Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Himenoshirotsuki    08/07/2016    3 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Slayers
Act.3 - Choice

 
Fino a un paio di giorni prima, Frejie era convinta che le uniche cose che servissero a una maga fossero due: un cervello acuto e un bell'aspetto. Il primo è indispensabile, perché, come sempre aveva spiegato alle sue allieve, un incantatore deve essere in grado di assimilare e apprendere tutti gli incantesimi, oltre che inventarne di nuovi, a partire da quelli più semplici come accendere una candela o leggere le rune magiche, per arrivare a quelli più complessi, capaci di rendere eroi o tiranni. I maghi più potenti che erano passati alla storia avevano imparato tutti i simboli e i suoni di ogni formula, parola per parola. Nenie antiche, così intricate da risultare incomprensibili ai più, così pericolose che un solo errore avrebbe portato a una catastrofe. Frejie aveva imparato a sue spese quanto fosse importante avere un cervello fino, soprattutto in quelle situazioni. Invece, per quel che riguarda il bell'aspetto, beh, chiunque, dal pescivendolo fino ai grandi sovrani, poteva affermare la sua utilità, ma una maga, soprattutto se donna, ne conosceva fin troppo bene le implicazioni: per poter accedere alle alte cariche, quali consigliere e ambasciatore, una donna doveva essere bella, colta, educata e affascinante. Non era importante se eri un’ottima maga, se eri stata l’allieva di una delle migliori incantatrici e se la persona più potente di New England era una regina e non un re. In quanto donna dovevi essere perfetta, impeccabile e, soprattutto, di bella presenza.
- È inutile che ti sdegni, Velia, non serve a nulla. - soleva dirle la sua maestra quando la sentiva lamentarsi, - Il mondo attuale è governato dagli uomini e dai loro pregiudizi. A noi non rimane che fingere di abbassare la testa, conformarci alle loro regole e sfruttare la loro scarsa capacità di pensare. Ricorda, mia cara: sono pochi quelli che hanno abbastanza sangue per far funzionare contemporaneamente il cervello e il pene. -
Per tutto del suo apprendistato, fino a quando non era entrata nella Dogma, Frejie non aveva fatto altro che incontrare uomini che, per la sua maestra, rappresentavano lo stereotipo del genere maschile: nobili, maghi, politici che traevano divertimento dal cambiare le carte in tavola a proprio piacimento. Questi, però, non erano riusciti a resistere alle sue occhiate languide, al suo modo di accavallare le gambe e di parlare, fingendo di farli sentire importanti.
All’età di diciotto anni, Frejie era stata l’amante di due ambasciatori, e persino della consigliera del conte D’Arden. Per un po’ le era anche andato bene, la riempivano di regali e seguiva attentamente tutte le loro direttive, ma poi avevano cominciato a fare pressioni perché la loro relazione evolvesse in qualcosa di più e lei se n’era dovuta andare.
Grazie ai soldi che aveva guadagnato e alla fama di grande maga che la precedeva, non appena era tornata a casa il padre non aveva potuto opporsi quando aveva invocato il suo diritto a ricevere il maniero di famiglia. Il parente più prossimo, un suo lontano cugino, aveva troppa paura per mettersi contro di lei, una donna forte e fiera che lo squadrava dall’alto in basso con superiorità. Così, alla fine, suo padre aveva dovuto mettere lei come erede diretta nel testamento e, quando si era ritirato a vita privata nella sua villa nella contea del Kyonin, Frejie era diventata la padrona indiscussa di casa Barazethai. A quel punto aveva ottenuto tutto: fama, indipendenza, ma soprattutto bellezza e potere. Le prime erano solo la diretta conseguenza delle seconde, le fiamme che divampavano dalle sue mani quando intonava quelle cantilene di suoni dimenticati.
Ovviamente valeva anche l’opposto: una donna senza un bel viso, senza un sorriso smagliante, un abito elegante e dei bei modi non aveva nulla, se non il rancore verso madre natura per non averla resa idonea a quel mondo. Se, invece, fosse nata possedendo niente eccetto il potere, la situazione sarebbe stata diversa. Ma questo non era il caso di Frejie, per fortuna. 
La maga sospirò, si sollevò appena sulle staffe e si guardò intorno. Giù in basso, ai piedi dell’altura, si snodava un fiume quasi completamente ghiacciato. Al di là di questo, sulla sponda opposta, si estendeva una macchia verde che copriva appena le luci incerte di una cittadina.
Angelika le si affiancò: - Quanto lontano? -
- Poco. Forse ancora un paio d’ore. -
- Fai anche quattro. - la corresse una voce maschile.
Kiol uscì inaspettatamente dalla boscaglia, con foglie e rametti impigliati nei capelli scuri, che gli ricadevano scomposti sulle spalle.
Al contrario della sua allieva, Frejie non si stupì: ormai, riusciva quasi a percepire la sua presenza quando si avvicinava.
