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Autore: simocarre83    24/10/2016    3 recensioni
Può una telefonata cambiare la vita di una persona? Dipende dalla telefonata. Il problema è che spesso non sappiamo quale sarà quella telefonata. Potessimo saperlo, la registreremmo per ricordarcela, o non risponderemmo neanche. Ma non lo sappiamo. E quando ce ne accorgiamo è troppo tardi e possiamo solo sperare che la vita cambi. In meglio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12 – COME MAI
Quel mercoledì 18 Giugno fui io a svegliarmi per primo. Erano le sette e mezza e, cercando di fare meno rumore possibile, mi alzai e mi diressi in cucina per preparare la colazione. Mentre la preparavo, capii sempre di più di essere, nonostante tutto, felice. Quel momento di crisi sembrava superato. Sembrava passata a tutti e tre la voglia di non collaborare. Rispetto a come ero stato la sera prima, adesso stavo molto meglio. Sperai che quel segnale mandato a tutti i nostri nemici, che non eravamo disposti a troncare quell’amicizia, potesse sortire l’effetto sperato e farci passare persino qualche momento in più di tranquillità. Anche perché mancava poco più di una settimana alla seconda parte della vacanza e quel mese di Luglio volevo godermelo. Quella mattina un appuntamento importante ce l’avevamo. Era con Emanuele che aveva qualcosa di decisamente significativo da dirci e non sapevo come avrebbero reagito gli altri e soprattutto quali sarebbero state le conseguenze di quel racconto. Lentamente, comunque prima delle otto, si alzarono tutti e tre gli altri.
I genitori di Emanuele, Francesco e Giuseppe erano andati via per due giorni e la prima cosa che chiesi ai ragazzi fu di avvisarli in modo che avrebbero potuto dormire a casa mia per la notte successiva. I tre promisero di comportarsi bene ed ottennero il permesso tanto sperato.
Facemmo velocemente colazione. Poi, prima ancora di sparecchiare, Emanuele prese la parola e continuò autonomamente il discorso della notte passata.
“Allora, quello che sto per dirvi deve rimanere tra di noi. Nessuno deve mai venirlo a sapere, perché tutto quello che è successo in queste due estati, temo, dipende proprio da me”
A questo punto l’attenzione di noi tre era completamente rivolta verso di lui.
“Due anni fa circa mi trovavo in terza media. E per la prima volta sentii parlare dei Tre Fratelli. La mia classe non era proprio tranquilla. Basti pensare che quell’anno ero capitato in classe con Amaraldo. In particolare un altro nostro compagno, però, dalla famiglia non proprio responsabile, incominciò a prendermi di mira. In preda alla disperazione per le continue angherie arrivai quasi fino al punto di togliermi la vita. Non potevo raccontare niente neanche a casa, perché cosa avrebbe potuto fare un undicenne? E i miei genitori avrebbero tirato su un polverone. Ma poi a scuola ci sarei dovuto ritornare io. Poi, un giorno, incredibilmente, fu proprio Amaraldo a parlarmi. Mi avvicinò e molto amichevolmente, mi disse che aveva a disposizione la soluzione del problema. Entrare a far parte di una banda. Io vidi in quella dritta non un consiglio di una persona pericolosa, ma la soluzione ai miei problemi. Incredibilmente accettai. I Tre Fratelli erano più giovani di ora, ma erano riusciti già a incutere timore a diverse persone. Divenni così un loro affiliato. Feci il giuramento, poi mi diedero da bere qualcosa. Pensavo fosse aranciata, ma evidentemente dentro c’era qualcos’altro, perché mi risvegliai vicino casa mia, circa un’ora dopo. Avevo un tatuaggio su entrambi i fianchi. Erano tre bambini stilizzati. Mi spaventai moltissimo quando vidi quei segni. Ma poi mi accorsi che erano perfettamente coperti dall’elastico delle mutande, quindi nessuno se ne sarebbe accorto, neanche quando a scuola mi cambiavo per educazione fisica. Pochi giorni dopo, con una lettera i Tre Fratelli mi avvisarono che quella sera dovevo andare con loro a risolvere il mio problema. Io ne fui felice. Ma cambiai idea quando mi resi conto di quello che gli stavano facendo. Finì in ospedale, rischiando di perdere un occhio. L’avevano quasi ammazzato di botte. Ma loro conclusero la giornata dicendomi che la prossima volta sarebbe toccato a me partecipare e non solo assistere alla spedizione punitiva. Io gli pregai di non farmelo fare. Ma tre mesi dopo arrivò la chiamata. Semplicemente non mi feci trovare. Paradossalmente non mi fecero nulla. Almeno questo era quello che avevo pensato. Di averla fatta franca. Pensavo che fare qualche capriccio e farmi accompagnare ovunque dai miei genitori avrebbe potuto risolvere la situazione. Feci di tutto per cercare di non rimanere da solo. Ma non fu sempre possibile. Poi accadde l’imprevisto. Iniziammo a litigare più seriamente con Amaraldo, Dorian, Salvatore e Michele. E quando vidi la lettera dei Tre Fratelli non mi ci volle molto a capire che, in realtà, ce l’avevano con me”.
