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Autore: eliseCS    01/08/2016    3 recensioni
Per "festeggiare" il fatto di aver finito gli esami ho deciso (invece di cominciare a concentrarmi sulla tesi) di cominciare a pubblicare questa ff che ho per le mani da un po' di tempo.
Dopo quella sui fondatori e quella su Draco e Astoria la new generation non poteva certo mancare, quindi eccola qui.
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Una ragazza comincerà a scoprire le sue potenzialità in modo alquanto singolare.
Ricordi torneranno pian piano a galla.
Una profezia (forse, l'autrice è ancora un po' indecisa al riguardo)
E ovviamente non si può chiedere ai Potter di restare fuori dai guai, no?
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[...] Non sapeva che invece quello era stato solo l’inizio, come non sapeva che quella crisi era in qualche modo collegata a quello che uno strano bambino dai capelli scuri e spettinati le aveva detto diversi anni prima dietro la siepe di un parco giochi.
Per Elise quello strano incontro era ormai diventato un vecchio ricordo sbiadito e senza importanza, nulla più di un insolito e confuso sogno.
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Un piccolo assaggio dal prologo
Buona lettura
E.
(Pubblicata anche su Wattpad)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Consiglio una rilettura veloce veloce dei capitoli 5 e 6...



20 - Casa
 
 
 
Il primo pensiero coerente che riuscì a formulare mentre cominciava a riprendere conoscenza fu che doveva assolutamente smetterla di svenire ogni volta.
In primo luogo perché non era per nulla divertente avere incontri ravvicinati con il pavimento, secondariamente perché le dava fastidio sembrare una che perdeva i sensi per ogni cosa: la faceva apparire debole, e lei non lo era! O almeno, non voleva esserlo. Insomma, non era nemmeno svenuta quella volta che era andata a vedere l’autopsia…
Elise si concesse un attimo per ripensare agli avvenimenti della notte e del pomeriggio precedente, e fu stupita da se stessa nell’accorgersi che quello che provava era prevalentemente rabbia.
 
Rabbia verso James Sirius Potter.
 
Rabbia verso James che non aveva capito che se non gli aveva detto tutto subito era solo perché non voleva coinvolgerlo più di quanto già non fosse e perché, con tutto il rispetto, aveva ancora bisogno di capire cosa provava sul serio nei confronti della donna che sarebbe dovuta essere sua madre.
 
Rabbia verso James che quando era arrivata in ospedale era stato solo capace di darle la colpa per qualcosa che andava ben oltre il suo controllo. E lei nonostante tutto era andata fino in fondo con il processo di guarigione anche quando aveva capito che forse sarebbe stato il caso di fermarsi prima di spingersi troppo oltre.
 
Una cosa era certa: quella volta James non se la sarebbe cavata con un semplice “scusa”.
 
 
Elise sbuffò rigirandosi nel letto e sistemandosi meglio sotto le coperte.
Solo che quello non era il suo letto.
Se avesse fatto una cosa del genere a casa sarebbe finita per terra visto che il suo letto da una piazza e mezza scarsa di certo non consentiva così tanta libertà di manovra.
Allungando le mani e tastando il materasso ai suoi fianchi la ragazza si rese conto che quello su cui era distesa doveva essere un letto matrimoniale.
E anche piuttosto comodo se doveva dirla tutta…
Poteva quindi escludere di essere ancora al San Mungo: di sicuro in ospedale non c’erano letti del genere.
Ma allora dove diavolo era?
Si accorse di avere ancora gli occhi chiusi, aprendoli non ottenne subito alcuna differenza sostanziale: l’ambiente intorno a lei continuava ad essere avvolto nell’oscurità.
Lasciò che la sua vista si abituasse un po’ alla volta finchè alla fine delle strisce di luce non si definirono nel suo campo visivo permettendole di riconoscere, seppur in modo vago, che quella in cui si trovava doveva essere una camera da letto piuttosto grande.
L’istante successivo era già in piedi, pensando solo in un secondo momento che forse avrebbe dovuto alzarsi più lentamente in caso avesse avuto ancora qualche strascico di debolezza, solo per accorgersi con stupore che in realtà si sentiva perfettamente bene.
I suoi piedi nudi percepirono la differenza quando passò dalla superficie soffice del tappeto a quella più fredda e dura del nudo pavimento di legno.
Avanzando cautamente si fece strada fino alla fonte di luce che era ovviamente una finestra.
Una volta aperti i vetri non le rimase altro da fare se non spingere con forza gli scuri impedivano alla luce di entrare.
 