- Ne sei sicuro? -
Il cacciatore alzò un sopracciglio e ghignò: - Dubiti di me, makuta? -
- Chiedevo solo per avere conferma. -
Un sorriso sghembo gli arricciò le labbra. Aveva due occhiaie profonde, come se non dormisse da giorni. Eppure, nonostante i segni della stanchezza, la donna lo trovava a suo modo affascinante.
- Faccio strada io. - si offrì Kiol.
Frejie assentì e attese qualche secondo, prima di ordinare con un colpo di reni al cavallo di procedere.
Erano in fuga da sette giorni. L’ombra che li seguiva, quella che aveva tentato di ucciderla sul ponte, stava loro alle calcagna e, anche se non riuscivano né a vederla né a sentirla, sapevano che, se si fossero fermati, li avrebbe raggiunti. Per questo avevano cavalcato giorno e notte per mettere quante più leghe possibili tra loro e quella presenza silenziosa, invisibile, letale. L'avevano percepita quando avevano raggiunto la contea di Vendev, quando si erano accampati al limitare della città di Werlam e quando, il giorno prima, all’alba, avevano guadato il Verdun, il fiume che segnava il confine con la contea di Midwinter. Era sempre alle loro spalle, nascosta nelle tenebre che precedevano il sorgere del sole e ne annunciavano la dipartita.
Frejie non aveva idea di chi potesse essere, ma sapeva fin troppo bene chi fosse il mandante. D’altronde, aveva lavorato alla Dogma per molto tempo, abbastanza da riconoscere il modus operandi dei suoi assassini, Slayer a cui erano state impiantate le carni di creature della notte, che riuscivano a compiere i più efferati omicidi senza lasciare traccia. Era anche per tale ragione che avevano abbandonato la strada a favore boschi. C’era il rischio di imbattersi in qualche mostro, ma la maga preferiva correrlo piuttosto che finire tra le mani degli Slayer, senza la possibilità di poter usare i suoi incantesimi.
“E poi il materiale di cui era fatto quel proiettile…”
Si massaggiò la radice del naso e sospirò, ripensando alle catene di meteryllium che imprigionavano i Makua impazziti, l’odore della carne bruciata che appestava l’aria quando stringevano loro gli anelli ai polsi.
La prima volta che aveva assistito all'“epurazione”, così gli alchimisti della Dogma chiamavano l’eliminazione dei cacciatori che avevano perso il senno, era rimasta sbalordita nel vedere i poteri magici di quegli Slayer completamente soppressi, soffocati da quella lega così simile al lynium. Non si stupiva che la Dogma avesse deciso di utilizzarla per costruire armi.
Se, però, il mandante le era noto, il motivo della caccia ancora le sfuggiva. Era stata attenta quando indagava, discreta come mai nella sua vita e dubitava che fosse dovuta solo a quello.
Si morse le labbra e girò appena il capo, occhieggiando il viso imbronciato di Angelika.
“Non possono volere lei, non ne hanno motivo, a meno che…”
Scosse la testa e tornò a guardare davanti a sé. Duneval era l’unico ad averla vista, ricordò, e probabilmente aveva anche capito qualcosa delle sue capacità. Era stata stupida, stupida e ingenua.
Serrò le mani sulle redini, le strinse così forte da farsi sbiancare le nocche.
Discesero la collina su cui si trovavano e attraversarono il fiume senza problemi: aveva un letto piccolo e le due sponde erano abbastanza vicine da permettere a Frejie di sciogliere il ghiaccio e al cavallo di immergersi fino alle staffe e arrivare dall’altra parte. Ci fu un momento in cui l’animale nitrì e sbuffò, ma bastarono le parole gentili di Kiol e le carezze di Angelika a farlo calmare.
Tenendosi sempre lontano dalla strada maestra, il cacciatore le condusse su un sentiero al limitare del bosco, dove si imbatterono in due conigli, un riccio ribaltato, che Angelika rimise dritto, e un cerbiatto a cui stavano cominciando a crescere le corna. Il rombare delle macchine e il cigolio dei carri si perdeva nell’aria calma del sottobosco in un’eco lontana, un sussurro fioco che si confondeva con il sibilo del vento tra le foglie dei sempreverdi e lo scricchiolio della brina sotto gli zoccoli.
Frejie tirò un sospiro di sollievo e si strinse nel mantello di pelliccia. In quei giorni, il cielo era sempre rimasto coperto da un manto di nubi che minacciavano neve. La fortuna sembrava essere dalla loro parte, ma la maga non riponeva troppa fiducia nella clemenza del tempo, non dopo che quello era stato definito l’inverno più gelido degli ultimi trent’anni, anche se nella contea di Midwinter faceva sempre freddo, indipendentemente dalla stagione. Forse era anche per questo che erano ben pochi i mostri che avevano abitato quei boschi e, ormai, dopo quasi cinquant’anni di caccia, si erano quasi del tutto estinti. I sopravvissuti si erano rifugiati nelle minuscole zone che rimanevano della loro prima casa e si tenevano alla larga dalle strade frequentate.
