Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Monkey_D_Alyce    27/08/2016    2 recensioni
Sherlock Holmes: consulente investigativo, sposato col lavoro, amico dell'unica (forse) persona che riuscisse a sopportarlo senza scannarlo a suon di pugni per ogni sua deduzione assolutamente precisa e... padre.
Bisogna dire, però, che quest'ultimo "fatto" non era stato programmato.
A dire il vero, lui non sapeva nemmeno di avere una figlia!
Quella ragazza gli aveva semplicemente scaricato un fagotto, avvolto da una coperta, tra le braccia e se ne era andata, dicendo solamente: "Voglio che ti assuma le tue responsabilità!".
Come se salvare le persone da assassini e ceffi della peggior specie fosse una passeggiata... anche se si stava pur sempre parlando di Sherlock Holmes.
Essere padre sarebbe stata la stessa cosa?
LA STORIA E' VISIBILE ANCHE SU WATTPAD
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2. Consapevolezze

 
 
 
Dopo quasi un mese erano riusciti a catturare l’assassino di poliziotti che aveva terrorizzato Londra, mettendo Scotland Yard nella più completa confusione.
Sette agenti morti e uno ferito gravemente “attraverso” la stessa procedura a distanza di tempo differente, ma alla medesima ora, preciso come un orologio svizzero.
L’uomo, di non più di trent’anni, attendeva il giro di ronda serale degli agenti, per poi sparagli un colpo di pistola alla testa, con il movente di volersi vendicare del fratello ucciso da loro a causa della sua resistenza all’arresto per traffico di droga e prostitute.
 
Un vero idiota. Noioso.
 
Questo era il pensiero di Sherlock alla conclusione del caso ma, doveva ammettere, che la stupidità di quell’uomo era riuscito ad intrigarlo.
Non per il fatto di non aver capito la sua identità in poco tempo; per quello ci era voluto meno di una settimana, ma per il fatto di non riuscire ad incastrarlo e a mandarlo in galera.
Nonostante alcune prove schiaccianti sulla sua colpevolezza, l’assassino di poliziotti riusciva a trovare uno svincolo per restare in libertà e sfuggire dalle grinfie del giudice.
Il tutto sotto tantissimi articoli di giornale derisori dell’inefficienza di Scotland Yard e della debolezza dei suoi uomini che venivano uccisi senza riuscire a difendersi.
D’altronde, però, Scotland Yard aveva il miglior consulente investigativo che l’intera Inghilterra potesse offrirgli e, con tanta pazienza e divertimento da parte del riccioluto, si era messo fine a quel gioco così meschino e pieno di sangue.
 
Alla fine, forse, non era stato così noioso… anche se John poteva benissimo evitare di pestare a sangue l’assassino, tumefacendogli il volto a suon di pugni solamente perché si era preso gioco di loro e perché tra gli agenti uccisi c’era anche una ragazza.
 
Troppo emotivo, ma interessante”.
 
A quel suo commento mentale sorrise un poco, attirando l’attenzione del suo amico.
 
“Perché sorridi?” gli chiese l’ex-soldato con cipiglio perplesso, aggrottando le sopracciglia in maniera deliziosa.
Sherlock fece spallucce e s’infilò le mani guantate nelle tasche del suo cappotto, continuando a camminare assieme all’altro per la via antistante al 221B, sentendo il freddo pungente, ma piacevole, di una notte tipica di aprile penetrargli attraverso i vestiti, facendogli salire un brivido impercettibile, che John nemmeno notò.
 
“Niente, tranquillo. Pensavo a Callie” disse pacato, facendo ghignare John.
“No, non è vero. Non sei ancora emotivamente coinvolto da lei. Certe volte la guardi come se fosse un alieno!” lo smentì subito, facendo scuotere la testa al riccioluto.
“Lo sai come sono. I sentimenti sono inutili e, se io mi abbandonassi ad essi, non riuscirei mai più a svolgere il mio lavoro con lucidità. Io potrò provare rispetto per la bambina, ma mai amore paterno. Non posso farlo” spiegò con freddezza esasperante, sorprendendo l’altro.
 
