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Autore: FeraNoir    01/09/2016    0 recensioni
1 settembre 1987: Con la netta sensazione di camminare in un sogno, Fera si avvicinò alla barriera che separava il binario 9 dal binario 10 nella stazione di King’s Cross.
1 settembre 1988: Pioveva. Gli studenti del primo anno attraversavano Hogwarts in barca, guardando il castello per la prima volta, e pioveva. Di male in peggio, realizzò Med.
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Dal suo primo anno a Hogwarts, le avventure di Harry Potter sono diventate di dominio pubblico. Ma gli altri personaggi? Quelli che non lo accompagnavano a recuperare pietre filosofali e distruggere Basilischi, quelli che vengono solo menzionati di tanto in tanto, cosa stavano vivendo in quel periodo?
Il Prefetto Percy sta studiando febbrilmente per i G.U.F.O., Oliver si concentra nel Quidditch per non sentire la mancanza di Charlie e Tonks, Theodore deve sopportare un padre che ha già cacciato di casa il figlio maggiore... e Fera e Med, rispettivamente al quinto e quarto anno, si preparano a sperimentare i primi amori e le prime gelosie, amici fedeli e primini da ridicolizzare, finché il destino non le metterà sulla stessa strada.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Oliver Wood/Baston, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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CAPITOLO IV
 
9 marzo 1992
 
È già marzo.
Sdraiata sul letto, Fera cedette al desiderio di restare sotto le coperte per altri cinque minuti. Odiava la primavera. Il cambio di stagione la rendeva perennemente stanca, nonché facile a irritarsi e a litigare con chiunque. L’ideale sarebbe stato chiudersi nel dormitorio, ma ovviamente non poteva; a breve si sarebbe dovuta trascinare fuori dal letto, recare in aula e seguire le lezioni della giornata – lunedì, il giorno peggiore in assoluto. Il tutto condito dall’ansia per i G.U.F.O., che serpeggiava tra studenti e professori e li costringeva a continui ripassi, interrogazioni ed esercitazioni.
Ed è già marzo. Mancano solo tre mesi. Non ce la posso fare.
Tirò le coperte fin sopra la propria testa e si rannicchiò su un fianco. Nel letto a baldacchino non potevano raggiungerla lo stress e la preoccupazione, solo bei pensieri e ricordi piacevoli. Il suo preferito, in quel periodo, risaliva a due settimane prima: era andata a Hogsmeade insieme a Ed e, sebbene non fosse la prima volta, era stata diversa da tutte le altre. Erano andati ai Tre Manici di Scopa (nessuno dei due voleva mettere piede in quella schifezza di Madama Piediburro) e avevano passato il pomeriggio a chiacchierare; niente di particolare rispetto al solito, finché la mano di Ed non si era posata su quella di Fera e vi era rimasta fino a quando non avevano deciso di uscire dal pub. E anche dopo, mentre camminavano fianco a fianco diretti al castello, si erano tenuti per mano come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Sorrise contro al cuscino. Sapeva che emozionarsi così era infantile ma, per Morgana, era la prima volta che qualcuno la facesse stare così bene. Che ricambiasse il suo interesse – meglio, che si interessasse a lei in qualsiasi modo. Negli anni precedenti si era presa diverse cotte, e da ognuna di esse aveva ricevuto solo delusioni; ora, invece…
Sussultò. Basta, era ora di alzarsi. Raccogliendo tutta la forza di volontà di cui disponeva, rotolò fuori dal letto e cercò a tentoni la sedia dove appoggiava i vestiti.
«Ah, sei sveglia».
Fera fece un salto. «Penelope, mi hai fatto prendere un colpo…» rantolò, rivolta alla compagna.
«Sei rimasta solo tu. Datti una mossa: sai che Vitious se la prende con me, se qualche Corvonero pigro manca all’appello».
Quel rimprovero la infastidì più del dovuto, anche perché non era la prima volta che Penelope le si rivolgeva in modo antipatico o scostante. Quella freddezza nei suoi confronti era iniziata all’incirca dopo le vacanze di Natale, e Fera proprio non se la spiegava. Di malumore, si lavò in tutta fretta e indossò la divisa; appena fu pronta, Penelope la precedette verso le scale. Camminarono in silenzio attraverso i corridoi, e fu solo in Sala Grande, davanti a una grande ciotola di porridge, che Penelope parlò di nuovo.
«Ascolta, devo chiederti una cosa, e voglio che tu mi dica la verità».
«Mh?» mugolò Fera, la bocca piena.
«Ti piace?».
La ragazza deglutì. «Il porridge? Sì, è meglio di quello che fa mia mamma».
Penelope la guardò schifata. «Ma quale porridge? Sai benissimo di chi sto parlando!».
Sospirò di fronte allo sguardo vacuo di Fera. «Percy» buttò fuori. «Ti piace, non è così?».
Se non si fosse già riempita la bocca con un’altra cucchiaiata di porridge, Fera avrebbe riso. «Mi prendi in giro, vero?» rispose, poco dopo. «No, certo che no».
Vide Penelope farsi rossa; improvvisamente, senza alcuna ragione, sembrava arrabbiata. «Ah, no?» berciò a bassa voce, per non farsi sentire dai Corvonero attorno. «Allora spiegami perché passate tutto il tempo assieme, avanti».
Fera sgranò gli occhi. «Eh?».
«Vi vedete tutti i pomeriggi per studiare. A lezione siete sempre vicini di banco. Vi scambiate i regali a Natale – sì, me lo ha detto» disse, impedendo che Fera la interrompesse. «O vi piacete, o state insieme. In ogni caso, se mi state prendendo in giro lo voglio sapere, perché non è possibile che lui stia sempre a farmi gli occhi dolci quando poi se ne corre via da te, sempre».
Tornò a guardare il piatto, stavolta con gli occhi lucidi. Sembrava esasperata, più che arrabbiata. Una parte di Fera avrebbe voluto risponderle, con calma, che no, lei e Percy non stavano né erano mai stati insieme e che, anzi, sperava con tutto il cuore che quel deficiente chiedesse finalmente a Penelope, dopo tutti quei mesi, un vero appuntamento. Quella era la risposta giusta da darle.
Ma non quel giorno. Quel giorno si era alzata con la prospettiva di una giornata pesante, aveva già ricevuto un rimprovero e quella cretina di Penelope – per Merlino, Catherine aveva davvero ragione sul suo conto! E dire che le sembrava tanto simpatica, all’inizio – quella cretina se la stava prendendo con lei per una cosa di cui avrebbe dovuto incolpare Percy. Per tutti questi motivi, la sua pazienza andò graziosamente a farsi fottere.
«Ah,» sbottò, «quindi è per questo che da gennaio mi tratti di merda? Perché sei gelosa?».
Quel tono brusco fece sussultare Penelope. «Beh, te lo dico una volta sola: Percy non mi piace, io non gli piaccio, noi non stiamo insieme» proseguì Fera, sottolineando i “non” col volume della voce. «Ma dico, ragiona! Te l’ho presentato: pensi che l’avrei fatto, se fossi stata interessata a lui? Pensi che io sia un’idiota?!».
«I-io…» provò a balbettare la Prefetto, ma ormai Fera era lanciata.
«Studiamo assieme? E allora? Quale malato di mente ci vedrebbe qualcosa di romantico? E Percy ti ha detto che sono già tre volte che ci regaliamo lo stesso libro? Proprio un bell’affare, diamine, da essere invidiosi!».
«Dico solo che, se state sempre insieme…».
«Stiamo sempre insieme perché non abbiamo amici!» ululò Fera. Per fortuna, attorno a loro non c’era più nessuno, altrimenti l’avrebbero additata come pazza per sempre. «Sarebbe bello poter scegliere le compagnie, cambiare gruppi di studio e uscire con persone diverse ogni volta, ma guarda un po’, io e Percy ci conosciamo dal primo anno e andiamo d’accordo solo tra di noi perché, per qualche ragione, agli altri non piacciamo. Con poche eccezioni. È colpa nostra?».
Riprese fiato. Il rossore era scomparso dalle guance di Penelope, sostituito da un bel bianco su cui spiccavano le sue piccole lentiggini. «Detto questo, lui non mi piace. E anche se mi piacesse, ti sbava dietro talmente tanto che ormai ci avrei perso le speranze» concluse Fera, per poi tornare a mangiare il suo porridge con un gesto nervoso.
Merlino, quello sfogo le serviva proprio. Era andata un po’ oltre le sue intenzioni iniziali, ma non importava: ora Penelope sapeva tutto quel che c’era da sapere su lei, Percy e i loro rapporti, e se avesse osato riprendere il discorso si sarebbe beccata una fattura.
Per un po’, tacquero entrambe. Ad un tratto, Penelope tirò su col naso. «Non intendevo… Io…».
Fera sospirò. «Senti, non volevo aggredirti» la fermò subito. «Il fatto è che tutti pensano che tra me e Percy debba per forza esserci qualcosa, e questo è esasperante».
Penelope tirò di nuovo su col naso. Il suo atteggiamento era assai meno signorile del solito. «È difficile credere a quello che dici» mormorò, senza l’acredine di prima. «Insomma, voi…».
«Te l’assicuro. Noi siamo…» Fera cercò la parola adatta. «Siamo come fratelli».
«Però non lo siete».
Per poco, Fera non perse di nuovo la calma. «È come se lo fossimo. Non baceresti mai tuo fratello, no? Ecco, questo è quello che provo io per Percy. E viceversa» specificò, vedendo l’espressione di Penelope. «E lui ha una cotta mostruosa per te, posso assicurartelo».
L’ultima frase sembrò sollevare la Prefetto. «Ma allora, non capisco…» balbettò. «Perché non me lo dice, in qualche modo? Perché non usciamo mai assieme, perché…?».
«Perché Percy fa tanto lo sbruffone, ma in fondo è timido» sospirò Fera. E un idiota, aggiunse mentalmente. «In ogni caso, dovresti parlarne con lui. Io non c’entro nulla».
Penelope non rispose, al che Fera decise che fosse meglio lasciare la Sala Grande. Quel lunedì era già cominciato male, non aveva intenzione di renderlo peggiore.
 