Le reazioni del gruppo a questo racconto furono contrastanti. In generale tutto partì da un grandissimo silenzio. Francesco si gettò in un abbraccio affettuoso a suo fratello. Aver sentito quelle cose l’aveva scosso tantissimo. Emanuele era la persona alla quale teneva di più. Sentirlo raccontare quelle cose, sentirlo debole e indifeso, pensare addirittura ad un gesto estremo, l’aveva spaventato. Non che fosse deluso, ma aveva visto un lato della personalità di suo fratello differente da quello a cui era abituato.
Giuseppe aveva distolto da un bel pezzo lo sguardo da Emanuele e aveva incominciato a osservare le mie espressioni. In realtà cercava una buona ragione per non credere a una sola parola del suo amico. Per un attimo lo sfiorò anche il pensiero che non ci fosse più tanto da fidarsi di Emanuele. D’altra parte era stato un componente della banda dei Tre Fratelli. Avrebbe potuto tradirci in qualsiasi momento. Poi ripensò alla notte precedente. Una persona che lo aveva difeso così non poteva tradirli. Forse. Quella confusione non poteva fargli che male. E infatti si alzò e fece appena in tempo ad arrivare in bagno che vomitò la colazione. Si stese sul letto e rimase immobile per qualche minuto. In realtà, non volendo lasciarlo solo e all’oscuro di tutto quello che ci stavamo dicendo, ci spostammo in camera da letto. E Giuseppe poté in questo modo continuare ad osservare le mie espressioni. Dapprima cercai di essere impassibile. Poi fui sempre più incuriosito, ma mai preoccupato o arrabbiato. E intanto, Giuseppe pensava.
-Non mi ricordo neanche da quanto tempo lo conosco. Dalla nascita, probabilmente, visto che è più grande di me. Quante ne abbiamo combinate, insieme. Di tutti i colori. Sia quando eravamo bambini, a perdere vagonate di palloni sui balconi. Sia poi, quando abbiamo finito di fare giochi da bambini, e abbiamo avuto quell’anno di pazzia, dopo che Michele se n’era andato, a seguire i passanti. Simone si è dimostrato sempre un vero amico-
Osservandolo, mi accorsi di come Giuseppe era sicuramente interessato, come gli altri del resto, a sapere quello che pensavo in quel momento. Solo che la conversazione seguente, tra me e Emanuele sarebbe sembrata quasi deludente.
“Emanuele, puoi farmi vedere i tatuaggi?”
“No. Quelli non erano veri tatuaggi. Erano solo figure disegnate con un inchiostro molto resistente, che si levava naturalmente a suon di docce, ma comunque passavano circa due settimane. Quindi i Tre Fratelli richiedevano che i componenti della banda ogni due settimane si facessero ridisegnare quelle figure. Dovevamo presentarci ai Tre Fratelli, superare una prova decisa da loro, e chiedere che venisse rinnovato il giuramento. Poi ridisegnavano le due figure”
“Chi lo faceva?”
“Un ragazzo col viso coperto. Non parlava mai e non l’ho mai visto arrivare o andare via”
“E accadeva sempre ogni due settimane?”
“Si, giorno più, giorno meno. D’estate anche una volta ogni dieci giorni, dal momento che la pelle era più esposta e con l’acqua di mare l’inchiostro andava via più velocemente. Ma il disegno non scompariva mai prima che quello lì venisse e lo ridisegnasse”
A questo punto Francesco, quasi spazientito, intervenne.
“Scusate, ma abbiamo appena saputo che mio fratello era nella banda dei Tre Fratelli e tu ti preoccupi solo di questo tatuaggio?” fece il ragazzino, alzando la voce. Poi guardò Giuseppe. Cercando la sua complicità. Ma non la ottenne.
