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Autore: Halley Silver Comet    25/08/2016    3 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 20



- Capitolo Ventesimo -
Vento di Cambiamenti




C
ontrariamente a quanto aveva sostenuto Bellocchi, Beatrice dimostrò di possedere una preparazione di gran lunga superiore a gran parte dei suoi studenti e questo, alla fine, le valse un bel cinquantaquattro.
La mattina in cui uscirono i quadri, la fanciulla incrociò per caso proprio il professore di lettere nel corridoio al piano terra e, dall’occhiataccia che questi le lanciò quando le passò accanto, sembrò non aver gradito quel brillante risultato. Non che a lei importasse più di tanto, comunque, visto che non lo avrebbe più rivisto; tant’è che si lasciò subito contagiare dall’entusiasmo di Vittoria, la quale le aveva appena confessato di non essere stata così soddisfatta nemmeno ai tempi del suo esame di maturità.
Infatti, mentre percorrevano Corso Trieste sotto il caldo asfissiante dei primi di luglio per raggiungere la fermata dell’autobus, situata lungo Via Nomentana, quella, cavalcando l’onda dell’entusiasmo, esclamò: «Ero certa che sarebbe andato tutto bene!»
«A dire il vero, se prima degli esami m’avessero detto che l’epilogo sarebbe stato così soddisfacente, non c’avrei creduto!» replicò, invece, la fanciulla, che ancora non aveva realizzato appieno di essere sopravvissuta anche a quell’incubo.
«Perché ti sottovaluti troppo, Beatrice» ribatté, a sua volta, l’altra, fermandosi un attimo per scrutarla severamente. «Se si fanno le cose con impegno e determinazione, quasi sicuramente vanno a buon fine e gli sforzi non vengono ripagati».
In risposta, la ragazza si limitò a sorridere, poiché, di fronte all’evidenza dei fatti, non aveva proprio nulla da aggiungere.
«Adesso non ti resta che scegliere la facoltà che vorrai frequentare, allora» continuò Vittoria, riprendendo a camminare dopo aver spostato la borsa color panna da una spalla all’altra. «Se vuoi, posso accompagnarti a chiedere informazioni sui vari corsi, così potrai fare dei confronti».
Nell’udire quelle parole, Beatrice realizzò improvvisamente che la possibilità di frequentare l’università era diventata una realtà concreta e farlo sarebbe stata una scelta solamente sua, senza che ci fossero parenti invadenti o egoisti a metterle i bastoni fra le ruote: il suo desiderio di emancipazione e riscatto, finalmente, non era più soltanto un sogno.
«Se’ molto gentile, Vittoria, tuttavia, credo di aver già deciso: m’iscriverò a storia dell’arte» le rispose, dopo essersi presa qualche secondo per assaporare quell’invitante prospettiva.
«So che ti piace molto come indirizzo, quindi penso sia davvero quello che fa per te» replicò subito l’altra, sorridendole compiaciuta, e la fanciulla annuì, ricambiando il sorriso.
Certo, ci sarebbe stato il problema dei come pagare le tasse universitarie, ma era convinta che, in un modo o nell’altro, se la sarebbe cavata, come aveva fatto fino ad allora. Infatti, la signora Sofia le aveva lasciato intendere che a settembre l’avrebbe riassunta volentieri e, magari, le cose si sarebbero sistemate da sole, anche perché
non era nelle sue intenzioni fare la mantenuta pesando sulle spalle di Marcello, nonostante fosse ad un passo dal diventare suo marito e non avesse problemi economici.
Come se avesse intuito i suoi pensieri, l’amica propose, tutto d’un tratto: «Che cosa ne dici, Beatrice, se passassimo un attimo in merceria?»
Lì per lì, la fanciulla rimase sorpresa e rispose: «Adesso?»
«Certamente! Non ti farebbe piacere informare la tua benefattrice del tuo brillante risultato?» replicò l’altra, proprio mentre svoltavano in Via Nomentana, lasciando l’ombra protettiva degli edifici e ritrovandosi sotto un sole cocente.
«In effetti, credo che tu abbia ragione, sai? Mi sembra il minimo dopo che ho lasciato il lavoro per prepararmi meglio» notò Beatrice, socchiudendo gli occhi e schermandoli con il palmo della mano per evitare di essere accecata dall’intensa luce del mattino.
Tuttavia, non le sfuggì comunque il largo sorriso di Vittoria, che le fece sospettare ci fosse un altro motivo di tutt’altra natura dietro quella deviazione improvvisa.
Ciononostante, non le fece altre domande e la seguì, affrettandosi a raggiungere la fermata dell’autobus.

Alessio e Valentina videro le due ragazze da lontano e, senza indugiare nemmeno un secondo, corsero loro incontro.
«Beatrice, finalmente sei tornata!» la salutò la bambina, prendendole le mani e cominciando a saltellare allegramente, come se avesse rivisto dopo tanto tempo la sua compagna di scuola preferita.
«Ciao, Vittoria!» le fece eco il fratello, avvicinandosi all’altra.
Quella confidenza inaspettata richiamò subito l’attenzione di Beatrice, che inarcò un sopracciglio e chiese, incredula: «Vi conoscete?»
Il ragazzino si voltò subito verso di lei, guardandola sbattendo le palpebre.
«Sì, è già venuta per...» cominciò a spiegare, prima che la sorella lo zittisse tirandogli un calcetto. Alessio tentò di protestare, ma Valentina scosse la testa, portandosi nel frattempo un indice alle labbra. Il bimbo, allora, cambiò repentinamente espressione ed ammutolì.
Insospettita da una reazione simile, Beatrice scrutò perplessa i due fratelli e stava proprio per chiedere loro spiegazioni, quando intervenne prontamente Vittoria: «Be’, vengo spesso qui a fare rifornimenti di stoffe e bottoni. Non ricordi, Beatrice, che una volta mi hai servita proprio tu?»
Di fronte ad una tale prontezza, la fanciulla si voltò verso l’amica e aggrottò la fronte. Tuttavia, non potendo controbattere la veridicità dell’affermazione, tacque, ma senza abbassare la guardia, intuendo che nessuno dei tre gliela stava raccontando giusta. Comunque, decise di accantonare momentaneamente la faccenda, sperando di ottenere più tardi qualche delucidazione da Vittoria.