All'imbrunire, dopo essersi lasciati alle spalle la città di Netke, raggiunsero il confine occidentale del bosco a poche miglia dalla cittadella di Leuwner. Kiol, durante la strada, le aveva informate che da lì avrebbero potuto proseguire agevolmente, nascondendosi nell’ultimo ettaro di bosco che li separava dalla contea Lenth.
In lontananza, a uno dei tanti bivi in cui si biforcava la strada maestra, scorsero le luci incerte di una locanda isolata, circondata solo da un basso steccato e con l’insegna di ferro scrostata che oscillava cigolando sotto l'azione del vento, che era si era fatto sempre più freddo e tagliente mano a mano che le nuvole si ingrigivano. Quando nell’aria cominciarono a vorticare i primi fiocchi di neve, a malincuore Frejie e Kiol concordarono che fosse meglio fermarsi. Anche il cavallo aveva bisogno di riposo e, sebbene ci fosse il rischio di incontrare uno Slayer, la maga confidava che fossero pochi gli avventori di una taverna tanto sperduta.
Kiol si occupò del cavallo di fronte allo sguardo incredulo del garzone, che lo osservava risentito mentre gli toglieva le redini e lo conduceva senza il minimo sforzo nella stalla.
Un sorriso stanco si allargò sulle labbra di Frejie: a vederlo di spalle, con la tunica sdrucita, gli stivali di pelle e l’arco di frassino a tracolla, Kiol sembrava un soldato reale dei tempi andati, uno di quegli uomini che non avevano bisogno di servirsi di altri per prendersi cura della propria cavalcatura.
Quando lui voltò la testa nella sua direzione e i loro occhi si incontrarono, Frejie distolse lo sguardo e si avviò verso la locanda, seguita da Angelika e dalla ormai familiare sensazione di calore che le era rimasta addosso dalla sera di Yule.
Nello stanzone decadente che fungeva da camera comune, nessuno fece caso a loro, forse perché si somigliavano un po’ tutti con i loro abiti malandati e i visi tirati dalla stanchezza.
La padrona della locanda, una donna tarchiata dagli occhi cattivi, offrì loro del semplice stufato senza sale e con poca carne dura, il tutto accompagnato da tre pinte di birra che sapeva di tutto fuorché di luppolo o malto.
Frejie mangiò in silenzio, masticando lentamente, e con la coda dell’occhio osservò gli altri avventori. Come si aspettava, c’erano poche persone, tutti viaggiatori nelle loro stesse condizioni, ad eccezione di un mercante che vestiva con una pregiata tunica di sete preziose. Era anche l’unico in vena di chiacchiere. La maga venne a sapere da lui che nella contea di Antrim era avvenuto un incidente alla gilda dei tecnomanti. Il loro capo, Qayin Terwen, aveva dichiarato che c’era stato un guasto tecnico e che dei fili elettrici avevano fatto contatto causando un’esplosione di energia magica che aveva mandato in frantumi la vetrata dell’edificio. Il sindaco della città di Chasterm confermava la versione ufficiale, anche se molti affermavano di aver visto qualcuno attaccare la gilda. Ma questo non era niente in confronto alle voci spaventose che alcuni suoi amici gli avevano raccontato. Nel nord del Readings, dove una volta sorgeva la città di Eartshire, la costruzione della ferrovia si era fermata. I più sostenevano che fosse tutta una questione di soldi, che l’instabile condizione economica dell’azienda dopo la morte del suo fondatore avesse spinto la Corona a chiudere i rubinetti e a rivalutare la maggior parte dei progetti. Sarebbe stato anche credibile, se tutti nell’alta società non fossero stati a conoscenza dei libri contabili del caro conte, ricchi di pagine e pagine di numeri in negativo nelle entrate e numeri con fin troppi zeri dopo la virgola nelle uscite. Sottolineava, il mercante, che uno dei creditori del conte era un suo carissimo amico, un banchiere nano di Asie, che quando si ubriacava cantava come un usignolo nel periodo degli accoppiamenti.
La verità, dunque, era da ricercarsi in altri luoghi, precisamente nella contea stessa di Readings. I suoi informatori, uomini fidati che lavoravano per lui da anni, gli avevano riferito che nei dintorni delle rovine di Eartshire si aggiravano ombre che correvano a nascondersi nei ruderi della città non appena sorgeva il sole. Nessuno osava avvicinarsi e i pazzi che vi si avventuravano non facevano più ritorno. Gli sembrava quasi la stessa situazione di Ancya da quando quel pazzo di Ianice era salito al potere.
Nella Foussette meridionale, invece, era stato giustiziato pubblicamente un barone che si diceva avesse tenuto un incontro segreto con gli emissari della regina Vittoria. Nel Lyoncés, alcuni mercanti di origini newenglandesi, sostenitori di una politica pacifista, erano spariti improvvisamente assieme alle loro famiglie. Sui confini della Védette e del Saucerre si stava consumando un'aspra guerra fredda e le truppe ancyesi, giorno dopo giorno, vedevano le loro fila farsi sempre più numerose.