In effetti sarebbe stato più sensato se lo avesse fatto gradualmente visto che con quel gesto la luce del sole ben alto nel cielo invase con prepotenza il suo campo visivo accecandola momentaneamente e facendola lacrimare.
Quando finalmente si fu abituata alla nuova luminosità si accorse che in realtà la finestra che aveva aperto faceva parte di un trittico: ce n’erano due ai lati mentre quella al centro era una vera e propria porta a vetri che dava su un terrazzo di discrete dimensioni.
Dopo aver aperto anche i loro scuri Elise non perse tempo a guardare fuori preferendo concentrarsi prima sulla stanza in cui si trovava.
 
Era enorme, addirittura più grande di quella che aveva all’attico degli Starlet, e quello era tutto dire.
Volgendo le spalle alle finestre la prima cosa che catturava lo sguardo era il letto: un imponente letto matrimoniale a baldacchino, la testiera appoggiata alla parete di sinistra, con tanto di tende, comodino a ciascun lato e un baule ai piedi del letto.
Senza dimenticare il tappeto dall’aria antica o quantomeno costosa che faceva da scendiletto.
Esattamente di fronte, appoggiato sulla parete di destra, c’era invece uno di quei caratteristici tavoli da toeletta: grande quanto una scrivania munito di numerosi cassetti e specchio ovale in cima, insieme ad una sedia accostata al tavolo stesso.
Di fianco sulla sinistra c’era un ulteriore specchio, questa volta a figura intera, mentre sulla destra c’era quello che sembrava a tutti gli effetti un paravento.
Per finire sulla parete di fronte, a parte la porta d’ingresso della stanza, faceva la sua bella figura un grande armadio in legno massiccio.
Elise si ritrovò a pensare che sarebbe stata proprio una bella camera, se solo non fosse stata così austera e cupa.
In effetti tutte le componenti in legno, dall’armadio al baldacchino del letto, dal tavolo da toeletta al parquet, erano di legno molto scuro, quasi nero, mentre per il resto dominava un intenso colore verde muschio: le lenzuola, le tende del letto, le tende delle finestre –che in quel momento erano tirate- i tappeti il paravento e persino la carta da parati. Almeno quella era di una tonalità più chiara ed era alleggerita da un motivo di fiori argentati.
 
Si perse qualche altro istante a osservare la camera per poi spostare l’attenzione su se stessa.
I vestiti che aveva indossato in fretta e furia per seguire il signor Weasley erano spariti, sostituiti da una candida camicia da notte di seta con le maniche lunghe. Se non altro indossava ancora la sua biancheria… o almeno sperava fosse la sua.
Non resistendo alla tentazione Elise si ritrovò a guardare la sua figura allo specchio che le restituì l’immagine di una ragazza un po’ pallida, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e lo sguardo un po’ spaesato.
Tra il suo abbigliamento inusuale e la stanza in cui si era svegliata le sembrava di essere finita in un’altra epoca.
Tornò indietro verso la porta-finestra spalancandola e muovendo qualche passo lungo il terrazzo.
 
Il paesaggio esterno non le diede nessun indizio.
La stanza dava su quello che sembrava essere, più che un cortile, un parco interno: un grande spiazzo erboso si estendeva davanti ai suoi occhi al centro del quale gorgogliava allegra una fontana.
Verso il fondo del prato poteva vedere alcune siepi che sembravano unirsi e intrecciarsi a formare un vero e proprio labirinto.
In lontananza poteva forse scorgere un muro: che fosse quello che delimitava la proprietà?
Rientrò in camera, salvo poi trattenere un urlo nel momento in cui si accorse che non era sola.
 