 
12 marzo 1992
 
Da tre giorni, Percy aveva la vaga impressione che Fera lo stesse evitando. Tutto era iniziato il lunedì precedente, quando la sua migliore amica lo aveva investito come una furia dicendogli che doveva chiedere un appuntamento a Penelope, perché era ridicolo che la illudesse senza mai concludere nulla e che, dannazione, era ora di dimostrare di essere un fottutissimo uomo. A parte il linguaggio volgare, ciò che aveva sorpreso Percy era la totale incoerenza di quel discorso con tutto. Perché stava parlando di Penelope prima ancora di dirgli “Buongiorno”? Cosa si era perso?
La sua amica non gli aveva dato spiegazioni: aveva mugugnato qualcosa come “Chiedilo a quella cretina” e si era seduta lontana da lui, in fondo alla classe. Lo stesso pomeriggio, mentre l’aspettava al solito tavolo in biblioteca, una ragazzina Corvonero dai tratti orientali era venuta a dirgli che Fera non sarebbe scesa dalla Torre. Questo aveva confortato Percy: significava che la sua amica stava male, per questo era stata scostante e nervosa tutto il giorno. Aveva chiesto alla ragazzina di mandarle i suoi saluti, dopodiché si era rassegnato a studiare Astronomia da solo, certo che già dal mattino dopo tutto sarebbe tornato alla normalità
Nulla di più falso. Da tre giorni, Fera gli rivolgeva la parola a malapena e badava di non sedersi mai accanto a lui, durante le lezioni. E nemmeno Catherine e Paul sapevano il motivo.
Beh, al diavolo. Percy aveva esaminatola propria coscienza, realizzato di non aver commesso nessun imperdonabile errore nei confronti di Fera e concluso che a quella lunatica doveva aver dato di volta il cervello. Semplice. Da parte sua, aveva già fin troppi pensieri senza doversi preoccupare anche delle crisi di nervi della sua amica: le pattuglie e le riunioni coi Prefetti sottraevano un sacco di tempo allo studio, che quell’anno era più importante che mai – avevano i G.U.F.O., come non mancavano mai di ricordare i professori.
Quel giorno, ad esempio, avrebbe dovuto seguire Difesa, Erbologia, Pozioni e Incantesimi, portarsi in pari col programma di Aritmanzia (era indietro con una materia! Lui!), finire il tema di Astronomia iniziato lunedì (e che avrebbe già terminato, se quella squilibrata di Fera si fosse degnata di aiutarlo) e, se ci riusciva, dormire un paio d’ore in vista del turno di ronda notturno.
Con Catherine. Di nuovo. Uccidetemi.
Sbuffò e uscì dalla Torre, salutando la Signora Grassa. Avrebbe potuto prendere il passaggio che conduceva direttamente al corridoio dell’aula di Difesa, invece decise di fare il giro più lungo. Non aveva alcuna fretta.
Dall’inizio dell’anno, non ricordava una sola lezione di Difesa che gli avesse davvero insegnato qualcosa: il professor Raptor si era rivelato, con rispetto parlando, più bravo a parole che a fatti. Quando aveva spiegato i Lupi Mannari, era stato del tutto incapace di rispondere alle loro domande su cosa fare davvero in presenza di uno di essi, limitandosi a una battuta sul correre più veloce del proprio compagno. Certo, era un salto di qualità rispetto al professor Carroll, che arrivava in classe in pigiama e si addormentava in piedi appoggiato alle mura dei corridoi; o alla professoressa Petrova, che a metà del loro terzo anno si era convinta di essere una Rusalka e si era buttata nel lago dalla Torre di Corvonero, urlando in russo (fortunatamente, era stata afferrata al volo dalla Piovra Gigante e depositata integra sulla riva). In confronto ai suoi predecessori, Raptor era un genio della pedagogia.
Arrivò che l’aula era già quasi piena. Vari capannelli di ragazzi e ragazze erano formati in ogni angolo della stanza; vide subito Penelope, nella fila in fondo, che chiacchierava con Baston.
«Buongiorno» li salutò, avvicinandosi.
«Ciao! Vuoi sederti qui?».
Percy fece per rispondere a Penelope, la quale si stava già spostando per fargli posto, ma con la coda dell’occhio si accorse che Fera era seduta, da sola, poco più avanti. «Non ti scomodare, vado là» disse, per poi voltarle le spalle e dirigersi verso il banco.
 