Quando, poco dopo, entrò nel negozio, la ragazza lo trovò molto cambiato, con numerosi costumi da bagno appesi un po’ ovunque e colorate borse di paglia da mare disposte con ordine in ogni angolo.
Il solito tintinnio del campanello posto dietro la porta richiamò immediatamente la sarta, che comparve dal retrobottega portando due bicchieri colmi di fettine di pesca per la merenda dei bambini.
Non appena vide Beatrice, però, appoggiò tutto sul bancone e, sorridendo, le andò incontro.
«Cara, che sorpresa!» esclamò, abbracciandola affettuosamente. «Come stai?»
«Molto bene, signora Sofia. E lei?» rispose la giovane, incurvando a sua volta le labbra.
«Bene, bene, non c’è male» fece l’altra, inclinando appena la testa. «Hai finito gli esami?»
Accompagnando le parole con un gran sospiro di sollievo, Beatrice annuì e non perse altro tempo: «Oh, sì, son passata proprio per dirle che stamani ho saputo il risultato: cinquantaquattro!»
«Sei stata bravissima!» si congratulò, allora, la sarta, battendo le mani con grazia. «Anche se, in realtà, non ho mai avuto alcun dubbio sulle tue capacità».
«Che voto sarebbe cinquantaquattro?» domandò, invece, Alessio, entrando nel negozio, seguito dalla sorella e da Vittoria.
Beatrice li fissò per un attimo aggrottando la fronte, rendendosi conto solo in quel momento che quei tre avevano lasciato che andasse avanti da sola, rimanendo fuori a confabulare tra loro e decisamente questo deponeva a loro sfavore, rafforzando i suoi sospetti. Ma che cosa stavano
macchinando alle sue spalle?
«Sarebbe un nove, più o meno» rispose, perplessa, scrutando prima i due bambini e poi Vittoria, cercando di cogliere qualche particolare che l’avrebbe tradita, ma invano: la ragazza sembrava il ritratto della serenità e qualunque cosa avesse architettato, stava riuscendo a dissimulare molto bene il suo coinvolgimento.
«Allora sei stata proprio brava!» commentò Valentina, distraendo la fanciulla dalle sue elucubrazioni. «Chissà se riuscirò anch’io a prendere un voto così alto...» aggiunse, assumendo un’espressione preoccupata. Il fratello, invece, sbuffò e roteò gli occhi.
Divertita dalle precoci preoccupazioni della figlia, la signora Sofia le sorrise e le accarezzò i capelli, rassicurandola: «Per ora non ci pensare, ci vuole ancora un po’ di tempo prima che tu vada al liceo...»
«Peccato, io non vedo l’ora di finire!» saltò su, allora, il bambino, scurendosi in volto e dimostrando ancora una volta di non nutrire verso la scuola lo stesso entusiasmo della sorella.
A quella simpatica uscita, la madre guardò Alessio con dolcezza e scosse la testa, per poi tornare a rivolgersi a Beatrice: «Cara, come procede l’organizzazione del matrimonio, invece?»
«Abbastanza bene, anche se non abbiamo chissà quali grandi preparativi da ffare... Sa, con Marcello si è pensato di fare una cosetta piuttosto semplice» rispose lei, sentendosi subito angosciata al solo ripensare al fatto che la madre di lui non solo aveva negato loro il suo aiuto, ma aveva anche fatto il diavolo a quattro affinché nessuna delle sue conoscenze prendesse parte alla cerimonia: il risultato era che avevano solo una manciata di invitati e ben pochi festeggiamenti da organizzare.
Il fatto, poi, che la donna continuasse a far finta che Beatrice non esistesse, ignorandola ogni volta che si erano ritrovate nelle stessa stanza (e, per fortuna, era successo solo in un paio di occasioni, da quando Marcello le aveva fatto la proposta), aveva contribuito a far nascere nella fanciulla un astio verso di lei pari solo a quello che anutriva nei confronti delle sue parenti e di Navarra. Ma ciò che la amareggiava di più, però, era l’esser certa che, se invece di remare loro contro, la signora Claudia avesse impiegato le sue energie e la sua capacità di persuasione in senso positivo, ne sarebbe venuto fuori sicuramente un matrimonio dignitoso e molto raffinato.
«E... per quanto riguarda il tuo vestito da sposa?» chiese ancora la sarta, distogliendo la ragazza dai suoi cupi e angusti pensieri.
«Non l’ho ancora avuto tempo di andare a provarne qualcuno» le rispose quella, facendo spallucce.
«Gli esami hanno avuto la precedenza» spiegò Vittoria, che fino a quel momento era stata insolitamente zitta. Tuttavia, aveva usato un tono quasi divertito che stupì non poco Beatrice, che per questo cominciò a temere che le stessero organizzando qualche scherzo, nonostante la sua parte più razionale stesse tentando di tranquillizzarla, sostenendo che quella ragazza e, soprattutto, la signora Sofia non erano persone in grado di prendersi gioco di lei. Anche se, d’altra parte, era così evidente che le stavano tenendo nascosto qualcosa...
«Già» mormorò, allora, Beatrice, osservando di sottecchi l’amica, decisa a scacciare quell’inquietudine che si era impossessata di lei. Poi, si ricompose e tornò a rivolgersi alla donna: «A proposito, signora Sofia, lei saprebbe suggerirmi qualche negozio che ne ha di carini, ma a basso prezzo? Andrebbe bene anche... usato».
Non appena ebbe finito di pronunciare quella domanda, nella merceria calò un silenzio pesante e la sarta guardò la fanciulla con un misto di dolore ed incredulità, come se non avesse mai pensato che la sua ex lavorante potesse farle una richiesta del genere. Sotto un tale sguardo, Beatrice si sentì arrossire, poiché non voleva la pietà di nessuno: la faccenda era già abbastanza spinosa, senza che si aggiungesse anche la compassione di una persona che reputava un’amica.
Tuttavia, la donna mutò presto la sua espressione in una di pura gioia e, scuotendo la testa, le rivelò a bassa voce, come se le stesse confidando un importante segreto: «Oh, no, cara. A dire il vero, non credo proprio ce ne sarà bisogno».
Detto ciò, si allontanò con il sorriso di chi la sa lunga stampato sul volto, diretta verso il retrobottega, mentre Alessio e Valentina la guardavano ridacchiando. Sconvolta da un simile atteggiamento, Beatrice si chiese se non fossero ammattiti tutti o se, invece, non fosse prigioniera di una strana allucinazione in cui era finita in una realtà alternativa. Istintivamente, cercò con lo sguardo Vittoria, per poi accorgersi che anche lei stava cercando di trattenersi dal ridere.
Stava proprio per sbottare, stizzita, e chiedere perché si stessero divertendo a trattarla come una stupida, quando la signora Sofia fece ritorno nel negozio, reggendo con una mano una gruccia e con l’altra un enorme sacco di tela bianca che pendeva dal gancio. Non era la prima volta che Beatrice vedeva un oggetto del genere, perciò lo riconobbe subito come una sacca porta-abiti.
«Aprilo, è per te» le disse con dolcezza la donna, appoggiando tutto sul bancone, proprio davanti a lei. «Questo è da parte di tutti noi».
Lì per lì, la fanciulla rimase di stucco, non sapendo proprio cosa potesse contenere quell’involucro di stoffa, tant’è che si limitò a far scorrere lo sguardo su tutti i presenti, i quali la guardavano a loro volta, incuriositi, come se aspettassero di conoscere la reazione che avrebbe avuto nell’aprire quel misterioso regalo.
A quel punto, Alessio e Valentina le si avvicinarono e le si disposero uno per lato, per essere i primi a condividerla con lei e, allora, la ragazza, incoraggiata da quel gesto, afferrò il cursore della chiusura lampo che chiudeva la sacca e, dopo aver preso un bel respiro, lo tirò giù, fin oltre la metà, in un sol colpo, rivelando ben presto un trionfo di seta e pizzo color bianco ghiaccio.
Non riuscendo a credere ai propri occhi, Beatrice si adoperò per liberare immediatamente il vestito e per poterlo così ammirare meglio: infatti, sembrava uscito direttamente da una fiaba, non perché fosse pomposo o particolarmente ricco nei ricami, anzi, era davvero semplice, bensì perché era stato fatto apposta per lei.
«L’è meraviglioso...» riuscì a stento a mormorare, passando delicatamente le dita sulle maniche di pizzo, incantata da ogni particolare.
«Ti piace?» chiese Valentina, osservandola speranzosa.
«Da morire, piccina...» le rispose Beatrice, poco prima di appoggiare con estrema cura l’abito sul bancone e chinarsi sui due bambini per abbracciarli.
«Grazie, grazie mille!» esclamò, commossa, rialzandosi, mentre Alessio gonfiava il petto, orgoglioso per la sorpresa ben riuscita e la sorella batteva le mani, felice. Poi, la fanciulla si diresse verso la signora Sofia e Vittoria, per ringraziare anche loro.
«Ero certa che ti sarebbe piaciuto!» fece l’amica, con un gran sorriso, ricambiando il caloroso abbraccio che aveva ricevuto. «Altro che abito da sposa usato!»
«Davvero, non riuscirò mai a dirvi grazie abbastanza...» sussurrò l’altra che, pur sapendo di avere un’espressione da sciocca dipinta sul volto, non se ne curò, volendo godersi pienamente quel momento di felicità.
«Be’, potresti farlo indossandolo per noi, in anteprima» propose, allora, la donna, ammiccando verso di lei, per poi recuperare dal cestino di vimini che teneva sul bancone un metro da sarta e un puntaspilli. «Così, in caso ci sia qualche piccolo difetto, potrò sistemarlo. Avendoti aiutato a sistemare altri tuoi capi, conosco le tue misure, ma è un’altra cosa vedere un vestito indosso».
A quel punto, Vittoria prese una busta di plastica nera e rigida dietro di sé e ne estrasse quella che aveva tutta l’aria di essere una scatola per scarpe di colore blu cupo.
«Allora, credo sia il caso che provi anche queste, Beatrice» le disse, porgendogliela. «Sono da parte di Gerardo... anche se, a dire il vero, le ho scelte io».
Sbalordita da quell’ulteriore sorpresa, la fanciulla riuscì a malapena a balbettare un ringraziamento per il giovane, che l’altra la sollecitò ad aprirlo, rivelando qualcosa di fondamentale per completare la sua gioia: un paio di décolletées dello stesso colore del vestito.
«Avevano terminato quelle in cristallo» scherzò Vittoria, «ma trovo che anche queste facciano la loro bella figura» aggiunse poi, visibilmente soddisfatta.
La fanciulla, stordita, stava per ricominciare a profondersi in ringraziamenti, quando, tutto d’un tratto, notò che Valentina stava venendo verso di lei, reggendo in mano un cerchietto ricoperto di perline bianche e lucide.
«Questa l’abbiamo fatta noi, perché sei una principessa e devi avere la tua corona!» le spiegò Alessio, mentre la sorella consegnava il loro regalo a Beatrice, la quale rimase a fissarlo per qualche istante, sopraffatta dalle troppe emozioni.
«Ci ha aiutato un po’ la mamma, però» ammise timidamente la bambina, alzando le spalle.
Tra tutti i regali che aveva ricevuto, fu in assoluto quello che la commosse di più: quelle piccole pesti avevano realizzato un regalo con le loro mani perché le volevano bene e la fanciulla sentì che era stato proprio quel gesto, così puro, a cancellare ogni ingiustizia che le aveva fatto la Matrona. Per questo, mentre si inginocchiava davanti ai due fratelli, piangendo e stringendoli dolcemente tra le sue braccia, si sentì incredibilmente fortunata.
***