Frejie si massaggiò le tempie, distogliendo la sua attenzione dalle chiacchiere del mercante. Era troppo stanca e aveva bisogno di riposare per metabolizzare tutte quelle informazioni per capire se potevano avere una qualche utilità. Gettò una rapida occhiata alla porta e poi si rivolse alla locandiera che, fino a quel momento, non aveva smesso di squadrarla.
- Avete una camera per noi? - le domandò.
La donna le rivolse un sorriso ostile, mettendo in mostra i pochi denti che le rimanevano: - La mia locanda ospita chiunque, madame. -
Aveva una voce gutturale e roca, che faceva a pugni col melodioso accento ancyese.
- Possiamo pagare. -
- Oh, immagino. - posò la caraffa che stava asciugando con uno straccio e la fissò a braccia conserte, - Per soggiornare qui sono quattro raie a testa. Con il pasto che avete consumato fanno sei. -
- La melma e la carne di cuoio che ci ha servito non valgono nemmeno un quarto di quello che ci ha chiesto. -
- Se non le va bene, può sempre andarsene. -
Frejie le rivolse un’occhiata tagliente e schioccò la lingua. Non aveva quella cifra, quando era partita per andare dai druidi si era portata sì e no una ventina di monete e ora non gliene restavano abbastanza per pagare.
- Allora? Cosa avete intenzione di fare? -
- Penso ce ne andremo in città. -
La donna scoppiò in una grassa risata e poi finse di annusare l’aria: - Non penso vi ospiterà nessuno. L’eau de merde non è molto apprezzata. -
Con l’eleganza che la contraddistingueva, Frejie si alzò e sorrise cordiale: - L’eau de merde può essere lavata via, una faccia di merda no. Arrivederci, madame. -  
A quelle parole, Angelika si coprì la bocca e sgranò gli occhi, mentre Kiol ridacchiò, scuotendo la testa.
Quando oltrepassarono la soglia, l’aria fredda della notte li investì con uno schiaffo. La neve vorticava sospinta da un vento gelido che faceva sbattere le imposte delle finestre della locanda.
Con Angelika che le si stringeva al petto, la maga attese che il cacciatore recuperasse il cavallo. Avrebbe tanto voluto usare la magia per scaldarsi, ma preferiva evitare di attirare l’attenzione su di sé. La tempesta di neve celava la presenza del loro inseguitore, ma se c’era anche solo la minima possibilità di far perdere le loro tracce, l’avrebbe sfruttata a suo vantaggio.
“D’altronde, non deve essere facile nemmeno per lui muoversi con questo tempo.”
Affondò le dita nei capelli di Angelika e le accarezzò la schiena per tranquillizzarla. Le sembrava ancor più provata, sebbene i sogni che la tormentavano sembravano essersi calmati. Ogni notte aveva insistito per fare il turno di guardia più lungo e ora aveva delle occhiaie profonde, rese più evidenti dall’incarnato pallido. Gli occhi grandi e verdi come smeraldi erano adombrati da un sentimento che Frejie non riusciva a capire, un misto di angoscia, tristezza e paura.
- Ti manca Peter? -
La ragazza si irrigidì e annuì appena. Era una reazione spontanea che il suo corpo aveva sempre quando le chiedeva cosa le frullasse per la testa.
 - Sentirà la mia mancanza, lì tutto solo a casa… - sussurrò.
- Non credo, penso si sia abituato a stare lontano da te. - sorrise e la studiò di sottecchi, - Non mi stai nascondendo nulla, vero? -
- N-no, perché io nascondere qualcosa? -
Frejie aprì la bocca per rispondere, ma un movimento ai limiti del suo campo visivo la distrasse.
Una donna vestita con abiti maschili, un berretto di lana calcato fin sopra le orecchie e spessi guanti di velluto nero era entrata nel cortile della locanda e in fretta si accingeva a lasciare la sua giumenta pomellata alle cure del giovane garzone. Gli occhi, neri come l’ossidiana, erano velati dalla stanchezza.
Sentendosi osservata, la nuova venuta si girò, si strinse nel mantello scuro e chinò lievemente il capo, la mano destra posata sul piccolo cilindro in noce attaccato alla cintola, con uno stemma inciso sopra. Frejie ricambiò il saluto, ma non distolse subito lo sguardo indagatore, non prima che Kiol tornasse con la loro cavalcatura e la donna svanisse al di là della soglia.
- Qualcosa non va, makuta? -
- Non è niente. - rispose scuotendo la testa e fece cenno ad Angelika di montare in sella.
Non le era sfuggita l’occhiata curiosa del cacciatore, ma non aveva intenzione di fermarsi a parlare.
Mentre si allontanavano verso Leuwner, Frejie continuò a domandarsi cosa ci facesse in quel luogo sperduto un messaggero della Corona.
