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Autore: Kimberly Horan    13/09/2016    1 recensioni
Sofia si trova a Londra per presentare la mostra a cui ha lavorato per circa tre anni. Giovane, intraprendente e con un carattere forte, sembra non esserci nulla per lei al di fuori del suo progetto e dello studio, questo finché non incontra il principe Harry. Tra i due scatta qualcosa fin da subito, ma far funzionare la loro relazione sarà più complicato del previsto. Cosa saranno disposti a rinunciare pur di coronare il loro sogno d'amore?
Genere: Commedia, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Sofia radunò le sue cose e si preparò per scendere dalla macchina. Era nervosa, e si chiese se anche Elisabetta al suo fianco lo fosse.
“Non sarà troppo presto?” Le chiese l’amica con voce squillante. Di pochi anni più grande di lei, era sempre stato un tipetto piuttosto attivo. Aveva capelli color mogano, ricci e lunghi fino alle spalle, che le incorniciavano un volto dai lineamenti duri e squadrati.
“Siamo le responsabili della mostra, è meglio essere in anticipo e fare le cose con calma, piuttosto che ritrovarci a dover fare le corse”.
Elisabetta sorrise come se fosse tutto normale. “Ma sono appena le sette del mattino, probabilmente la struttura sarà ancora chiusa”.
“Sono sicura che sia come la sede dell’università in Via Zamboni”
“Cioè piena zeppa di cafoni?”
Sofia rise divertita. “No, intendevo dire che magari si può entrare anche se le porte delle strutture aprono alle otto!” Scuotendo la testa aprì la portiera e scese dall’auto. Con eleganza si sistemò l’abito blu scuro che aveva scelto per l’occasione.
Oxford era lì davanti a lei. In tutto il suo splendore il rinomato college era pronto ad accoglierla a braccia aperte, nel suo massimo momento di gloria. Aveva lavorato alla mostra sulla Prima Guerra Mondiale per quasi tre anni e dopo il successo ottenuto a Roma, avevano chiesto di riprodurre la stessa esposizione ad Oxford. In verità Sofia non amava viaggiare, e l’idea di stare lontana da casa da sola per la prima volta non le era mai piaciuta molto, ma il progetto era suo e non avrebbe mai lasciato che qualcun altro prendesse il suo posto.
“Comunque, tanto per essere precisi, l’unica vera responsabile della mostra sei tu”, le disse Elisabetta mentre camminavano una di fianco all’altra. “Io non mi sono mia soffermata molto sulla Prima Guerra Mondiale, ma non ho potuto resistere all’opportunità di visitare Londra completamente spesata dall’università!”
“Sta tranquilla, non ti giudicherò”, le rispose Sofia sorridendo. Più passava il tempo e più era convinta che aveva fatto bene a chiedere ad Elisabetta di andare con lei. Il suo campo di specializzazione era la storia americana, e di storia inglese si era sempre occupata ben poco, ma a lato pratico era un’ottima contemporaneista. Inoltre, non avendo stretto molte amicizie durante gli anni all’università, Sofia non avrebbe saputo a chi altro chiedere di accompagnarla.
Le due attraversarono il giardino e quando entrarono nel palazzo principale videro che non erano le prime ad essere arrivate. Una gran quantità di persone si muovevano freneticamente di qua e di là e quando videro arrivare Sofia le si fiondarono letteralmente addosso.
La mostra era un evento importante e tutto doveva essere perfetto. Ma Sofia non si fece intimorire, lei stessa voleva che ogni dettaglio fosse curato nei minimi particolari, così in poco tempo si dimenticò completamente di ogni timore e prese in mano la situazione. Rispose alle domande dell’ultimo minuto e diede le disposizioni finali, continuando a pensare che aveva fatto bene ad arrivare in anticipo. Il rumore dei tacchi risuonava per i corridoi mentre passava da una sala all’altra per un’ultima ispezione, prima che la folla, ormai radunata all’entrata, facesse il suo ingresso.
Fotografi, uomini di stato, imprenditori, nobili inglesi e giornalisti si riversarono per le sette sale di Oxford che erano state allestite con una precisione quasi maniacale. Sofia si tenne in disparte la maggior parte del tempo, limitandosi a controllare con attenzione che le guide svolgessero il loro lavoro nel miglior modo possibile e tenendosi costantemente pronta ad intervenire nel caso commettessero qualche errore. Anche lei aveva vissuto un’esperienza simile alle superiori e un velo di nostalgia le fece pensare che esporre e spiegare la sua mostra sarebbe stata un’esperienza che l’avrebbe riempita d’orgoglio.
