giri in più che Samir avrebbe dovuto fare più tardi.
«Perché me lo fa fare?» scappò di bocca al ragazzo, sospirando e risollevandosi in men che non si dicesse, per rimettersi in posizione.
«Concentrazione, resistenza, equilibrio.» Adam gli concesse queste tre motivazioni, mostrandogli peraltro tre dita ben tese della mano destra, per sottolineare il concetto. Samir si zittì, proseguendo il proprio allenamento e cadendo tre volte su quattro, fino all’esaurimento delle palline nel secchio. «Sette.» decretò infine Adam, guardandolo fisso negli occhi, come in attesa di qualcosa. «Adesso che aspetti? Muoviti.» lo cacciò, quasi, con un cenno secco del capo, intimandogli di iniziare e vedendolo partire a ritmo blando davanti a sé.
«Uhm.» all’improvviso si sentì un sottile crack. «Cosa ne pensi?» La voce di Digget sbucò fuori dal nulla e l’assiduo mangiatore di noci del campo andò a posizionarsi accanto a Selvig, rimanendo in piedi.
«Osservi senza mostrarti.» affermò Adam, guardandolo con la coda dell’occhio e non rispondendo al quesito postogli.
«Non mi va di infastidire il ragazzo. Sembra alquanto teso, deve concentrarsi.» Affermò in sua difesa Digget, schiacciando una noce e guardando nella mano destra il risultato dell’opera, tra guscio, gheriglio e frutto. «Cosa pensi, dunque?» sottolineò l’uomo, poco più grande di Adam.
«Progredisce.» esordì lui, portando lo sguardo verso il suolo e raccogliendo da questo una pallina di cuoio. Serrò la presa intorno ad essa, sentendo chiaramente la sabbia all’interno fremere e sparpagliarsi. «Sarà pronto.»
«Spada?» chiese Digget, mettendosi in bocca una noce e masticando silenziosamente.
«No.» storse le labbra Selvig. «Non voglio si abitui troppo all’arma, come Sitwell.» spiegò chiaramente. «Chi si affida eccessivamente al legno e al ferro è perduto se non se lo ritrova fra le mani. Lo imparerà.»
«Sitwell è bravo in tante altre cose.» cercò di difenderlo l’altro, sorridendo appena e massaggiandosi la barba corta e scura con un dito.
«Si. A rubare denaro e andare a donne. Togligli la spada, osservalo agire come una bambina di tre anni.» concluse seriamente. Osservò il ragazzo portare a compimento un giro di campo, lanciando verso questi una pallina di cuoio, mirando alla sua testa. Samir se ne accorse in tempo, aveva visto Selvig raccogliere la palla e di suo si era preparato.  Tant’è che si limitò a reclinare rapidamente busto e capo per schivare quel proiettile.
«Uh. Non male no?» domandò Digget, ingoiando la noce e sorridendo appena, alla volta di Adam.
«Pecca di convinzione.» chiuse gli occhi la cappa nera, afferrando un’altra pallina dal suolo. «E’ un limite.» ammise infine, schioccando la lingua tra le labbra.
«Potresti dargli un po’ di fiducia. Parla con lui.» sollevò le spalle Digget, smuovendo la mascella per via di un fastidio, forse qualcosa tra i denti.
«No.» s’impose seccato Adam, perdendo quell’aria apparentemente più tranquilla che Digget sembrava avergli portato accanto. «Niente moine o dolcezze. Nessuno si azzardi.» lo minacciò, quasi.
«Talvolta affetto e amicizia fortificano un uomo Selvig.» Volle replicare Digget, assumendo un’espressione un po’ canzonatoria nei riguardi dell’altro. «Non puoi negarlo.» concluse, smuovendo il capo, come volesse mettergli davanti qualcosa di palese.
