Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Shige    11/10/2016    5 recensioni
Raccolta di One shot che partecipa all'Erwinweek
1 - Childhood - Primi Passi
2 - Happiness - Il saggio, il gigante e l'asino
3 - Canon Divergence - Sbagli
4 - King - Il Re senza corona
5 - Birthday - Ti regalo un sogno
6 - Death - Attraverso i suoi occhi
7 - Afterlife - Inferno
Conclusa
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Happiness
 
Il saggio,
il gigante e lasino
 
 
‹‹Sei un tipo strano››
L’aveva adocchiato parecchi giorni prima, ma aveva aspettato solo quel pomeriggio per renderlo partecipe dei suoi pensieri. L’aveva fatto senza badare all’etichetta che presumeva ci si presentasse prima di intavolare discorsi, o come in quel caso, fare affermazioni poco educate.
Ma Mike Zacharius aveva sempre considerato l’etichetta una stravaganza per nobili, un modo per mascherare un vaffanculo in maniera garbata.
Sua madre lavorava come domestica nella casa di un ricco aristocratico, per cui, non certo per sua scelta, era cresciuto in quegli ambienti edulcorati di cazzate e tappezzati di ipocrisia.
Perciò, quando si era ritrovato davanti quel ragazzino ben educato e rigido come il manico di una scopa, aveva sentito la puzza di nobile da prima che mettesse piede nella camerata; e lui, che aveva naso per certe cose, avrebbe scommesso la sua stessa madre che quel ragazzino – la cui divisa, per una qualche ragione a lui sconosciuta, restava immacolata anche dopo un’intesa sessione di lotta libera – era sicuramente il figlio di chissà quale panciuto riccone che l’aveva spinto ad arruolarsi per fare carriera nella Gendarmeria.
Poi era venuto fuori che Erwin Smith era il figlio di un professore, per giunta morto, e Mike non se l’era proprio sentita di ammettere il suo errore di valutazione. Dopotutto, il suo naso non sbagliava mai perciò era sicuro che in un qualche ramo lontano della sua famiglia ci fosse, per ovvie ragioni, un nobile.
‹‹Ti ringrazio›› Erwin aveva chiuso il libro di storia che teneva sulla ginocchia e l’aveva guardato con quell’aria saggia che si addiceva ad un vecchio di ottant’anni e non ad un ragazzino di dodici. Mike aveva sollevato il sopracciglio e dall’alto del suo metro e settanta tre aveva pensato che fosse matto o che avesse preso una bella botta cadendo da cavallo.
‹‹Non è strano… è fatto così e basta›› l’altro, che aveva fornito una spiegazione scientifica senza che nessuno gli avesse chiesto niente, Mike l’aveva soprannominato l’amico scemo di quello strano; perché Nile Dok sembrava si fosse arruolato più per fare un favore all’amico che per compiacere la famiglia. Ad uno così non si sarebbe sognato di affidare le cure di sua sorella, figuriamoci dargli una qualsivoglia carica militare.
Mike aveva inarcato anche l’altro sopracciglio e se ne avesse avuto un terzo, probabilmente
avrebbe sollevato anche quello. Ma non possedendo anomalie fisiche, né tanto meno le discutibili sopracciglia di Erwin, aveva sbuffato archiviando la questione con un semplice sono circondato da matti.
Si era fatto spazio tra i due, ignorando le proteste di Nile e l’insofferenza di Erwin nello scansarsi di lato; fece loro la cortesia di appoggiandosi sui gomiti per non farli sentire bassi anche da seduti e prese a guardarli da sotto la frangetta che gli copriva gli occhi.
Erwin era tornato a leggere il libro e Nile sgranocchiava un filo d’erba meglio di quanto avrebbe fatto un asino.
‹‹Guarda che il test ce lo fanno il mese prossimo››
‹‹Lo so›› Erwin non si era nemmeno voltato e Mike cominciava a chiedersi il perché non si stesse facendo gli affari suoi da tutt’altra parte.
La verità – quella che non avrebbe confessato a nessuno – era che si sentiva terribilmente solo. A mensa, a lezione, durante gli allenamenti non c’era nessuno che gli rivolgesse la parola senza chiamarlo Gigante.
Se non fosse stato che quelle creature minacciavano ogni giorno di entrare nelle mura, Mike si sarebbe sentito orgoglioso di quell’appellativo. Ma aveva dodici anni, era alto quanto un adulto e i Giganti erano mostri spaventosi che realmente vivevano oltre le mura. Perciò, nonostante al test di logica avesse preso il punteggio più basso, nella sua testa si palesava chiara il principio logico per cui
Se giganti sono mostri e io sono un gigante, allora sono un mostro anche io.
Tutto sommato, si considerava un tipo tosto a cui non importava un fico secco delle opinioni della gente, tanto meno dei suoi coetanei il cui livello di stupidità scivolava al di sotto delle suole degli stivali, ma l’idea di essere accostato ad un gigante e di essere visto come un mostro non gli andava proprio a genio.
Parafrasando i suoi pensieri: la cosa lo faceva decisamente incazzare.
Perciò, quando aveva notato che né Strano Stupido erano desiderosi di morire giovani per sua mano tanto quanto gli altri, aveva esordito con quel approccio infelice.
‹‹Ma tu non ridi mai?›› Erwin aveva alzato la testa e si era voltato a guardarlo con l’aria di chi non era sicuro di aver sentito bene. Nile, invece, aveva avuto la compiacenza di smetterla di ruminare.
‹‹Come scusa?››