Davanti alla porta c’era una donna dall’aspetto giovanile, i capelli castani tagliati a caschetto, gli occhi dello stesso colore dei capelli e le labbra incurvate in un sorriso che alla ragazza sembrò maledettamente falso.
Forse non sarebbe stata così sorpresa se non fosse che Elise quella donna la conosceva già.
Era…
 
“Nancy?” domandò la ragazza senza staccare lo sguardo dalla donna.
“Sono contenta di vedere che ti sei svegliata Elise, come ti senti?” chiese a sua volta la Guaritrice.
“Bene… credo”
“Perfetto allora! Hai dormito quasi tredici ore… preparati pure, non vede l’ora di poterti finalmente conoscere…” trillò allegra aprendo la porta per uscire.
“Aspetta… di chi stai parlando? Dove sono?”
Nancy si girò a guardarla.
“Benvenuta a casa, Elizabeth” fu la sua risposta. “Ti aspettiamo nel salone al piano terra” aggiunse infine per poi chiudersi la porta alle spalle.
Elise rimase bloccata qualche istante, ancora scombussolata.
In un primo momento la risposta della Guaritrice sarebbe potuta sembrare alquanto sibillina, ma il suo subconscio aveva già provveduto a fornirle l’unica spiegazione logica possibile nonostante la ragazza stesse pregando di essersi sbagliata con tutta se stessa.
Se però voleva andarsene non poteva certo rimanere rinchiusa in quella camera, come non poteva continuare a indossare solo quella camicia da notte.
 
Decidendo di affrontare quindi un problema alla volta Elise si diresse verso l’armadio, aprì le due ante rimanendo ancora una volta stupita da quello che le si presentò davanti.
In effetti più che l’interno di un armadio quella sembrava una vera e propria stanza: una parete era occupata da cassettiere appoggiate al pavimento mentre al di sopra scorrevano dei sostegni che reggevano un gran numero di vestiti appesi a delle grucce.
La parete opposta era invece completamente occupata da una scarpiera gigante, mentre il muro di fronte all’entrata era un unico, enorme specchio.
Al centro della stanza c’era addirittura un divanetto.
Ignorò la morsa allo stomaco che le era venuta pensando a come avrebbe reagito Julia nel vedere un guardaroba del genere e sospirando cominciò ad esplorare.
 
Scoprì così che una cassettiera era interamente dedicata alla biancheria, una alle magliette estive e un’altra ancora a quelle invernali.
Un mobiletto esponeva invece un’ampia scelta di maglioni, mentre appesi ai sostegni, divisi per categoria, c’erano pantaloni, gonne, vestiti, felpe e giacche.
Con un vago senso di imbarazzo Elise si liberò della camicia da notte per poi recuperare un reggiseno e un paio di calzini dalla prima cassettiera.
La ricerca degli altri vestiti fu invece un po’ più laboriosa: quegli indumenti non erano proprio nel suo stile. Cercava sempre di comprare cose colorate che le mettessero allegria, mentre invece, da quello che poteva vedere, in quel guardaroba i colori predominanti erano il nero e il verde, oltre al fatto che di solito lei preferiva pantaloni un po’ più larghi rispetto agli skinny e di certo non aveva mai indossato una giacca di pelle in vita sua.
Frugò nella seconda cassettiera finchè non riuscì a trovare una maglietta che non fosse verde scuro o nera scegliendo alla fine quella che probabilmente era l’unica di colore rosso.
Scorse velocemente i pantaloni per poi scegliere un paio di jeans neri che erano comunque troppo aderenti per i suoi gusti, e concluse aggiungendo una giacca nera in pelle visto che sembrava l’unica cosa che si abbinasse al rosso della maglietta che aveva scelto.
 
Osservandosi allo specchio non potè fare a meno di rimanere stupita per il fatto che i vestiti le andavano perfetti: sembrava che fossero stati fatti su misura…
Una volta risolto il problema dei vestiti la ragazza si preparò a fronteggiare la scarpiera.
La prima cosa che le venne in mente fu che sicuramente non avrebbe vissuto abbastanza per trovare un’occasione per indossarle tutte, per poi riflettere che alcune non le avrebbe mai indossate comunque: c’erano certi trampoli che sembravano trappole mortali…
E ovviamente le solite comode  e pratiche scarpe da ginnastica sembravano non esistere.
Alla fine lo sguardo le cadde su un paio di stivaletti neri, alti fino alla caviglia con un paio di centimetri di tacco e un cinturino decorato da una fibbia argentata.
Si impossessò di quelli: se non altro erano davvero belli.
Come nel caso dei vestiti anche quelli le andavano a pennello.
Dopo essersi guardata un’ultima volta allo specchio uscì dall’armadio.
 