«Non fanno che distruggerlo.» ribattè fermamente l’interlocutore, voltando il capo verso l’altro. Quest’ultimo lo guardava come se in qualche modo provasse pena per lui. «Dimmi.» cominciò tranquillo. «Una moglie astiosa, un figlio ignaro delle sue origini, eppure ti precipiteresti da loro se qualche scutigera minacciasse la loro incolumità. Dimmi che non è vero.» lo sfidò, quasi, vedendo l’espressione di Digget farsi un po’ più cupa, triste. Smise perfino di mangiare le sue noci. «Parla.» lo spronò di nuovo, finendo poi per sbuffare e tornare alla sua costante e muta osservazione di Samir.
«Non posso farlo.» mantenne la calma l’altro.
«Le delicatezze. Sono sicuro ti abbiano dato molte soddisfazioni.» si crucciò un po’ Selvig. «Ma sono cose che chi è là fuori…» indicò la città, oltre il muro di cinta. «può permettersi. A partire dal neonato ancora attaccato alla tetta della madre fino al moribondo circondato dai suoi figli sul letto di morte.»
«Forse dovresti lasciar scegliere lui. In questo caso…» rispose quieto Digget, storcendo lo sguardo per indicargli Samir correre per il campo.
«No.» serrò la mascella Selvig, sospirando e seguendo lo sguardo dell’altro uomo, per incrociare la traiettoria del ragazzino, ormai prossimo a completare il secondo giro. «No.» continuò a ringhiare, mordendosi le labbra e tornando sullo sfregiato.
«Quando lo guardi…» riprese a parlare l’altro, indicando Samir con il mento e schiacciando un’altra noce, una volta ficcatosi i gusci già rotti in un’apposita sacca di cuoio penzolante dalla sua cinta. «ripensi a quel ragazzino di dieci anni fa, nevvero?» Digget vede l’altro crucciarsi e guardarlo un po’ storto.
«Perché dovrei perdere il mio tempo a ricordare uno sciocco bastardo?» s’innervosì istantaneamente Selvig, scorticando il terreno battuto con il tacco del suo stivale.
«Era solo un’impressione.» sollevò le spalle l’uomo lì accanto, massaggiandosi la barba scura e incolta con la mano libera e sorridendo appena ad Adam, come per far cadere lì il discorso.
«Parla.» sbuffò in tutta risposta la seconda cappa nera, espirando rumorosamente, come un toro, e guardando il suo protetto all’opera lì intorno.
«Anche quello era un orfano. Si chiamava…» Digget ci riflettè, portando gli occhi in cielo. «Si chiamava…» continuò, non notando la gamba di Selvig cominciare a tremare ritmicamente. «Non mi ricordo.» scosse il capo, tornando sui suoi passi. «Era un orfano anche lui, anche se un po’ più grandicello e in carne del giovanotto. Era stato Petgar a prenderlo con sé.» affermò, puntando una noce contro il sedicenne di colore.
«Arriva al punto o taci.» sbottò un po’ seccato Adam, guardandolo storto per un istante e attendendo in tutta risposta la classica, mite risposta dell’altra cappa nera.
«Va bene, non agitarti.» cercò di calmarlo Digget, proseguendo. «Hai timore che anche il giovanotto possa fare quella fine? Insomma. Quell’altro era…»
«Un idiota bastardo. Tale è l’uomo che racconta la sua e la vita dei suoi compagni a una baldracca da due soldi che è solito scoparsi nel fine settimana!» ringhiò Adam, tenendo basso il tono di voce ma oltre un certo limite il suo nervosismo. «Parole, parole, parole. Quel bastardo chiacchierone ha condannato sé stesso, due protetti, Petgar e per cosa?» chiese retoricamente.
«In fondo è stata una fatalità, le cose erano molto diverse.» scosse la testa Digget, cercando di dare all’altro una ragione  a cui aggrapparsi. Era evidente quel ricordo l’aveva scosso, come accaduto anche in passato. Nonostante il ragazzino citato non fosse un protetto di Adam questi sembrava non sopportare minimamente il danno che avevano arrecato le sue emozioni a chi stava giustamente combattendo per la causa.