Non ottenne alcuna complicità perché Giuseppe, che mi conosceva troppo bene, sapeva che quelle domande non erano poste per caso. Anche perché aveva osservato quelle espressioni, mentre Emanuele raccontava la storia. E quelle espressioni dicevano molto. In effetti, avevo accusato il colpo e ho anche cercato di nasconderlo per un po’. Ma poi, quando Emanuele aveva parlato del tatuaggio, cioè dei disegni, avevo lentamente ma inesorabilmente cambiato espressione. Prima ero evidentemente più interessato alla storia in generale, poi mi ero distratto pensando a qualcosa che avevo già sentito. È vero che quelle domande erano strane anche per Giuseppe, ma a differenza di Francesco, lui era certo che stessi pensando a qualcosa di veramente importante. Non attese tanto per fugare ogni dubbio.
“Francesco” esordii “capisco i tuoi sentimenti. Anche a me dispiace moltissimo per quello che è successo a voi. E soprattutto per ciò che è successo a Emanuele. Solo che sto cercando per quanto è possibile di razionalizzare e non farmi travolgere dai sentimenti. Mi ha incuriosito molto il discorso dei disegni, perché mi ha fatto capire moltissimo di questa storia. Sicuramente più di quello che avrei potuto anche solo lontanamente immaginare dal resto del racconto di Emanuele”
A questo punto Giuseppe pensò di aver capito e volle continuare il discorso.
“Ad esempio ci ha spiegato come faceva Emanuele a sapere con certezza che al tempo dell’attacco a sorpresa, Michele non faceva ancora parte della banda dei Tre Fratelli”
E Giuseppe, effettivamente, aveva capito. E ne ero proprio felice.
“Perché!?” chiese confuso Francesco.
“Perché quella sera tutti noi lo abbiamo visto completamente nudo, e non aveva la benché minima traccia dei tatuaggi” concluse Giuseppe.
“Esatto! Solo che poi mi sono distratto ancora perché mi è venuto in mente un altro particolare” dissi, perché sapevo di essere arrivato più in là nel ragionamento.
A questo punto, però, tutti e tre mi guardarono con aria interrogativa.
Quella parte della spiegazione era indubbiamente significativa. Collocava l’affiliazione di Michele alla banda a dopo quella sera. Ed era sottinteso e pienamente compreso da tutti che evidentemente una buona ragione per cui i Tre Fratelli avevano accettato Michele all’interno della banda era per sfruttare la sua già affermata ostilità nei nostri confronti per colpire Emanuele. Cos’altro potesse ancora esserci da capire, era un po’ più difficile da comprendere.
“Mi è parsa strana una cosa. È strano che a consigliare a Emanuele di entrare nella banda dei Tre Fratelli fosse proprio Amaraldo. Insomma, non c’è niente di strano, ma quello che è strano è che se ci pensate, mentre prima avevamo problemi solo con Michele, è circa da quando Emanuele ha deciso di uscire dalla banda che Amaraldo si è presentato sulla scena con Dorian e Salvatore. Non vi sembra strano?” chiesi ai tre.
“Beh! non è che ci sia tanta scelta tra i giovani di Policoro!” smentì Emanuele.
“Si! È vero. Però ci sono ancora un paio di cose che non mi convincono. Vi ricordate quando l’anno scorso, durante la settimana dei compiti, ci era venuto in mente che forse Michele era veramente sicuro di essere in superiorità numerica?”
“Si! Ma che c’entra?”
“C’entra! C’entra eccome!! Il fatto è che mi è venuto un dubbio. Vi va di vedere se fila tutto?”
“E proviamoci!” disse Emanuele, sedendosi.
Quella era la prova più importante del mio ragionamento, capire se filava anche per i miei amici. Incominciai, incerto su come sarebbe andata a finire.
