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Autore: elefiore    06/08/2016    0 recensioni
Rufio.
Il nome di un soldato, il nome di un ribelle.
Un uomo temuto da molti.. e amico di nessuno.
Un uomo che uccide per sopravvivere.. o sopravvive per uccidere?
Due facce di una stessa, fragile medaglia.
***
Scusate, ma per via di un ransomware ho perso tutti i dati.. appena riesco a recuperare qualcosa o a trovare un po' di tempo per riscrivere tutto.. continuerò. Al più presto. A presto!
Genere: Fantasy, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dopo un interminabile viaggio di almeno tre ore, a giudicare dal sole, Rufio e la ninfa arrivarono ad un punto della foresta in cui si trovava una fitta nebbia.
La ninfa lo afferrò per una mano.
“Stammi vicino, o ti perderai.”
Lui annuì e si lasciò guidare attraverso quella densa coltre, cercando di rimanerle il più vicino possibile.
Cercò di distinguere qualcosa, senza successo, fino a quando non scomparve tutto all’improvviso per lasciare spazio ad una stradina sterrata fra gli alberi.
Rufio la seguì con lo sguardo e rimase quasi incantato da quello che vide alla sua fine: un alto arco di rami verdeggianti si allungava verso l’alto attirando lo sguardo per poi portarlo verso una piazzetta, al centro della quale si ergeva imponente un enorme albero.
Varcata la soglia, non poté fare a meno di avvicinarvisi.
“Lo chiamiamo Arìl. Nella nostra lingua ar significa albero ed ìl vita.” sentì dire dalla ninfa alle sue spalle
“Albero della Vita? Rende l’idea.”
Era immenso, alcuni dei suoi rami avrebbero potuto sorreggere una casa. Il suo tronco doveva essere largo almeno quattro metri ed era scuro, ma in un punto la corteccia era staccata e s’intravedeva un legno molto chiaro. Le foglie dell’albero erano molto carnose, di un luminoso verde prato.
Rufio sentiva quell’albero come un essere potente, quasi fosse dotato di una propria intelligenza, di una propria aura. Dal suo tronco proveniva una forte sensazione di pace, un rigenerante torpore.
“Immagino sia strano incontrarlo, per te.”
“Incontrarlo?”
“Sì. L’Arìl non è una semplice pianta, come avrai notato. È il nostro albero sacro, il nostro consigliere.” spiegò
“Potete comunicare con lui?”
“Qualcosa del genere. Comunica tramite sogni, visioni, sensazioni.”
Rufio, che aveva spostato lo sguardo sulla ninfa, lo posò nuovamente sull’albero ed inconsciamente, si portò indice e medio della mano destra all’altezza del cuore e del capo, che chinò appena.
“Come conosci quel gesto?”
Si voltò verso di lei, confuso.
“Quale gesto?”
La ninfa lo ripeté, assumendo la sua stessa espressione.
“Non lo so, mi è venuto spontaneo.”
Lei parve pensarci su.
“Capisco. Forse l’Arìl ha voluto comunicarti qualcosa.. è raro, ma è successo altre volte che comunicasse in questo modo. Non so cosa significhi. Ora andiamo, ci staranno aspettando.”
“Chi?”
“Alcune ninfe. Seguimi.” disse, incamminandosi lungo un sentiero costeggiato da strane costruzioni.
Rufio le guardò con ammirazione.
“Sembrano di legno vivo,” osservò, “è per via di un incantesimo?”
La ninfa si portò il dorso della mano alle labbra ridacchiando.
“Affatto. Quelle che vedi sono le nostre case.. e sono davvero di legno vivo.” spiegò “In questa zona crescono delle piante di natura magica, i Lenæ, che formano con i loro fusti gli scheletri di ciò che vedi. Noi ci limitiamo a coprirne l’interno di rami, per renderli più solidi, e di foglie di Aelor, che fungono da pareti dove quelle dei Lenæ non sono sufficienti.”
“Incredibile..”
Mentre lui seguiva la ninfa osservando ogni cosa di quello strano luogo, lei spiegò le funzioni delle varie costruzioni, alcune costituite da piante e rami ed altre da grossi sassi e pietre preziose, fino a quando non si fermarono davanti ad un edificio dal quale irradiava una strana sensazione, come un alone luminoso.
“Siamo arrivati. Questo è il luogo più importante e sacro tra tutti quelli che hai visto fino ad ora e che vedrai in futuro: il nostro tempio. È principalmente fatta di pietre albine, ma anche di opale, onice, ametista e pietra di luna, in quanto sono le più amate da Nethrel.”
“Quindi la vostra dea è quella che secondo la leggenda ha dato vita a Yelaneth ed Yvrel?”
“Non è una mera leggenda. Esistono esseri che da generazioni si tramandano la loro reale storia, una storia che nessuna razza conosce.”
“Mi piacerebbe-“
“No, non puoi ancora sentirla. Un giorno, forse.” lo interruppe, e senza aspettare lo fece entrare.
Due uomini, tra cui uno che sembrava molto anziano, ed una donna spostarono lo sguardo verso di loro nel sentire il portone chiudersi.
“Vi stavamo aspettando.” disse l’uomo più giovane, poi si avvicinò a Rufio e continuò “Lascia che mi presenti.”
