Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    05/08/2016    1 recensioni
2024. Malcolm Hamilton e i suoi amici si apprestano a terminare i loro studi alla Columbia ma il giovane, Guardiano dello Spirito e Fulcro del Pentacolo di Potere della sua famiglia, sente che qualcosa non va, che qualcosa lo minaccia, pur se non direttamente. Niente e nessuno sembra riuscire a comprendere cosa stia curiosando attorno al giovane, neppure un'entità potente come la Fenice Araba, che si è presa personale carico di aiutare l'amico e Guardiano.
Cosa vi può essere che riesce a sfuggire agli occhi di un Dominatore dello Spirito? E sarà un'entità davvero malvagia, o solo incuriosita dal potere di Malcolm e della sua famiglia?
E' difficile scoprirlo, specialmente quando cuore e anima vanno in due direzioni diverse. Se il primo vorrebbe pensare agli occhi dolci di Eiko, la seconda è incuriosita da Rin, le due nuove amiche che Malcolm conosce all'università.
Riuscirà il ragazzo a non cacciarsi nei guai, o saranno i guai a trovare lui? - SPIN-OFF serie 'The Power of the Four' (è necessaria la previa lettura della saga, per comprenderne gli intrecci)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 2
 
 
 
 
Al 267 della 124ima West Street, a Manhattan, si trovava un palazzo di cinque piani in mattoni rossi, risalente al primo dopoguerra e restaurato da una trentina d’anni.

Le alte e strette finestre, adornate da stucchi bianchi dalla forma geometrica, erano tipici dell’architettura del tardo XX secolo.

Sulla porta d’entrata svettava una tettoia in vetro e acciaio che lo zio di Malcolm, Maximilian Parker, trovava disgustosa e di pessimo gusto. Se avesse potuto, l’avrebbe buttata giù con sommo piacere. Per lo meno, questo era ciò che aveva detto la prima volta che l’aveva vista, durante una visita al nipote.

Per quanto protettiva ed efficace, durante i feroci temporali newyorkesi, deturpava la facciata storica dello stabile come un pugno in pieno volto.

Sito a un miglio dall’università, il loro appartamento era sufficientemente ampio da permettere loro di non uccidersi a vicenda, in quei lunghi mesi di lontananza da casa, ma non era così grande da doverli costringere a corvè di pulizia troppo pesanti.

L’unica camera singola del trilocale, che si erano giocati alla Morra Cinese, sarebbe spettata a Malcolm, per quell’anno. Bobby e Keath, invece, si sarebbero presi i letti a castello.

Una volta che l’auto di Bobby fu sistemata nel parcheggio sotterraneo dello stabile, i ragazzi estrassero le valige e si diressero verso l’ascensore.

Il pensiero di tutti corse alle condizioni dell’appartamento, e all’unisono rabbrividirono. Non vi fu bisogno di parole, tra loro. Ogni anno era la stessa storia e, ogni anno, le paure erano le medesime.

Nei tre mesi in cui erano mancati – pagando ugualmente l’affitto per non perderlo – l’appartamento aveva sicuramente raggiunto un punteggio piuttosto alto, nella loro scala di ‘pericolo di contaminazione’.

Il primo grado si raggiungeva coi piatti sporchi nel lavabo che, solitamente, venivano lavati giocandosela ai dadi.

Il secondo si otteneva con il bagno sporco da più di due settimane. Il dubbio onore di pulirlo spettava a chi perdeva due partite su tre a poker.

Il terzo livello era il paventato pavimento ingombro di cartoni di pizza, residui più o meno vecchi del take away… e del ristorante indiano. L’odore delle spezie poteva essere mefitico, dopo qualche settimana.

Così come quello che si formava all’interno dei contenitori, se era per questo.

Il quarto e il quinto grado si assomigliavano, perché volevano dire olio di gomito, imprecazioni e tanta fatica.