«Uuh…» sbuffò Adam. «A condannarlo è stato ciò cui tanto ti senti legato.» volle sottolineare. «Sentimento. Quel bastardo ci è caduto e le sue parole hanno ucciso lui, i due marmocchi, e il suo tutore. Quanti animali avrebbe contribuito a eliminare Petgar in questi dieci anni?» concluse irato, crucciandosi visibilmente e sollevandosi dallo sgabello, facendolo quasi volar via. Una volta mosso qualche passo e raccolta una pallina da terra la lanciò con forza alla volta di Samir, nuovamente lì di fronte. Anche stavolta riuscì a schivare un proiettile che mirava dritto dritto contro la sua testa.
«Che la ragazza lavorasse per le scutigere è stata una fatalità, Selvig.» Digget provò in qualche modo a giustificare quanto era accaduto ma Adam era talmente duro che scacciava via con foga qualunque ipotesi non minasse l’intelligenza del vecchio protetto di Petgar.
«Se vuoi un fiore va a coltivare sentimenti da un’altra parte.» Detto ciò si voltò e guarò aspramente Digget «Nessuno se ne fa niente di un fiore, Digget. Nessuna fatalità, solo conseguenze.» finì.
«Uhm…» Digget storse un po’ il muso, non concorde, ma preferì cambiare argomento piuttosto che avere un battibecco col coeataneo, noto per la sua rigidità, il suo non cambiare mai idea. «Comunque…» disse, come per introdurre un nuovo argomento. «Lasciandoci questo alle spalle…»
«C’è dell’altro?» domandò con una punta di sarcasmo Adam, il cui tono rimarcava una certa insofferenza.
«In effetti si.» si fece leggermente più serio Digget, schiarendosi la gola e mettendo via le sue noci, direttamente nella sacca di cuoio. Si massaggiò la barba, inspirò e prese dai suoi abiti un foglio più volte ripiegato.
«Parla.» lo invitò rudemente Selvig, riprendendo posto sullo sgabello, con la gamba che continuava ad agitarsi, frenetica e incontrollabile.
«Un lavoro. Ho da chiederti se sei disposto a seguirmi.» annunciò, allungandogli il foglio e osservando l’altro girarsi, con più di un velo di perplessità nello sguardo. «Non te lo chiederei se non lo ritenessi necessario, lo sai.» ammise sincero Digget, perdendo in quell’istante un po’ della sua tranquillità. I due si guardarono per qualche secondo, prima che Adam si decidesse a prendere per mano quel documento e a spiegarlo, per metterselo sotto il naso.
«Uh…» Le labbra si irrigidirono, un sottile fischio sbucò da esse e le palpebre si fessurizzarono appena, come qualcosa di quanto letto non lo convincesse.
«La bambina è stata rapita, chiedono un riscatto.» Spiegò Digget, indicando il foglio con la mano a cui mancavano due dita. «Hanno segnato data e luogo ove i genitori devono farsi trovare per lo scambio. Chiedono cinquecento corone d’argento, sull’unghia.»
«So leggere.» lo interruppe serio Adam, girando leggermente il capo verso l’altro ma mantenendo gli occhi fissi sullo scritto. Digget sollevò un po’ gli occhi al cielo. Rispettava Selvig, era legato a lui da una strana amicizia, un cameratismo profondo, ma l’interlocutore non era tipo da palesare certe cose. Né in pubblico né in privato. «Parlami della famiglia.» sussurrò, tirando su lo sguardo solo quando il suo udito iniziò a cogliere il ritmo cadenzato di Samir. Era sudato, stanco, ma stava reggendo stranamente bene quella mattina.
«E’ di Riverdook. Il padre è un falegname, la madre si occupa della casa. Sotto lo stesso tetto c’è anche uno zio, fratello della madre, ma non contribuisce granchè in nessun settore. E’ monco, non ha le gambe.» illustrò Digget, sospirando a fondo.
