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Autore: frown    20/06/2016    1 recensioni
Elle ha solo diciannove anni ma si divide tra amici dalle personalità estrose, serate alcoliche da sobria e una sorella maggiore petulante che non ha la minima idea di cosa siano la privacy o lo spazio personale e sembra ottenere comunque tutto ciò che lei ha sempre voluto.
In tutto questo capitano casualmente Andreas e Lysander.
Tra pensieri incoerenti di un cervello esausto, Elle capirà che ciò che ha sempre desiderato l'ha sempre avuto di fronte e, nonostante tutto e tutti, lei può ancora prenderselo quando vuole.
"Ho diciannove anni, pochi spiccioli per le sigarette, gli occhi stanchi, le labbra screpolate, qualche sogno irrealizzabile, ma non ho te"
"Non te ne rendi proprio conto? Sai quanto fanno male le tue parole? E i condizionali passati? Ma non lo senti il dolore fragile in 'Saremmo stati'?"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Cocoa butter kisses 

(5).

Someone new 

 


 



Quella mattina feci una scoperta decisamente rilevante. Gli esseri umani sono patetici. Pensai a tutte le cose che non avevo detto e fatto e lo ammisi a me stessa.
Ero un idiota, come tutto il resto della popolazione mondiale.
Abbiamo così tanta paura di dire alle persone come ci sentiamo, perché non abbiamo idea di come queste potrebbero reagire.
Non ho superato l'esame,
Penso che questa non sia solo amicizia,
Sei carino,
Ti amo,
Non puoi riprenderti quello che hai detto ed è difficile capire se poi, le cose resteranno le stesse. Così invece di correre un rischio e confessare i nostri sentimenti preferiamo sederci e tirarci indietro, prendere un respiro profondo ed aspettare che tutti i se si riuniscano nelle nostre teste e prendano un tè con con i rimorsi.
Che mi era saltato in mente quando decisi di innamorarmi di Andreas? Che senso ha innamorarsi di persone che sappiamo non avremo mai?
Con il viso ancora schiacciato contro il cuscino emettei un gemito frustrato accompagnato un gridolino esasperato.
Sentii dei rumori in corridoio con il suono dei passi cadenzati di mia sorella sulle piastrelle dell'appartamento e m’affrettai a nascondere il libro sugli artisti impressionisti che stavo consultando, chiusi poi gli occhi quasi dolorosamente, sperando di poter far finta di dormire.
Giselle ovviamente si diresse in camera nostra, dove la porta era socchiusa e accese la luce. Spinse l'uscio quanto bastava per affacciarsi e guardarmi da lì, da lontano.
“Hey” sussurrò.
Nessuna risposta.
“Elena?!” strillò quasi.
Mi schiacciai gli occhi con le dita e grugnii. “Sto dormendo”
“Con una mano che preme sugli occhi?” domandò sarcasticamente.
“Sto pretendendo di dormire, lo so che è un duro colpo, ma puoi lasciarmelo fare?”
Giselle ovviamente mi ignorò e zampettò fino al mio letto, appoggiò una tazza fumante sul mio comodino e si sedette accanto a me. Stanca del giochetto, aprii gli occhi e li puntai nei suoi, a pochi centimetri dai miei.
Lei mi rivolse un sorriso cordiale, prima di allungarsi verso il mio comodino, aprire il primo cassetto ed estrarne una boccetta di smalto.
“Che è successo ieri, Elle?” mi chiese lentamente. Non sembrava arrabbiata, ma sinceramente preoccupata.
Mi stupii e mi sentii ridicola, cattiva e meschina. Mi indispettii, era difficile avercela con una persona che si preoccupava per me e così finii per rattristarmi, oramai ero diventata titolare del mio crollare a testa bassa.
“Scusami” tentai. “Non ero... In me” e tossii.
“Come stai?” chiese allarmata. “Elena, lo sai che non puoi bere alcolici” aggiunse, iniziando a dipingersi le unghie di rosa.
Mi volsi verso di lei e la guardai stralunata. “Ci tengo molto a lui, Giselle, tutto qui” sputai il rospo facilmente.
Ero solo felice che Giselle non m’avesse sentita singhiozzare e che nella sofferenza, risultavo discreta e apprezzavo, d’un tratto, la mia ricerca dell’intimità in momenti fragili come quelli.