 
La scritta sul cancello recitava “Il lavoro nobilita gli uomini”. Il vecchio proprietario della fabbrica aveva deciso di far ascrivere il suo personale motto proprio all’entrata, così da esortare i suoi lavoratori a dare sempre il meglio. Almeno questo era ciò che Frejie aveva sentito dire in giro, ma era più che sicura che quelle parole nascondessero un pessimo, cinico senso dell’umorismo.
Fece un ulteriore passo avanti, scrutando attraverso la neve che le turbinava davanti agli occhi quel che rimaneva della prima fabbrica tessile di New England. All’inizio di quella che gli studiosi definivano “Era del Ferro”, Midwinter era stata tra le prime contee ad abbracciare a piene mani la rivoluzione tecnologica e ad accogliere sul suo suolo la costruzione delle fabbriche tessili. Nel giro di pochi anni, la maggior parte dei campi e delle foreste erano stati sostituiti da alti muri di pietra e da casolari, all’interno dei quali viveva la classe operaia, che ogni giorno, dal sorgere del sole fino allo scurirsi del cielo, tesseva i maglioni di lana e cotone che poi venivano mandati nei negozi di tutta New England. Leuwner, nota con il nome di “città della lana”, aveva permesso a molti di svestire il ruolo dei contadini per entrare nell'industria, fornendo un posto di lavoro ai bambini e alle donne delle fin troppe famiglie che faticavano ad arrivare a fine mese. Il precedente sindaco aveva addirittura fatto distruggere le vecchie e rustiche casette di campagna, così da ridisegnare la planimetria della città attorno alla fabbrica.
Sembrava che tutto stesse procedendo per il meglio, quando i mostri avevano attaccato. Era stato un assalto notturno totalmente inaspettato, un fulmine a ciel sereno dopo anni di tranquillità. Nelle strade il sangue era scorso a fiumi e, quando gli Slayers erano arrivati, avevano trovato solo macerie e corpi fatti a pezzi. I pochi sopravvissuti, che si erano nascosti in mezzo ai cadaveri dei loro amici e parenti, si erano trasferiti in altre contee, lasciandosi alle spalle la polvere e la cenere dei roghi che per giorni avevano bruciato, appestando l’aria con l’odore della carne putrescente.
Con un sospiro, Frejie fece cenno a Kiol di avvicinarsi e, mentre il cacciatore apriva il cancello e verificava che non ci fossero minacce nelle imminenti vicinanze, lei e Angelika entrarono nel cortile, dove all’erba secca si mischiavano detriti, spazzatura e ossa di vari animali.  La puzza di umido e di escrementi rendeva l’aria irrespirabile.
Le porte dell’edificio erano state divelte e languivano sotto la neve, appoggiate alla parete esterna, i vetri rotti che costituivano una trasparente chiostra tagliente e il catenaccio che oscillava appeso ai maniglioni ossidati. Tra loro e le nuove porte, due assi di legno probabilmente appartenute a una lunga tavola, non si frappose nessuno, nemmeno quando Kiol le spostò.
- Andiamo. Non penso smetterà di nevicare prima di domattina. - disse impugnando l’arco, dopodiché oltrepassò la soglia.
Dopo un momento di esitazione, Frejie e Angelika gli andarono dietro.
Vapori di vario genere, provenienti dalle lunghe tubature sul soffitto e sul pavimento, turbinavano in spirali grigiastre e maleodoranti, avviluppandosi su se stesse simili alle spire di un serpente. Le lampadine brillavano a intermittenza, oscillando al vento come il pendolo di un vecchio orologio fuori tempo. Sui muri scrostati rimbalzava il suono di uno sgocciolio ritmico, cadenzato, come un rubinetto che perde. Probabilmente, se non avesse visto delle figure umane accovacciate sotto strati di coperte e lenzuola logore, la maga avrebbe definito quel posto desolato.
- Maestra, sicura che sia sicuro? -
Chiese Angelika in un sussurro e, se Frejie non l’avesse avuta così vicino, dubitava che l’avrebbe sentita.
- Sì. Sarà difficile che ci trovi qui. - rispose.
Era abbastanza sicura che gli abitanti della vecchia fabbrica non avessero preso bene la loro intrusione, a giudicare dalle occhiate diffidenti che lanciavano loro, e sapeva fin troppo bene che prima o poi qualcuno avrebbe tentato di fermarli.
Infatti, i guai non tardarono ad arrivare.
- Hey, voi! Cosa ci fate nel nostro territorio? - li apostrofò una voce, proveniente da un corridoio laterale in penombra.
Ad aver parlato era stato un mezzelfo dai capelli tagliati a spazzola e metà del viso butterato. La sua stazza sviluppata lasciava intendere che doveva aver appena passato l’età adulta e, considerando l’olezzo che emanava, dovevano essere giorni, se non mesi, che non si lavava.
Kiol alzò la testa e lo fissò in cagnesco, tendendo la corda dell’arco.
- Siamo qui solo per ripararci dalla tormenta di neve. - disse Frejie.