Il quarto stadio rappresentava solitamente le pulizie generali dell’appartamento che, dopo tre mesi di solitudine, presentava più polvere dell’immaginabile e del comprensibile, oltre a insetti infilati in ogni orifizio, raggiungibile e non.

Il quinto e ultimo livello, il più terrificante, era l’ipotesi peggiore di tutte. Trovare del cibo avariato nel frigorifero – spento per tre mesi – e, perciò, deteriorato a livelli da arma di distruzione di massa.

L’ipotesi di trovarsi di fronte a un grado 5 balenò nelle loro menti già in ansia quando, all’apertura della porta, uno strano odore giunse alle loro narici.

Quando Malcolm aprì sospettoso il frigorifero, staccato durante l’estate per ovvi motivi e, in teoria, svuotato di ogni cosa, arricciò il naso e bofonchiò: “Bobby, vieni a togliere quest’affare da qui.”

“E perché io, scusa?” brontolò il giovane, passandosi una mano nervosa tra le onde castano scure.

Keath sbirciò a sua volta, si tappò naso e bocca con la mano e ringhiò: “Perché l’unico che mangia tacos al pollo, irrorati di mille salse, sei tu!”

“Oh” mugugnò il giovane, avvicinandosi contrito al frigo.

“Complimenti… credo tu sia riuscito a creare una nuova forma di vita” ghignò Malcolm, allontanandosi per aprire le imposte e allontanare così da sé l’odore tremendo che gli ammorbava il naso.

Anche Keath si scostò e, imitando Mal, portò le valige nella sua stanza – divisa con Bobby, per quell’anno – mentre a quest’ultimo non restava altro che pulire il frigorifero.

Il resto della giornata fu quindi dedicato a togliere teli di plastica, pulire, lucidare, disinfettare e dare la caccia ai ragni.

Sapevano bene che non sarebbe durata ma, almeno per i primi giorni, si sarebbero baloccati all’interno di un appartamento decente.

Per quanto fosse stato cresciuto dal maniacalmente preciso padre, Malcolm non aveva ereditato quel lato del suo carattere.

Lui era decisamente più confusionario, molto più vicino ai modi di fare di Kimmy.

Questo lo portò a mandare un SMS a madre e padre, dicendo loro del buon esito del loro viaggio.

In quel mentre, gli giunse la chiamata di suo zio Autumn e Mal, ghignando, accettò subito la telefonata.

Poteva pur fermarsi un attimo, visto che erano già diverse ore che stava lavorando.

“Allora, a che punto siete con le pulizie? Il grado 5 è rientrato?” ironizzò Autumn, con il suo solito tono di voce roco e graffiante.

“Ciao, zio. Abbiamo quasi finito, sì” replicò Malcolm, sedendosi sulla pediera del letto. Non era affatto stupito che lo zio avesse ‘origliato’.

Come Dominatore dell’Aria, queste cose erano una bazzecola, per lui.

“Fossi in te, domani prenderei l’ombrello” lo mise in guardia Autumn, sempre con il suo tono leggero e disincantato.

“Oh… buono a sapersi” assentì lui, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.

Il cielo era limpido, ma non era il caso di mettere in dubbio la validità delle previsioni di un Guardiano dell’Aria.

“Ancora in branco con i tuoi amici sfigati, eh? Ma non ti sei stancato di stare in gruppo con dei normali?”

Mal ghignò. Suo zio era sempre stato un tipo senza peli sulla lingua, e aveva sempre avuto la pessima abitudine di non andarci tanto per il sottile, con le uscite.

Naturalmente, le sue erano per lo più battute ironiche ma, a volte, era in grado di insultare una persona senza che quest’ultima se ne rendesse conto.

O, per contro, rendere il suo insulto così chiaro da fomentare quasi la rissa. Ma gli voleva bene ugualmente, anche se era un bastian contrario per natura.

“Zia Melody come sta? E Selly?”

“Stanno bene tutt’e due” assentì Autumn, mettendo dolcezza in quelle semplici parole.