Ora l’unica cosa che le serviva era… un bagno!
Possibile che una stanza del genere non avesse un bagno personale?
Del tutto casualmente lo sguardo le cadde sul separè nell’angolo in fondo alla stanza. Lo raggiunse sbirciandoci dietro e… bingo!
Aprì la porta di legno scuro che aveva scovato per trovarsi all’interno di una vera e propria sala da bagno.
Come per la camera da letto un’intera parete era occupata da ampie finestre coperte da tende in questo caso bianche.
Appena entrata sulla sinistra c’era un paravento nei toni del bianco e azzurro –in tinta con le piastrelle con cui era tappezzato il locale- dietro al quale si trovava la vasca da bagno più grande che Elise avesse mai visto.
Attaccata al muro su due lati poteva benissimo passare per una piccola piscina. La cosa più curiosa erano i numerosi rubinetti decorati con quelle che sembravano pietre preziose che sporgevano dai bordi adiacenti al muro: sarebbe stata curiosa di vedere a cosa servivano, ma non era di certo quello il momento.
Nell’angolo a sinistra della parete di fronte c’erano i sanitari, mentre più sulla destra trovava il suo posto un ampio lavandino incastrato in un altrettanto grande mobile bianco con tanto di ante laterali e specchio centrale.
Quando ebbe finito, e non prima di essersi data una sistemata ai capelli con una spazzola che aveva trovato all’interno di una delle ante del mobile del lavandino, la ragazza lasciò il bagno ritornando nella camera da letto.
Per quanto grande e luminosa potesse essere grazie ai raggi del sole che entravano dalle ampie finestre la stanza non aveva smesso di apparirle cupa in confronto all’ambiente chiaro del bagno.
 
Il corridoio al di fuori della camera, però, lo era ancora di più.
Tutto sembrava così rigido e austero: le tonalità scure dei legni di mobili e pavimento, i tappeti dalla trama spessa e le pareti rivestite da carta da parati verde scuro prive di qualsiasi altro ornamento se non qualche lampada che emanava una luce abbastanza fioca.
Elise proseguì lungo il corridoio finchè, quasi nascoste, non incontrò finalmente delle scale. Quelle sembravano essere molto più semplici e spoglie, stonavano quasi con il resto della casa.
Una volta raggiunto il piano terra potè concludere che la sua stanza si trovava al secondo piano mentre la casa in tutto doveva averne almeno tre, visto che nel punto in cui aveva cominciato a scendere le scale continuavano anche a salire.
Se pensava che da quel punto in poi trovare il salone principale sarebbe stato facile si sbagliava di grosso.
Da dave si trovava partiva un corridoio molto più angusto sul quale si affacciavano diverse porte. Come se non bastasse andando avanti anche altri corridoi di immettevano in quello che stava percorrendo.
Provò a procedere per un po’ solo per fermarsi rendendosi conto che se avesse continuato così probabilmente si sarebbe persa.
Se non lo era già…
 
“Vorrei proprio sapere come ci arrivo, a quel maledetto salone!” sbottò ad un certo punto arrabbiata, alzando la voce.
Era in quella casa da poco –senza contare il tempo che aveva trascorso dormendo, ovviamente- e già non vedeva l’ora di uscirne.
Ci fu un sonoro *crack* seguito da una esclamazione pronunciata da una vocetta squillante e leggermente stridula: “Silly porta la padroncina al salone principale! La padrona si stava chiedendo dove fosse e ha mandato Silly a cercarla!” enunciò per poi inchinarsi profondamente.
La piccola creatura che le era apparsa davanti le arrivava alla vita, aveva enormi orecchie da pipistrello, due occhi azzurri grandi e sporgenti e un naso lungo e sottile.
Indossava quella che sembrava una tenuta da cameriera in miniatura.
“Cosa… chi sei tu?” domandò Elise
“Silly è un’elfa domestica, padroncina” rispose compita la creatura. “Se la padroncina ha bisogno di qualcosa lei chiama e Silly arriva” spiegò.
“Silly porta la padroncina al salone principale” disse infine cominciando a camminare, Elise si affrettò a seguirla in silenzio, domandandosi come mai l’elfa si rivolgesse a lei chiamandola padroncina.
Diversi corridoi dopo, superata l’ennesima porta in legno scuro, Elise si ritrovò in un ampio ingresso che aveva riacquistato lo stile austero ed elegante che invece era mancato nell’ultima zona che aveva attraversato.
Che la casa fosse così grande da avere addirittura una parte più spartana dedicata alla servitù?
La parete di fronte a lei era occupata da una fila di finestre interrotta al centro da un maestoso portone.
Sulla sua destra terminavano invece due ampie scalinate in marmo, degne di quelle che si vedevano nei palazzi dei film.
Silly la condusse presso l’unica porta presente sulla parete alla sua sinistra.
“Benvenuta a casa padroncina Elizabeth” disse inchinandosi un’ultima volta per poi sparire con un altro *crack*.
Elise rabbrividì a quelle parole: era già la seconda volta che qualcuno le dava il benvenuto in quella casa.
Bussò alla porta, aprendola ed entrando nella stanza senza aspettare una risposta.
 