Mia sorella annuii assente fissando un punto sulle pareti. “Mi piace molto, non rovinerò tutto come credi tu” dichiarò con aria arcigna.
“Tu non sai tenere nulla sotto controllo” constatai, come per ricordarle che la conoscevo, io.
Lei sbuffò, accertandosi che le unghie fossero perfettamente laccate prima di rivolgersi a me.  “Andreas mi ha detto che sei... Tipo la sua migliore amica” borbottò. “E io voglio diventare la sua ragazza e non mi fermerai solo perché temi che possa rovinare tutto” insinuò.
Giselle era decisamente diversa da me, lei si buttava a capofitto in tutto, io fissavo la vita scorrere come un osservatore passivo.
La cosa che stonava tra me e Giselle era la dissonanza. Tutto, sin dal primo istante, s’è trovato fuori armonia, senza nessuna voglia di rimettersi a posto, senza sapere nemmeno trovare la sua giusta coordinata nell’itinerario delle nostre esistenze. Lei aveva una straordinaria totalizzante voglia, voglia di qualunque cosa: parole, attenzione, certezze, tenerezze, sesso e amore.
Io invece, al massimo volevo la consolazione, fuggire da situazioni soffocanti, da una vita che avevo scelto con la massima cura e risultava comunque disorganizzata e compromessa.
Mi sono ritrovata nell’abisso spaventoso dell’essere umano vuoto e fragile, pronto a farsi riempire da qualunque gesto, da una parola detta con più dolcezza, da una notte di sonno vicini.
“Lui non fa per te” dissi decidendo di tagliare la testa al toro, evitando di guardarla.
Giselle socchiuse gli occhi.
“Sai quel è la cosa più assurda?” esclamò e con un balzo fu in piedi. “Io penso esattamente il contrario, è diverso da tutti quelli che conosco e che ho frequentato e mi piace da matti” si leccò le labbra e sorrise.
“Non puoi tenere sempre tutto sotto controllo, Elena. E' come stringere fra le mani un mucchio di sabbia: qualche granello fra le dita sfugge sempre” aggiunse sorridendomi dolcemente.
Giselle rimase in attesa di una replica che non arrivò. Restava in piedi, a guardarmi come una brava sorella con la sua vestaglia di Victoria's Secret rosa shocking e con le pantofole a forma di coniglio
“Ieri, non appena sei andata via, Lysander ti ha seguita” disse soltanto, poco dopo.
Sbirciai la sua figura per un secondo, prima di rimettermi la mano sugli occhi. “Gentile” biascicai solamente.
“Solo?”
La fissai stranita.
“Solo gentile? Se avessi visto prima lui, avrei accantonato sicuramente Andreas” ammise incrociando critica e pensosa le braccia al petto.
Tirai le labbra e presi un grande respiro. “E' molto bello, se è quello che intendi” ansimai quasi, ricordando la sera precedente.
Giselle spalancò gli occhi e bocca emettendo un fischio prolungato e monocorde. “Molto bello? E' probabilmente il ragazzo più bello che abbia mai visto, è abbagliante” rispose elettrizzandosi.
“Ma a te non piaceva Andreas?” quasi l'aggredii.
Lei annuii. “Certo, ma gli occhi li ho comunque”
Emettei un verso. “Non mi va di parlare di Lysander” biascicai con la bocca ancora impastata dal sonno.
“E perchè?” gli occhi di Giselle si illuminarono. “Io parlerei di lui tutto il giorno” disse maliziosa prima di farmi l'occhiolino.
Prima che potessi lagnarmi, Giselle aveva lasciato la stanza, ma riuscivo ancora a sentirla parlare, "...I suoi occhi! E dio, le sue mani, chissà cosa sa fare con quelle sue bellissime dita affusolate! E le sue gambe, e i suoi capelli saranno morbidi da stringere?".
L'ignorai e filai in bagno, prelevai un elastico dal mio beauty case e raccolsi i miei lunghi capelli annodandoli più volte dietro la nuca in uno chignon disordinato, come se mi preparassi a una battaglia.
Guardai il mio riflesso cupo allo specchio, prima di gettarmi l'acqua fredda sul volto e pensare che tutto sommato, oggi era un altro giorno e Andreas poteva ancora accorgersi che Giselle era una demente e che io era la donna adatta per lui.
 