“Dunque, io sono Cosimo e con i miei altri due fratelli costituisco una banda. Sono ancora piccolo, ma sono un duro e so che, se voglio, posso avere l’appoggio di qualche persona adulta e altrettanto pericolosa, quindi mi lancio in questa avventura. Prima di tutto, non posso essere a capo di una banda composta da due persone. Sarei ridicolo. E non conterei nulla. Ho bisogno di affiliati. Allora inizio a cercarne. Promettendo a chi entra a far parte della banda guadagni facili, vita divertente, e soprattutto protezione. Tempo qualche giorno ho coinvolto un altro mio amico, forse due. Con questi metto su un certo numero di regole per gestire la vita della banda. Disegni, stile di scrittura delle lettere, prove umilianti a cui sottoporre gli iniziati, insomma le solite cose. Quelle che mi fanno riconoscere. Quelle che incutono poi il giusto timore perché quando le voci si diffondono vengono spesso anche travisate e tutto si ingrandisce. Poi, però, ho il lampo di genio. Perché mi accorgo di un modo semplice ed efficace per far fare alle persone quello che voglio. Per avere affiliati, tanti, quanti ne voglio, e soprattutto con la minima fatica. E visto che la banda è ancora poco conosciuta ed è ancora segreta, e l’unico segno distintivo è un tatuaggio che dopo una quindicina di docce scompare, cerco di mantenere un profilo abbastanza basso. Allora mando i miei due amici a fare quel lavoro. Un lavoro lungo, che richiede tanta pazienza, ma quando il risultato è sicuro… prendo uno dei miei due affiliati e lo infiltro. Come? Questo si guarda intorno. Vede qualcuno un po’ debole, qualcuno che subisce le prepotenza di altri. Qualcuno che si vede lontano un miglio che vorrebbe tanto fargliela pagare e vendicarsi, ma figuriamoci se può. Lo avvicina e gli lancia così la proposta di un capovolgimento delle cose. Un opportunità di rivalersi. Ma non gli parla subito della banda. Altrimenti l’altro gli sputa in un occhio e non risolve niente. Gli lascia solo il dubbio. O meglio, la speranza. E poi aspetta che faccia effetto. Quando questo si è macerato per bene, è forse addirittura lui che lo va a cercare e gli chiede in cosa consiste questa ‘possibilità’. Ma a quel punto è così convinto che per il nostro ‘arruolatore’ è una scemata portarlo al cospetto dei Tre Fratelli. Solo che poi, una volta che sei dentro, il lavoro sporco te lo fanno fare a te, non lo fanno loro. Quindi loro si parano le spalle, e quello che ci va di mezzo è il povero scemo che ci è cascato, con tutto rispetto per i presenti, si intende. E secondo voi chi è l’arruolatore?”
Il discorso filava. Filava per tutti e tre. Filava così tanto che tutti e tre, infatti, tirarono fuori lo stesso nome, nello stesso momento, immediatamente dopo la domanda, senza neanche pensarci.
“Amaraldo”.
A questo punto, una cosa che mi piacque tantissimo fu che i miei amici, nel tentativo di collaborare anche loro all’impalcatura di tutto il discorso, tirarono fuori altre idee interessanti e altrettanto valide.
Il primo fu Giuseppe.
“Ecco perché quando ci fu l’ultimo scontro tra di noi Amaraldo non c’era. Evidentemente quello era il fattore scatenante. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso per Michele. Dopo di che lui, che era già amico di Michele, non ci ha messo molto a convincerlo”
“In effetti adesso che ci penso, quella sera dovevamo andare via con nostra mamma. Avevamo ricevuto tre buoni omaggio per una pizza e una bibita scontate in una pizzeria che aveva aperto. E mia mamma non si lascia sfuggire queste cose. Per caso quella sera tornò dal lavoro stravolta e con il mal di testa, e rimanemmo a casa, altrimenti non ci saremmo neanche visti quella sera. Avevamo ricevuto quei buoni in una busta non affrancata ma che abbiamo trovato nella cassetta postale. Adesso forse abbiamo capito chi ce li aveva dati” fu il prezioso contributo di Francesco. Perché quella era una cosa alla quale ancora non avevo pensato. avevo messo da parte quel problema ma evidentemente era stato risolto brillantemente da Francesco.
“A questo punto, però, c’è qualcosa che non quadra” disse Emanuele.
“Perché?” chiese Giuseppe.
“Eh! Perché ancora non mi hanno fatto niente. Cioè, mandano la lettera a Giuseppe, picchiano mio fratello, costringono te a tornare a Milano ma a me non hanno ancora fatto niente. È possibile?”
“Effettivamente questo è strano. La prima vittima dovevi essere tu, secondo il nostro ragionamento” continuò Francesco.
“A meno che…” e Giuseppe si fermò per un secondo.
Due secondi.
Al terzo secondo che lo sguardo di Giuseppe era fisso su di me, Francesco e Emanuele si incominciarono a preoccupare.
“Oh!” disse Francesco prendendolo per il braccio e smuovendolo un po’ “Ti senti bene!?”