- E allora perché non avete chiesto in città? -
La domanda l’aveva posta una donna robusta, con le braccia muscolose ricoperte da una folta peluria, probabilmente si trattava di un ibrido di qualche tipo.
- Esatto, perché siete venuti qui? - le fece eco un nano.
- Non avevamo abbastanza soldi. - mentì.
- Mi prendi per scemo? Anche se siete ridotti in pessime condizioni, non sembrate per niente dei poveracci. - annusò l’aria, - No, non siete dei morti di fame come cercate di farmi credere. -
Si era avvicinato abbastanza perché Frejie potesse vedere le labbra screpolate e le gengive sanguinanti nei punti in cui le carie avevano raggiunto il nervo. Storse il naso, disgustata, arretrando appena assieme a Kiol.
- Vogliamo solo un tetto sopra la testa per stanotte. Potete darcelo? -
Un ghigno divertito storse le labbra del mezzelfo, mentre il suo sguardo si posava su Angelika.
- Certo, ma a tutto c’è un prezzo. Se non avete delle monete, potete sempre pagare in natura. -
Frejie strinse i pugni, ma, prima che potesse ribattere, Kiol sputò: - Sei così poco uomo da chiedere del sesso a una ragazzina di nemmeno la metà dei tuoi anni, hawhe-momo? Eppure credevo che le tue radici ti impedissero di abbassarti a questo. -
Il mezzelfo si accigliò, poi sfoderò un coltello da sotto il farsetto e si avvicinò minacciosamente, la lama che brillava alla luce fioca delle lampade.
- Prova a ripeterlo, Ato’oinne. - ringhiò.
Il cacciatore non si scompose, nemmeno quando gli puntò l’arma al petto.
- Hai sentito benissimo. I tuoi genitori, chiunque di loro sia l’elfo che ti ha generato, si staranno rivoltando nella tomba. -
- Taci, tu non sai niente! - sibilò cattivo.
- Conosco l’onore e l’orgoglio della tua gente e so che non umilierebbero mai delle donne bisognose. -
La lama tremò e una ruga d’incertezza segnò la fronte del mezzelfo.
- Una notte sola, nell’angolo più sperduto della fabbrica. Nulla di più, nulla di meno. - continuò Kiol, il braccio teso per lo sforzo, - Domani mattina all’alba, che abbia smesso di nevicare o meno, ce ne andremo. -
L'altro, lentamente, rinfoderò il coltello e indicò loro un punto imprecisato in fondo al corridoio.
- Muovetevi, prima che cambi idea. Il dormitorio è là in fondo. -
Kiol abbassò l’arco e, dopo aver lanciato una rapida occhiata attorno a sé, giusto per essere sicuro che tutti avessero capito, procedette.
Quando si furono allontanati a sufficienza, Angelika abbandonò il braccio di Frejie e gli si affiancò.
- Come facevi a sapere che avrebbe accettato? -
- Non lo sapevo, ho sperato che la miseria non gli avesse imbruttito anche l’anima. - rivelò sorridendo.
La ragazza lo guardò perplessa, poi, quando incontrò l’espressione distesa della sua maestra, sorrise a sua volta.
Il dormitorio alla fine del corridoio non era altro che la vecchia e polverosa sala macchine. In un angolo, su uno sgabello pericolante, sedeva una giovane donna con i capelli biondi arruffati legati in una crocchia sul collo. Allattava un bambino stando vergognosamente girata verso la parete. Accanto a lei dormiva un uomo con un neonato stretto tra le braccia. Vicino alle varie stufe che emettevano un ronzio altresì fastidioso, dormivano, mangiavano e chiacchieravano a bassa voce molte altre persone, che, non appena li videro, si girarono a studiarli, incuriositi e spaventati.
Un nano con la testa mezza rasata alzò la testa dalla sua cena, una minestra di patate e pane raffermo, limitandosi a indicare la parte opposta della stanza. Ignorando gli sguardi degli astanti, i tre andarono a sedersi contro il muro e Frejie quasi si lasciò cadere sul pavimento, sentendo il corpo abbandonarsi al torpore della stanchezza.
- Dovresti dormire vicino al cavallo. - le consigliò Kiol, mentre Angelika accarezzava il muso della saura.
La maga annuì, stringendosi nel mantello. Era sfinita e aveva le palpebre pesanti, ma qualcosa la obbligava a rimanere vigile. La tempesta fuori infuriava, probabilmente anche il loro inseguitore si sarebbe dovuto fermare per quella notte. O almeno lo sperava.
- Maestra, riposa. Qui pensa io e Kiol. - la esortò Angelika, sbadigliando.
- Tu farai la guardia assieme a lui, vero? - mormorò dolcemente.
- Uhm, sì… chiudo gli occhi solo un attimo… -
- Solo un attimo, sì. - sorrise indulgente.
- Un attimo... - ripeté Angelika e sbadigliò di nuovo, rannicchiandosi contro il ventre del cavallo.