Autumn poteva apparire burbero e scostante ma, se c’era una cosa di cui poter essere certi, era il suo amore per la moglie e per la figlia adottiva.

Selene era stata adottata all’età di tre anni, dopo un viaggio che Autumn e Mel avevano fatto in giro per l’Irlanda.

Avevano ventilato da tempo l’idea di adottare un figlio, vista l’impossibilità di Melody di averne e, quando avevano saputo di Selene, si erano subito messi all’opera per ottenerne l’affido.

Discendente di una delle tante famiglie del Clan della Ruota, Selene era rimasta orfana dei genitori a causa di una rapina in casa finita male.

La bambina si era salvata per puro caso e, sempre per un colpo di fortuna, non aveva dovuto assistere al massacro dei genitori.

La polizia era stata avvisata dai vicini di casa solo perché la piccola, dopo ore e ore passate sotto il suo letto, in perfetto silenzio, era sgattaiolata fuori in cerca d’aiuto.

Non avendo altri parenti in vita, era stata così assegnata dai servizi sociali a una famiglia affidataria, in attesa dell’adozione.

Nonno Angus ne aveva parlato subito ad Autumn e quest’ultimo, dopo aver intrapreso tutte le pratiche necessarie, era infine riuscito a ottenerne l’affidamento.

Selene si era quindi trasferita a Tulsa assieme ad Autumn e Melody e, da quel giorno, nessuno era più riuscito a dividerli.

Nel diventare grande, Selene – o Selly, come la chiamavano tutti – aveva dimostrato indubbie quanto sorprendenti capacità di Veggente e, avendolo saputo, la prozia Brigidh si era messa all’opera per addestrarla.

Trasferitasi a Tulsa per essere accanto alla piccola, Brigidh si era però resa subito conto di quanto, la giovane allieva, sarebbe divenuta ben più potente della maestra. E in breve tempo.

Dopo solo un anno di addestramento, Brigidh si era dichiarata più che orgogliosa della sua giovane studentessa, e desiderosa che proseguisse i suoi studi in Irlanda.

Lì, viveva una delle Veggenti più potenti del Clan e, sicuramente, sarebbe stata una valida maestra per la ragazza.

Quanto all’orgoglio di Autumn e Mel, beh… Malcolm ricordava ancora bene quanto si fosse sempre vantato lo zio, parlandone a più riprese con Winter.

“Salutamele. Ora devo finire di riordinare le mie valige, o non riuscirò mai a uscire da questa stanza.”

“Starai attento, vero?”

Accigliandosi immediatamente, Mal replicò: “Chi ha parlato? Mamma? O papà?”

“Per la verità, è stata Selly a dirmi di dirtelo” ribatté Autumn, lasciando intendere che, se avesse voluto parlarne con qualcuno, lui ci sarebbe stato.

“Beh, di’ pure a mia cugina che presterò le dovute cautele e, se necessario, interpellerò qualcuno di mia conoscenza.”

“Che hai in mente, ragazzo?” domandò torvo lo zio.

Ghignando, Mal celiò: “E’ bello sapere che non puoi leggermi nella testa, zio. A presto.”

Borbottando un’imprecazione, Autumn gli raccomandò di non fare idiozie, prima di salutarlo.

Nel chiudere la chiamata, Mal si perse un istante a fissare il cellulare, un sorriso ben stampato in viso.

Con Malcolm si erano vissute tutte le prime volte, e poteva capire quanto lo zio fosse in ansia.

Era stato il primo, tra i figli del loro piccolo clan, a uscire di casa per andare a studiare lontano da Washington, D.C. Il primo ad andare all’estero senza di loro, pur se soltanto per una gita scolastica. Il primo a … beh, a fare una conoscenza decisamente intima con l’altro sesso.

Insomma, tutte le novità erano ricadute su di lui e, per quanto sapesse che la sua famiglia era sull’attenti solo perché gli volevano bene, a volte si sentiva un po’ oppresso.