“No, è che ho avuto come un flash, come se si fosse collegato tutto nel cervello”
“Menomale! Quando sono a scuola mi succede solo verso mezzogiorno” fu la risposta immediata di Francesco.
“Non sto scherzando. Anzi, forse ho capito qualcosa in più di tutta questa situazione!”
“Vorresti, allora, spiegarla anche a noi?” chiesi io. Anche perché a questo punto non sapevo proprio dove volesse arrivare Giuseppe.
“Pensate un attimo alla sera in cui sono comparsi i Tre Fratelli nella nostra vita. Voi, come tutti i venerdì sera, salite immediatamente in casa perché torna vostro padre e, giustamente, non vedete l’ora di passare un po’ di tempo con lui. Io ricevo una lettera che me la fa fare sotto dalla paura, insomma, mi dileguo. Chi è l’unico che rimane solo in mezzo a una strada e, per fortuna, con una cosa che difficilmente sarebbe venuta in mente a chiunque altro, riesce a sottrarsi al quasi certo pestaggio?”
“Simone” fu la risposta di Francesco.
“E ieri a chi i Tre Fratelli ci hanno vietato di rivolgere il saluto?”
“A Simone” e a dirlo fu Emanuele.
“E, sempre ieri sera, a chi stava arrivando la mazzata in testa, prima che una scatoletta di tonno stordisse il nostro assalitore?”
“A me!” dissi.
“Allora non potrebbe essere che la vittima di questo attacco dei Tre Fratelli sia soprattutto tu?” concluse Giuseppe, fissandomi, come aspettando una risposta da parte mia.
Ci pensai un attimo. Di filare, il ragionamento filava. Ma non fino in fondo. Mi permisi di dirglielo.
“Si ma perché proprio io? Io non ci sono per nove mesi all’anno. Non ho fatto niente di sbagliato. A nessuno. Ho sempre e solo frequentato voi, e senza grosse avventure”.
“Perché una cosa è punire Emanuele. Una cosa è distruggerci. Picchiare Emanuele, evidentemente, non interessa più di tanto a quelle persone. Secondo me, soprattutto con la richiesta di aiuto pervenuta da Michele, i Tre Fratelli hanno incominciato a conoscerci meglio. E forse anche a temere che possiamo riuscire a fermarli. Allora hanno messo al primo posto la loro stessa sopravvivenza. Solo che, diciamola tutta: se non fosse per te non avremmo mai potuto affrontare Michele e gli altri con il giusto atteggiamento. E sicuramente, ne saremmo usciti perdenti. Quindi, se loro vogliono avere veramente il controllo del territorio, devono eliminare il problema rappresentato da noi. E per farlo devono prima di tutto eliminare il problema rappresentato da te. Pensavano di esserci riusciti convincendoti l’anno scorso ad andartene. Adesso tu sei tornato e sono sicuro che l’escalation di violenza e di attentati alla nostra incolumità continuerà fintantoché non ci avranno distrutti, emotivamente e, nel caso, anche fisicamente”
A quel punto più nessuno aveva voglia di parlare, di investigare, di pensare. Tutti e quattro capivamo che quella era solo una teoria. Ma, se solo fosse stata verificata, ci avrebbe proiettati immediatamente in una dimensione più ampia. Quelle scaramucce, quei dispetti da bambini, che l’anno prima si erano trasformate in una battaglia, ora stavano diventando una guerra. E fino a quel momento eravamo lì, impotenti, quasi ad assistere alle manovre nemiche, senza poter fare, obiettivamente, molto più che difenderci. Francesco e Emanuele erano bravi con la fionda, ma di fronte ad un attacco serio c’era poco da fare. Noi eravamo solo in quattro, i nostri nemici almeno in otto. Eravamo, quantomeno, destinati alla sconfitta.
Fu proprio a questo punto del pensiero, che compresi la necessità di esprimerlo agli altri.
“Però c’è qualcosa che non mi quadra”
Tutti si voltarono verso di me, ascoltando quello che avevo da dire.
“Partendo dal presupposto che loro hanno una potenza decisamente maggiore della nostra, perché non ci hanno già attaccati una volte per tutte e eliminati?” chiesi e rivolsi la domanda a Emanuele che, teoricamente, doveva essere quello che ne sapeva più di tutti noi.
Questi ci pensò un attimo e rispose.
“C’è solo una spiegazione. Vogliono da te e da noi qualcos’altro. Stanno giocando con noi perché aspettano semplicemente il momento buono per farci quello che vogliono”.