«Che ci fai qui?».
Percy la osservò come se fosse pazza (aveva sempre avuto questo dubbio, in effetti). «Seguo la lezione, ovviamente».
Fera si guardò in fretta alle spalle; quello che vide non dovette piacerle, perché si voltò subito. «Che ci fai in questo banco» specificò. «Perché non ti sei messo dietro, da Penelope?».
«Perché non ci vedo, dal fondo dell’aula». Indicò i propri occhiali. «Sono miope, ricordi?».
La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma un brusio generale e l’avviarsi dei ragazzi verso i banchi annunciò l’ingresso di Raptor. «C-comodi, comodi» disse il professore, sebbene nessuno avesse fatto il gesto di salutarlo.
Sia Percy che Fera si portarono una mano sul volto e trattennero il fiato: quel giorno, l’odore di aglio che aleggiava attorno all’uomo era più forte del solito. Il professore poggiò un libro sopra la cattedra e si calcò il turbante sulla testa.
«O-o-ggi sarà u-u-u-u…». Si schiarì la voce. «U-u-n giorno interessante» buttò fuori. «I-i-interrogazione a s-s-s-orpresa!».
L’intera classe sobbalzò, per poi rilassarsi quando Raptor specificò che avrebbero risposto solo i volontari. Mentre il professore apriva il libro per sfogliarne l’indice e i loro compagni tornavano a chiacchierare, Fera diede una gomitata a Percy e gli parlò a bassa voce. «La devi smettere».
«Di fare che?».
«Di comportarti così».
Percy assunse un’espressione confusa. «Tu mi stai evitando da tre giorni, e io devo smetterla di comportarmi così?! Così come, poi?».
«Ah, ecco q-qua!». Raptor posò un dito sul libro, trionfante. «Ch-chi è s-s-stato l’inventore d-d-dell’Incantesimo di-di-di-Disarmo?».
Fera alzò prontamente la mano destra; Raptor la indicò. «Egon Sokolov, nel 1240 circa».
«B-bene, d-d-due p-punti a Cor-Corvonero. O-ora vediamo…».
«Ti sto evitando per non litigare con Penelope» riprese Fera. «Lunedì mi ha quasi aggredita».
«Cosa?!».
«Q-qua-ante e qu-quali sono le c-categorie di In-incantesimi d-difensivi?».
Fu di nuovo Fera a rispondere. «Scudo, Ostacolo, Inganno, Disillusione e Prevenzione».
«In che senso, ti ha aggredita?».
«Nel senso che ha iniziato a interrogarmi per scoprire se stiamo insieme».
«Cosa?!».
Il professore fece un’altra domanda che Percy non riuscì a sentire; per la terza volta, Fera rispose e conquistò due punti.
«E perché diavolo pensa una cosa simile?».
Fera gli lanciò un’occhiata di fuoco. «Forse perché qualcuno passa tutto il tempo con me, invece che con lei». Indicò alle proprie spalle. «Cosa ti costava sederti là dietro?».
«Ma perché avrei dovuto? Siamo sempre stati compagni di banco, io e te. L’Incanto Patronus!».
Fera sussultò. Non aveva udito la domanda, perdendo i due punti per la risposta. Ciò la indispettì ancora di più: non le piaceva che Percy rispondesse più di lei alle interrogazioni.
«Sì, ma in questo modo Penelope pensa che tu non ci tenga a lei. Non le hai nemmeno preso un regalo a Natale…».
«Ancora quella storia?!».
«Quarantadue volte in cinquant’anni!».
«B-b-bene, altri d-d-uue punti a C-C-C…».
«Senti», disse infine Fera, «se lei ti piace, e ti piace, dovresti starmi lontano. Almeno non la renderesti gelosa».
«Che sciocchezza. Non c’è niente di male se preferisco studiare con te. Il Terzo Uso del Sangue di Drago!» L’ultima risposta fu data da Fera e Percy assieme; Raptor li guardò un po’ spaesato, infine assegnò due punti ciascuno.
«C’è di male che te l’ho presentata mesi fa, e non hai ancora fatto un passo in avanti con lei».
«Te l’ho detto, sto aspettando… Nel 908 dopo Cristo!».
«Stai aspettando cosa? L’ispirazione? Oh, già: l’occasione giusta» lo punzecchiò Fera, ormai spazientita da quel discorso. «Come no».
«È la verità!».
«C-con quale in-incant-incantesimo s-s-i può e-vocare un s-s-serp…».
«Serpensortia» rispose Fera. «La verità? La verità è che hai paura» sbottò poi, abbassando la voce. «Stare con Penelope, o almeno provarci seriamente con lei, sarebbe una cosa nuova. E tu non la vuoi affrontare. Sei un vigliacco».
Percy ammutolì, incredulo. Fera non lo aveva mai offeso così, nemmeno quando litigavano sul serio. «No che non lo sono».
«Allora dimostralo».
Gli occhi del ragazzo divennero due fessure, e finalmente Fera si accorse di quanto lo aveva fatto arrabbiare. Prima che lei potesse dire qualcos’altro, Percy alzò la mano. «Professore? Mi scusi, la mia compagna di banco legge le risposte dal libro».
Fera trasalì. Davanti a lei era appena comparso il testo di Difesa, aperto alla pagina sull’incantesimo Serpensortia. Raptor si avvicinò, spandendo odore di aglio tutt’attorno; vide il libro e fece una faccia delusa.
«Ooooh. D-dovrò toglierti t-t-tutti i p-punti».
Troppo sbalordita per difendersi, Fera si girò verso Percy, decisa a Schiantarlo o ucciderlo davanti a tutti. Lui non fece una piega: si era appoggiato allo schienale, le braccia conserte, e la guardava con aria di sfida.
«Contenta? Adesso hai un vero motivo per evitarmi».
Non si rivolsero la parola per giorni.
 
*****
14 marzo 1992
 
Divisa da Capitano: pronta.
Comet 260: orgogliosamente in mano.
Determinazione: ne aveva a palate.
Quel giorno il Grifondoro avrebbe giocato la seconda partita del campionato e Oliver era deciso a battere Tassorosso a ogni costo; in altri momenti la partita si sarebbe rivelata più semplice di quella svoltasi mesi prima contro Serpeverde, ma questa volta ad arbitrarla sarebbe stato Piton. Oliver non riusciva ancora a capacitarsi di quella scelta.
Bene, possiamo andare.
La prima tappa era la Sala Grande: un campione ha bisogno di un ottimo pranzo per poter sbaragliare gli avversari sul campo. E magari chiedere ai gemelli di lanciare accidentalmente un Bolide in direzione di Piton; avrebbe lasciato al loro ingegno il compito di far ricadere la colpa sui Battitori della squadra avversaria.
I Tassorosso?
Sollevò dubbioso un sopracciglio mentre prendeva posto al tavolo di Grifondoro tra Diodora e Alicia.
«'giorno» le salutò appena.
Aveva avvistato dell'ottimo arrosto e non intendeva farselo sfuggire: Angelina poteva arrivare da un momento all'altro e, allora, per le scorte di cibo degli elfi domestici non ci sarebbe stata speranza. Era incredibile come una ragazza alta, ma snella come lei riuscisse a trangugiare più roba del resto della squadra, perfino di Charlie! Avvertì una stretta allo stomaco, ricordando il suo amico seduto di fronte a lui con mezza dozzina di uova e bacon nel piatto e una Tonks divertita al suo fianco; ricordava il suo panico all'avvicinarsi di qualunque esame, in particolare quelli di Pozioni e Aritmanzia – ma perché cavolo aveva scelto una materia del genere?! Poco prima di diplomarsi gli aveva confessato il suo sogno di diventare un Auror e Charlie, pur conoscendo la sua goffaggine nell'eseguire gli incantesimi, era certo che la sua testardaggine le avrebbe fatto realizzare il suo sogno, proprio come le permetteva di ottenere tutto ciò che desiderava con fervida passione.
Senza rendersene conto aveva messo in pratica uno dei trucchetti che stava affinando da qualche settimana prima. Pensare a Tonks gli faceva venire nostalgia della sua migliore amica, ma almeno riusciva a sviare l'attenzione da Charlie.
«Ho sentito che Piton arbitrerà l'incontro» esordì Diodora, tagliando alla perfezione il suo cosciotto di pollo – nessuno era mai riuscito a capire come facesse a farne tanti pezzettini, lasciando l'osso perfettamente pulito e mettendo da parte la pelle croccante. «È vero?».
«Già» rispose Oliver, avvertendo la tensione e il pessimismo prossimi a vincere la sua determinazione. Non appena fossero stati negli spogliatoi, doveva prendere Potter da parte e spronarlo ad acchiappare il Boccino il prima possibile, se non volevano rischiare che Piton li fischiasse per "macchie di sugo sulla divisa".
«Il Cercatore dei Tassorosso è bravo». Sembrò che Diodora gli avesse letto nella mente. «Potter ha avuto fortuna nel primo incontro, ma... non so, mi sembra che voli bene. Non me ne intendo molto».
Oliver stava per lanciarsi in un elogio verso l'ultimo membro acquisito dalla sua squadra – elogio destinato più a tranquillizzare se stesso che a difendere l'onore di Harry Potter – quando si rese conto della prima parte della frase di Diodora.
«Il Cercatore?».
«Sì, quel tizio biondo».
«Stai parlando di Diggory?».
«Boh, mi pare di sì».
«Cedric Diggory?».
«Ehi, che ho detto di strano?» si alterò leggermente Diodora, a disagio. Per tutta la durata della loro conversazione aveva tenuto gli occhi fissi sul piatto.
«Scusami, è solo che... beh, di solito tutti conoscono Diggory. Non credevo che tu non sapessi neanche il suo nome».
«Sono brava in Antiche Rune, pessima nell'abbinare nomi e volti» si giustificò.
Assurdo: era la prima volta che Oliver sentiva parlare di Diggory come "il Cercatore di Tassorosso" e niente di più. Certo, era ancora un ragazzino del quarto anno, ma i suoi bei lineamenti e il suo modo di fare – mai vanesio, sempre modesto – aveva catturato l'attenzione anche di studentesse più grandi, tra cui la sua compagna di squadra Angelina, che aveva perfino detto, in un momento di debolezza, che Diggory non le sarebbe dispiaciuto se fosse sceso da quella sua maledetta scopa. Si allungò per afferrare le patate al forno e notò che la pelle pallida di Alicia si era tinta di un fortissimo rosso: avrebbe potuto scaldarci l'arrosto ormai freddo.
Perfino Alicia. E Diodora non conosce nemmeno il suo nome!
Stava per riprendere la conversazione con lei quando davanti a lui si stagliarono le alte figure di Fred e George.
«Oliver, dobbiamo parlare».
«Subito o prima di subito».
«Abbiamo già ricevuto diverse offerte. Mio fratello ha parlato di pulirci la stanza per un mese».
«E Lee si è offerto di regalarci la sua collezione di Caccabombe». George si strinse nelle spalle. «A quanto pare, Zonko gli ha tenuto da parte un'edizione limitata che viene dal Brasile».
Oliver aggrottò le sopracciglia. «Ma di che state parlando?».
«Ha una punizione da scontare con Piton sabato prossimo» spiegò Fred, abbassando la voce.
Dopo qualche momento di silenzio, Oliver capì.
«State facendo affari per mandare Piton in infermeria?!» sussurrò a denti stretti.
Per tutta risposta, i gemelli esibirono un sorriso a trentadue denti.
«C'è chi parla addirittura di pagarci in galeoni!».
«Sanno che i Tassorosso non sarebbero mai capaci di colpire Piton con un Bolide, perciò...».
«E non lo farete neanche voi!» li sgridò Oliver, controllando a destra e a sinistra se qualcuno li avesse uditi, ma erano tutti troppo concentrati sul pranzo per farlo. Tutti, a eccezione di Diodora e Alicia. «Potter acchiapperà il Boccino in men che non si dica, e allora non avrete neanche il tempo di pensare a come... fare quella cosa!».
Un conto era immaginare Fred e George bombardare Piton di Bolidi – probabilmente il sogno di metà degli studenti – un altro era sentirli fare affari in merito; per esperienza, sapeva bene che niente tentava i gemelli Weasley come una camera pulita o una collezione di Caccabombe. Oliver si alzò, sperando di chiudere così la discussione.
«Ci vediamo negli spogliatoi fra mezz'ora. Discorso di incoraggiamento».
Con la coda dell'occhio vide Fred alzare lo sguardo al cielo, ma non se ne curò, perché in quel momento Diodora si era nuovamente rivolta a lui.
«In bocca al lupo, Oliver» gli disse, e Oliver fu certo di avere visto un accenno di sorriso sul suo volto perennemente serio.
 