 
Non cercai nessuno per tutto il giorno, non mi scusai né con Andreas né con Lysander, volendo aspettare il momento giusto.
Quando entrai nel Psychoholic quella sera, ero armata.
Indossavo il miglior paio di skinny-jeans a vita alta che avessi e che secondo Lola mi facevano “un culo da paura” e una camicia corta che arrivava a coprire metà addome, era color cipria e aveva una scollatura generosa. Mi pettinai nel modo più adeguato ritenessi e quando entrai, gioii nel vedere Andreas tentare di non sobbalzare.
Camminai nella sua direzione e lo guardai fare in modo di sembrare non curante. “Hey” sibilai, prima ti togliermi il cappotto ed appoggiarlo sullo sgabello accanto al suo.
Andreas annuì, sentendo l'ansia salirgli alla gola. “Perché stai annuendo?” gli chiesi allora sorridendo.
Andreas scosse la testa, restando muto e sembrando più stupido di quello che fosse.
“Andreas, finiscila” arricciai il naso e alzai un sopracciglio. “Volevo solo scusarmi per il mio comportamento dell'altra sera”
Andreas osservò attentamente le trame della mia camicia e le mie gambe strette negli skinny jeans.
“Ero arrabbiata con Giselle, lei tende... A invadere un po' i territori altrui” spiegai gesticolando.
Andreas tossicchiò e cambiò posizione tre volte, indeciso persino su come restare in piedi e come posizionare le sue mani e le sue braccia.
“Vedendola al tuo fianco ho pensato infantilmente che ti gravitasse attorno solo per infastidirmi. Le ho parlato, le piaci molto” continuai a illustrare, ma non c'era verso.
“Andreas!” strillai. “Puoi dire qualcosa?”
Andreas sobbalzò sul posto, poi sorrise e “Sei bellissima” mugugnò timidamente prima di abbracciarmi, facendomi sorridere a mia volta.
Quando ci staccammo, mi appoggiai al bancone con i gomiti, in modo da offrirgli una buona visuale del mio fondoschiena da dieci e lode. Iniziai a battere le mani sulla superficie di legno, impaziente di mangiucchiare qualcosa.
Quando finalmente Magalì esaudì il mio desiderio, iniziai a ingozzarmi di arachidi e crostini, ignorando le olive. Le detestavo.
Andreas ne prese una e con un gesto che trovai mortalmente sensuale ne gettò una nella sua bocca rossa ed iniziò a masticarla guardandomi intensamente negli occhi, come se volesse provocarmi. Cosa avesse nel cervello quel ragazzo rimarrà per sempre un mistero.
L'arrivo di Lola e Connor spezzò il momento e l'aria tesa che era andata a crearsi.
Lola era imbottigliata in un vestito che sembrava esser fatto di carta pesta, di un verde traslucido, ma era comunque bellissima.
La salutai affettuosamente mentre lei mi abbracciava gioiosa, mi lanciò un'occhiata eloquente, dopo aver notato i miei jeans e la presenza non casuale di Andreas.
Connor invece indossava dei jeans chiari, abbinati a una camicia color panna arrotolata sui gomiti, un gilet scuro e un papillon rosso a pois bianchi. Gli schioccai un bacio rumoroso sulla guancia e gli chiesi di Rhett. “Gli uomini sono dei coglioni” si limitò a spiegare, facendo ridacchiare Lola e Andreas.
Iniziammo allegramente a bere, o almeno, loro bevevano birra ordinando caraffe in modo tale da potersi servire da soli. Io sorridevo al mio frullato ai frutti di bosco sentendo i racconti strampalati sul dentista di Lola che secondo Connor si era preso una cotta per lui.
Ogni volta che la caraffa di birra si esauriva, Lola provvedeva immediatamente a ordinarne una successiva.
Così come facevo io con i salatini e le pizzette.
Ogni tanto Magalì sorridendomi come una gatta mi portava delle patatine fritte che vietava ad Andreas a mangiare.
Lysander arrivò quando Lola mi sfidò ad infilare sette mini hot-dog in bocca. Camminava verso di noi con una mano tra i capelli, infilato in un paio di jeans che sembravano gridare “toglici” e un giubbotto blu scuro.
“Lysander!” strillò Lola sopraeccitata e già ubriaca. “Sei bello come il sole” lo informò facendolo ridacchiare.
“Buonasera Lola” la salutò lui. “Quanto hai bevuto?”
“Molto!” urlò come una matta. “Ma che sei bello lo penso anche da sobria, davvero. Ti posso dedicare un poesia? Io ti vorrei davvero scop-”
Cercai di tapparle la bocca lanciandomi su di lei prima che potesse dire altre stupidaggini di cui il mattino dopo si sarebbe pentita.
Mi ritrovai semi coricata sul suo sofà giallo ocra con il fondoschiena per aria a cercare di calmarla mentre lei sotto di me si dimenava ridendo.