Sapeva che Sherlock era fatto così e, certe volte, sembrava non gl’importasse nemmeno di lui, dopo tante avventure passate insieme e gli faceva male.
Dannatamente male.
Era come se mille aghi gli trafiggessero il cuore e, anche se sottili, erano come violente coltellate che laceravano il suo animo già ricucito dagli orrori della guerra grazie alla sua forza di volontà e all’aiuto che Sherlock, a suo modo, gli aveva dato… ma allo stesso tempo, il riccioluto lo sfilacciava, come Penelope con la sua tela, attendendo il ritorno del suo amato marito, Odisseo.
Certe volte lo considerava un dolore troppo insopportabile, come un grosso macigno che non riusciva a spostare.
E, nonostante tutto, lo perdonava e lo avrebbe sempre perdonato: forse ci avrebbe messo anni, ma lo avrebbe fatto.
Glielo concedeva, ma non nei confronti di Callie.
Ammetteva a se stesso di aver avuto paura di lei, all’inizio, ma poi le si era affezionato, considerandola quasi sua figlia.
Sherlock, invece, non era minimamente cambiato e cercava di ridurre al minimo indispensabile i contatti con lei, facendola intristire.
Era una bambina intelligente e John aveva notato che quando giocava con lui o Mrs. Hudson, sorrideva e rideva, ma un’ombra negli occhi non la rasserenava, sentendo la mancanza di una figura paterna e materna…
 
“Non puoi o non vuoi?” gli chiese John a bruciapelo, sorprendendo per un attimo l’altro ragazzo.
“John, non…”.
“No, Sherlock, ora mi ascolti. Quella bambina che abita sotto il nostro stesso tetto, è tua figlia. Lei non è stupida e ha capito benissimo che cerchi di vederla il meno possibile, anche se non capisce perché ma, nonostante questo, lei ti guarda con occhi trasognati, come se fossi il suo supereroe. E non si arrende e cerca di richiamare la tua attenzione e di vedere un tuo sorriso o di sentire un tuo commento sui propri progressi!
Ma questo non lo capisci o non lo vuoi capire!
Sherlock Holmes, il più brillante consulente investigativo che non riesce a dedurre i messaggi che gli lancia una bambina, sua figlia, per di più, quando, invece, è un libro aperto.
Io posso accettare questo tuo atteggiamento freddo, apatico, asociale (chiamalo come vuoi) nei confronti degli altri e nei miei, ma non nei suoi.
No, non te lo permetto!”-  sbottò tutto d’un fiato il medico, alzando persino il tono di voce, per poi girarsi e fare per andarsene, ma si fermò e tornò indietro, difronte a lui, fronteggiandolo senza timore nonostante la differenza d’altezza e gli occhi glaciali e inespressivi del riccioluto, sentendo il suo fiato caldo carezzargli il viso, inebriandolo un poco, ma si riprese subito- “E’ arrivato il momento di fare il padre, Sherlock”.
 
E con quelle parole salì gli scalini che davano sull’uscio di casa.
Prese le chiavi e stette per inserirle nella toppa, quando la voce dell’altro lo fermò dalla sua azione:
“Non posso farlo, John. Non ne sarò mai capace e, se può consolarti, mi dispiace davvero per Callie”.
A quelle parole strinse convulsamente i pugni e fece retrofront, fino ad arrivare difronte a Sherlock.
Guardò in basso per pochi istanti, quasi riflettesse sul da farsi, anche se il gesto che stava per compiere era più che ovvio.
Tirò un destro in pieno viso a Holmes, facendolo quasi cadere, sentendo il dolore martellargli nelle nocche della mano a causa delle botte date anche all’assassino di poliziotti, ma poco gl’importava.
Voleva riuscire ad inculcare qualcosa nella mente ottusa, anche se brillante, del ragazzo e, se necessario, avrebbe continuato a dargli dei pugni per tutta la notte e la mattina seguente, a costo di rompersi tutte le ossa delle mani.
 
“No, Sherlock. Non ti deve dispiacere. Tu puoi farlo e sono pure sicuro che, nell’angolo più profondo del tuo cuore, è quello che vuoi, anche se hai una fottutissima paura di provarci ad abbandonarti a quello che è l’amore per un figlio” gli spiegò John con tono fermo, facendo riprendere l’altro dal pugno.
“Ti ho già detto che non ci riesco” ribatté l’altro con tono piccato, facendogli perdere la pazienza.
“Non ci hai nemmeno provato!”
“Perché so già che fallirò, John. Sono certo che soffrirà, se ci provassi”
“Soffrirà molto di più quando saprà che non hai nemmeno tentato. E ne rimarrà delusa”
“Sai che novità! Come se le persone accanto a me non fossero mai deluse dal mio comportamento!” commentò Sherlock con tono rabbioso, lasciando senza parole il biondo.
 
“T-Tu pensi davvero di deludermi?” gli chiese dopo pochi attimi con tono allibito, quasi offeso, allargando leggermente le braccia, per poi farle ricadere lungo i fianchi.
 
In quel momento non sapeva se sentirsi a disagio per ciò che Sherlock pensava che lui provasse nei suoi confronti o sganciargli un altro pugno in faccia per l’enorme stronzata che il consulente aveva avuto il coraggio di dire.
 