In piedi, di fronte allo specchio interno al suo armadio, Marcello stava finendo di annodarsi il papillon.
Aveva sempre preferito le cravatte e con quel caldo avrebbe preferito non mettere proprio nulla che gli stringesse il collo, ma non poteva lamentarsi il giorno del suo matrimonio, soprattutto perché c’era già qualcun altro che lo stava facendo per tutti: sua madre. Infatti, la Matrona aveva cominciato fin dalla colazione a sbraitare per ogni piccola cosa, facendo addirittura piangere Elisa, la più giovane delle cameriere, accusandola di aver apparecchiato mettendo i coperti a una distanza eccessiva l’uno dall’altro, mentre il signor Giancarlo, invece, si era limitato a sospirare, scuotendo la testa e lanciando, di tanto in tanto, occhiate esasperate al figlio.
L’unica cosa che si augurò il giovane, perciò, fu che, almeno, la signora Claudia avesse esaurito tutta la sua voglia di urlare prima di entrare in chiesa, altrimenti non si sarebbe certo opposto se Don Marco l’avesse cacciata fuori.
Finito anche quell’ultimo dettaglio, con un sospiro, recuperò la giacca nera dal suo letto e, prima di indossarla, la osservò accuratamente, prendendo coscienza che da quel giorno in poi molte cose sarebbero cambiate. Certamente in meglio, ma era comunque un passaggio importante e non poteva essere che felice di affrontarlo assieme a Beatrice.
A ridestarlo dai suoi pensieri, giunse poco dopo suo padre che, dopo aver bussato alla porta e aver ricevuto l’invito ad entrare, avanzò verso di lui con un’espressione di assoluta gioia ad illuminargli il volto stanco.
«Manca solo questo» gli disse, appuntandogli all’occhiello della giacca un bocciolo di rosa bianca, simile a quello che indossava anche lui. Poi, alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi del ragazzo, mettendogli le mani sulle spalle. «Come ti senti?»
Marcello fece una smorfia d’incertezza, impiegando qualche secondo per rispondere.
«Ho lo stomaco in subbuglio, ma, a parte questo, direi... bene» rispose, cercando di apparire più tranquillo di quanto non fosse.
Il padre, però, sorrise e scosse la testa, dandogli una stretta affettuosa sul braccio e rassicurandolo: «Credo che sia normale, figliolo».
In realtà, il signor Giancarlo gli aveva detto appena qualche parola, tuttavia, forse per il tono con cui gli si era rivolto o forse per la sua semplice presenza, il giovane si sentì subito più rilassato, tanto da concentrarsi sugli ultimi preparativi.
«Hai ritirato i biglietti del traghetto?» domandò, a quel punto, il padre, mentre si accomodava sul letto. Il giovane lo vide con la coda dell’occhio mentre era intento ad allacciarsi le scarpe e fu sollevato nel vedere che l’altro si stava riposando: ormai ricorreva all’uso del bastone solo nei giorni in cui si sentiva più stanco o dopo le sedute di chemioterapia, tuttavia era comunque meglio che non si affaticasse.
«Sì, ieri pomeriggio. L’imbarco è alle cinque e mezzo a Piombino, poi attraccheremo a Portoferraio, perciò, sicuramente, arriveremo a tarda sera a Marciana Marina» gli rispose, concedendosi di andare nei particolari, poiché sapeva che al padre avrebbe fatto piacere essere messo al corrente dell’itinerario, avendo girovagato e in largo prima di sposarsi, essendo un amante dei viaggi, delle escursioni e, in generale, delle programmazioni nel dettaglio.
«La cerimonia finirà per le dodici circa, quindi dovreste farcela» concordò, infatti, quello, lisciandosi il mento compiaciuto.
«Per fortuna, la traversata è piuttosto breve, poco più di un’ora e Portoferraio dista da Marciana Marina appena sedici chilometri e mezzo1» aggiunse, poi, Marcello, tirandosi su e ritornando davanti allo specchio per abbottonarsi la giacca e lanciare un’occhiata compassionevole ai propri indomabili capelli: aveva rinunciato in tenera età a pettinarli e, dopo aver dichiarato la battaglia contro di loro persa in partenza, fece spallucce.
L’uomo lo scrutò divertito e, serrando le braccia contro il petto, notò: «È stato un gesto molto carino da parte tua interessarti ai problemi della proprietà di Beatrice, sai? Sono certo che ne sarà molto contenta».
«Sì, anche se la situazione si annuncia piuttosto... complicata» rivelò il giovane, serio, chiudendo l’anta dell’armadio e voltandosi in direzione dell’altro che stava proprio per chiedere ulteriori delucidazioni, quando, purtroppo, la Matrona fece la sua comparsa, ancora in veste da camera e bigodini.
«Quella sgualdrina che stai per sposare non sarà mai mia nuora» dichiarò con enfasi, come se nei mesi precedenti non avesse messo già abbastanza in chiaro il concetto.
Marcello, però, la ignorò, non degnandosi nemmeno di guardarla in faccia e dedicandosi, invece, con particolare concentrazione ad indossare i fermapolsi.
«Claudia, per favore. Non cominciare di nuovo» l’ammonì, al contrario, il marito, osservandola con cipiglio angustiato. «Almeno oggi, cerca di essere felice per nostro figlio».
Tuttavia, quella non fu per niente d’accordo con la sua proposta e, infatti, battendo un piede in terra come una bambina capricciosa, strillò: «Non chiedermi di essere felice per un’unione che non ho mai approvato!»
Nell’udire quelle parole, Marcello sentì montare dentro di sé una collera che, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a placare.
«Va bene!» sbottò poco dopo, furibondo, dardeggiando la madre con un’occhiata di fuoco. Poi, in pochi passi, la raggiunse e, fissandola con tutto l’astio che covava da tempo verso di lei, le sibilò: «Faremo come vuoi: Beatrice non sarà mai tua nuora, ma... tu non sarai più mia madre».
Meravigliata ed intimorita, la donna fece per ribattere, ma Marcello alzò una mano, facendole capire che non voleva ascoltare un’altra parola dalla sua bocca. Anzi, senza aggiungere altro, raggiunse a grandi falcate il corridoio, desiderando null’altro che allontanarsi quanto più possibile dalla genitrice.
Gli era dispiaciuto perdere la pazienza davanti a suo padre, soprattutto sapendo che non era al massimo della forma fisica, ma davvero non ne poteva più di quei continui commenti velenosi su Beatrice.
Fin da bambino era stato cosciente di non avere una madre affettuosa e partecipe come tante altre, una figura di riferimento, dolce e pronta a sostenere i figli nelle difficoltà: infatti, la Matrona era sempre stata autoritaria, perennemente insoddisfatta ed eccessivamente critica verso tutto e tutti, rendendosi insopportabile agli occhi del figlio minore che, al contrario del fratello, aveva smesso di cercare la sua approvazione nello stesso momento in cui aveva capito che vedevano le cose in modo troppo diverso.
Quando, finalmente, arrivò in giardino, si fermò a riprendere fiato, appoggiandosi ad un vecchio pino accanto al viottolo di ghiaia e, nel vedere le due biforcazioni che prendevano origine da quest’ultimo, vi lesse una metafora della situazione che stava vivendo in quel frangente.