Dopo nemmeno un minuto si addormentò, coi capelli biondi e scompigliati sparsi sul pavimento sudicio e le braccia strette al petto come a stringere qualcosa, forse la testa del suo amato Peter. Con un’espressione divertita sul viso, Frejie si allungò per spostarle le ciocche ribelli dietro le orecchie.
- Anche tu hai bisogno di dormire. - insistette il cacciatore.
- Tutti ne avremmo bisogno, ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Faremo a turno. -
Kiol assentì, traendo un profondo respiro ad occhi chiusi. Aveva posato l’arco e la faretra ai suoi piedi e la mano poggiata alle ginocchia ciondolava proprio sopra di essi.
- Grazie, Kiol. - dichiarò Frejie all'improvviso, scrutandolo dal basso.
L'altro le scoccò un'occhiata confusa. Le dita di Frejie sfiorarono il livido sulla tempia, l’escoriazione violacea che si era procurata quando era caduta da cavallo. Se non era morta quel giorno, lo doveva solo a lui, che, ancora svenuta, l’aveva trascinata al sicuro nella boscaglia.
- Per esserci stato e per essere rimasto. Non eri obbligato. -
- Lo ero, invece. -
- Forse, ma sicuramente non avevi nessun obbligo nei confronti di Angelika. -
Il cacciatore annuì, quindi socchiuse le palpebre spostando lo sguardo a destra e a sinistra. Anche Frejie tese l’orecchio, ma l’unico suono che udì fu l’ululato della tempesta e un risucchio nasale alle sue spalle, seguito da un estatico sospiro di sollievo. Quando si girò, vide il nano con le narici dilatate e la testa appoggiata al muro. Ai suoi piedi, un bicchiere con sul fondo dei grumi lattiginosi.
- Io e te siamo legati dal doppio filo del destino, makuta. - riprese Kiol e, nel dirlo, si aggiustò la cintura, assicurandosi di avere ancora il pugnale al fianco, - Tu non credi nel destino, lo so, non serve che tu lo ribadisca, ma io sono sicuro che il Wyrd ci abbia fatti incontrare per un motivo, e presto o tardi capiremo qual è. -
- La fede rende ciechi. -
- A volte essa coglie la verità ancor prima della ragione. -
Frejie si astenne dal commentare. Avevano discusso spesso, durante quelle lunghe notti insonni, di ciò che era successo nella tenda della Wilm’nis e dell’Hilm’neer, ma non erano mai riusciti a trovare un punto d’accordo. Le loro visioni erano troppo diverse, i loro mondi agli antipodi, distanti come la Terra dal Sole.
- Frejie. -
- Mh? -
- Non ti lascerò. - proferì deciso, allungò la mano e intrecciò forte le dita con le sue, - Non lascerò né te né Angelika. Non l’avrei fatto quando ero un semplice uomo, non lo farò di certo ora. Il Wyrd mi ha legato a te. -
La maga esitò un istante, prima di rispondere: - Potresti morire. Non hai paura? -
Il cacciatore si avvicinò ancora di più e Frejie poté percepire il calore del suo corpo attraverso la veste.
- Potrei dirti che non ne ho, ma sarebbe una bugia. -
- E allora perché ti ostini a seguirmi? -
- Perché più della paura della morte, ho paura di provare rimpianto. -
Nessuno dei due aggiunse altro, avevano esaurito le parole. Rimasero così, stretti l’uno all’altra, con il vento che fischiava tra gli spifferi e il respiro calmo di Angelika.
Il rumore di uno schianto, seguito da urla terrorizzate, li destò all’improvviso. Il cavallo scalciò e si tirò su con un nitrito allarmato, nello stesso momento in cui Frejie apriva gli occhi. Gli abitanti della fabbrica sciamavano impazziti verso i vari corridoi, nel tentativo di mettere quanta più distanza possibile tra loro e la donna che invece avanzava tranquilla, calpestando i corpi degli uomini che rantolavano a terra, le mani premute contro le orecchie sanguinanti.
- Maledizione, ci ha raggiunti. Presto, sbrighiamoci! - sibilò Kiol, tirando bruscamente su Angelika.
Si infilarono nel primo corridoio che trovarono, correndo a perdifiato. Frejie precedeva il cacciatore e Angelika. Il suo mantello frustava l’aria, il cuore le batteva feroce nella cassa toracica e uno stridio insopportabilmente acuto le feriva le orecchie, talmente forte da renderle difficile persino pensare. Ad un tratto, un lampo balenò a un millimetro dalla sua spalla e colpì il muro. Con la coda dell’occhio vide un semplice buco in mezzo alla ragnatela di crepe. Nessun proiettile, solo un foro della grandezza di una piccola sfera.
Ne seguì un altro e un altro ancora, una raffica di pallottole di luce che si disfacevano in scintille incandescenti all’impatto.
Allora, rabbrividendo dalla testa ai piedi, realizzò con cosa avevano a che fare.
“Un Makua!”
Corse più in fretta, fino a quando non percepì i primi crampi alle gambe, avvertendo i suoi peggiori timori farsi largo nella mente frastornata.