«Harry, sei stato grandioso!».
«Qualunque cosa abbia mangiato a pranzo, Potter, mangiala anche prima della partita contro Corvonero!».
«Hai visto la faccia di Diggory? Gli hai rubato il Boccino da sotto il naso!».
Oliver era euforico. Harry Potter aveva preso il Boccino dopo soli cinque minuti, lasciando interdetti i Tassorosso e Piton, che non aveva fatto in tempo a fischiare nessuno della squadra dei Grifondoro. E ad aiutare i gemelli Weasley a procurarsi un mese di pulizie gratis. Forse il pubblico avrebbe preferito una partita più lunga, forse i giocatori volevano mettere in pratica tutti gli schemi che i loro Capitani avevano ideato, ma Oliver era fiero di quel risultato.
«Siete stati fantastici, ragazzi» si complimentò con loro quando furono nello spogliatoio. «Voglio vedere questa grinta anche agli allenamenti di lunedì prossimo».
«Oh, dai, ma sei serio?» si lamentò George, portandosi su una spalla la mazza da Battitore: sembrava quasi una minaccia.
«Abbiamo finalmente la possibilità di vincere il campionato, e non la sprecheremo».
«A meno che tu non ci faccia ammalare sotto la pioggia».
«Già» si preparò a rincarare la dose Fred. «Altri due allenamenti sotto la pioggia e finiremo tutti in infermeria fino a giugno».
«Ma salteremmo gli esami» rifletté George, guardandolo come se il fratello avesse appena avuto un'ottima idea.
«E Silente se la prenderebbe con Oliver, non con noi poveri studenti costretti a passare gli esami a letto».
I gemelli si schierarono l'uno accanto all'altro. «Ci stiamo, Ol. A che ora comincia l'allenamento?».
Il resto della squadra scoppiò a ridere: forse lo sketch dei Weasley non era stato uno dei migliori, ma in quel momento la gioia regnava sovrana fra tutti loro.
«Vi aspetto lunedì, allora» salutò Oliver, uscendo dallo spogliatoio. Si diresse immediatamente verso il castello, pregustando già una meritata dormita, e incontrò la folla che finiva di lasciare lo stadio; accanto a un castagno vide Diodora e Penelope, la Prefetto di Corvonero, osservare la fila disordinata di studenti che tornavano all'interno delle calde mura di pietra; senza rendersene conto, i suoi passi lo portano da loro.
Diodora sussultò non appena lo vide. «Oliver!» esclamò entusiasta, con un calore che raramente aveva avvertito da parte sua. «Ottima partita, siete stati bravissimi!».
«Grazie a Potter» tenne a precisare Penelope, incrociando le braccia al petto. Se la partita contro Serpeverde fosse andata bene, Corvonero sarebbe stato primo in classifica insieme a Grifondoro e allora solo l'incontro di fine campionato avrebbe determinato il vincitore tra le due Case.
«È stato bravo» concordò Oliver, ben deciso a non farsi guastare il pomeriggio di felicità. «Lo siamo stati tutti. Certo, Katie ha sbagliato un passaggio che ha rischiato di far guadagnare a Tassorosso dieci punti, ma non sarebbe stato un problema». Dimenticò per un momento le mentali imprecazioni contro Katie.
«Complimenti». La voce di Percy gli comunicò che l'altro Prefetto di Grifondoro li aveva appena raggiunti. «Avete fatto un'ottima partita e non posso biasimarti per la scelta di far giocare un Cercatore così giovane. Sai, all'inizio avevo pensato che si trattasse solo di fortuna, ma il migliore amico di mio fratello» e qui Percy gonfiò il petto orgoglioso «si è dimostrato un degno sostituto di Charlie».
«Ha ancora tempo, ma potrebbe raggiungere il suo talento» concordò Oliver, troppo felice per lasciarsi distrarre dal pensiero di Charlie. «State tornando alla Sala Comune?» chiese a Percy e Diodora.
«In realtà noi Prefetti stiamo andando a studiare in biblioteca». Percy si sistemò gli occhiali sul naso, sollevando il mento con aria di superiorità. «E dovresti farlo anche tu. I G.U.F.O. si stanno avvicinando e...».
Fu un istante: le parole di Percy, il nome di Charlie, il ricordo della conversazione di quella mattina con Diodora... E tutto gli fu chiaro.
«Perce, posso parlarti un secondo?». Senza attendere risposta, Oliver lo prese da parte e abbassò la voce. «Sono indietro con lo studio e... beh, mi farebbe bene ripassare con voi».
«Sarebbe un grosso sbaglio: non possiamo rischiare di rimanere indietro anche noi».
«Ma ho frequentato le lezioni, so di cosa parlerete! Te lo prometto, me ne starò in silenzio, se non potrò dare il mio contributo». Anticipò Percy prima che potesse parlare di nuovo: «Quindi sempre. Ascolterò e basta. E poi... sei il miglior studente di Grifondoro, se non dell'intera scuola. Da chi potrei imparare, se non da te?».
Sapeva di avere appena toccato il tasto giusto. Percy si gonfiò di nuovo, trattenendo un sorriso compiaciuto, e alla fine gli parlò come se gli stesse concedendo la più grande opportunità della sua vita.
«Il compito dei Prefetti è di aiutare gli studenti, quindi non posso escluderti dal nostro gruppo di studio. In realtà, non saresti neanche l'unico studente del quinto anno che si unisce a noi Prefetti, ma le eccezioni devono rimanere tali. Se prometti di non interferire nel ripasso, potrai studiare con noi».
Oliver, colmo di gioia, lo ringraziò con una pacca sulla spalla. «Volo al dormitorio, mi cambio e vi raggiungo in biblioteca» lo avvertì, prima di correre verso il castello con una piacevole brezza fredda che gli accarezzava il volto.
Quel sabato di marzo, Oliver aveva fatto grandi progressi per ottenere tutto quel che desiderava: il primo posto in classifica, voti decenti ai G.U.F.O. e, soprattutto, un nuovo gruppo di amici che avrebbe rimpiazzato Charlie e Tonks. Non vedeva cosa potesse andare storto.
 