Il Vahirden non poté fare a meno di notare i suoi magnetici occhi neri, sentendosene quasi intrappolato.
“Io sono Thaome, Sacerdote Nuovo della dea Nethrel ed interprete del sacro Arìl.” disse, chinando appena il capo per un semplice saluto, “Mentre lui” ed indicò con un gesto della mano l’uomo anziano “è il Sacerdote Anziano, mio consigliere e Maestro.”
Rufio portò il pugno destro alla spalla opposta, chinando il capo e riuscendo finalmente a spostare lo sguardo verso il terreno, e fece un passo indietro con la stessa gamba, come era d’uso fra i Vahirden per salutare mostrando grande rispetto.
“È un onore.” disse, prima di alzare nuovamente lo sguardo.
Thaome fece un cenno alla donna, che si avvicinò a sua volta.
“Lei è una mia ancella, ti scorterà al luogo che sarà la tua casa durante l’addestramento.”
Annuì e si prese un istante per osservare velocemente, alle spalle del Sacerdote Nuovo, la struttura del tempio.
A pochi metri di distanza, davanti ad una particolareggiata vetrata, si trovava un altare candido.
“Non preoccuparti, avrai modo di visitare questo luogo più avanti.” lo distolse dal suo intento l’uomo “Ora va’ alla tua futura dimora e per le strade del villaggio, lei ti farà da guida.” continuò, mentre lei si limitava ad annuire, e concluse dicendo “Ci rincontreremo presto.”
A quelle parole, Rufio si congedò e seguì l’ancella all’esterno, ma non gli sfuggì l’occhiata che l’essere le aveva riservato: era uno sguardo che non ammetteva errori.
La ragazza, a capo chino, si avviò verso il maestoso albero al centro del villaggio e sostò davanti ad esso per un solo istante, giusto quanto bastava per poggiare ai suoi piedi un piccolo contenitore di foglie intrecciate.
“Cos’è?” le chiese Rufio, curioso, ma lei si limitò a voltarsi di scatto verso di lui, come spaventata dalla sua voce, ed a riprendere il cammino dopo una brevissima esitazione.
Si fermarono nuovamente solo davanti ad una casa di Lenæ riccamente agghindata.
Gli fece cenno di entrare.
Lui ringraziò e oltrepassò la tenda di Aelor per ritrovarsi all’interno.
Quella casa era molto più grande di quanto si sarebbe aspettato guardandola da fuori.
Sull’atrio centrale si aprivano tre archi costituiti da lunghi intrecci di rami e foglie, ognuno dei quali dava su una stanza.
L’ancella fece strada verso la prima stanza, facendo entrare lui per primo.
“Questa stanza è dedicata al giorno.” disse, lasciando che Rufio sentisse la sua voce per la prima volta “Ci sono armature, armi e strumenti per l’allenamento da quella parte e lì in fondo, al tavolo, ingredienti ed oggetti utili per veleni, antidoti ed altre funzioni alchemiche.”
Lasciò che Rufio desse un’occhiata veloce, poi proseguì alla stanza successiva, spiegando semplicemente che era per la cura personale, ed infine lo accompagnò alla terza stanza, nella quale lui avrebbe dovuto dormire.
“Potete dormire e sistemare i vostri averi in questa stanza, sarò in ogni caso reperibile in ogni momento, per qualsiasi necessità.”
“E dove dormirai, per essere sempre reperibile?”
“In un giaciglio qui fuori, signore.”
“Fuori? Perché?”
“Si, appena fuori, sul retro. Non posso dormire nella stessa casa del mio padrone, seppur provvisorio.”
“Padrone? Scherzi, spero.”
“Affatto, signore. Sono qui per eseguire ogni vostro ordine e servirvi come e quando volete.”
“Qualsiasi ordine?”
“Si, signore, qualsiasi ordine.”
“Allora ti darò subito tre ordini. Li eseguirai indipendentemente da cosa ti dirò?”
L’ancella annuì.
“Perfetto. Il primo è di non darmi del voi, ma del tu.”
“Ma signore-!”
“Hai detto tu che li avresti eseguiti, o sbaglio?”
Esitò.
“Non sbagliate.. Voglio dire.. non.. sbagli..”
“.. Rufio.” concluse per lei.
“R-Rufio.” balbettò.
“Perfetto, il mio secondo ordine è di non dormire fuori.”
“Come? Non-!”
“È un ordine. Dormirai al coperto e al caldo, da qualche parte qui dentro.”
“S-sissignore.”
“Il terzo ordine è questo: farai quello che vuoi quando vuoi e dove vuoi, indipendentemente da cosa sia. Possibilmente, gradirei che, se tu volessi spostare o usare ciò che ho portato, preferirei che me lo chiedessi. Va bene?”
“Va.. va bene.”
“Come ti chiami?”
“Leyah, signore.”
“Signore?” la rimbeccò
“Volevo dire.. Rufio.”
“Bene, Leyah. Preparati ad essere viziata, per quanto possibile. Non sopporto proprio le sottomissioni.”
Sorrisero entrambi.
“Ora è meglio che mi prepari, sarà una lunga giornata.”
  
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