‹‹Non ti scomponi mai. Voglio dire… ma una risata non te la fai mai?››
‹‹E per cosa dovrei ridere?››
‹‹Che ne so… per una battuta, un aneddoto, per due che si picchiano››
‹‹Tu ridi quando la gente si picchia?››
‹‹No… cioè… sì… cioè… Oh lasciamo perdere. Ma è sempre così?›› aveva chiesto rivolgendosi a Nile che nel frattempo aveva pensato che infilarsi tutto il mignolo su per il naso fosse una buona idea. Mike l’aveva guardato disgustato ed era tornato ad osservare Erwin che non aveva ripreso a leggere.
Aveva gli occhi puntati al centro del campo di addestramento, dove due loro coetanei si stavano sfidando in un combattimento corpo a corpo. Il primo aveva sferrato un gancio destro che il secondo aveva schivato prontamente, facendogli lo sgambetto e rovesciandolo a terra.
Mike era scoppiato in una fragorosa risata.
Erwin era rimasto in silenzio.
Nile stava costringendo una lumaca ad arrampicarsi su una foglia.
‹‹Così è questo che ti fa ridere?››
Mike era sicuro, osservando lo sguardo impassibile che gli aveva rivolto, di non aver mai visto un ragazzino più triste di Erwin Smith. Era poi tornato a guardare quei due imbecilli che se le davano di santa ragione.
‹‹Quando rido mi ricordo che non sono ancora morto. Che i titani ci hanno sottratto la terra, ma non la nostra umanità. Che siamo ancora liberi di ridere, di fare stronzate, di andarci a bere una birra, magari un giorno capiterà di innamorarci e chi lo sa, avremo forse la fortuna di fare una famiglia. Rido perché un giorno non mi sarà più permesso perché vedrò cose così terribili che non ne sarò più capace. Ma adesso siamo solo reclute… abbiamo ancora tre anni di normalità, perciò sarebbe stupido non approfittarne, non trovi?››
‹‹Accadono cose terribili anche adesso. E ne sono accadute anche prima, rendendomi ciò che sono. Non importa se abbiamo ancora tre anni davanti, o se passerò il resto della mia vita al sicuro nel Corpo di Gendarmeria; ho sempre saputo di non avere tempo per queste cose. Forse è come dici tu: sono un ragazzino strano che dice cose strane che gli altri fraintendono e non capiscono. Non nascondo che sono diverso perché le cose terribili di cui parli io le ho viste prima del tempo e forse, come dici tu, ho dimenticato come si ride. Ma non penso sia necessario… Il mondo non cesserà di essere crudele solo perché mi faccio una bella risata.››
‹‹Non ho mai detto che smetterà di esserlo. Quello che non deve scomparire è la tua umanità. Se smetti di essere, di vivere, di comportarti da essere umano, allora cosa sei? Per cosa combatti? Se vivi di rinunce che cosa ti resta?››
‹‹Un sogno…mi resta solo un sogno e per quello rinuncio a tutto ciò che mi impedisce di raggiungerlo. Ho perso mio padre per quel sogno e non sono più disposto a perdere nient’altro, perciò faccio a meno di circondarmi di cose che potrei perdere››
‹‹Il mio vecchio diceva sempre che per raggiungere uno scopo ogni tanto fa bene voltarsi e guardare qualcos’altro. Non ho mai capito veramente cosa intendesse, ma forse il succo era che ogni tanto bisogna dimenticarsi della meta che dobbiamo raggiungere. E comunque, non essere così arrogante da pensare di essere l’unico a cui questo mondo ha strappato qualcosa, Erwin. Non sei il solo orfano che bazzica in caserma. Alcuni di quelli che giudichi diversi da te, forse nemmeno l’hanno conosciuto un padre e forse non hanno avuto nemmeno la fortuna di ricevere un sogno come eredità. La verità è che troppi di noi non hanno niente. Eppure, in un modo che non so spiegarmi trovano il modo di andare avanti comunque, e quel poco di buono che il mondo gli offre non se lo lasciano sfuggire. Nemmeno tu hai rinunciato a tutto o non ti troveresti questo asino come amico››
Nile Dok ronfava rumorosamente steso sull’erba e con una coccinella sul naso. Lo sguardo di Erwin si era addolcito e Mike aveva pensato che forse un po’ di tristezza era riuscito a lavargliela via.
‹‹Tuo padre non ha mai detto quella frase, vero?›› gli aveva chiesto gentilmente.
‹‹Non so nemmeno che faccia abbia mio padre, ma mi piace pensare che fosse un tipo da frasi del genere››
Si erano guardati, forse per pochi secondi, ma era bastato quello scambio di sguardi a far scattare qualcosa. Erwin e Mike erano scoppiati in una risata liberatoria che aveva destato bruscamente Nile dal dolce torpore in cui era caduto. Li aveva guardati con la fervida intenzione di dirgliene quattro ma si era arrestato quando aveva visto Erwin piegato in due contro le ginocchia.
Si chiese per un istante se non fosse morto o se non stesse sognando perché mai avrebbe pensato che sarebbe vissuto abbastanza da vederlo con le lacrime agli occhi. Aveva sbattuto più volte le palpebre, incredulo a quanto stava accadendo e si era anche piuttosto risentito del fatto che i due avessero fatto comunella senza coinvolgerlo.
Li aveva guardati e inspiegabilmente si era messo a ridere insieme a loro. Di cosa ridessero non lo seppero mai con esattezza e a chi li osservava dall’altro lato del campo veniva spontaneo chiedersi se non fossero completamente impazziti.
  
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