“Già! Ma che cosa? E perché?” chiese Francesco.
“Questo proprio non lo so! Ma sono sicuro che lo scopriremo al più presto” dissi. Accogliendo un sorriso affermativo dagli altri tre.
“Certo, se sapessimo dove vogliono arrivare andremmo dai carabinieri a denunciarli e sistemeremmo tutto” disse Emanuele.
“Ma non lo sappiamo. E finché non avremo le idee più precise noi dobbiamo essere gli unici quattro a sapere cosa sta succedendo. Quindi adesso ritorniamo alla nostra vita normale, facendo le solite cose che facciamo quando siamo in vacanza, stando solamente attenti a dove siamo e con chi stiamo”
“Ma se ieri abbiamo rischiato la vita solo perché eravamo fuori a chiacchierare, come puoi pretendere che le cose siano normali?” sbottò Giuseppe.
“Non ho detto che le cose devono essere normali. Basta che sembrino tali. E ieri ce la siamo evidentemente andata a cercare. Era l’una del mattino e non c’era nessuno in giro. Era logico che avrebbero potuto approfittarne. L’importante è che non ci isoliamo mai e stiamo sempre in mezzo alla gente, dove non ci possono fare del male” conclusi.
Poi decidemmo qualche altra cosa. Sarebbero potuti tornare a casa e potevamo addirittura andare al mare. Ci saremmo rivisti tutte le volte che desideravamo. Ci saremmo parlati come e quanto volevamo. Se qualcuno scopriva qualcosa di nuovo, avrebbe dovuto immediatamente avvisare gli altri. Avrebbe dovuto mandare agli altri un sms con la sola parola “Policoro” e tutti gli altri tre avrebbero dovuto abbandonare immediatamente quello che stavano facendo e arrivare a casa mia appena possibile.
Giuseppe, Francesco e Emanuele se ne andarono al mare, io rimasi un po’ a sistemare casa e poi uscii a fare un giro. Non avevo voglia di andare al mare. Era quasi l’una quando rientrai a casa, e senza neanche mangiare mi concessi il tanto desiderato riposo. Per i primi giorni di vacanza il mio ritmo era quello: concedermi tutto il riposo che volevo, certo di avere tutto il tempo per recuperare il mio smisurato bisogno di mare.
Quei due giorni erano stati micidiali. Avevo dormito poco e fatto e scoperto tantissimo. I dubbi e le domande che mi ero posto la sera prima della partenza dell’anno precedente, però, non avevano ancora ottenuto una risposta. In particolare una cosa. Il problema era che non riuscivo a capire ancora bene di cosa si trattava. Durante le notti insonni di tutto quell’anno mi era successo tante volte di soffermarmi a pensare a quella sera. Tutto l’accaduto. Il messaggio, l’essermi ritrovato da solo in mezzo a quella strada e tutti gli altri avvenimenti. In tutto quello c’era qualcosa che non mi tornava. E quando avevo avuto, per quell’anno, qualche minuto a disposizione mi riconcentravo per capire cosa ci fosse che non quadrava in quella storia. Eppure niente. Non riuscivo ad isolare il punto. Speravo che il racconto di Emanuele avrebbe potuto chiarire nella mia mente quel particolare. Ma non fu così. Anzi, se possibile, rese ancora più pesante il dubbio.
Il problema era che mi ero assolutamente convinto che quello fosse un particolare di importanza capitale. Così importante da tralasciare tutto il resto. Mi arrabbiai con me stesso, perché non riuscivo a coglierne il senso. Poi, ancora una volta, la stanchezza mi vinse. Mi appisolai che erano le due, per quelli che a me parvero pochi minuti. Alle sette mi svegliai. No. Decisamente non erano passati solo pochi minuti. Ma mi svegliai perché mi era arrivato un sms. Lo lessi e, ma solo a quel punto, mi riattivai immediatamente.
Conteneva una sola parola.


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BUONGIORNO A TUTTI E GRAZIE DI AVER LETTO QUESTA STORIA FIN QUI. ALLA PROSSIMA SETTIMANA CON UN NUOVO CAPITOLO, LUNGHETTO, E PER QUESTO NON SO ANCORA SE DIVISO IN DUE. CERTO, POTREI FARMI UN'IDEA DI COSA PREFERITE LEGGENDO UNA VOSTRA RECENSIONE... ;-)
CIAO
  
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