“Ah ecco dove eri finita!” Elisabetta la raggiunse di corsa. “Devi venire, Bernardi ti sta cercando, è al piano di sotto”.
Sofia si fece seria e sospirò spazientita. Superò velocemente l’amica e se ne andò nascondendo i suoi pensieri. Il professor Bernardi era stato il suo professore di storia contemporanea durante il primo anno di università e il suo relatore per la tesi triennale. Uno storico competente nel suo lavoro, certo, ma assolutamente inaffidabile. Lui l’aveva coinvolta in quel progetto e le aveva fatto passare le pene del purgatorio, ma la cosa che la faceva imbestialire di più era il fatto che l’aveva lasciata sola ad organizzare tutto, e che nonostante questo lui si sarebbe preso buona parte del merito.
Visibilmente infuriata si fece largo tra la folla, tuttavia dovette decisamente ridimensionare la sua rabbia quando, in fondo al corridoio, vide che il professore non era da solo. Dare sfogo a ciò che pensava avrebbe attirato inutilmente l’attenzione dei giornalisti e rovinato la reputazione della mostra, dell’università e gettato una macchia nera sul suo curriculum, perciò non era proprio il caso.
Il professore si girò e la vide. Le fece un cenno di saluto con la mano e disse qualcosa all’uomo che gli stava accanto. La sua vista era visibilmente peggiorata negli ultimi anni e da lontano Sofia riuscì a distinguere chiaramente solamente una folta chioma color carota.
“Sofia, pensavo che ti avrei trovata all’ingresso, ma quando sono arrivato tu non c’eri!” Il professore le andò in contro. Era un uomo sulla cinquantina, con i capelli ormai bianchi e il volto rotondo. “Mi dispiace di essere arrivato in ritardo, ma in aeroporto c’è sempre un gran traffico di persone”.
Sofia si chiese per quale motivo si trovasse all’aeroporto, ma decise di non chiedergli nulla. Non era sicura di voler sapere la risposta. “Non importa professore, sono riuscita a gestire la situazione anche senza di lei. Ero al piano di sopra per controllare che le guide non avessero dei problemi”.
“Certamente, hai fatto bene. Ma ora vieni, devo presentarti una persona”. Era visibilmente emozionato, e Sofia ne capì il motivo solo quando si ritrovò davanti l’uomo con i capelli rossi, che nel frattempo si era avvicinato.
Bernardi guardò prima Sofia, poi spostò lo sguardo verso l’uomo con i capelli rossi, alzando il mento con fare orgoglioso. “Principe Harry, lasciate che vi presenti la Dottoressa Sofia De Angelis: mente e corpo di questa esposizione”.
“Dottoressa De Angelis è un vero onore per me trovarmi qui”, le porse la mano e Sofia ebbe un attimo di smarrimento nel ritrovarsi il principe lì, alla sua mostra. Poi però rifletté che effettivamente non c’era niente di particolare in tutta quella situazione. Avrebbe dovuto aspettarsi la presenza di un membro della famiglia reale.
“Vi ringrazio per essere venuto, Vostra Altezza”, disse lei formalmente mentre ricambiava la stretta di mano.
 
 
Il principe sbatté le palpebre, visibilmente sorpreso nel vedere una ragazza tanto giovane così seria. E stranamente non seppe più come comportarsi. Solitamente tutti erano emozionati nel conoscere un principe, ma lei sembrò non scomporsi più di tanto.
Harry pensò che se non ci fosse stato il professore, la conversazione tra i due sarebbe giunta sicuramente ad un punto morto. In una frazione di secondo una delle guide le si avvicinò e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei corrugò la fronte e poi annuì. 
“Professore, siamo pronti per iniziare la conferenza”.
“Di già?” Chiese Bernardi sorpreso.
Sofia annuì e mentre l’uomo rivolse ad Harry profonde scuse per il fatto che doveva lasciarlo così presto, lei si limitò ad accennare un sorriso cortese.
Harry rimase frastornato per un po’ e non sapeva se doveva sentirsi offeso dal comportamento della giovane, che praticamente l’aveva ignorato, oppure non dare peso a tutta la questione. Sfortunatamente, per via del suo pessimo carattere, la seconda possibilità era completamente da escludere. Ormai di cattivo umore si diresse anche lui nella sala conferenze, dove lo fecero sedere in prima fila, proprio difronte al palco leggermente rialzato.