*****
 
1 aprile 1992
 
Le cose erano decisamente migliorate, da quando Percy e Fera avevano litigato. Penelope non credeva che un evento del genere si sarebbe mai verificato, eppure, da tre settimane, quei due non si parlavano né si frequentavano più. Finalmente.
«Cominciamo dal secondo o dal quinto piano?» chiese, non appena Percy la raggiunse davanti alla Biblioteca. Quel pomeriggio avevano un turno di ronda insieme, per la prima volta da mesi; Penelope sperava che ciò significasse poter parlare di argomenti diversi dai G.U.F.O., ma se anche così non fosse stato, non importava: sarebbero stati insieme per due ore, da soli, senza insopportabili Tassorosso o stupide irlandesi tra i piedi.
Il ragazzo scrollò le spalle. «Non so, decidi tu».
«Andiamo al quinto e poi scendiamo, va bene?». Senza attendere risposta, Penelope si avviò verso le scale.
Sì, decisamente migliorate. Da tre settimane, Percy aveva preso a sedersi accanto a lei a lezione, sebbene non sempre – a volte preferiva dividere il banco con Paul Frischmann – e spesso le aveva addirittura chiesto di studiare insieme da soli, senza gli altri Prefetti. Certo, non era così che Penelope sperava di passare il tempo col ragazzo che le piaceva, tanto più che lui era costantemente di malumore; tuttavia, lei non si lamentava. Meglio così che non parlargli affatto.
«Hai già guardato i nuovi capitoli di Incantesimi?» domandò Percy appena raggiunsero il quinto piano, passando subito al proprio argomento preferito. «Sono una follia. Ora capisco perché Vitious voleva che imparassimo bene l’Incantesimo di Scavo, era un allenamento per…».
«I nuovi capitoli? Ma non abbiamo Incantesimi fino a martedì prossimo».
«Mi sto portando avanti».
Penelope annuì e sorrise dentro di sé. Aveva sempre immaginato se stessa insieme a un ragazzo studioso e diligente, piuttosto che a uno bello ma stupido.
«Sai, mi sono organizzato in questo modo: per ogni capitolo nuovo ne ripasso uno vecchio» stava continuando il Grifondoro. «Così non avrò problemi a maggio, quando faremo gli ultimi compiti in classe. Ci vuole costanza per studiare in questo modo, ma io sono molto bravo».
La ragazza sogghignò. «Sei anche molto modesto».
Le orecchie di Percy si fecero rosse. «Ho esagerato, scusa» mormorò.
«Ma no. Hai ragione, sei molto bravo». Penelope gli sorrise e Percy divenne, se possibile, ancora più imbarazzato. Non doveva essere abituato ai complimenti – non se passava il tempo con quella cicciona rozza e sarcastica. Penelope non capiva come Percy potesse andare così d’accordo con Fera; cosa ci trovava? Va bene, era brava a scuola, ma a parte questo non avrebbe saputo trovarle altri pregi. Non era nemmeno carina, con quei capelli di un banalissimo castano e la faccia tonda, per non parlare del sedere…
«Senti…».
«Sì?».
Si fermarono accanto a una parete del corridoio. In mezzo a loro passarono alcuni Serpeverde, probabilmente in ritardo per una lezione. «Ho bisogno di parlarti,» disse Percy tutto d’un fiato. «È una cosa importante».
Penelope drizzò le orecchie. Importante? Di certo non si trattava dei soliti compiti!
«Ma certo! Dimmi pure, ti ascolto!» cinguettò, facendosi tutta rosa in volto.
«Ecco…» Il ragazzo si schiarì la gola più volte. «Si tratta di Fera».
L’allegria di Penelope svanì. «Ah» fece, gelida.
«Sai, noi abbiamo litigato, tre settimane fa».
«Davvero?».
Percy non colse il sarcasmo. «Non mi sono comportato bene con lei» proseguì, nonostante il colorito di Penelope stesse divenendo sempre più terreo, «mentre cercava solo di aiutarmi a…».
Disse qualcos’altro, ma Penelope, che aveva voltato la testa per guardare altrove, non lo udì. Quanto era stupida: come poteva avere una cotta per un ragazzo così perso dietro a un’altra? Una brutta e antipatica, oltretutto!
«… quindi, insomma, sei libera sabato prossimo?».
Si girò di scatto verso Percy. «C-cosa?».
«Sabato prossimo». Il ragazzo era avvampato. «C’è l’uscita a Hogsmeade, quindi pensavo… Ti va di andarci insieme? Se non hai altri impegni, ovviamente, non vorrei che…».
«Oh!». Colta di sorpresa, Penelope iniziò a ridacchiare: da come era partito il discorso, non si aspettava affatto una richiesta del genere. «Oh, no no no, sono liberissima» rispose in tutta fretta.
«Davvero?».
«Davvero. Sarò tutta tua».
Si portò una mano alla bocca. Cosa le era saltato in mente di dire una cosa del genere? A Percy! «C-cioè, intendevo… Non volevo…».
Ma lui non sembrava neanche essersi accorto dell’orribile doppio senso. «Oh, benissimo!» esclamò infatti, illuminandosi per la prima volta in tre settimane. «Mi fa proprio… Ehi! Che state combinando, voi due?».
Veloce come un fulmine, Percy aggirò la compagna e si diresse verso l’altra parte del corridoio. Penelope rimase lì a sorridere tra sé, poi lo raggiunse trattenendosi a stento dal saltellare. Non aveva capito cosa c’entrasse Fera in tutto il discorso, ma decise che non le importava affatto.
 