La sua attenzione si focalizzò all’istante sulle persone che la stavano aspettando in piedi al centro della stanza.
Nancy stava ancora esibendo il suo sorriso falso, sembrava estremamente compiaciuta e soddisfatta di se stessa. In parte c’erano Jack, rigido e impassibile, e la signorina Clark che al contrario sembrava quasi… arrabbiata?
 
E poi c’era lei
 
La donna sembrava la sua versione a quarant’anni.
I capelli erano biondi e lisci proprio come i suoi, la corporatura snella e all’apparenza ancora agile e scattante. Il taglio del viso era però più duro e affilato mentre quello di Elise era decisamente più dolce, e ovviamente gli occhi di ghiaccio non avevano nulla a che vedere con quelli verdi con la sfumatura dorata intorno alla pupilla della ragazza.
Nonostante quello la somiglianza era innegabile.
Quella che le stava davanti andandole inesorabilmente incontro era senza dubbio Shayleen Skelton.
 
Quella era sua madre.
 
 
 
 
Elise rimase ferma sul posto, come paralizzata, mentre la donna le si era avvicinata allargando le braccia e stingendola in un abbraccio.
“Finalmente, dopo vent’anni… la mia bambina!” esclamò commossa Shayleen sciogliendo l’abbraccio e facendo un passo indietro guardandola dalla testa ai piedi come se stesse ammirando un oggetto molto prezioso.
“Guarda quanto sei cresciuta, sei stupenda!” aggiunse accarezzandole una guancia per poi spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Sembrava sinceramente felice di avere la figlia davanti a sé: il sorriso pareva genuino ed era esteso anche agli occhi che brillavano di contentezza.
Da parte sua Elise sembrava aver perso del tutto la capacità di muoversi e di proferir parola.
 
Nel momento in cui aveva definitivamente realizzato che quella donna era sul serio sua madre, la sua vera madre, si era bloccata.
 
Alla fine, nonostante tutto, Shayleen era riuscita ad incontrarla.
 
La cosa che però l’aveva più destabilizzata era che, per qualche strano motivo, anche lei in fondo in fondo si sentiva felice di essere lì.
E questo non poteva essere, non dopo tutto quello che il signor Potter, Kingsley e la professoressa McGranitt le avevano detto sul suo conto.
 
“Dove mi trovo?” fu l’unica domanda che riuscì a formulare.
Shayleen la guardò quasi spaesata, per poi riacquistare subito la sua sicurezza: “Che domande fai tesoro? Questa è Skelton House… Sei a casa, dove altro potresti essere?”













Eccomi! Questa volta più puntuale di un orologio svizzero.
E così alla fine Shayleen è riuscita a incontrare Elise, con un piccolo aiuto da parte di un personaggio che più insignificante di così non sarebbe potuto sembrare: Nancy.
Questa scommetto che non ve la aspettavate, eh?
Vi lascio come sempre il piccolo spoiler dal prossimo capitolo:

Elise chiuse gli occhi: c’era qualcosa che non andava.
Perché stava pensando alla bellezza del posto quando il suo primo pensiero quando si era svegliata era stato: come faccio ad andarmene da qui?
Come poteva sentirsi felice di trovarsi insieme a Shayleen quando aveva passato l’ultima settimana ad evitare qualsiasi situazione –o quasi- che avrebbe potuto portarla dov’era in quel momento.
Cercò di riordinare le idee e riaprì gli occhi.
“Credo che sia meglio che torni a casa…” cominciò marcando l’ultima parola. “Potrebbero cominciare a chiedersi dove sia finita…”
“Elizabeth…
questa è casa tua” ribattè Shayleen.

Come sempre grazie a chi continua a leggere la storia, e ancora di più a chi trova due minuti per farmi sapere cosa ne pensa.

Alla prossima settimana!
E.

 
   
 
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