Il primo a parlare, ovviamente, fu il professor Bernardi, poi fu il turno di Sofia. Con grazie ed eleganza innate, si avvicinò ai microfoni. L’espressione seria era ancora dipinta sul volto dai lineamenti delicati, incorniciato da folti capelli di un nero così intenso come Harry non aveva mai visto prima. Erano tagliati corti e le lasciavano scoperto il collo delicato e sensuale. A vederla sembrava molto più giovane di quello che era realmente, ma nel modo in cui si muoveva si capiva perfettamente che ormai era una donna. Anche il suo corpo, seppur minuto, lo lasciava intuire. L’abito blu scuro le stava divinamente, fasciandole la vita sottile e le delicate forme del seno, fermandosi all’altezza del ginocchio facendo vedere le gambe dritte e snelle.
“Dottoressa De Angelis”, la voce di un giornalista riportò Harry alla realtà. “Lei è una delle principali organizzatrici di questa mostra, ma è anche la più giovane. Ci dica, cosa l’ha spinta ad impegnarsi in questo progetto?”
Harry rimase in attesa, come tutti i presenti, curioso di sentire le sue parole.
Sofia fece un profondo respiro e poi diede la sua risposta: “Durante il mio ultimo anno di superiori, il mio professore di religione ci fece vedere un film sulla Tregua di Natale e riconduco a quel momento la nascita del mio interesse per la Prima Guerra Mondiale. Qualche tempo più tardi, ad una fiera dell’antiquariato, mi capitò di comprare la foto di un soldato. A vederlo sembrava un uomo fiero, consapevole del suo ruolo e incredibilmente sicuro di sé. Ma quando girai la foto lessi che quel soldato aveva appena vent’anni, al momento della sua morte e mi venne la pelle d’oca pensando che io avevo la sua stessa età e che di fatto non ero nulla più di una ragazzina”. Fece una piccola pausa, durante la quale persino lo scatto dei fotografi cessò. “La storia non è fatta solo di date e di nomi importanti, come ce la insegnano sui banchi di scuola. La storia è fatta di cuori, di anime e di lacrime. Emozioni e sensazioni che ci legano a coloro che hanno vissuto prima di noi anche a distanza di secoli. La storia appartiene a tutti, che siano giovani o meno”.
L’applauso che seguì risuonò per tutta la sala. Harry stesso si ritrovò ad applaudire ciò che Sofia aveva appena detto, incantato dalle sue parole.
Alla fine, come da programma, anche Harry dovette fare il suo discorso, ma questa volta si sentì impacciato e faticò a trovare le parole giuste per rispondere alle domande dei giornalisti. Alla fine della conferenza stampa Harry doveva già andare via. Gli avrebbe fatto piacere restare ancora un po’ e avere il tempo di visitare tutta l’esposizione con calma, dopotutto l’argomento gli interessava molto, ma i suoi impegni non lo consentivano. A dire il vero quella mattina era già in ritardo per un altro appuntamento, però si disse che prima di andare via avrebbe dovuto quantomeno incontrare di nuovo Sofia. Si guardò intorno cercandola tra la gente, e quando finalmente la vide girata di schiena, liquidò in fretta i suoi conoscenti e la raggiunse.
Harry le sfiorò la spalla destra con una mano e lei si girò di scatto. Un’espressione sorpresa e nello steso tempo confusa le si dipinse in volto.
“Vostra altezza?”.
“Dottoressa De Angelis, volevo semplicemente complimentarmi con voi per il vostro discorso. Le vostre parole mi hanno toccato nel profondo e sono certo che saranno di grande ispirazione per tutti noi”. Parlò tutto d’un fiato, nervoso più che mai e visibilmente rosso in faccia.
Sofia aprì le labbra per dire qualcosa, poi ci ripensò e si limitò ad annuire e a sorridergli calorosamente. “Vi ringrazio, davvero. Apprezzo molto che me lo siate venuto a dire”.
Harry sorrise a sua volta, imbarazzato e contento allo stesso tempo per aver visto il suo splendido sorriso. “Ora scusatemi, ma devo andare. Resterei di più se potessi”.
Lei annuì continuando a sorridere. “Ma certo, immagino che siate molto impegnato. Grazie ancora per essere venuto”. Gli strinse di nuovo la mano e poi se ne andò.
Salito in macchina, il principe sospirò e si passò una mano sul volto, per poi guardare nostalgicamente l’intero complesso mentre si allontanava.
 
  
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