Imboccarono delle scale che salivano al secondo piano. Angelika annaspava, Kiol la strattonava senza darle modo di rallentare. Sentivano i passi concitati della Slayer alle loro spalle, sempre più vicina. Udivano pure il suo respiro, controllato e calmo.
Frejie cercò disperatamente di richiamare alla memoria le strofe di un qualsiasi incantesimo protettivo, ma il fischio continuo che aveva nelle orecchie le impediva di concentrarsi e di associare le parole ai suoni giusti. Avrebbe potuto fare un tentativo, ma le probabilità di errore erano troppo alte e il rischio di morire troppo elevato.
- Il… ilne… -
Non fece in tempo a concludere la prima parola, che si pietrificò sul posto, i suoi compagni dietro di lei. Col cuore in gola, vide che il corridoio terminava davanti a una porta, senza più alcuna via di fuga. Si guardò intorno in cerca di una finestra che potesse costituire una possibile uscita, ma i muri erano un’unica, uniforme parete di cemento. Il terrore la pervase, ma non si fece prendere dal panico. Spostò bruscamente Angelika e, mentre Kiol tirava la maniglia della porta nel tentativo di aprirla, serrò le dita su di essa e pronunciò velocemente l'incantesimo. Le gemme sulla schiena si illuminarono e un calore insopportabile le invase le membra, un dolore così atroce che le fece tremare le ginocchia e le annebbiò la vista. La serratura scattò e la maga quasi cadde a terra quando si aprì. Si sentì trascinare via, riconobbe le mani piccole e callose di Angelika, il calore del suo corpo gracile e spaventato, mentre Kiol si richiudeva la porta alle spalle. Un istante più tardi, una pioggia di colpi si abbatterono su quella sottile barriera di legno e rimbombarono come tuoni nel silenzio di quella stanzetta piena di detriti, calcinacci e pezzi di muro.
- Maestra! Maestra! -
La voce di Angelika non era altro che un sussurro lontano, un’eco indistinta, rispetto a quel ronzio assordante che spingeva contro i timpani come se volesse sfondarglieli. La guardò da sotto le ciglia, vide le labbra tremare e le guance arrossate per la corsa inumidirsi sotto la carezza delle lacrime. Era Angelika che volevano, ma lei non gliel’avrebbe consegnata.
“Fosse anche l'ultima cosa che faccio.”
Si tirò su a fatica, asciugandosi il sangue che le colava dal naso col dorso della mano. Puntò lo sguardo su Kiol, che teneva sotto tiro la porta, i cui cardini tremavano sotto gli attacchi del nemico. Bastò un’occhiata per intendersi e la maga scorse la sua stessa dolorosa consapevolezza negli occhi di lui.
- Devi andartene, Angelika. - ordinò autoritaria e gentile al medesimo tempo.
Pronunciò quelle parole lentamente, per essere sicura che la sua allieva capisse. Mentre si alzava e le si parava davanti, vide la ragazza impietrirsi.
- No! Voi venire con me! -
Supplicò in silenzio Frejie e Kiol, rivolgendo loro una smorfia così afflitta da far male. Ma il cacciatore rimase impassibile, la bocca stretta in una sottile e pallida linea.
La porta cigolò di nuovo e tutta la struttura minacciò di essere divelta, come in un terremoto. Probabilmente c’erano delle occlusioni di meteryllium nel ferro, altrimenti avrebbe già ceduto da un pezzo.
- Non… non potere… - balbettò smarrita.
- Non discutere ora. - le intimò Frejie e aprì e chiuse le mani più e più volte per farsi forza e impedirsi di correre ad abbracciarla, - Tu devi sopravvivere, Angelika, devi andartene ora che puoi. -
- Ma se vado, voi... -
Il pomello saltò e sbatté fragorosamente a terra.
Kiol indietreggiò di scatto, tendendo l’arco fino al limite, mentre volute di energia verde si attorcigliavano sulle sue braccia e si avviluppavano in una pulsante sfera sulla punta della freccia.
Frejie diede alla sua allieva un frettoloso bacio sulla fronte, tentando di imprimervi tutta la dolcezza e la delicatezza che sarebbero servite ad Angelika per sconfiggere la paura di perderla per sempre.
- Non moriremo, tranquilla. - la rassicurò e sperò che l'altra non fiutasse la bugia.
- Davvero? -
La maga annuì solenne, ingoiando il groppo d’angoscia che le attanagliava la gola. Quindi prese il cristallo di localizzazione dal sacchetto delle monte e glielo mise in mano. Le sorrise incoraggiante, poi si girò e andò ad affiancare Kiol. Il cacciatore le lanciò una lunga occhiata, ma non disse nulla: sapeva che sarebbe stato inutile, ormai Frejie aveva preso la sua decisione.
Frejie gli fu estremamente grata del suo silenzio. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e lasciò che il potere delle gemme la pervadesse.
Un secondo più tardi, la porta cedette di schianto.

 


 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Himenoshirotsuki