Quell’ennesima discussione, per quanto breve, era stata davvero la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e, in quel momento, il giovane prese coscienza che il suo rapporto con la madre, già ai ferri corti, dopo il matrimonio si sarebbe definitivamente lacerato, per poi deteriorarsi a poco a poco negli anni che sarebbero venuti, senza alcuna possibilità di riavvicinamento.
La signora Claudia, molto probabilmente, non sarebbe stata una nonna affettuosa con i figli suoi e di Beatrice, non avrebbe mai invitato tutta la famiglia la domenica a pranzo e non avrebbe mosso un dito per aiutarli, qualora ce ne fosse stato il bisogno.
Tuttavia, mentre si staccava dall’albero, Marcello considerò che, a conti fatti, non ci sarebbe stata una vera e propria perdita, poiché, effettivamente, non avrebbe potuto sentire la mancanza di qualcosa che non aveva mai avuto.

I banchi del Laterano decorati con tulle e gerbere bianche erano soltanto tre sulla destra e altrettanti sulla sinistra, essendo il numero dei partecipanti alla cerimonia vergognosamente esigui e Marcello si ritrovò a pensare che non era certo un bello spettacolo vedere una chiesa maestosa come quella quasi deserta, mentre osservava Alessio e Valentina che si divertivano a rincorrersi per tutta la navata centrale, facendo riecheggiare i loro passi. A dirla tutta, però, il biondo non ce l’aveva con tutti quelli che avevano declinato l’invito, per lo più parenti alla lontana e conoscenti, poiché non avrebbe mai potuto pretendere che facessero altrimenti, inimicandosi la Matrona, sapendo bene cosa questa era in grado di fare e, ancora una volta, il ragazzo si ritrovò a pensare che sua madre, se non le fosse piaciuto così tanto frequentare i salotti, sarebbe stata un perfetto capo della malavita.
«Avremo modo di festeggiare in un altro momento» gli disse, a quel punto, Gerardo, con tono rassicurante, dandogli una pacca sulla schiena, avendo sicuramente intuito cosa gli stava passando per la testa in quell’istante.
«Già!» sbuffò l’altro, contrariato. «Non sarà mai la stessa cosa, ma con Beatrice abbiamo deciso di invitare a cena quanto prima sia il signor Rossiglione e sua moglie, che la signora Sofia e la sua famiglia. Inoltre, vorremmo organizzare anche un rinfresco per tutti quelli che ci hanno fatto gli auguri, di persona o in altro modo» spiegò poi, come se esprimere a voce alta i propri pensieri, condividendoli con il suo migliore amico, rendesse meno penosa quella situazione.
Sapeva che, probabilmente, non era quello che il Galateo suggeriva di fare in una tale occasione, ma, considerando le condizioni, non aveva senso badare troppo all’etichetta.
«E noi, invece? In quale gruppo saremo inclusi?» domandò, a quel punto, Vittoria, intromettendosi nella conversazione, mentre si sistemava la stola di seta, intonata con l’abito rosa cipria.
«Sai bene che voi sarete i primi ad essere invitati» ribatté immediatamente Marcello, lanciandole un’occhiata obliqua. «Faremo qualcosa insieme non appena torneremo dall’Isola d’Elba».
In risposta, però, la ragazza esibì un sorrisetto enigmatico e replicò, con estrema sicurezza: «Be’, a dire il vero, non è detto che dovremo aspettare così tanto».
Insospettito da quel commento sibillino, il giovane socchiuse appena gli occhi, scrutando severamente l’amica, ma non fece in tempo a farle altre domande, perché venne tirato per una manica da Alessio.
«Marcello, ti possiamo venire a chiamare quando arriva Beatrice?» chiese il bambino anche a nome della sorella, che lo guardava da metà della navata centrale, giocherellando con uno dei nastrini bianchi che aveva tra i capelli.
«Certamente» confermò lui, lasciando da parte per un attimo i suoi tumulti interiori per sorridere al piccolo. Quello ricambiò il sorriso e tornò saltellando da Valentina, per poi cominciare a correre entrambi verso il portale principale. Proprio allora, il giovane udì distintamente sua madre lamentarsi a voce alta dell’eccessiva vivacità dei due fratelli, ma fece finta di ignorarla, non degnandola nemmeno di un’occhiata, non faticando ad immaginarsela mentre sparlava di lui con Tiberio ed Ortensia, seduti accanto a lei, mentre la bambina stava dormendo nel passeggino.
Quello che, invece, reputò più importante fu appuntarsi mentalmente di scusarsi con la sarta appena conclusa la cerimonia. La Matrona stava davvero toccando il fondo e, nemmeno lì, sotto lo sguardo delle statue dei dodici Apostoli, ognuna incassata in una nicchia lungo la navata, stava cercando di trattenersi.
«Avete litigato anche oggi?» chiese proprio in quel momento Vittoria, guardando la signora Claudia in tralice.
«Qualcosa del genere» tagliò corto subito il biondo, alzando lo sguardo verso il soffitto dorato a cassettoni.
«Che pesantezza!» commentò, invece, Gerardo, scuotendo la testa con disapprovazione.
A quel commento, Marcello sorrise per la seconda volta, tornando a guardare i suoi migliori amici e ringraziando il Cielo che di poter sempre contare su di loro, anche nei momenti più delicati e sconfortanti.
A quel punto, giunse da loro Don Marco, con i capelli scuri pettinati all’indietro come di consueto e l’abito talare, pronto per sequestrare i due giovani, il signor Rossiglione e la signora Sofia per fare un ripasso generale delle loro mansioni durante la cerimonia, poiché aveva deciso che non avrebbero fatto solo i testimoni, ma si sarebbero anche divisi le varie letture della liturgia. Quell’intermezzo, però, così in linea con l’ossessiva attenzione per i dettagli del sacerdote, infuse a Marcello una tale serenità, che decise di perdonarlo per tutte le difficoltà che aveva creato a lui e a Beatrice nell’organizzazione del matrimonio, a cominciare dalle sue proteste per la loro scelta di usare l’Ave Maria di Schubert come canto d’ingresso. Infatti, secondo l’uomo, era poco consono ad un matrimonio, poiché il compositore l’aveva ideato pensando all’amante2, notizia che, invece, aveva lasciato i due giovani, davvero poco superstiziosi, del tutto indifferenti. 
«Marcello, Marcello!» lo richiamò, invece, concitatamente Alessio, arrivando da lui trafelato per la corsa, riportando la sua attenzione su ciò che stava accadendo in quel frangente intorno a lui. «È arrivata... è arrivata Beatrice!»
In quell’istante si udì l’attacco dell’organo. Ciò che accadde dopo fu abbastanza confuso, poiché, non appena scorse una figura vestita di bianco percorrere la navata sottobraccio a suo padre, scortata da Valentina che le reggeva il strascico del velo, il giovane rimase in sua contemplazione man mano che la vedeva avanzare verso di lui. Essendo la distanza tra il portale e l’abside davvero notevole, Marcello poté riconoscere i lineamenti della sua sposa solo quando fu abbastanza vicina e per questo fu allora che notò lo splendore che quella emanava nell’abito realizzato con tanto affetto dai loro amici, con i capelli rossi raccolti in un morbido chignon laterale ed il bouquet di gerbere candide e fiori della nebbia.
Finalmente, come risvegliatosi da una specie di torpore, il ragazzo le andò incontro e, non appena la giovane ebbe lasciato il braccio dell’uomo, la prese per mano. Ci fu un rapido e molto significativo scambio di occhiate
tra padre e figlio, dopo di che, i due giovani si guardarono e lui non riuscì a trattenersi dal mormorarle qualche parola.
«Sei un incanto».
Beatrice arrossì all’istante, ma si sforzò di non abbassare gli occhi, seguendolo verso l’altare, mentre Valentina, ormai giunta a termine della sua missione, si andò a sedere al primo banco sulla destra, accanto al fratello.