“Sì. Leggo nei tuoi occhi il dolore che provi quando mi dimostro indifferente ad una situazione o nei tuoi confronti. Sei un libro aperto anche tu” rispose l’altro un poco imbarazzato, girando lo sguardo altrove.
“S-Sherlock, tu non mi deludi. È vero, a volte ci rimango un po’male o mi arrabbio con te per il tuo atteggiamento da… stronzo egoista, ma non mi hai mai deluso. Mai. T-Tu sei riuscito a farmi uscire dall’orrore della guerra, dal voler ritornare in battaglia grazie ai casi risolti e alle tue brillanti deduzioni! Quindi no, tu non mi hai deluso affatto” gli spiegò con un’ombra di sorriso sulle labbra, sorprendendo Sherlock.
 
Cosa più unica che rara, ma era un momento che John s’imprimeva nella mente ogni volta che succedeva, disegnando su un foglio immaginario (che avrebbe custodito e ricordato con cura) i suoi occhi leggermente sgranati e la sua bocca a cuore, così invitante, aperta leggermente, mentre la pelle del viso si tendeva un poco, quasi a seguire l’assimilazione nel suo Mind Palace di quell’informazione da conservare con assoluta gelosia.
 
“Oh…”- sussurrò preso in contropiede, per poi ritornare velocemente in sé- “I-Interessante…”.
 
E con quell’unica parola detta frettolosamente si diresse all’interno dell’abitazione, facendo sorridere John.
 
§§§
 
Tutto era avvolto nell’oscurità nel 221B.
Mrs. Hudson non c’era perché era andata a casa di un’amica ed erano le due del mattino.
Più che normale, secondo Sherlock, ma qualcosa non quadrava.
Mancava il silenzio più assoluto e questo lo fece sospirare.
 
Singhiozzi di un pianto sommesso raggiungevano il piano inferiore, allarmando John, che si affrettò a salire al piano superiore, cercando di non cadere su per le scale, seguito a ruota da uno Sherlock tranquillo.
 
John accese la luce del salotto, scorgendo, così, la piccola immagine della bambina accovacciata sulla poltrona del consulente investigativo che piangeva a dirotto, anche se cercava di essere il più silenziosa possibile.
Alzò la sua testolina verso i due ragazzi, smettendo di piangere all’istante, guardandoli con aria smarrita, per poi sorridere felice per il loro ritorno.
 
“Perché non sei a letto?” domandò perentorio Sherlock, spaventando un poco la piccola.
Non riusciva a capire perché la trattasse così, ma lei gli voleva bene lo stesso, incondizionatamente dal suo atteggiamento.
“Sherlock!” lo sgridò John guardandolo trucemente.
“Sbaglio o hai detto che devo fare il padre? Beh, lo sto facendo! Lei dovrebbe essere a letto a dormire e sognare unicorni, fatine e tutte quelle cose da bambini!” ribatté l’altro sulla difensiva, sicuro di aver ragione.
“Cristo Santo, non ha sedici anni! Ha quasi nove mesi!” lo rimbeccò il biondo, cercando di farlo ragionare, ma era tutto inutile.
“Appunto. Meglio approfittare della sua mente malleabile e mettere in chiaro le cose!”
“Ma cos- sei geloso?” domandò letteralmente stupito, calcando bene l’ultima parola, notando l’acidità con cui Sherlock aveva sputato quelle parole.
“Io geloso? Stai scherzando, spero!”
“Oh, nonononono, Holmes. Ti rifiuti di voler provare a fare il padre e poi sei geloso del fidanzato (al momento inesistente) che tua figlia avrà quando sarà adolescente. Sei coerente con te stesso!” commentò con un sorriso ironico stampato in faccia, facendo sbuffare il riccioluto con aria contrita.
“Figuriamoci!” esclamò sarcastico, andando in cucina a preparare il tea.
 
Fatto veramente assurdo nel suo genere: Sherlock non aveva mai fatto il tea e voleva essere servito, perché considerava bere e mangiare una cosa del tutto inutile.
Figuriamoci servirsi da solo.
C’era solo una possibilità: Sherlock era a disagio.
Dannatamente a disagio.
 
Vedendolo sparire in cucina, Callie sentì il labbro inferiore cominciare a tremare, mentre un nodo le si formava alla gola, facendola piangere, un’altra volta, a dirotto.
Questa volta, però, si fece sentire.
 
“Si può sapere il motivo per cui ora si è messa a piangere?!?” domandò scocciato Sherlock, ricomparendo in salotto, facendola smettere.
Il riccioluto la guardò un poco, assottigliando lo sguardo per capire cosa avesse, per poi apprendere.
 