*****
 
2 aprile 1992
 
«Attenta!».
Troppo tardi: la Caccabomba investì Fera in pieno, senza che lei potesse far nulla per ripararsi.
«Scusaci, scusaci tanto! Volevamo colpire un’altra, invece…».
Fera non disse niente. Era senza parole. Restò immobile, mentre gli autori di quello scherzo idiota le ripulivano la faccia con due fazzoletti evocati dal nulla.
«Ci dispiace tantissimo, davvero…».
Con la faccia finalmente pulita (ma la divisa in condizioni pietose) Fera poté vedere i maldestri aggressori che l’avevano colpita. «Fred e George Weasley, vero?» chiese, già sapendo la risposta.
I gemelli annuirono. «C’è una Serpeverde stronza che tormenta un primino della nostra Casa,» spiegò quello a destra, «e quando ti abbiamo vista arrivare ci sei sembrata lei…».
«Capisco. Vi siete sbagliati. Può succedere».
I ragazzi si guardarono. Quella reazione composta doveva averli sorpresi molto. «Non sei arrabbiata?» domandò il gemello a sinistra, cauto.
Fera inspirò e chiuse gli occhi. «In condizioni normali, vi avrei già trasformati in scarafaggi» rispose, con calma olimpica, «ma sono talmente infuriata con una persona che non riesco ad esserlo con nessun altro».
«Oh, che fortuna» sbuffò lo stesso ragazzo, sollevato. «Quindi non lo dirai a Percy?».
L’odore intenso di Caccabomba le dava già la nausea, ma udire quel nome provocò una smorfia di disgusto da parte di Fera. «Vostro fratello? Perché dovrei?»
«Perché ci stai sempre assieme. O mi sbaglio? Magari è colpa della cacca, ma sembri lei».
«Lo ero. E visto che è con lui che sono arrabbiata, non gli dirò niente neanche sotto tortura».
Si passò una mano tra i capelli – sarebbero rimasti sudici per giorni, se non si fosse sbrigata a lavarli. «Beh, vi saluto. Devo andare a farmi una doccia, a quanto pare» e con un mesto sorriso fece per allontanarsi dalla serra. Avrebbe dovuto saltare Erbologia, ma non era un problema: era avanti col programma, e…
«Aspetta!».
Si voltò. «Come mai ce l’hai con Percy?» le chiese il gemello a destra.
Fera aggrottò le sopracciglia. «Perché vi interessa?».
«Perché ci sta antipatico» rispose quello a sinistra. «E vogliamo dissociarci da ciò che fa».
«Nonché scusarci a nome suo».
«A nome dei Weasley in generale, scusaci se ti abbiamo riempita di cacca e fatta arrabbiare».
Merlino, ma quanto erano teneri? E dire che Percy parlava sempre male di Fred e George. Fera non poté fare a meno di sorridere. «Scuse accettate» rispose. «Anche se non bastano a farmi perdonare quel coglione».
Agitò una mano e mosse un passo verso il castello, ma subito un’idea la colpì. «Avete detto che Percy vi sta antipatico?» chiese, voltandosi di nuovo.
Fred e George annuirono con vigore.
«Perciò, non avreste alcun problema a fargli uno scherzo come quello che avete fatto a me».
«Possiamo fare anche di peggio» disse quello di destra, «però è rischioso».
«È un Prefetto, può metterci in punizione quando vuole» aggiunse l’altro.
«Quindi, avete paura?».
Qualcosa cambiò nello sguardo dei gemelli. Tipico dei Weasley: non amavano che si mettesse in discussione il loro coraggio. «Diciamo solo che, se ci assumiamo questo rischio, vogliamo qualcosa in cambio» disse in fretta uno dei due, mentre l’altro annuiva.
Fera alzò un sopracciglio. «Mi avete appena lanciato una Caccabomba, direi che accontentarmi sia il minimo per farvi perdonare».
Niente da fare: Fred e George avevano messo su un’aria così furbetta, che Fera capì di non poterla spuntare con loro. «Va bene, che ne dite se vi faccio un’offerta?» sbuffò.
«Così ci piaci».
«Dicci pure».
Fera ci pensò su. «Avete presente le Scatole TuttiDolci di Mielandia?».
Gli occhi dei ragazzi brillarono. «Quelle grandi o quelle piccole?».
«Quelle grandi, con i Bignè Ballerini e le Fragolizie».
Uno dei gemelli sospirò, l’altro deglutì. In casa loro, dove non si sprecava neppure uno zellino, non dovevano esserci molti dolciumi. «Se facciamo arrabbiare Percy, ce ne comprerai una?».
«Ve ne comprerò due». Fera ridacchiò nel vedere Fred e George trasalire. «Ma vostro fratello deve essere davvero incazzato, intesi? E non mi importa se lo ricoprite di cacca o gli fate spuntare le corna, purché lo sentano urlare da qui a Diagon Alley».
Non persero tempo a pensarci su: entrambi tesero la mano verso di lei. «Ci stiamo» disse uno.
«Hai fatto un affare» aggiunse l’altro.
Fera non aveva dubbi in proposito.
 
*****
 
10 aprile 1992
 
Med sbatté i piedi contro il pavimento, cercando di togliersi di dosso gli ultimi residui di fango – con la speranza che Gazza o la sua stupida gatta non comparissero da un momento all'altro – e, quando fu certa di avere ottenuto il risultato sperato, si preparò a varcare la soglia per accedere alla Sala Comune di Serpeverde.
La stanza era gremita di studenti alle prese con i compiti per il giorno successivo; alcuni di loro erano chini sulle pergamene, che la luce del lago colorava di un blu verdastro, altri chiacchieravano animatamente e raccoglievano gli sguardi di fuoco di tutti quelli che aspiravano a un momento di pace sulle poltrone di pelle nera. Med superò il camino e il lungo tavolo al centro della sala per raggiungere la scala a chiocciola e accedere al piano superiore, dove su uno scuro corridoio di pietra si affacciavano sette porte di mogano. Raggiunse quella esattamente nel mezzo e afferrò la maniglia a forma di serpente, poi girò.
«Guarda chi si vede, la nostra giovane innamorata!» l'accolse l'irritante voce di Lobelia, che si alzò in piedi e si avvicinò all'ingresso compiendo un vano tentativo di giravolta.
Sebbene non le piacesse dare a vedere sintomi di debolezza, Med non riuscì a reprimere il rossore che le coprì le guance a quelle parole. «Taci, Belia».
«Che cosa ho detto di male?». Si finse offesa e guardò Grace in cerca di una risposta, ma lei era china su una confezione di Api Frizzole e non la udì neanche. «Non è forse vero che la nostra cara Med ha un colorito migliore da quando si è aperta alle grazie dell'amooore?» sottolineò fastidiosamente l'ultima parola e si lasciò cadere sul letto a baldacchino, sospirando felice.
«Che ha da essere così contenta?» chiese Med a Grace, facendo il gesto di toglierle il prezioso tesoro dalle mani, e finalmente l'amica si accorse della sua presenza.
«A Pasqua presenterà Miles ai suoi» spiegò Grace in tono piatto, poco interessata a quella conversazione «e lui le ha appena detto che non vede l'ora».
«Di già?!». Med era stupefatta. «Ma... vi frequentate da quanto? Neanche un anno?».
«E allora? Un anno è tantissimo tempo, Med! E io amo Miles così tanto!».
«Effettivamente, è la prima volta che resti con un ragazzo per più di due mesi».
«Cosa vorresti dire?».
«La verità: non sei mai stata con un ragazzo per più di due mesi».
Lobelia sembrò soppesare le sue parole, ma non dava segni di capire se si trattava di un insulto o di un complimento; alla fine, mentre Med cercava il libro di Incantesimi, tornò alla carica.
«Perché non porti Adrian con te? Vi frequentate dal primo fine settimana a Hogsmeade, dovresti farlo conoscere alla tua famiglia».
Med arrossì di nuovo, ma questa volta fu per il nervosismo e non per l'imbarazzo: non aveva detto niente di Adrian ai suoi genitori, era una cosa... privata, in un certo senso. L'unico fuori Hogwarts a sapere della sua esistenza era Louis.
«Non tornerò a casa per le vacanze di Pasqua» evitò così l'argomento.
«Neanche quest'anno? Come mai?».
«Rivedrò i miei a giugno, che senso avrebbe perdere due giorni sull'Espresso per stare a casa mia meno di una settimana? Qui almeno posso studiare, lì sarebbe un via vai di parenti».
«Ottima occasione per presentare Adrian a tutta la tua famiglia!».
«È un peccato, però» si intromise Grace, che aveva dato fondo a tutte le Api Frizzole del pacchetto e che ora sembrava in procinto di prendere il volo – se solo non fosse stata così pesante da rimanere ancorata a terra. Med e Lobelia si voltarono verso di lei, che si stava leccando le dita. «Adrian lo sa? Ha detto a mamma che ti avrebbe portata da noi, durante le vacanze».
Med rimase senza parole mentre Lobelia squittiva entusiasta. Riuscì a parlare solo dopo avere aperto e richiuso la bocca un paio di volte. «L'ha fatto davvero? Ma... non ne avevamo mai parlato».
Grace si strinse nelle spalle. Ci volle qualche secondo prima che rispondesse, perché aveva appena avvistato un'Ape Frizzola che era rotolata via dalla confezione ed era finita sotto il suo cuscino. «Forse non dovevo dirtelo. Avvertilo, comunque, così mamma lo saprà subito e non ci rimarrà male. Ci teneva tanto, da quel che ho capito».
E a me non pensa?
Invece di essere lusingata da quella scoperta, Med ne era profondamente infastidita. Come aveva potuto Adrian agire a tal punto di testa sua, senza nemmeno chiederle un parere? Si trattava di una questione delicata, che lei non aveva intenzione di prendere sottogamba. Suo padre non sapeva ancora niente di niente, accidenti!
Tenendosi dentro tutti quei pensieri irritanti, afferrò il libro di Incantesimi e sparì oltre la soglia, decisa a rifugiarsi in biblioteca, lontana dalla presenza dell'ennesimo Serpeverde che avrebbe potuto farle saltare i nervi.
 