«Economia?» La domanda di Adam suonò secca, rapida come una freccia, palesando con lucida chiarezza la sua volontà di delineare un quadro preciso e dettagliato della situazione.
«Il signor Renor guadagna soldi bastanti per la zuppa di fagioli quotidiana, e solo per quella.» specificò. «La loro casa è umile, non hanno altri parenti, né amici benestanti che possano aiutarli. Mi sono informato e non hanno mentito.» affermò con sicurezza lo sfregiato.
«Nessun benefattore?» Adam voleva sincerarsene, era chiaro.
«Nessuno. Non hanno possibilità di pagare quelle corone, né sull’unghia né in altro modo. Un falegname, se va bene, riesce a tirarne su due, forse tre al giorno.» confermò un po’ rammaricato Digget, riprendendo per mano il suo documento, una volta visto Selvig deciso a restituirglielo. «Non chiedi un riscatto simile a chi sai non ha i mezzi per pagarlo.» «Tre vie.» sussurrò Adam, quasi tra sé e sé.
«I sequestratori sono degli idioti...» continuò lo sfregiato, indicando Adam con una mano, come volesse astrattamente porgergli su un piatto una delle tre alternative.
«Ignari della situazione familiare della vittima. Difficile, ma nocivo è escludere qualcosa.» proseguì molto seriamente Selvig, ricominciando a far tremare la gamba destra, forse un po’ innervosito da quel pensiero.
«O i suddetti hanno agito allo scopo di…» l’altro storse le labbra, come vedesse tale come un’ipotesi poco chiara. «colpire la famiglia, minacciarla, intimidirla magari.»
«Probabile.» intervenne secco Adam, i cui occhi vennero rapidamente attratti dal passaggio un po’ più lento e stanco di Samir. Quest’ultimo stava impegnandosi molto, non aveva ancora la lingua tra i denti, si era tolto la maglia per non sudare eccessivamente sotto un sole che lentamente s’alzava nel cielo. «Riverdook. Di che quartiere stiamo parlando?» domandò Selvig, senza guardare l’altra cappa nera.
«Sud.» Ammise Digget, con un tono che scemava pian piano, come stesse capendo dove Adam poteva andare a parare. «Pensi a un tributo mancato, nevvero?» i suoi occhi si fecero un po’ più seri, come se quel quadro davanti ai loro occhi stesse prendendo una forma più plausibile.
«Sud. Zona brulicante di bastardi in cerca di tributi. Questo falegname si è rifiutato di pagare. Causa ed effetto.» scosse un po’ il capo, guardando poi Digget, come per chiedergli silenziosamente di mutare la sua espressione, così da far capire lui se d’accordo o meno con quella ipotesi.
«Se è così l’ha omesso, durante il nostro incontro.» si morse la lingua Digget.
«Lo osservano. Ha paura.» Adam sembrava estremamente convinto della sua ipotesi, come avesse già vissuto simili momenti in passato.
«Ho raggiunto la famiglia durante la notte, le luci sono rimaste spente. Nessuno oltre loro ha notato la mia presenza. Sono certo.» Digget rassicurò molto Adam a riguardo, anche se in fondo non ce n’era bisogno.
«Anch’io.» Selvig lo guardò un po’ storto, come volesse sottintendere sapeva bene come lavorava l’altro e quante precauzioni prendesse sul campo. Non c’era bisogno di ricordarglielo. «In ogni caso non farti rivedere.» si fermò un istante, tornò a guardare il terreno e da quest’ultimo raccolse una pallina. La osservò, se la rigiro tra le dita, prima di stringerla tanto da forarla con le unghia e far uscire a minuscole dosi la sabbia all’interno. «La terza via.» disse sottovoce, ricordando allo sfregiato ci fosse un’altra alternativa.
«Un’esca.» sospirò Digget, passandosi una mano tra i corti capelli neri, canuti intorno alle orecchie. «Una trappola delle scutigere. Per noi.»