“Ora mi è chiaro il motivo per cui non eri a letto. Ti sei svegliata verso la mezzanotte e, dato che sei ancora una bambina che ha bisogno di provare nuove esperienze, hai pensato bene di cercarci per le stanze che frequentiamo più assiduamente, anche se non hai mancato di guardare le altre, per sicurezza. In fin dei conti, cercavi pur sempre la mia approvazione per questo tuo progresso, se così lo si può definire. Lo dimostra il fatto che le tue ginocchia e le tue mani sono molto sporche, nonostante hai iniziato a gattonare da poco, inoltre, sta cominciando a formarsi un livido sulla tua fronte, sintomo che hai sbattuto contro qualche mobile, anche se non ne abbiamo tanti e, i pochi che abbiamo, sono nelle nostre camere ed è impossibili non vederli, dato che stanotte c’è la luna piena; forse il tavolino del salotto, ma un po’di luce entra anche qui e quindi è fortemente improbabile. Non sei così stupida, per essere una mocciosa. In realtà tu hai sbattuto contro il pavimento. Hai cercato supporto sul tavolino e ti sei allungata verso la mia poltrona, dato che è ancora troppo alta per te e rappresenta una difficoltà ma, nel fare ciò, hai perso il tuo ancora quasi mancato equilibrio ed è successo quel che è successo. Lo dimostra anche il fatto che hai le pelle un poco sbucciata sul piede. Non ti sei arresa e, alla fine, ci sei riuscita.
Il fatto che tu stessi piangendo è perché io e John non eravamo in casa e pensavi che ti avessimo abbandonata. Ho dimenticato qualcosa?” disse Sherlock del tutto tranquillo, facendo ridere gioiosa la bimba (forse, inconsapevolmente, gli dava ragione ma, dato che era solo uno scricciolo di a malapena nove mesi, era solamente contenta che il suo papà fosse lì, difronte a lei, da più di due minuti. Era un record nel loro tempo di relazione padre-figlia), mentre John boccheggiava un poco, sorpreso.
Non tanto per la deduzione, ma per il fatto che si fosse comportato così davanti a sua figlia, mettendo in mostra le sue grandi doti deduttive, in modo del tutto naturale.
“Preciso e modesto come sempre…” iniziò John, facendo sorridere di gusto Sherlock.
“Il mio lavoro richiede precisione, infatti! Anche se era facile da dedurre, le azioni che ha compiuto Callie in questo lasso di tempo mi sono servite da esercizio! Non ho sbagliato nulla, come sempre, del resto”.
“Oh, no, una cosa l’hai sbagliata in pieno!” ribatté John contento come una pasqua solamente per il fatto di averlo contraddetto.
“Come?” domandò il riccioluto guardandolo dritto in viso, cercando di restare calmo, anche se dentro di lui impazziva nel non capire dove avesse commesso l’errore.
Il medico si diresse verso la pargoletta e la prese in braccio, cullandola un poco, facendola sorridere serena.
Tornò verso il consulente investigativo, sorridendo diabolico, mentre Callie allungava le piccole braccia verso il padre:
“Lei non piangeva perché noi non eravamo in casa. Stava piangendo perché tu non c’eri”.
 
Dette quelle parole, gli mise in braccio la bimba, sorprendendo Sherlock, mentre l’altra cominciò a tastargli il viso e a pizzicargli le guance, saggiandone la consistenza e la morbidezza, resa come marmorea dal vento freddo che fuori carezzava le vie di Londra, mentre il medico andò a spegnere l’acqua sotto il fornello, che oramai bolliva da alcuni minuti.
Prese il filtro e lo mise nella teiera, per poi preparare il latte artificiale per la piccola.
 
“Mi hai fregato un’altra volte, Callie… Interessante” commentò Sherlock sottovoce, ma John lo sentì comunque e sorrise, mentre un pensiero dolce e allegro si faceva spazio nella sua mente.
 
Forse sarà anche il caso che ti coinvolgerà di più, Sherlock”.








Angolo di Alyce: Ma buonasera, cari lettori e lettrici! ^.^
Come potete aver letto dal capitolo, Sherlock è restio dal volersi assumere la responsabilità di essere un padre per la piccola Callie.
Ma non disperiamo, Caro Sherlok: riuscirai nell'impresa u.u
E John, che da bravo innamorato (lui ancora non lo sa, ma è così *sorride diabolica*) accetta l'indifferenza di Sherlock nei suoi confronti ma non in quelli della piccola!
Ti faremo tre statue d'onore, promesso!
Dobbiamo anche dire, però, che qualcosa ha veramente inculcato nella testa del consulente investigativo... infatti è già geloso... di un fidanzato... che non esiste, al momento.
Solo Sherlock era capace di provare gelosia per un non nulla ;D
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e, immaginandomi un Mycroft come zio, vi saluto!
Ciao e un strasuperbacione a tutti!
Alyce :)))))))

P.S. Il caso in cui sono stati coinvolti i nostri eroi è stato preso spunto dal film "Blitz" con Jason Statham, modificandone il movente e altre parti.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Monkey_D_Alyce