*****
 
11 aprile 1992
 
«Sei ancora arrabbiata con lui?».
Fera sbuffò. «Lui non mi ha ancora chiesto scusa».
«Incredibile». Ed sogghignò, e Fera si chiese se avrebbe passato tutto il tempo della gita a Hogsmeade a ridere di lei. «Dai, fate pace» continuò Ed. «È troppo strano non vedervi insieme».
«Dovresti essere contento». Il sole accecante costrinse Fera a ripararsi il volto con una mano. «Non sei geloso di lui?».
«E perché dovrei esserlo?».
Prima che potesse rispondere, Ed le afferrò la mano che aveva alzato. «Mi dispiace che tu stia male per un litigio, tutto qui» disse, mentre intrecciava le dita alle sue.
«Figurati» balbettò lei, sorpresa – come sempre – da quel gesto tenero e stranamente naturale. Rallentarono il passo, lasciando che i ragazzi di terzo anno li superassero nell’entrare a Hogsmeade. L’ultimo fine settimana prima delle vacanze di Pasqua rendeva tutti più eccitati; anche Fera sentiva qualcosa agitarsi dentro di sé, sebbene non collegato alla festa imminente.
«Allora, vuoi visitare qualcosa in particolare?».
Si erano fermati in un angolo della piazza centrale, accanto all’Ufficio Postale. Ed si scansò i capelli dalla fronte e le sorrise. «Perché non restiamo qui?» propose.
«Qui? In mezzo al nulla? A fare che?».
«Ho una mezza idea».
Il battito di Fera accelerò alla follia, quando Ed si chinò verso di lei. Sulle prime non comprese cosa stesse accadendo: d’istinto aveva chiuso gli occhi, ma sapeva che il calore sulla propria faccia proveniva dalla pelle di Ed; soltanto quando lui si allontanò, Fera capì di aver ricevuto il suo primo bacio.
«Perdonami». Ed sembrava affannato, le guance infuocate. «Avrei voluto farlo mesi fa…».
Fera deglutì. «Se è per questo, anch’io».
Risero entrambi, poi Ed le si accostò di nuovo. Il secondo bacio fu decisamente migliore: stavolta Fera poté distinguere la sensazione delle labbra di lui, il suo profumo, le sue braccia attorno alla propria vita. Era come lo aveva sempre sognato, anzi, meglio, perché era reale.
Naturalmente, non poteva durare a lungo.
«Fera!».
La ragazza si staccò, lasciando Ed confuso e deluso. Dietro di lui era comparso quel deficiente di Percy, il quale appariva del tutto ignaro di aver interrotto qualcosa di fondamentale. «Ti ho cercata dappertutto, io… Oh, ciao, Fawley».
«Weasley».
«Cosa vuoi?» chiese Fera, trattenendosi a stento dall’aggiungere un insulto.
«Ho bisogno di parlarti». Percy si voltò verso Ed. «Puoi scusarci un minuto?».
«Sicuro!» rispose il Corvonero, allontanandosi in tutta fretta. Quando Fera assumeva quel cipiglio furioso, era sempre meglio starle alla larga.
«Cosa vuoi?» ripeté la ragazza in tono acido, incrociando le braccia.
Percy era a disagio. Si toccò gli occhiali un paio di volte, prima di parlare. «Buon San Patrizio».
Fera sgranò gli occhi. «È stato più di tre settimane fa, idiota!» esclamò.
«Vero, ma all’epoca ero arrabbiato con te».
Per tutta risposta, Fera grugnì. Era lei ad essere arrabbiata, e per motivi più che validi; stava per dirglielo, ma Percy assunse l’espressione di quando voleva chiederle scusa.
«Avevi ragione» mormorò, la testa china e gli occhi bassi. «Avevo paura di chiedere a Penelope di uscire con me, e non avrei dovuto mentire a Raptor per farti perdere quei punti a lezione».
L’ammissione di colpa placò Fera, ma non del tutto. «Va bene» rispose, tuttavia.
«E comunque, oggi ho un appuntamento con lei».
Per lo stupore, Fera perse l’espressione arcigna. «Sul serio?».
Percy annuì e azzardò un mezzo sorriso. «Ha proposto di andare da Madama Piediburro, speriamo bene…».
«Speriamo». Si guardò attorno con aria vaga, ma alla fine non riuscì a trattenersi. «Dovrai raccontarmi tutti i dettagli, idiota».
Rincuorato, il suo amico le rivolse un gran sorriso. Si scambiarono un altro paio di frasi, infine si salutarono; Percy prese una delle vie che si dipartivano dalla piazza, Fera, invece raggiunse Ed dalla parte opposta. «Che ti ha detto?» domandò lui, non appena la vide arrivare.
«Te lo racconto dopo». La ragazza si morse un labbro, speranzosa. «Ora, che ne dici se…».
Ma non riuscì a finire la frase: un urlo belluino era risuonato dalla strada imboccata da Percy, facendo girare tutti i passanti. «Che accidenti è successo?!» fece Ed, agitato.
Fera spalancò la bocca, stupita, poi scoppiò in una gran risata. «Oh, non preoccuparti» rispose. «Mi sa che devo fare un giro da Mielandia».
 
*****
 
15 aprile 1992
 
Mentre aspettava che il bollitore cominciasse a fischiare, Louis rilesse alcuni stralci della lettera che aveva di fronte.
 
Non mi importa cosa ne pensa lui, farò in modo che non lo scopra...
 
...gli esami non sono un problema, posso farcela benissimo...
 
...sono sempre tuo fratello, Louis, e questo non potrà cambiare mai.
 
Sospirò e si passò una mano sulla fronte, inerme. Solo il suono del bollitore lo riscosse dalle sue deprimenti riflessioni; si alzò per versarsi il tè, avvicinò la tazza alla lettera e si sedette di nuovo, preparandosi a dare a Theo una risposta che chiudesse una volta per tutte la questione. Gli occhiali si erano appannati con il vapore che saliva dalla tazza e Louis dovette pulirli prima di afferrare penna e inchiostro.
 
Theo,
ti avevo già scritto mesi fa cosa pensavo di questa tua folle idea e la mia opinione non è ancora cambiata: resta a Hogwarts.
Lascia perdere lo studio per gli esami, sappiamo entrambi che non potrebbe essere usato come motivazione né da una parte né dall'altra; conosco i tuoi voti, so bene che una settimana di riposo non comprometterebbe la tua media e anche che potresti comunque portati dietro qualche libro di scuola. Il motivo è un altro, e ho intenzione di ritornarci sopra per quella che spero sia l'ultima volta.
Nostro padre non vuole vedermi. Mi ha diseredato perché non condivido le sue stupide opinioni sulla "razza pura" e non me ne frega niente, ma non puoi andarci di mezzo tu: sei ancora un ragazzino, hai dodici anni, per la miseria!
So che vuoi vedermi, so che stare separati anche durante le vacanze è una tortura, però devi farci l'abitudine. Pensa a Hogwarts, pensa ai mesi che sei comunque obbligato a passare lontano da me; ti darà l'impressione che le cose siano come prima e quando tornerai a casa... beh, ti basterà immaginare che io sia distante per lavoro (ipotesi tra l'altro vera, perché le ricerche che sto facendo si stanno rivelando parecchio fruttuose). Cercare di venire a trovarmi di nascosto, facendo credere a nostro padre che tu sia rimasto a Hogwarts, potrebbe mettere a rischio il tuo futuro; non dispongo ancora della possibilità di mantenere entrambi, perciò hai bisogno di studiare, diplomarti e trovare un lavoro. Se durante questi anni dovessi fare la scoperta della mia vita, qualcosa che mi frutterebbe una marea di galeoni, te lo dirò e potrai lasciare casa di nostro padre quando tu lo vorrai. Ma, per il momento, fa' il bravo. Ti prego.
E resta a Hogwarts. A prescindere dal mio rifiuto ad ospitarti: non tornare a casa, cerca di stare lontano da lui più che puoi.
Tuo fratello, comunque e per sempre,
 
Louis
 
P.S. Mamma manca tanto anche a me.
 