I colpi ritmati del pugno di Keath si abbatterono sulla porta, mentre la sua voce tonante erompeva dicendo: “Ehi! Ci stai facendo notte, lì dentro? Non eviterai di andare a fare spese, Mal! Esci subito.”

Ghignando, Malcolm infilò il cellulare in tasca e, raccolti portafoglio e chiavi dell’auto dal letto, uscì dalla camera e replicò al fulvo amico di origini scozzesi: “Ho solo risposto a una chiamata di mio zio Autumn. Non fare il rompipalle, Keath.”

“Potrebbe anche averti chiamato la presidente Olsen, per quanto mi riguarda, ma tu devi andare a fare spese.”

Ficcandogli in mano la lista della spesa, Keath gesticolò con le mani per indirizzarlo verso la porta e Mal, scoppiando a ridere, si allontanò da lui.

“Sei più bizzoso di una comare inacidita, lo sai?”

“Si chiama fame, è ben diverso, e poi lo sai che i rossi sono bizzosi per natura. Dovresti saperlo che noi abbiamo il sangue più caldo degli altri, visto la zia che ti ritrovi” ammiccò Keath, e Mal pensò a Summer e al suo carattere infuocato. “Ora che il frigo è stato igienizzato dalle schifezze di Bobby, dobbiamo infilarci dentro qualcosa di commestibile e, stando alle tabelle che abbiamo fatto, tocca a te.”

“Avresti dovuto fare ingegneria, non arte e scienze” brontolò Mal, uscendo di casa per poi dirigersi alle scale.

Per quanto lo stabile avesse un ascensore, lui preferiva tenersi in costante allenamento, e le scale erano un ottimo metodo per farlo.

Scendendo gli scalini a due a due, Mal sospinse il suo potere dinanzi a sé per essere sicuro di non incontrare nessuno.

Sarebbe stato assai imbarazzante, oltre che doloroso, andare a sbattere contro qualcuno, e solo perché lui stava facendo le scale di corsa.

Quando infine raggiunse il seminterrato, dove si trovavano i parcheggi privati dello stabile, entrò nella Toyota di Keath e uscì con calma per dirigersi al market.

 
***

Indeciso se prendere una confezione da dodici barattoli di piselli, o limitarsi a quella da sei, Malcolm si scostò appena quando scorse un’ombra avvicinarsi a lui.

“Mi scusi…” mormorò sommessamente, levando appena lo sguardo per curiosare accanto a sé.

“Nessun problema. Riesco a passare” replicò una dolce voce femminile, di contralto.

Non fu tamtp quel timbro vocale delicato ad attirarlo, quanto il profumo di gelsomino che si insinuò nelle sue narici.

I suoi occhi smeraldini colsero subito un viso eburneo, lunghi capelli nerissimi, al pari degli occhi che, intrecciati ai suoi, sorrisero caldi, delicati.

“Ingombro tutta la fila, col carrello” riuscì a dire Malcolm, spostandosi ulteriormente per lasciar spazio alla bellezza orientale che gli era capitata innanzi.

“Hai intenzione di fare molti polpettoni coi piselli” ironizzò allora la ragazza, indicando le scatole che lui teneva per le mani.

Mal abbassò lo sguardo per un momento, prima di ridere sommessamente.

Poggiata la confezione da sei sul ripiano, sistemò quella da dodici nel carrello e replicò: “Per la verità, se mi cimentassi in un’opera del genere, mia madre potrebbe gridare alla fine del mondo. E’ un mio coinquilino, che ne mangia in quantità industriale, per cui…”

Le sopracciglia arcuate della giovane si levarono sorprese e, sorridendo, domandò: “Oh… studente. E di cosa, se posso chiedere?”

“Arte e Scienze alla Columbia. Sono all’ultimo anno e…”

Aggrottando la fronte, Malcolm studiò con maggiore attenzione il viso avvenente della giovane, chiedendosi se sarebbe stato tanto stupido da scadere nella banalità.

Ebbene sì, lo era. Stupido e banale.