Per essere una funzione ufficiata da Don Marco, non durò oltre il dovuto. Marcello osservò Beatrice ogni qualvolta ne ebbe l’occasione e lei fece lo stesso con lui, innescando un gioco di sguardi che valsero più di ogni parola e che culminò nel momento dello scambio degli anelli, portati su un cuscinetto di seta da un rigidissimo e nervosissimo Alessio, il quale confidò sottovoce al giovane, mentre prendeva la fede che avrebbe dovuto mettere all’anulare di Beatrice, che aveva avuto paura di inciampare e rovinare tutto.
«Però è andato tutto bene, giusto?» gli sussurrò in risposta il biondo, rassicurante, guadagnandosi immediatamente un sorriso più sereno da parte del bimbo.  
Quindi fu la volta di Beatrice di pronunciare le promesse coniugali: la ragazza recitò la formula con la voce incrinata dall’emozione, ma senza commettere nemmeno un errore e, nel prendere la mano del suo sposo, gli trasmise come una scossa elettrica che lo stordì ancor di più, facendolo sentire felice come non era mai stato.
Al termine di quel momento così solenne, Marcello si rese conto che il signor Rossiglione e Gerardo li guardavano e sia suo padre, che la signora Sofia che Vittoria si erano commossi di cuore. Fu loro grato per il grande affetto che provavano verso la sua compagna, mentre non poté non avvertire una fitta di rabbia nel vedere che sua madre era rimasta pressoché impassibile.
Nemmeno l’apparenza a cui teneva tanto e che, per altro, era l’unico motivo che l’aveva spinta a prendere parte alla celebrazione di un’unione che disprezzava, era stata sufficiente perché si mostrasse un po’ più partecipe. Infatti, se ne stava al suo posto, rigida, come se avesse ingoiato un bastone che le impediva di muoversi, con un’espressione imperscrutabile sul volto.
Evidentemente, le parole che il figlio le aveva rivolto quella mattina e la sua decisione di entrare in chiesa da solo, senza, invece, essere accompagnato da lei, non erano state una punizione sufficiente a piegarla, facendogli capire una volta di più che, ormai, tra di loro, non vi era più alcun punto in comune.
Quando la cerimonia finì, il giovane incrociò volutamente lo sguardo della madre e prese per mano Beatrice, come a sottolineare che, tra le due, aveva scelto lei. Tuttavia, sentendo che, per chiudere una volta per tutte quel conflitto con la genitrice, serviva un segnale d’impatto, dopo averle lanciato un’occhiata di sfida e tra gli applausi dei presenti, fece quello che sentiva essere un gesto inequivocabile: baciò sua moglie davanti a tutti.
***