“Dai, Elle” mi spronò a parlare tra i risolini. “Non lo scriveresti anche tu un poema sulle sue gambe? Sulla sua faccia? Sul suo cul-”
“Lola!” strillai, mentre i ragazzi accanto a noi ridevano allegramente.
“Bel culo, Elena” si complimentò Connor con un fischio facendomi arrossire.
Poi si girò verso Lysander che nel frattempo si era seduto accanto al mio sofà e gli sorride sardonico. “Per carità, a me piace moltissimo anche il tuo culo” gli fece sapere.
Lysander annuì come se gli avesse chiesto cosa ne pensasse della situazione drammatica del medio-oriente. “Grazie, Connor” disse semplicemente prima di aggrottare la fronte. “Ma io preferisco il suo” e mi indicò.
Per un secondo finii in un universo parallelo, in un film mentale a luci rosse che iniziava dalla mano di Lysander; la sua bella mano, sul mio sedere.
Andreas iniziò a tossire come un tossico-dipendente e questo mi riscosse dai miei viaggi mentali vietati ai minori, quando mi rialzai da Lola che continuava ad intonare “sei bellissimo!”, vidi Andreas ancora rosso come una tredicenne che incontra per la prima volta il suo idolo Justin Bieber.
Quando mezz'ora dopo Lysander disse di voler uscire per fumarsi una sigaretta, decisi di seguirlo per scusarmi una volta per tutte.
Appena fui fuori dal locale, lo trovai nell'intento di accendersi una sigaretta. Quando alzò gli occhi verso di me, trovai il suo sguardo di natura quasi felina.
Sotto ai lampioni glielo dissi. “Sembri un gatto” constatai, prima di rettificare. “Eri un gatto in una vita precedente?”
“Forse” rispose e fece finta di considerare l'ipotesi. “Ho sempre pensato che sarei stato molto bravo a nascondermi sotto ai mobili e a defecare in una scatola”
Espirai e dopo aver esibito una smorfia disgustata gli mostrai l'ombra di un sorriso.
“Sii serio” replicai quindi, stringendomi le braccia al petto.
“Meow” miagolò e non potei fare a meno di scoppiare a ridere, sorrise anche lui. Ma quando ci zittimmo fu difficile prendere la parola
e scusarmi, ma lo feci comunque.
“Non devi scusarti, capita” provò a tranquillizzarmi.
“Non cercare di farmi sentire meglio, mi sono comportata come una stupida” sbottai aggrottando la fronte. “Spero di non aver detto nulla di sconveniente”
Lysander allora rise. “Sconveniente? Mi hai parlato del perché secondo te Hegel è un ciarlatano e delle teorie di Schopenhauer” spiegò facendomi arrossire come una bambina.
“Poi mi hai parlato della tua bambola che Giselle da bambina ti ha distrutto e mi hai mostrato una foto, che tieni nel portafoglio, dove la stringi sorridendo con un paio di denti in meno del lecito” continuò. “Hai definito Orwell un genio e hai elencato i motivi per cui dovremmo tutti mangiare più legumi, poi mi hai parlato di Victor Hugo e descritto la trama de I Miserabili in francese, poi sempre in francese mi hai descritto un paio di ricette di dolci” quando terminò avrei voluto sotterrarmi.
“Perché a un tratto Lola sembra meno imbarazzante?” tentai di sdrammatizzare, ma lui mi gettò uno sguardo scuro che mi impedì di sorridere. Si era fatto improvvisamente serio.
“Perché sei qui, Elena?”
Non mi feci intimorire. “Perché diciannove anni fa, uno degli spermatozoi di mio padre fu più fortunato degli altri fratelli?”
Lysander sorrise. “Rientra dentro, Elena. Sei senza cappotto”
Annuii d'accordo e mentre spingevo la porta mi accorsi che lui non mi stava seguendo. “E tu? Non rientri?”
Lysander scosse la testa. “Rhett e un altro amico mi hanno chiesto di raggiungerli” mi informò. "Questa luce ti dona" osservò poi, indicandomi con lo sguardo il lampione sotto cui eravamo. 
Gli sorrisi entusiasta e scherzosamente imitai una posa Vogue che gli fece scappare una risatina. "Sono una top model in incognito per conto di Tyra Banks, il programma andrà in onda su Fox a Maggio" scherzai guadagnandomi una spintarella allegra da parte sua.
"Sei completamente fuori, Elena Jordan" commentò la mia posa d'altamoda con una smorfia scettica e una sigaretta sgualcita tra i denti.
“Buonanotte, allora” gli augurai atona. La bolla d'allegria sembrò spezzarsi. 
“Buonanotte, Elena” mi restituì l’augurio senza sorridere o esibire un’espressione particolare.
Mentre spingevo la porta, mi ricordai di chiedergli una cosa. “E se ti cerco?” domandai.
Lui mi guardò con stupore e mi sorrise con dolcezza. “E se mi cerchi sono nei guai” replicò strappandomi una risata.
   
 
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