“Ho l’impressione di averti già vista…”

Lei si esibì in un risolino fanciullesco e, annuendo, ammise: “Potrei dire lo stesso e, sapendo dove vai a scuola, so già che nessuno dei due sta dicendo sciocchezze senza senso perché non sa come attaccare bottone. Sono al terzo anno di Arte e Scienze, per cui niente di strano se mi hai visto in giro per il Campus.”

Più sollevato, Malcolm le allungò una mano, dicendo: “Beh, tanto meglio. Detesto fare la figura dell’idiota. Sono Malcolm Hamilton, tanto piacere.”

“Eiko Kurumi, piacere mio” replicò lei, volgendosi poi a mezzo non appena sentì la voce dell’amica raggiungerla alle sue spalle.

Piegando il viso di lato per sorridere alla ragazza che stava sopraggiungendo, aggiunse: “E lei è Rin Otonashi. E’ nel corso con me, ed è la mia migliore amica.”

“Ehi, eccoti, finalmente!” esalò quest’ultima, bloccandosi accanto a Eiko prima di levare lo sguardo su Malcolm e sorridere. “Oh, …ora capisco perché ti sei attardata. Ciao.”

“Ciao, Rin. Io sono Malcolm. Siamo tra leoni1, a quanto pare.”

Il sorriso di Rin si allargò, illuminando i suoi profondi occhi color cioccolato.

Avvicinandosi a Mal fin quasi a sfiorarlo, allungò una mano e disse: “Beh, sarà un vero piacere studiare, quest’anno, sapendo che ti vedrò in giro per il Campus. Peccato averti scoperto solo ora.”

Lui si limitò a sorriderle e, stringendo la sua mano, venne squassato da un’improvvisa ondata di energia.

Si impose di non guardarla stranito, ma la sorpresa fu tanta, condita da un’insoddisfazione a stento celata.

Gli fu del tutto impossibile comprendere l’origine esatta di quell’energia, né la sua natura. Di una sola cosa, era sicuro; se n’era già andata.

Rin ritirò la mano, lasciando scivolare le dita su quelle di Mal in una carezza ed Eiko, sorridendo all’amica, disse: “Sarà meglio che andiamo, ora. Inoltre, stiamo disturbando Malcolm durante le sue spese.”

“Nessun disturbo, davvero” replicò Mal, scuotendo il capo.

Rin parve restia ad andarsene, ma lasciò che Eiko la trascinasse via con sé.

Poco prima di svoltare dietro una fila di prodotti in scatola, però, si volse a mezzo per lanciare un’occhiata maliziosa e birichina a Malcolm, che lui non poté evitare di notare.

Un attimo dopo, le due erano scomparse.

“Cristo…” esalò il giovane, passandosi una mano sulla nuca. Fu così che notò i peli rizzati sulle braccia e sul collo.

L’energia che lo aveva percorso lo aveva stordito più di quel che avesse immaginato e, quel che era peggio, non era stato in grado di comprenderne la portata.

La percepiva ancora, sfrigolante sulla sua pelle, pur se meno intensa di prima, ma non riusciva a interpretarne la natura. Malvagia, o benigna?

Forse, era il caso di fare due chiacchiere con chi sapeva lui.

 
***

Sean O’Gready, oltre che antico Prescelto di sua zia Summer, era attualmente il Decano del Sapere del Clan della Ruota e si occupava di tutti gli scritti presenti nell’enorme libreria di Hamilton Manor.

Sposato con una gentilissima quanto dolce maestra d’asilo di Dublino e, tra le altre cose, Gran Sacerdotessa del culto di Arianrhod, Sean era la persona ideale da consultare, in casi come questo.

Non riusciva a raccapezzarsi su quel qualcosa che lo turbava, e gli risultava impossibile chiedere aiuto ai suoi genitori.

Non voleva disturbarli a ogni piè sospinto.

Pur non essendo un Guardiano degli Elementi come il padre o gli zii – o lui stesso – Malcolm sapeva di potersi affidare a lui, quando qualcosa lo confondeva.