La macchia verde della vegetazione sul versante est dell’isola creava un contrasto gradevole con il mare azzurro intenso, appena increspato dal vento, leggero e salmastro.
Marcello si lasciò scompigliare i capelli da quella piacevole brezza, mentre studiava con interesse il paesaggio incontaminato che si poteva ammirare dalla terrazza della camera da letto. La parte più urbanizzata di quella zona sorgeva dall’altra parte del piccolo promontorio dove era situata Villa Paolina e il giovane aveva già in programma di visitare presto il paesino di Marciana Marina, avendo avuto occasione di vederlo di sfuggita, quando l’aveva attraversato con l’auto.
«Ti piace?» gli domandò Beatrice, in piedi accanto a lui, anche lei in contemplazione di quella visuale che le era mancata per troppo tempo.
«Molto» rispose lui, osservando un gabbiano che si librava nell’aria un po’ più fresca, essendo la sera ormai prossima. «Non ero mai stato su quest’isola, prima d’ora».
«C’è sempre una prima volta» osservò, allora, la fanciulla, sorridendogli. «Sai, qui l’aria l’è molto pulita e scommetto che farebbe bene al tu’ babbo».
Nell’udire quell’ultima considerazione, Marcello si sentì pervadere da una sensazione di dolcezza per la bontà d’animo che sua moglie sapeva sempre manifestare con delicatezza.
«Lo penso anche io» concordò.
Poi, lei si diresse verso il glicine che, dal basso del giardino, si era inerpicato fin lì. Era coperto quasi solo di foglie, essendo passata da un bel pezzo la stagione della fioritura, tuttavia, lo guardò come se fosse ancora bellissimo e rigoglioso, accarezzandone il tronco sottile.
«Finalmente mi sento a casa» sussurrò, con un velo di nostalgica malinconia nella voce. «E dire che Guido aveva promesso tutto questo al Navarra...»
«Come se impegnare te non fosse già abbastanza!» sbottò in risposta Marcello, furibondo ed indignato come ogni volta che la ragazza si apriva con lui e gli raccontava una malefatta del fratello o di quell’altro delinquente di cui era all’oscuro, mentre si chiedeva quanto male le avessero fatto quei due.
Sospirando, allora, Beatrice si prese una ciocca di capelli non più acconciati tra le dita e se la torturò per qualche istante, nervosa.
«La verità è che il mi’ fratello l’ha messo in mezzo anche questa casa, per tenere buono il su’ aguzzino, visto che io continuavo a respingerlo» spiegò. «Anche se al Navarra eran comunque già arrivate voci sulle difficoltà che ci sono qui».
Davanti a quell’espressione così triste, il giovane si sentì in dovere di intervenire, poiché voleva che capisse, ancora una volta, che non avrebbe più permesso a nessuno di farle del male.
Anche se Beatrice aveva dimostrato molte volte di essere perfettamente in grado di cavarsela da sola, lui, amandola dal più profondo del cuore, l’avrebbe protetta comunque.
«Non assumerti colpe che sono solo di quei vermi schifosi» le sussurrò, accarezzandole una guancia con il dorso delle dita, facendola sorridere sotto il suo sguardo deciso.
Tuttavia, quel momento di tenerezza ebbe vita breve, perché fu presto interrotto dall’arrivo di Lina, l’anziana governante della villa che, non appena aveva rivisto la ragazza dopo anni, era scoppiata in un pianto dirotto. In quel momento, osservandola nuovamente, Marcello poté ancora leggere sul suo viso ancora segni di commozione per aver riabbracciato l’unico membro della famiglia Tolomei che non fosse morto o finito in galera.
A dire il vero, se doveva essere sincero, l’atmosfera che il giovane aveva respirato fin da subito a Villa Paolina gli era sembrata carica di nostalgia, non solo perché, come gli aveva spiegato la ragazza, il nome della casa era un omaggio alla sorella di Napoleone, la quale sembrava avesse soggiornato lì durante l’esilio dell’imperatore, ma, soprattutto, perché sembrava che anche la famiglia di Beatrice fosse stata costretta lontano dalle circostanze. Il ritorno di almeno una dei legittimi proprietari di quella tenuta, infatti, era stato accolto con grande gioia sia dai pochi inservienti rimasti che dai braccianti che lavoravano negli uliveti. Segno che, evidentemente, i genitori della ragazza erano stati molto amati da tutti.
«Beatrice, ci sono alcune visite per te3» annunciò la donna, distraendo Marcello dalle sue riflessioni.
«Visite?» ripeté la giovane, perplessa, come se pensasse di aver capito male.
«Sì, ma sono rimasti di sotto, in giardino» precisò la governante, con un sorriso, non volendo rivelare l’identità di quei misteriosi ospiti inattesi.
A tale rivelazione, che poco aggiungeva a quanto già noto, la fanciulla aggrottò la fronte e si scambiò un’occhiata con Marcello, il quale non tardò a farle un cenno.
«Be’, vediamo di chi si tratta» suggerì.
Annuendo, l’altra lo seguì verso il parapetto di marmo, dal quale subito dopo si affacciarono entrambi, scorgendo sul mattonato sottostante due uomini ed una ragazza bionda che parlottavano tra di loro. Non appena, però, quella si accorse di essere osservata, alzò la testa verso l’alto ed esordì, a voce alta e agitando freneticamente una mano: «Beatrice, da quanto tempo!»
«Fiammetta!» esclamò l’altra, sporgendosi con un tale slancio che il giovane quasi scattò per afferrarla per un braccio per impedire che cadesse giù.
Poi, la giovane guardò meglio i due accompagnatori dell’amica e riconoscendoli subito, salutò anche loro: «Pierpaolo, Giacomo... ci siete anche voi, non immaginavo che v’avrei visto così presto!»
«Appena ci hai detto che saresti venuta abbiam pregato la Lina di farci una telefonata non appena fossi arrivata!» le rispose allegro il più vecchio dei due, piantandosi le mani sui fianchi. Doveva aver passato la cinquantina da poco, i capelli bruni erano striati di bianco sulle tempie, ma, visto da sopra, sembrava piuttosto alto, anche se aveva qualcosa nell’espressione che non convinse del tutto Marcello, il quale preferì spostare l’attenzione sull’ultimo membro del terzetto che, invece, somigliava moltissimo all’uomo, solo in versione più giovane.
«Non avremmo mai potuto ignorare il tuo ritorno» commentò, appunto, quello, elargendo a Beatrice un sorriso lezioso. «Sono anni che non ci vediamo, ma posso dire senza alcun dubbio che sei sempre più bella» aggiunse poi, guadagnandosi un’occhiata torva dalla giovane che era con lui e anche dal biondo che, dopo aver udito quell’affermazione, decise che avrebbe cercato di tenere quel tizio il più lontano possibile da Beatrice. 
Proprio mentre il ragazzo lo fissava come se volesse incenerirlo, Giacomo spostò lo sguardo verso di lui e, quando si incrociarono, rimase alquanto sorpreso, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.
Nel frattempo, Beatrice, che si era limitata a rispondere al complimento con un sorriso di circostanza, replicò: «Dateci un attimo, così scendiamo!»
Quindi, appoggiò una mano su quella di Marcello, nervosamente stretta al corrimano, e gli disse, con tono dolce: «Andiamo? Così ti presento a questi vecchi amici, perché loro non sanno ancora che sono sposata».
Inaspettatamente, quella notizia placò immediatamente l’animo del ragazzo che, immaginando la faccia che avrebbe fatto quel bellimbusto nell’apprendere la verità, avvertì già un piccolo anticipo della soddisfazione che avrebbe provato di lì a poco.
«Con molto piacere» le rispose, staccandosi dalla balconata e invitandola a precederlo.
Poi, mentre scendevano lunga la scala di marmo bianco e rosso, tirata così a lustro da potersi specchiare sopra, la fanciulla gli fece un rapido riassunto della situazione: «Quello è Pierpaolo Landi, l’amministratore del babbo. Giacomo è il su’ figlio e Fiammetta una amica comune d’infanzia. Sai, si son sposati qualche anno fa».
A quel punto, Marcello si arrestò, lasciando che lei scendesse ancora tre o quattro gradini prima di accorgersi che non la stava seguendo.
Quindi, quel tipo era così stupido da fare apprezzamenti diretti ad altre donne con sua moglie presente? Ecco perché Fiammetta gli aveva lanciato quell’occhiata! Eppure, a colpo d’occhio, non gli era sembrata un caso tanto disperato da essere costretta ad accettare la proposta di matrimonio di un idiota simile, a meno che non ci fosse dietro un qualche tipo di accordo.
Alla fine, scuotendo la testa, si affrettò a raggiungere Beatrice, convinto che recarsi lì e controllare l’intera situazione di persona fosse stata la decisione migliore.