«Quegli animali sono sempre più frequenti. Non mi sorprenderebbe.» s’innervosì Adam, facendo tremare anche lo sgabello su cui era seduto. Digget allungò appena la mano verso di lui, mostrandogliela, come incitandolo istintivamente a mantenere la calma. La ritrasse subito, sapendo quanto infastidiva l’altro.
«E’ una possibilità, si.» annuì lo sfregiato. «Ma confido nella seconda alternativa, credo tu abbia ragione.» Adam annuì silenzioso, arrestando il moto della sua gamba e sollevandosi dallo sgabello, sgranchendosi gli arti inferiori.
«Scutigere bastarde…» ripeteva di continuo la cappa nera, a denti stretti e con l’odio iniettato negli occhi.
«Non importa.» disse l’altro sottovoce, sorridendo sottilmente e avvicinandosi ad Adam. «Ci hanno già provato tre volte con me.» affermò, ponendosi di fianco all’altro e notando una sua occhiata. Digget fece vedere la mano a cui mancavano tre dita, indicò lo sfregio sul viso e infine si pose un palmo sulla fascia rossa che aveva sempre intorno al collo. «Magari è destino non ci riescano. Porterò fortuna.» sorrise, cercando di far sciogliere anche l’altro, vanamente.
«Perché questo lavoro?» domandò Selvig, espirando profondamente. «Non fa per te. Non ti darà ciò che cerchi.» volle sottolineare.
«Può darsi.» rispose con un fiato Digget, riempiendo d’aria i polmoni e sentendo il suo petto distendersi. I suoi occhi miravano il campo e quel ragazzetto scuro che proseguiva nella sua corsa instancabile.
«Parla.» lo incalzò un po’ più deciso l’interlocutore. «Quell’uomo non ha di che pagarti. Non manderai alcunché a quella moglie e quel figlio cui dedichi la tua vita.» si crucciò Selvig, dando per implicito, ancora una volta, il fatto in vent’anni non avesse mai approvato quella scelta da parte dell’altra cappa nera.
«Sono padre anch’io, come hai appena ricordato.» rispose diretto Digget, socchiudendo le palpebre e sollevando le spalle, prima di introdurre la mano mutilata all’interno della sacca di cuoio ove aveva riposto tutte le sue noci. Sgusciate e non. Cercò per qualche secondo, sotto gli occhi perplessi e un po’ inquisitori di Selvig, prima di tirar fuori due noci ancora integre. «Noce?» chiese gentilmente alla volta dell’altro, avvicinandogli la mano coi frutti.
«Rispondi e mangiatele.» sibilò semplicemente Adam, completamente disinteressato, facendo storcere ancora una volta le labbra di Digget, per certi versi divertito da certe risposte un po’ brusche dell’altro.
«Se fossi quel falegname farei quanto in mio potere per proteggere mia figlia.» ammise lo sfregiato, dopo aver chiuso con fermezza il pugno e rotto ambo le noci con un sonoro crack. «Ma le persone là fuori poco possono da sole.» sbuffò l’uomo, rimestando i gusci nella sua mano, alla ricerca del frutto da lui tanto amato.
«Sentimentale.» scosse un po’ il capo Adam, crucciandosi appena e mostrando tutta la sua disapprovazione in quella singola ruga sul naso.
«Uhuh.» rise appena Digget, cominciando a mangiare la prima noce. «Mi aiuterai?» domandò, guardandolo con complicità, sapendo a priori quale sarebbe stata la risposta.
«A cacciare quegli animali? Si.» affermò perentorio Selvig, incrociando le braccia al petto e seguendo il fare di Samir. «Ma la famiglia è affare tuo. Non voglio saperne.» concluse secco, non volendo impelagarsi in rapporti non dovuti con i Renor durante quell’incarico.
«Mi sta bene.» reclinò il capo Digget, decisamente più rilassato ora che poteva contare anche sull’aiuto dell’altra cappa nera.
«Mi sorprende Abrams abbia cercato te.» commentò questi, serrando le labbra ed emettendo un altro dei suoi flebili fischi.