A rispondere al video-telefono però fu Bryony, sua moglie, non Sean.

Il viso solcato dagli onnipresenti occhialetti sottili in metallo, gli intelligenti occhi nocciola intenti a studiarlo attraverso lo schermo, la donna esordì dicendo: “Oh, buona giornata, Guardiano. Immagino tu stia cercando Sean.”

“Bryony… buongiorno a te. Se non disturbo, avrei davvero bisogno di parlare con lui” le sorrise Malcolm.

“Per te o gli altri Guardiani, noi siamo sempre a disposizione” mormorò la donna, scostandosi un attimo dal video per chiamare il marito. Un attimo dopo, sorrise a Malcolm e aggiunse: “Ádh mór…”

Buona fortuna.

Sì, a dirla tutta, ne aveva davvero bisogno, specialmente adesso.

Non occorse più di un minuto, a Sean, per raggiungere il video-telefono e, quando vide Mal all’altro capo, sorrise spontaneamente e disse: “Bry mi ha detto che sei in ansia per qualcosa. Posso aiutarti?”

“Per la verità, non so neppure come esporti il problema, visto che non so se c’è, un problema” esordì Malcolm, combattuto su cosa dire, e come.

“Prova a dirmi dove ti sono sorti dei dubbi” gli propose allora l’uomo, passandosi una mano tra i capelli biondi, striati di bianco sulle tempie.

“Dunque, sono già un paio di mesi che avverto delle correnti sotterranee, nel mio elemento. Come se ci fossero delle onde di marea opposte alle mie, che si infrangono contro gli Elementali” cercò di spiegarsi il giovane, grattandosi una guancia con fare pensoso.

Come spiegare, a parole, le sensazioni provate? Era più difficile di quanto non avesse pensato in un primo momento.

Anche Sean parve confuso da quella magra spiegazione, ma attese qualche attimo per parlare, rimuginando attentamente sulle parole enigmatiche del giovane.

“Un’onda opposta… e non l’hai riconosciuta, giusto?”

“Esatto.”

“Allora, possiamo escludere a priori le creature mistiche legate al culto dei Celti. Sono le uniche che puoi riconoscere senza fallo. Fauni, ondine e brùnaidh sono da scartare” mormorò pensoso Sean, elencando le creature attualmente ancora in vita nel pantheon celtico.

“Quindi, stiamo parlando di un’altra creatura… di un pantheon intero, forse? O una creatura slegata dall’ambito divino?”

Sean scrollò le spalle, impotente, replicando: “Se si trattasse di Fenice2, lo sapresti. E’ un tipo di potere unico nel suo genere, e lo hai già toccato altre volte, vero?”

Mal annuì, rammentando il giorno in cui, nelle nebbie degli spiriti terreni, si era affacciata una luce diversa dalle altre, una luce così poderosa da oscurare qualsiasi altra cosa.

Maeb l’aveva definita ‘il primo vagito di Fenice’, e lui le aveva chiesto subito spiegazioni in merito.

Con un sorriso misterioso, la donna gli aveva spiegato che, da tempi immemori, Fenice camminava sulla terra sotto sembianze umane.

Quando, nel corpo umano di Fenice, si risvegliavano i primi poteri divini, la sua ‘luce spirituale’ si illuminava come una stella e, da quel momento, era impossibile non notarla.

“Non si tratta di Benjamin Thomson, ne sono sicuro” scosse il capo, riferendosi all’attuale Fenice rediviva.

“Puoi darmi qualche indizio in più? Ti sembrava un’energia ostile?”

“No… curiosa, piuttosto. Ma non ostile” sottolineò, cercando di scavare nella sua memoria alla ricerca di altri indizi utili.

Tutto inutile.

Non c’era davvero altro, che rammentava, a parte la sensazione di disagio provata in quei momenti.