Quando il giovane si trovò davanti i tre, li osservò meglio ed ebbe la conferma della prima impressione che aveva avuto osservandoli dalla terrazza: padre e figlio non lo convincevano affatto e la ragazza aveva uno sguardo troppo acuto per aver volontariamente scelto di accollarsi quel Giacomo.
Dopo aver salutato Beatrice con baci ed abbracci, la loro attenzione si spostò su di lui e Pierpaolo fu il primo ad avanzare nella sua direzione, con la mano tesa.
«Pierpaolo Landi» si presentò, stringendo mollemente la mano del biondo. «Lui, invece, è mio figlio Giacomo e lei è la Fiammetta, mia nuora».
«Marcello Tornatore» rispose il ragazzo, ricambiando la stretta di mano di tutti e tre, cercando di trattenersi dal frantumare le ossa di quella di Giacomo, che lo stava guardando in cagnesco, probabilmente chiedendosi chi fosse.
«Credevo che ti avrebbe accompagnata Guido, invece vedo che sei... in altra compagnia» notò, infatti, proprio in quel momento, l’uomo, con una punta di malizia nella voce. «Non mi avevi detto di avere il fidanzato, Beatrice».
Il giovane, che trovava quell’uomo
sempre più odioso ogni secondo che passava, stava per rispondergli a tono, ma la fanciulla lo precedette.
«Oh, no, Marcello non è il mi’ fidanzato» ribatté, decisa.
«Suvvia, a noi puoi dirlo, ti conosco da quando eri una nanerottola che correva per i campi qui dietro» insistette, però, l’altro, convinto di averla sgamata, con un sogghigno che, forse, voleva essere complice. «Non hai motivo di essere in imbarazzo».
«Nessun imbarazzo» replicò la ragazza con fermezza, non facendosi minimamente destabilizzare. «È vero che non è il mi’ fidanzato... perché ora è il mi’ marito».
Le reazioni che i tre ebbero a quella rivelazione furono piuttosto varie: Landi spalancò gli occhi e divenne bianco come un lenzuolo, Giacomo squadrò Marcello dalla testa ai piedi, visibilmente preoccupato, mentre Fiammetta, che fino a quel momento non era sembrata particolarmente interessata al giovane, lo guardò meglio e si illuminò, accennando un sorriso.
«E sarà lui ad occuparsi della tenuta al posto di Guido, d’ora in poi» aggiunse Beatrice, con orgoglio, rivolgendosi specificatamente al più anziano di loro.
«Buona fortuna, allora, Marcello» fece, tutt’ad un tratto, Fiammetta, incrociando le braccia sul petto. «Avrai molto da fare visto che, quest’anno, per colpa di quel microbo che ha attaccato gli ulivi, il raccolto sarà molto scarso».
«Microbo?» ripeté il giovane, colpito.
Pierpaolo, allora, scrutò di sottecchi la nuora per qualche secondo, arricciando le labbra; poi si voltò verso il figlio e gli scoccò una fugace occhiata seccata che, però, non fu abbastanza rapida da sfuggire a Marcello, il quale non ebbe più dubbi che padre e figlio stessero nascondendo qualcosa, abbastanza certo che entrambi non avevano messo in conto che qualcun altro avesse potuto prendere il posto di Guido.
«Sì, secondo più di un botanico che ha visitato gli alberi della zona, tutte le piante stanno morendo a causa del batterio che provoca la rogna degli ulivi4» spiegò, poi, l’uomo, con tono neutro, come se volesse volutamente mantenersi sul vago.
«Secondo alcuni potrebbe addirittura essere trasmessa all’uomo» aggiunse prontamente Giacomo, rabbrividendo.
«Sarebbe interessante poter parlare con almeno uno di questi botanici, allora» commentò, a quel punto, Marcello, non riuscendo a trattenersi dall’essere vagamente sarcastico. Anche se non aveva alcun tipo di conoscenza in botanica o medicina, infatti, gli sembrava abbastanza improbabile che un batterio delle piante potesse attaccare anche l’uomo. Aveva sentito qualcosa di simile nel caso degli animali e esseri umani, ma mai uno in cui fosse coinvolto un vegetale.
«Non credo sarà possibile, al momento sono tornati tutti nei loro laboratori, sparsi in giro per l’Italia» fu, però, la pronta risposta di Pierpaolo, il quale dovette rendersi conto da solo che era davvero troppo vaga, tanto che aggiunse: «Però, potrei recuperare i loro numeri di telefono».
Dubitando seriamente che quei recapiti esistessero, il biondo stava per fare qualche altra domanda su quella strana malattia, quando Fiammetta, con tono indispettito, si intromise nella conversazione: «Comunque, Bea, è imperdonabile che ti sia sposata senza dirmi niente!» esclamò.
Spaesata, la fanciulla sbatté le palpebre e tentò di abbozzare una scusa: «Oh, sai, l’è che abbiam fatto una cosa tra pochi intimi...»
«Be’, devi raccontarmi un sacco di cose, allora!» fece l’altra, in risposta, mettendosi le mani sui fianchi. Poi, si voltò verso il marito e gli chiese: «Giacomo, che ne dici di invitare Marcello e Beatrice stasera a cena?»
Nel ricevere una tale proposta così su due piedi, il giovane restò per qualche istante spiazzato, poi, dopo essersi scambiato un cenno d’intesa con il genitore, concordò.
«Come vuoi, tesoro».
Quella parve davvero molto soddisfatta e, sorridendo raggiante, si avvicinò ai neo sposi.
«Molto bene, è deciso. Vi aspettiamo per le otto e mezzo a casa nostra» disse loro, prima di prendere le mani dell’amica e aggiungere, con entusiasmo: «Cara, la strada la conosci!»
***