Concluse quella lettera stropicciandosi gli occhi, che si erano infiammati per la vicinanza della pergamena ai suoi occhiali – non riusciva ancora a evitare di scrivere a due centimetri dal foglio – e per la rabbia che stava provando. Bevve un sorso di tè ormai tiepido e sospirò di nuovo una volta che la lettera fu arrotolata e messa da parte.
Sotto la pergamena inviata da Theo spiccava un'altra missiva, a cui Louis dedicò un sorriso amaro, ma non troppo.
Si raddrizzò sullo schienale, ben consapevole che da lì a poco sarebbe tornato curvo sul tavolo, e intinse la penna nel calamaio.
 
Cara Med,
sono felice di sapere che stai bene. Le vacanze di Pasqua si stanno avvicinando, perciò ti allego un pensierino da poco: questa volta riuscirò a coglierti di sorpresa!
 
Louis sorrise, ripensando all'improvvisata di Med la vigilia di Natale.
Magari accadesse anche a Pasqua.
Rivolse uno sguardo speranzoso alla porta di casa. Non apparve nessuno, ma in effetti mancava ancora qualche giorno.
 
Vorrei parlare di tutto ciò che mi hai scritto nella lettera di ieri, lo vorrei davvero. Però ho uno scoop troppo importante da darti e non riesco ad aspettare.
Ricordi la mia teoria sui Dugbog? Già da tempo mi ronzava in testa l'idea che avessero cominciato a spostarsi dal Trym, risalendo l'Avon fino a Bristol, perché le uova che avevo trovato a febbraio avevano un aspetto troppo particolare, ma quando mai i Dugbog si sono fatti vedere nelle zone abitate dai Babbani? Ho voluto indagare meglio. Qualche giorno fa, finalmente ho trovato dei resti di topo: erano rimasti solo la coda e qualche osso, altro fatto strano. Quale animale lascerebbe la coda della sua preda... se non un Dugbog?
Ho cominciato a risalire il fiume, allontanandomi dal Trym e dalla costa, e sono arrivato fino al West Cut (sia benedetta la Materializzazione!). Avrai ormai intuito dove voglio arrivare. Indagando e indagando, sono giunto a Bath, e indovina un po'?
Le terme romane.
Le terme romane ospitano la prima colonia di Dugbog dell'Inghilterra! Ti rendi conto? Centinaia di turisti le visitano ogni giorno e mai nessuno aveva fatto caso a un Dugbog: hanno imparato a nascondersi, convivono perfino con gli esseri umani. Se solo non sapessi di cosa sono capaci, li lascerei in pace, ma la sicurezza dei Babbani (e l'amore per la gloria) mi costringono a mettere il corrente il Ministero della mia scoperta. Pubblicheranno sicuramente la mia ricerca e, se sarò fortunato, avrò un posto assicurato nell'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche!
E non è neanche questa la parte migliore. Med, i Dugbog si nascondono a Bath. È praticamente certo che dovrò trovarmi un appartamento lì per studiarli meglio (al diavolo la Materializzazione, adesso). A Bath! Prenderò qualcosa di più spazioso di un monolocale, così potrai venire qui tutte le volte che vorrai, anzi perfino tutta l'estate!
 
Lasciò andare la piuma e si scrocchiò le dita, contemplando quella meravigliosa prospettiva. Med poteva anche avere Adrian, ora, ma Bath era sempre stato il suo sogno e lui glielo stava porgendo su un piatto d'argento. Non se lo sarebbe fatto scappare facilmente.
 
*****
 
16 aprile 1992
 
«Ehi, Theo, buongiorno!».
Med vide il primino accanto alla finestra sussultare al suono della sua voce: forse non si aspettava di sentire un tono tanto felice, così diverso dalla caratteristica scontrosità, e non l'aveva subito riconosciuta; poi si accorse che il ragazzo stringeva tra le mani una lettera che doveva essere stato il centro dei suoi pensieri fino a quel momento.
Theo la ripiegò in fretta e se la mise in tasca. «Buongiorno. Come stai?».
«Assolutamente bene» rispose Med, lasciandosi cadere sul divano più vicino. «Ho appena ricevuto una lettera da Louis, mi ha detto di Bath... Non riesco ancora a crederci!».
«Di Bath?». Il suo interlocutore aggrottò le sopracciglia.
«I Dugbog. Non ne sai niente?».
«No, a dire il vero, ma non mi parla spesso di lavoro».
«Capisco... Quindi cosa vi siete detti nella lettera?».
L'espressione di Theo si fece se possibile ancora più confusa, finché Med non indicò con un cenno della testa la tasca in cui aveva ripiegato la sottile pergamena.
«Ah, sì... Sì, era sua. Parlavamo delle vacanze di Pasqua».
«Hai preparato il baule?».
«No, in realtà rimarrò a Hogwarts, cambio di programma».
Il fastidio con cui sembrò pronunciare quelle parole convinse Med a non insistere oltre; per fortuna proprio in quel momento dalla cima delle scale comparve Adrian, intento a trascinare il suo bagaglio. Lei gli andò incontro per stampargli un fugace bacio sulle labbra.
«Buongiorno» lo salutò.
Il suo strano cambio di atteggiamento stupì anche Adrian, che storse perplesso il naso. «Ti sei svegliata bene, oggi».
«Già».
Med sorrise, senza rivelargli il motivo della sua improvvisa gioia, decisa a contornarsi di un'aura di mistero agli occhi del suo ragazzo. In realtà sarebbe bastato dirgli della lettera di Louis, ma come avrebbe potuto Adrian anche lontanamente intuire perché la notizia che le aveva dato il suo amico la rendesse fuori di sé dalla felicità? Med era stata a Bath solo da bambina, ma ci era tornata mille e più volte grazie ai romanzi di Jane Austen, e che idea si era fatta di quella splendida cittadina di villeggiatura! Le carrozze, i balli, i cappelli per proteggersi dal sole, le passeggiate pomeridiane, il debutto in società... Jane non aveva parlato solo di Bath nei suoi libri, ma per qualche motivo quel posto era rimasto nella mente di Med come il solo luogo in cui tutti i suoi sogni avrebbero potuto avverarsi. Aveva deciso che ci sarebbe tornata non appena sarebbe stata in grado di Materializzarsi, facendo avanti e indietro da casa sua alle terme romane, dalla piovosa Slough alle rive dell'Avon; avrebbe potuto chiedere ai suoi genitori di portarla lì durante una delle estati passate, ma le piaceva l'idea di andarci senza di loro, magari su invito di qualche zio o vicino di casa – non era forse già accaduto a Catherine Morland?
Louis non era un signore di mezza età sposato con una donna fissata con la società inglese, ma poteva essere considerato un amico di famiglia; avrebbe avuto una casa in cui ospitarla e oh, come sperava che fosse una villetta ottocentesca con il caminetto nel salotto!
Quell'estate, costasse quel che costasse, avrebbe passato almeno un mese a Bath con Louis. Certo, era felice della scoperta del suo amico e sperava che potesse avere il successo prospettato... ma anche per costringerlo a rimanere nella città dei suoi sogni il più a lungo possibile.
Era così contenta che aveva dimenticato il broncio che aveva messo giorni prima ad Adrian, quando aveva scoperto che era stato intenzionato a presentarle i genitori senza avere chiesto il suo parere. Ora che Adrian stava tornando a casa per le vacanze di Pasqua, le sembrava giusto dividere con lui parte di quella immensa gioia che le aveva donato Louis, perdonandolo per avere fatto tutto di testa propria.
«A che ora parte l'Espresso?» gli chiese, prendendolo sottobraccio. Si sentiva già una lady sul punto di debuttare.
«Alle undici, come ogni anno. Sei sicura di stare bene?».
«Benissimo! Mi dispiace solo non poter venire con te... ma impegni urgenti mi trattengono qui».
«Paciock rimarrà a scuola, eh?» sghignazzò Adrian, seguito subito da Med.
«Ho paura che si sentirebbe solo, senza te e i tuoi amici. Devo rimanere a fargli compagnia».
«Saggia decisione».
Adrian afferrò il suo viso e la baciò, mentre ancora i pensieri di Med vagavano su tutto quello che avrebbe potuto fare con Louis di lì a pochi mesi. Sorrise contro le sue labbra.
  
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