«Non l’ha fatto. Ha proposto l’incarico a Lianor ma sai come ragiona.» gli spiegò Digget, a tratti divertito dalla cosa.
«Uhm. Se non c’è un guadagno quell’uomo non esiste per niente e nessuno. Là fuori sarebbe un criminale bastardo…» ebbe da dire soltanto questo Adam, espirando e sbollendo visto quanto s’era alzata la temperatura del suo corpo in quei pochi minuti.
«A ciascuno il suo.» si limitò ad affermare lo sfregiato, mangiando l’ultima noce e ponendo i gusci residui nella sua sacca. Le mani si sfregarono tra loro, pulendosi. «La data fissata per lo scambio è tra un mese. Questi giorni…»
«Basteranno.» lo interruppe Adam, senza aggiungere altro. «Mandiamo qualcuno a dare un’occhiata alla zona sud. Poi dalla famiglia. Scopriamo se la seconda alternativa è valida e se qualcuno ha chiesto un tributo al falegname.» Selvig digrignò i denti e annuì alle sue stesse parole. «Niente cappe.» sottolineò, mentre Digget tirava fuori dalla sacca un’altra noce.
«Manderò il mio protetto, Erik.» pensò subito lo sfregiato. «Sa quel che fa, puoi fidarti di lui.»
«Bene.» ribattè lesto Selvig, come volesse lasciar intendere che per quell’ora il discorso era chiuso lì.
Solo in quel momento il campo fu totalmente illuminato dal sole e cominciò a ravvivarsi. Protetti sbucarono fuori dalle camerate. I loro tutori fecero lo stesso dalla caserma al centro dell’area. Herb e Selma, insieme, fianco a fianco, si spalleggiarono nello sbeffeggiare Samir, una volta indicatolo con un dito e trovata ilare la scena che lo vedeva tanto umile e pietoso da terminare i suoi giri di campo e chinarsi su sé stesso innanzi a Selvig, alla ricerca disperata di fiato. Elsa e Lianor chiacchieravano tra loro, dirigendosi verso il centro del campo e donando al giovane dalla pelle nera solo un’occhiatina e un mezzo sorrisetto, come in qualche modo anch’essi non confidassero più di tanto nel suo futuro. Altre cappe nere lì intorno fecero altrettanto, e nonostante non volessero Selvig lo sapesse direttamente, non si limitavano ai sorrisi ma prendevano quel ragazzino di sedici anni come il loro passatempo preferito. Il piccolo centro caldo del campo su cui poter farsi una risata nei momenti di  sconforto.
Selvig inarcò appena le sopracciglia, Digget di rimando fece lo stesso innanzi quella scena, inquadrando tra gli altri una e una sola persona che al contrario sembrò non aver la minima di intenzione di prendere per i fondelli il protetto di Adam: Erik.
Questi si avvicinò lentamente, con aria tranquilla, fermandosi poco accanto a Samir e incitandolo con uno sguardo a dar a quelle critiche, perfettamente percepite dal giovane moro, il peso che gli erano dovute. Erano nemiche, lo avrebbero aiutato, e ricordando quanto Himps credesse nella sua filosofia Samir decise all’istante di affiduciarsi, tendendo le gambe e tornando saldamente in piedi. A denti stretti e occhi energici e vispi.
«Sono pronto.» Fece Erik alla volta di Digget, il quale gli lanciò contro un sorrisetto d’intesa e una delle sue solite offerte.
«E’ l’ultima.» gli disse il suo tutore, lanciandogli contro la noce che aveva in mano e vedendolo afferrarla con due sole dita, munito di perizia e agilità piuttosto sviluppate. Himps la rigirò in mano, prima di sollevarla fin sopra il suo mento e guardare la cappa nera, in segno di riconoscenza. «Volete unirvi a noi?» chiese lo sfregiato alla volta di Adam, il quale lo guardò appena, con la coda dell’occhio, manifestando flebilmente il suo dissenso.
«No.» sibilò.
   
 
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