L’aria carica di salsedine e lo sciabordio continuo delle onde erano indizi sufficienti a fargli capire che il mare non doveva essere lontano.
Una volta terminata la cena, infatti, Beatrice aveva proposto a Marcello di andare a fare una piccola passeggiata sul breve tratto di spiaggia che faceva parte del territorio della tenuta e lui, intravedendo un’occasione di serenità dopo una giornata così intensa, aveva accettato all’istante.
Mentre seguiva la fanciulla per la pineta percorrendo un sentiero illuminato pressappoco solo dai raggi lunari, il ragazzo ebbe anche modo di riflettere meglio su tutto ciò che aveva appreso dal suo arrivo, arrivando alla conclusione che le informazioni più importanti erano state quelle del pomeriggio, poiché durante il pasto i discorsi erano stati tenuti principalmente da Fiammetta, mentre Pierpaolo e Giacomo sembravano essersi cuciti la bocca, forse perché, alla fin fine, si erano resi conto di aver rivelato più di quanto fossero veramente disposti a fare.
Tuttavia, le occhiate eloquenti che si erano lanciati i due uomini ogni volta che la ragazza citava quella strana epidemia, che sembrava aver colpito ogni pianta di ulivo della tenuta, non avevano fatto che insospettire ancora di più il biondo. Questi, allora, decise che la prima cosa che avrebbe fatto il giorno dopo sarebbe stato studiare i registri degli ultimi anni delle vendite dell’olio e parlare con qualcuno dei lavoranti per cercare di capire qualcosa in più.
«Oggi sarebbe dovuta esser una giornata di festa, invece per te l’è stata più stressante delle altre!» commentò all’improvviso Beatrice, arrestandosi sul limitare della pineta, al confine tra il prato e la spiaggia di ciottoli.
Colto di sorpresa, Marcello non rispose subito, lasciando che per qualche istante si sentisse in sottofondo solo la risacca delle onde, mentre la osservava accomodarsi sul prato e, meccanicamente, la imitava.
«A dire il vero, io...» iniziò, incerto, sentendosi in colpa per essersi adombrato e, di riflesso, aver fatto intristire la ragazza anche nel giorno delle nozze.
«Marcello, me ne sono accorta, sai?» gli fece, però, notare lei, con la sua solita determinazione, mettendosi a braccia conserte. «Stamattina l’eri giù per via della tu’ mamma...» 
«Be’, è stata davvero incivile: non ha detto una parola ed è uscita dalla chiesa non appena è finita la cerimonia» osservò l’altro che, solo al ricordo della genitrice che lo insultava e si ostinava ad ignorare Beatrice, perfino davanti alla Basilica del Laterano, si sentì pervadere dall’irritazione: la cattiveria di sua madre era riuscita ad offuscare anche quello che sarebbe dovuto essere per lui uno dei giorni più belli.
«... e stasera ti se’ arrovellato il cervello su Pierpaolo e Giacomo» concluse la fanciulla, sospirando.
Nonostante l’illuminazione fosse ridotta ad un tenue barlume lunare, Marcello in quel momento poté vedere chiaramente che sua moglie aveva assunto un’espressione mesta e, sentendosi la causa di quel malessere, volle cercare di rimediare, chiudendo in fretta la questione.
«Quei due non me la contano giusta e voglio vederci chiaro» affermò, deciso. «Ho promesso che ti avrei aiutato a risollevare le sorti della tenuta ed è quello che farò».
A quel punto, la ragazza incurvò le labbra, sciogliendo la tensione che si era accumulata sul suo volto e tornando a essere splendida come era stata quella mattina.
«Lo so» gli sussurrò, prendendogli il viso tra le mani. «Però, ho notato che l’eri anche un pochino geloso di Giacomo» aggiunse, poi, birichina.
«Tu dici?» replicò lui, sollevando marcatamente un sopracciglio. «Mi pare il minimo, dopo che ti ha rivolto apprezzamenti che avrebbe potuto risparmiarsi!»
Divertita da quella reazione, Beatrice rise e, per stuzzicarlo ancora di più, si mise a canticchiare: «La gelosia più la scacci e più l’avrai5...»
«Io non ci trovo niente di male nell’essere gelosi» borbottò lui in risposta, leggermente imbarazzato.
La ragazza, allora, sorrise e gli accarezzò i capelli, guardandolo con gli occhi appena socchiusi.
«Nemmeno io» gli sussurrò, prima di iniziare a baciarlo.
Il giovane, allora, la lasciò fare per qualche istante, prima di ricambiare le effusioni ed appoggiarle delicatamente le mani sui fianchi, sentendosi sempre più rilassato: quando era con lei, infatti, riusciva a trascorrere momenti di autentica serenità che non aveva mai provato prima di conoscerla.
«Comunque, come t’ho detto già una volta...» mormorò lei, tra un bacio e l’altro. «Per me, nessun altro ha speranze contro di te».
Allontanandosi appena, il giovane si fermò a contemplarla e le accarezzò dolcemente una guancia, mentre un cupo pensiero gli attraversava la mente: forse aveva un carattere troppo difficile per una ragazza così spontanea e vivace? L’avrebbe resa davvero felice? O davvero meritava un altro genere d’uomo?
«Beatrice, tu sei contenta di avermi sposato?» le domandò, malinconico, intrecciando i suoi lunghi capelli tra le dita.
In maniera del tutto inaspettata, invece di rispondere, la ragazza riprese a baciarlo con più intensità di prima.
«Non credo d’esser mai stata così felice...» le sentì dire, rendendosi che non riusciva più a staccarsi da lei e dalle sue labbra.
Il suo profumo di lavanda lo faceva sentire più ebbro che se avesse bevuto una gran quantità del più forte dei liquori, stordendolo e rendendolo del tutto incapace di smettere di accarezzarla o di baciarle ogni punto di pelle scoperta che riusciva a raggiungere, incurante del fatto che si trovassero a pochi passi dal mare e benedicendo che la villa e la sua spiaggia sorgessero in un posto isolato.
Dal canto suo, la ragazza stava facendo lo stesso con lui, mentre, molto lentamente, aveva cominciato a sbottonargli la camicia. Marcello, allora, nonostante il discreto impaccio, rispose sbottonandole il vestito sulla schiena e sfiorandole con i polpastrelli la pelle nuda, facendola rabbrividire, nonostante il clima di fine agosto, finché, all’improvviso, non la sentì irrigidirsi.
A quel punto, si arrestò completamente, senza muoversi e, per qualche istante, trattenne anche il respiro.
«Beatrice... se non ti va... non devi sentirti obbligata» le sussurrò, con tutta la tenerezza di cui era capace, cercando di farla sentire quanto più possibile a suo agio.
«Oh, no, non l’è quello...» replicò lei, in difficoltà, ma non dubbiosa. «Il problema è che mi sento... imbranata».
«Ad essere onesto, per me è lo stesso... È la prima volta anche per me» ammise, allora, lui, sentendosi avvampare.
Dopo tale dichiarazione, però, la ragazza parve rasserenarsi al punto che appoggiò la sua fronte contro quella del giovane, giocherellando con i lembi inferiori della sua camicia.
«Allora, può darsi che tra du’ imbranati l’uscirà qualcosa di buono» gli disse, sottovoce, sfiorandogli appena le labbra con le proprie e facendolo sorridere, spingendo a mettere da parte ogni timore.
Così, dopo essersi reciprocamente rassicurati, Marcello e Beatrice si abbandonarono entrambi a quella scintilla di fuoco che avevano sentito divampare tra di loro, lasciandosi cullare dal melodico rifrangersi delle onde lontane.





***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Grazie anche alla mia Anto per esserci sempre.
***


[N.d.A]
1. L’imbarco... sedici chilometri e mezzo: ogni distanza e/o tempo di percorrenza citato/a è assolutamente veritiero/a;
2. Ave Maria... amante: ammetto che non so se questa diceria sia vera, ma, poiché me l’ha riferita in prima persona un sacerdote, ho deciso di utilizzare tale versione anche nella mia storia. Ciò che è vero, tuttavia, è che i versi originali tedeschi non sono gli stessi latini che vengono cantati durante le cerimonie in chiesa, poiché Schubert compose questa canzone (il cui titolo originale è Ellens dritter Gesang, ovvero La terza canzone di Ellen) sulla base di alcuni testi del poema “The Lady of the Lake” di Walter Scott. Quindi, nonostante anche originalmente fosse un’inno alla Vergine Maria, il contesto è diverso da quello in cui questa lirica viene proposta oggi;
3. Beatrice... per te: questa nota varrà per tutti i capitoli ambientati a Marciana Marina. Ho deciso di rendere più leggero l’accento di tutti i personaggi che Marcello e Beatrice incontrano sull’Isola d’Elba per due motivi. Il primo è che, dopo averlo sentito, l’ho trovato davvero meno marcato rispetto a quello fiorentino; il secondo è che essendo molti personaggi a parlarlo, la lettura diventerebbe pesante e non gioverebbe alla storia. Spero possiate capire e che non la prendiate come un’imprecisione da parte mia;
4. batterio... rogna degli ulivi: per questo particolare mi sono ispirata ad una vicenda successa l’hanno scorso in Puglia, dove la Xylella fastidiosa ha distrutto migliaia di alberi di olive. Tuttavia, non essendo stata presente in Italia prima del 2013, ho optato per un’altra malattia, la rogna degli ulivi, appunto, che esiste sul serio ed è causata dal batterio Pseudomonas savastanoi;
5: la gelosia... avrai: la canzone citata è Gelosia di Adriano Celentano, appartenente all’album “I miei americani 2” del 1986.
***

Ordunque, bentrovati.
Come potete vedere, sto mantenendo un ritmo di pubblicazione costante e, questa volta, spero proprio di essere sul serio vicina alla fine.
Ci tenevo a spiegare che non ho dedicato molto spazio alla cerimonia nuziale perché, secondo me, la storia di Marcello e Beatrice non ha come fine il matrimonio (anzi, per loro anche in quest’ultima parte ci saranno difficoltà da affrontare, di varia natura). Il cambio d’ambientazione serve anche a questo, ossia ad aprire una nuova strada che arriverà fino alla conclusione di questa vicenda.
Come sempre, ringrazio chi legge in silenzio, chi ha il coraggio e la bontà di cuore di continuare ad attendere che mi decida ad aggiornare, chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi mi ha lasciato un parere allo scorso capitolo (Aven, Anto).
Per conoscere in anteprima un breve estratto del prossimo capitolo vi lascio, al solito, il link la mia pagina facebook.
Grazie a tutti e alla prossima,
Halley S.C.
  
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