“Proverò a fare qualche ricerca. Non possono davvero essere molte, le creature mistiche ancora presenti sulla Terra, ti pare? Se verrò a capo di qualcosa, ti farò sapere. Alla peggio, interpellerò io stesso Benjamin, per sapere cosa ne pensa. Per ora, non pensarci, e goditi il tuo ultimo anno all’Università.”

“Tenterò. Tu e Bryony verrete presto a trovarci, vero?”

“Verremo per Natale” assentì Sean, salutandolo prima di chiudere la comunicazione.

Lasciandosi andare sul letto, le mani intrecciate dietro la nuca, Malcolm fissò pensoso il soffitto, la mente lasciata andate a briglia sciolta.

Avvertì senza sforzo le anime dei suoi due amici, impegnati in una battaglia navale tridimensionale nella loro stanza. Le loro anime brillavano come lampadine a led.

Chiusi gli occhi, si concentrò quindi sulla città, vagando senza meta tra quell’immensità di anime candide e non, scivolando tra loro come l’acrobata di un circo.

Nessuna di loro lo attirava particolarmente, motivo per cui fu certo non vi fosse, nelle vicinanze, alcuna creatura ‘conosciuta’.

Sarebbe stato divertente dialogare con una ondina, una fata dell’acqua, che tanto avevano in comune con gli Elementali governati da suo padre.

Erano creature ciarliere e, nei loro corpi umani, di solito svolgevano sempre lavori in cui, parlare e conoscere, era vitale come l’aria che respiravano.

Non si sarebbe mai potuta trovare una ondina sul fondo oscuro di una biblioteca, ma al bancone di un bar, poco ma sicuro.

Così come a un call center, o al banco di una reception. Erano lavori che adoravano.

Estendendo ancora un poco il suo potere, Mal uscì dai confini di New York e, inevitabilmente, andò a sbattere contro la luminosità di Benjamin.

Pur se abitava all’altro capo degli States, era difficile non rimanerne abbagliati, se non si stava particolarmente attenti.

Deviò perciò dallo Stato di Washington per scendere verso il Texas, e il Messico.

Lì, le anime erano più allegre e chiassose.

Indugiò per qualche attimo in un locale dove la gente si stava divertendo – un bar? una discoteca? – prima di rientrare nel suo corpo e sospirare.

No, l’energia psichica che lo aveva disturbato tanto, pareva essersi nascosta, celata alla sua vista. Neanche volesse giocare a nascondino con lui.

“Come se io avessi voglia di starmene qua a giocherellare come se niente fosse” brontolò Malcolm, rigirandosi sul letto.

L’indomani sarebbero iniziate le lezioni all’ateneo e, entro l’anno successivo, avrebbe potuto finalmente conseguire la laurea in Arte.

Sapeva già cosa farne.

Aveva dei buoni contatti con un gallerista di Washington D.C., lo stesso che, per anni, aveva esposto le opere fotografiche di zia Brigidh.

Il suo gusto e la sua attenzione per i particolari lo avevano conquistato e, anche grazie al suo fiuto per un falso d’autore – che aveva salvato il gallerista da un buco milionario – si era aggiudicato un posto quasi sicuro presso di lui.

Non gli dispiaceva aver trovato un potenziale lavoro vicino a casa, checché ne dicessero gli amici di avere i genitori a poca distanza da loro.

Lui amava la sua famiglia e, indipendentemente dalla loro interconnessione spirituale, non avrebbe mai avuto nulla da ridire, nell’averli vicino.

Che Keath e Bobby cercassero lontano dai loro lidi di appartenenza, se volevano. A lui piaceva l’idea di tornare a Washington, così come il pensiero di poter stare accanto ai suoi cari.

Non l’avrebbe mai trovato sciocco, né infantile. Per lui, la famiglia era davvero tutto.

 

 
 
----------------------------------------------------------------------------- 
1: La squadre sportive della Columbia University hanno come simbolo il leone.
2: Mi riferisco a un personaggio di ‘Ali Scarlatte 2.0’, una storia che ho scritto qualche tempo fa e che trovate qui.
----------------------------------------------------------------------------
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark